IL TRIBUNALE PER I MINORENNI Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento relativo al minore M. R., nato a Palermo il ..................., di F. e di C. P. Premesso che la madre ha rappresentato a questo tribunale di avere convissuto more uxorio con il M. e di avere dato alla luce R. in data 15 gennaio 2005. Considerato che l'istante, ritenendo di essere affidataria ex lege ai sensi dell'art. 317-bis c.c. del minore con lei convivente, ha chiesto ai sensi degli artt. 155 e ss. c.c., 317-bis e 336 c.c. e 709-ter c.c. l'affidamento esclusivo del figlio; la condanna del M. al versamento di un assegno mensile per il mantenimento del bambino pari ad euro 516,46 o della maggiore o minore somma che sara' ritenuta equa dal tribunale per i minorenni. Rilevato che la ricorrente ha, ancora, chiesto che nella commisurazione dell'assegno questo tribunale tenga conto dei criteri indicati dall'art. 155, comma 4 c.c., 155, comma 2 e delle disposizioni dell'art. 709-ter c.p.c. e che, ai sensi dell'art. 317-bis c.c., si inibisse al padre il potere di vigilanza ed il diritto di visita del figlio ed in subordine che se ne limitasse l'esercizio. Visto il parere del p. m., che ha chiesto l'affidamento esclusivo del minore alla madre con regolamentazione del diritto di visita del padre, senza specificare alcun riferimento normativo. Rilevato che, questo tribunale per i minorenni e' chiamato quindi a pronunciarsi ai sensi degli artt. 155 e ss. c.c., dell'art. 4/2, legge n. 54/2006 e 317-bis c.c. Visti gli artt. 23 e s.s. legge 11 marzo 1953, n. 87, solleva questione di incostituzionalita' dell'art. 4 comma 2, legge n. 54/2006, nella parte in cui estende le disposizioni della medesima legge anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati, per violazione degli artt. 3, 24, 25 della Costituzione. Invero, si osserva quanto segue. La legge n. 54/2006 e' intervenuta a modifica delle disposizioni applicabili ai procedimenti di separazione fra i coniugi. Presupposto di fatto dell'intera disciplina e' lo scioglimento per qualsiasi causa del vincolo matrimoniale. Com'e' noto il matrimonio puo' definirsi un negozio giuridico bilaterale caratterizzato dalla manifestazione di volonta' dei coniugi di prendersi rispettivamente in marito e moglie a cui l'ordinamento giuridico riconosce effetti giuridicamente rilevanti e segnatamente gli effetti di cui agli artt. 143 e ss. c.c.: obbligo della fedelta'; all'assistenza morale e materiale; alla collaborazione nell'interesse della famiglia; a concordare l'indirizzo della vita di famiglia; di mantenere, istruire ed educare la prole, ecc. Il matrimonio, pertanto, per volonta' dei contraenti, imprime un carattere di stabilita' al vincolo coniugale e genera diritti ed obblighi giuridicamente rilevanti per entrambi coniugi, diversamente da quanto avviene tra coloro che non sono coniugati. Ma dal matrimonio, cosi' come dalla convivenza e persino da una relazione occasionale, nel momento in cui nasce un figlio, scaturiscono diritti e doveri per entrambi i genitori, che sono indipendenti dall'esistenza di un vincolo matrimoniale e che esigono una regolamentazione che incide sulla relazione genitori-figli. Cio' significa che mentre lo scioglimento del vincolo matrimoniale determina la necessita' di regolamentazione di un duplice ordine di posizioni: quella dei coniugi fra loro e quella dei coniugi in quanto «genitori» separati, nel caso in cui il vincolo matrimoniale non sussista, l'unica disciplina necessaria e' quella relativa all'esercizio della genitorialita' ed agli aspetti patrimoniali legati al rapporto di filiazione. La legge n. 54/2006, dopo avere modificato la normativa relativa ai procedimenti ed alle situazioni dei coniugi separati, introducendo peraltro anche un regime sanzionatorio applicabile al genitore inadempiente dopo l'esaurimento del procedimento relativo alla separazione, ha precisato all'art. 4, comma 2 che le disposizioni della legge n. 54/2006 «si applicano in caso di scioglimento, cessazione degli effetti civili, nullita' del matrimonio, "nonche' ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati"». Con questa disposizione il legislatore ha esteso «ai procedimenti» relativi ai figli di genitori separati non coniugati una normativa complessa avente natura sostanziale, processuale e sanzionatoria, senza tenere conto della diversita' delle situazioni sopra indicate e senza specificare esattamente i margini e le modalita' di tale estensione, cosi' generando un'ambiguita' interpretativa che determina, e di fatto ha determinato, in tutto il territorio nazionale una diversita' di trattamento delle persone ed un'incertezza normativa costituzionalmente inammissibile. L'art. 155, comma 1 c.c., come novellato dalla legge n. 54/2006 in particolare prevede che in caso di separazione personale dei genitori coniugati il figlio ha diritto a mantenere un rapporto continuativo ed equilibrato con ciascuno di essi, di ricevere cura ed educazione ed istruzione da entrambi i genitori e conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Il comma 2 della medesima norma sancisce che per realizzare le finalita' previste dal comma 1 il giudice che pronuncia la separazione dei coniugi valuta prioritariamente la possibilita' che il minore venga affidato ad entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati. La seconda parte del comma 2 dell'art. 155 ed i successivi commi dell'art. 155, insieme gli artt. 155-ter e quater, quinquies e sexies c.c., stabiliscono le modalita' di determinazione dell'assegno di mantenimento, di assegnazione della casa coniugale, ecc. L'art. 155-bis prevede, inoltre, che il giudice possa disporre l'affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga, con provvedimento motivato, che l'affidamento all'altro sia contrario all'interesse del minore. Nel caso in cui, invece, i genitori non siano coniugati, l'art. 317-bis c.c. prevede al secondo comma che se il riconoscimento e' fatto da entrambi i genitori, l'esercizio della potesta' spetta congiuntamente ad entrambi i conviventi e se non sono conviventi la potesta' spetta al genitore con cui il figlio convive ed il giudice, nell'esclusivo interesse del figlio, puo' decidere diversamente e puo' anche «escludere la potesta' di entrambi i genitori». Al genitore che non esercita la potesta' compete comunque il potere di vigilare sulla istruzione, educazione e condizioni di vita del figlio. Nulla prevede l'art. 317-bis riguardo alla regolamentazione delle questioni patrimoniali attinenti i rapporti fra i genitori e nulla prevede di specifico in ordine alle modalita' di determinazione dell'assegno di mantenimento nei confronti del figlio, lasciato alla disciplina prevista dagli artt. 433 e ss. c.c. e dagli artt. 147 e 148 c.c., che impongono ai genitori un'obbligazione di natura solidale, eseguibile coattivamente. L'art. 38 disp. att. c.c. nonche' una copiosa giurisprudenza della suprema Corte attribuisce alla competenza del giudice minorile esclusivamente le questioni relative all'affidamento di figli di genitori non coniugati ex art. 317-bis c.c., lasciando gli aspetti patrimoniali alla competenza del giudice civile ordinario, con l'unica eccezione di cui agli artt. 269 e ss. c.c., di competenza esclusiva del tribunale per i minorenni. Orbene, l'art. 4, comma 2 della legge n. 54/2006 ha esteso sic et simpliciter tutte le norme della medesima legge «ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati», senza operare alcuna distinzione riguardo alle diverse situazioni sopra descritte, con conseguente mancanza di chiarezza sia in ordine alla individuazione dei «procedimenti» ai quali applicare la normativa sia in ordine alla individuazione dell'autorita' giudiziaria competente a decidere. E' proprio in relazione a tale indeterminatezza normativa che questo giudicante ravvisa l'illegittimita' costituzionale del predetto art. 4, comma 2, legge n. 54/2006, per violazione degli artt. 3, 24 e 25 della Costituzione. L'art. 4, comma 2, legge n. 54/2006, infatti, oltre a prevedere un illogico assoggettamento dei genitori separati non coniugati alle conseguenze derivanti dallo scioglimento di un patto (quello matrimoniale) mai voluto, evidenzia aspetti di ambiguita' e imprecisione tali da generare notevoli dubbi. E' possibile, infatti, elaborare - e di fatto sono state elaborate - almeno tre interpretazioni diverse che a parere di questo giudice presentano tutte profili di incostituzionalita'. La dizione letterale della norma indurrebbe prima facie a ritenere che nei procedimenti pendenti dinanzi al tribunale per i minorenni andrebbero applicate tutte le norme della legge n. 54/2006, comprese quelle relative alle questioni patrimoniali (determinazione assegno di mantenimento dei figli - attribuzione della casa - sanzioni in caso di inadempimento delle condizioni della separazione), con conseguente spostamento di competenza dal tribunale ordinario a quello per i minorenni. Ma, a prescindere dalla considerazione che tale spostamento di competenza non e' stato espressamente previsto dal legislatore che ha lasciato invariato l'art. 38 delle disp.att. cc., l'attribuire al tribunale per i minorenni la competenza a decidere riguardo alle questioni patrimoniali e sanzionatorie, significherebbe ammettere la possibilita' per i genitori separati non coniugati di agire in giudizio per il soddisfacimento delle proprie pretese con le forme proprie del rito in vigore presso il medesimo tribunale, ossia quello previsto dagli artt. 737 e ss. c.c. che disciplinano i procedimenti in camera di consiglio. Cio' rende evidente l'inammissibilita' di tale interpretazione per contrasto con l'art. 24 della Costituzione, posto che le garanzie difensive di entrambi i genitori risulterebbero sicuramente compresse in un procedimento di volontaria giurisdizione, qual'e' quello attualmente vigente presso il tribunale per i minorenni. Il rito camerale, infatti, «non e' strutturato per la tutela di diritti patrimoniali essendo un rito non contenzioso che si conclude con un provvedimento modificabile e revocabile (decreto) che, pur riguardando posizioni di diritto soggettivo, si esaurisce in un governo di interessi sottratti all'autonomia privata, senza risolvere un conflitto di diritti contrapposti» (Cass., S.U., 23 ottobre 1986, n. 6220; Cass., S.U., 28 gennaio 1995, n. 1026; Cass. S.U., 2 aprile 1998, n. 338). Inoltre, uno spostamento implicito di competenza dal giudice civile ordinario al giudice minorile, sarebbe in contrasto con l'art. 25 della Cost., in quanto tradirebbe il principio del giudice naturale precostituito per legge, vista l'inesistenza di un'espressa attribuzione legislativa di competenza al giudice minorile delle questioni patrimoniali relative ai figli dei genitori separati non coniugati. Si consideri altresi', che in ogni caso si determinerebbe una illogica disparita' di trattamento fra genitori coniugati separati e genitori separati non coniugati. I primi, infatti, sarebbero assoggettati solamente alla disciplina di cui alla legge n. 54/2006 ed al rito ordinario mentre i secondi sarebbero assoggettati contemporaneamente alle norme della legge n. 54/2006 all'art. 317-bis c.c. ed al rito camerale, con conseguenze non indifferenti sul piano sostanziale e processuale. La legge n. 54 non ha, infatti, modificato o abrogato l'art. 317-bis c.c. ne' d'altra parte tale articolo puo' ritenersi abrogato ai sensi dell'art. 15 delle preleggi. L'art. 317-bis c.c. disciplina, invero, situazioni di fatto che prescindono e precedono l'intervento dell'autorita' giudiziaria e che trovano applicazione nel caso in cui uno solo dei genitori abbia riconosciuto il figlio ovvero nel caso di genitori non coniugati conviventi, sicche' un'abrogazione tacita e' inammissibile, posto che diversamente tali situazioni non avrebbero alcuna disciplina. La prima ipotesi interpretativa non puo', pertanto, trovare apprezzamento. Non puo' parimenti sostenersi un secondo orientamento esegetico che vuole, al contrario, spostare tutta la competenza dal tribunale per i minorenni al giudice civile ordinario. Il legislatore non ha operato, infatti, alcuna modifica del regime delle competenze di cui all'art. 38 disp. att. c.c., sicche' sostenere il contrario determinerebbe un contrasto con l'art. 25 della Costituzione, come gia' sopra rilevato. In ogni caso rimarrebbe il dubbio sul concreto ambito di operativita' dell'art. 317-bis c.c. Secondo una terza ipotesi, potrebbe, infine, ritenersi che l'art. 4, comma 2 della legge n. 54/2006 abbia in sostanza lasciato invariata la distribuzione delle competenze tra giudice civile ordinario e giudice minorile. In base a tale interpretazione la norma andrebbe letta nel senso di ritenere estesa ai procedimenti relativi i figli di genitori separati non coniugati - di competenza del giudice minorile - esclusivamente le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 prima parte dell'art. 155 e di cui all'art. 155-bis c.c. relativi all'affido condiviso, mentre le rimanenti norme della legge n. 54/2006, riguardanti le questioni partrimoniali e sanzionatorie, rimarrebbero di competenza del giudice civile ordinario. Ma anche tale interpretazione, a parere di questo giudice, da' luogo a profili di incostituzionalita', tenuto conto della contemporanea vigenza ed operativita' dell'art. 317-bis e degli artt. 155 e 155-bis c.c. Se cosi' fosse, infatti, ciascun genitore separato non coniugato potrebbe indifferentemente richiedere al giudice minorile l'applicazione della disciplina dell'affido condiviso ex art. 155 c.c. ovvero ritenersi genitore affidatario ex art. 317-bis c.c., secondo le proprie posizioni e convinzioni, con evidente disparita' di trattamento rispetto ai genitori separati coniugati ed evidente difficolta' di individuazione della norma in concreto applicabile. In conclusione questo giudicante ritiene che l'art. 4, comma 2, legge n. 54/2006 determini di fatto una disciplina la quale per alcuni aspetti equipara illogicamente la posizione di coloro che sono legati da un vincolo matrimoniale a coloro che invece non lo sono e che nel complesso risulta comunque intrinsecamente priva di ragionevolezza e contraria alle esigenze di certezza del diritto, come emerge peraltro dalla disamina della giurisprudenza di merito e della dottrina, che a distanza di un anno dall'entrata in vigore della legge non ha ancora trovato soluzioni convincenti e condivise.