IL TRIBUNALE

    Nell'udienza  dibattimentale 15 dicembre 2006 nel processo penale
a  carico  di Marzocco Roberto, nato a Camerino 21 gennaio 1965, res.
Civitanova  Marche,  via  Verga  n  49. Dif. fid. avv. Raffaele Delle
Fave,  Macerata,  imputato  del  reato di cui all'art. 81 cpv. c.p. e
d.lgs.  n. 143/1991.  In  Marotta,  Ancona  e  altrove,  dal 21 al 24
novembre 1999.
    Premesso che, il difensore dell'imputato ha comunicato la propria
adesione   alla   astensione   collettiva   nazionale  dalle  udienze
proclamata  dall'O.U.A.  (Organismo  Unitario  dell'Avvocatura) per i
giorni  14-15-16  dicembre 2007 con delibera in data 30 novembre 2006
(questo  processo  e'  stato rinviato per analogo motivo nell'udienza
dibattimentale del 21 luglio 2006);
        l'imputato  non e' comparso ed e' stato nominato un difensore
di  ufficio  in  sostituzione  del  difensore  di fiducia ex art. 97,
quarto comma, c.p.p.;
        con  sentenza  n. 171  del  1996  la  Corte costituzionale ha
dichiarato  l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 1 e 5,
della  legge 12 giugno 1990, n. 146 (Norme sull'esercizio del diritto
di  sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei
diritti  della persona costituzionalmente tutelati. Istituzione della
commissione  di garanzia dell'attuazione della legge), nella parte in
cui  non  prevede, nel caso dell'astensione collettiva dall'attivita'
giudiziaria  degli  avvocati e dei procuratori legali, l'obbligo d'un
congruo    preavviso   e   di   un   ragionevole   limite   temporale
dell'astensione  e  non  prevede  altresi'  gli  strumenti  idonei  a
individuare  e  assicurare  le  prestazioni  essenziali,  nonche'  le
procedure e le misure conseguenziali nell'ipotesi di inosservanza; la
proclamazione dell'astensione dalle udienze per i giorni 14 - 15 - 16
dicembre  e'  stata  comunicata  con  congruo preavviso e non compete
comunque  al  giudice  verificare  la  sussistenza dei presupposti di
legittimita'  della  deliberazione  dell'organismo  forense,  rimessa
dalla legge n. 146/1990 alla Commissione di garanzia per l'attuazione
della   legge   sullo   sciopero  nei  servizi  pubblici  essenziali,
competente  anche in ordine alla irrogazione di sanzioni pecuniarie a
carico degli organismi sindacali in caso di violazione;
        pertanto  il  giudice, preso atto dell'adesione del difensore
all'astensione    collettiva    nazionale    dalle    udienze,    non
potrebbe-dovrebbe  fare  altro  che rinviare il dibattimento ad altra
udienza;

                            O s s e r v a

    1.  -  Il  giudice  ritiene  di non potere disporre il rinvio del
dibattimento ad altra udienza poiche' ravvisa nell'attuale disciplina
dell'astensione  collettiva  degli avvocati dalle udienze elementi in
contrasto   con  principi  costituzionali,  riguardo  ai  quali  deve
proporre questioni di legittimita' costituzionale che, se accolte con
la  conseguente  declaratoria  di  illegittimita'  di norme contenute
nella    legge    n. 146/1990,    comporterebbero    l'illegittimita'
dell'astensione     collettiva    proclamata    e    conseguentemente
l'inammissibilita' del rinvio del processo ad altra udienza.
    2.    -    Prima    di   esporre   gli   elementi   di   ritenuta
incostituzionalita',  e'  opportuno  richiamare testualmente la parte
piu'  pregnante  della  motivazione  della sentenza n. 171/1996 della
Corte  costituzionale: «Nella stessa sentenza (n. 114/1 994, n. d.r.)
si  ricorda  come  la  legge n. 146 del 1990 disciplini il diritto di
sciopero  nei  servizi  pubblici  essenziali,  ricomprendendovi anche
l'amministrazione  della  giustizia  proprio al fine di salvaguardare
beni   essenziali   costituzionalmente  protetti.  A  tal  proposito,
richiamando  l'art. 1  della  citata  legge  n. 146,  questa Corte ha
rilevato  che  non  vi  e'  ragione per cui debbano restare esenti da
regolamentazione    forme    di   protesta   collettiva,   le   quali
compromettono,  al pari dello sciopero, il pieno e ordinato esercizio
di  funzioni,  come  quella  giurisdizionale,  che  assumono  rilievo
fondamentale  nell'ordinamento;  e  ha  quindi  rivolto  un invito al
legislatore,  auspicando l'introduzione d'una disciplina che colmi la
lacuna denunciata (v. ancora la sentenza n. 114 del 1994, considerato
in  diritto,  n. 3). Nell'adottare siffatta decisione, la Corte aveva
presente  l'impegno  e  lo  scrupolo  deontologico con cui avvocati e
procuratori assolvono quotidianamente una funzione insostituibile per
il  corretto  svolgimento  della dinamica processuale. Cosi' come non
era  dimentica dei meriti storici che l'avvocatura ha acquisito anche
fuori delle aule di giustizia, contribuendo alla crescita culturale e
civile del Paese e, soprattutto, alla difesa delle liberta'. L'invito
al  legislatore  era necessario ma si e' rivelato inadeguato, essendo
trascorsi  invano due anni senza che l'auspicato intervento normativo
si sia realizzato.
    In  questi  due  anni la situazione si e' deteriorata al punto da
destare allarme per il ripetersi di astensioni non regolamentate, si'
che   acuto   e'   il   disagio   e   concreto   il  pregiudizio  per
l'amministrazione  della giustizia e, conseguentemente, per i diritti
fondamentali  della  persona  che in essa trovano tutela. Si e' fatto
uso   della  "liberta'  sindacale"  tanto  che  in  alcuni  distretti
giudiziari  vi  e'  stata  per lunghi periodi la paralisi di tutte le
attivita',  con  inevitabili  effetti  perversi  che  ancora  oggi si
avvertono.  D'altra  parte, la questione in esame pone problemi nuovi
rispetto  a  quelli  vagliati  con  la  sentenza n. 114: sollevata in
riferimento   ad  alcune  disposizioni  della  legge  n. 146,  palesa
l'incongruenza  fra  gli  obiettivi  ispiratori  di  essa  e  i  suoi
strumenti  operativi,  limitati all'esercizio del diritto di sciopero
quale    risulta    dalla    legislazione    e    dagli   svolgimenti
giurisprudenziali....  I  dubbi  di costituzionalita' sulla normativa
del  1990  sono  dunque parzialmente fondati. L'obiettivo della legge
n. 146  e'  la  garanzia  dei  servizi pubblici essenziali, costruita
com'e'  in funzione della tutela dei beni fondamentali della persona:
l'art. 1,  comma 1, e' in tal senso emblematico, ma la restante parte
della  legge  -  nel mirare esclusivamente alla protezione dall'abuso
del  diritto  di  sciopero  -  non  appresta una razionale e coerente
disciplina  che  includa  tutte  le  altre  manifestazioni collettive
capaci  di  comprimere  detti valori primari. Non si puo' procedere a
una  interpretazione  estensiva  o  analogica  dei diversi meccanismi
contenuti  nella legge, tale da ricomprendere l'astensione dal lavoro
di  soggetti  che  non  siano  lavoratori  subordinati ne' presentino
quell'indice  di  "non  indipendenza"  che  ne  rivela  la  debolezza
economica;  e  tuttavia,  l'astensione dalle udienze di questi attori
del  processo,  la cui presenza e' necessaria, incide - in misura non
minore  dello  sciopero  del  personale  delle  cancellerie  e  delle
segreterie giudiziarie - sull'amministrazione della giustizia, che e'
servizio pubblico essenziale.
    La  mancata  previsione  di  tale ipotesi fra quelle che la legge
n. 146   individua,   ne   compromette   le  finalita'  e  ne  riduce
l'efficacia, ponendo nel contempo un problema, non piu' eludibile, di
legittimita'  costituzionale. La salvaguardia degli spazi di liberta'
riservati  ai  singoli,  e ai gruppi, che ispira la prima parte della
Carta   costituzionale   non   esclude  che  vi  siano  altri  valori
costituzionali  meritevoli  di tutela, come s'intravede nell'impianto
della  legge  n. 146,  dove vengono in rilievo diritti fondamentali -
quello  di  azione  e  quello  di  difesa  di  cui  all'art. 24 della
Costituzione  -  che sono attribuiti ai soggetti destinatari, a vario
titolo,  della  funzione  giurisdizionale.  Ora,  avendo l'esperienza
rivelato  le  carenze  della  legge  n. 146, si impone una piu' ampia
regolamentazione  anche  in riferimento all'astensione collettiva dal
lavoro  non qualificabile, per l'assenza dei suoi tratti tipici, come
esercizio  del  diritto di sciopero; e si richiedono, quanto meno, un
congruo  preavviso  e  un  ragionevole  limite  temporale  di durata,
peraltro gia' previsti da codici di autoregolamentazione recentemente
adottati  da  vari  organismi  professionali che, tuttavia, non hanno
efficacia generale.
    Un'adeguata  disciplina,  ormai  indilazionabile,  e' strumentale
alla  salvaguardia  dei  principi  e valori costituzionali piu' volte
menzionati:  il  buon  andamento dell'amministrazione della giustizia
postula che il legislatore, coerentemente con i canoni costituzionali
richiamati,  specifichi  anche le prestazioni essenziali da adempiere
durante   l'astensione,  le  procedure  e  le  misure  conseguenziali
nell'ipotesi    di    inosservanza.    Si'   che   deve   dichiararsi
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 1 e 5, della legge
n. 146,  nella  parte  in  cui  non prevede, nel caso dell'astensione
collettiva   dall'attivita'   giudiziaria   degli   avvocati   e  dei
procuratori   legali,   l'obbligo   d'un  congruo  preavviso  e  d'un
ragionevole limite temporale dell'astensione e non prevede, altresi',
gli  strumenti  idonei  a  individuare  (e assicurare) le prestazioni
essenziali  durante  l'astensione  stessa,  nonche' le procedure e le
misure  conseguenziali nell'ipotesi di inosservanza. Nel sottolineare
che   l'astensione  di  avvocati  e  procuratori  da  ogni  attivita'
defensionale  non  rientra  compiutamente, per la sua morfologia, nei
meccanismi  procedurali  previsti  dagli  artt. 8, 9, 10, 12, 13 e 14
della  legge n. 146, la Corte non puo' che lasciare al legislatore di
definire  in  modo organico le misure atte a realizzare l'equilibrata
tutela  dei  beni  coinvolti, essendole preclusa l'individuazione nel
dettaglio delle soluzioni».
    3.  -  In sostanza la Corte costituzionale, di fronte all'inerzia
del    legislatore,   considerato   l'aggravarsi   della   situazione
conseguente  ad un ricorso massiccio e sregolato delle organizzazioni
forensi   all'astensione   collettiva   dalle   udienze,   con  grave
conseguente  disservizio  per  l'attivita'  giudiziaria, ribadito che
l'astensione  collettiva  dalle udienze promossa dalle organizzazioni
forensi  non  e' riconducibile alla nozione di sciopero, nondimeno ha
ritenuto  che  quantomeno  in parte qua sia applicabile la disciplina
della  legge  n. 146/1990,  ferma  la necessita' di un intervento del
legislatore.   Cio'   ha  statuito  in  considerazione  della  natura
collettiva,  «sindacale»  dell'azione  dell'avvocatura  organizzata e
della identita' delle conseguenze dell'astensione dalle udienze degli
avvocati,   del   personale   delle   cancellerie  e,  non  puo'  non
aggiungersi, dei magistrati, sull'amministrazione della giustizia.
    4.  -  Ad  avviso di questo giudice il riferimento della sentenza
n. 171/1996 della Corte costituzionale alla disciplina dello sciopero
per riconoscere la legittimita' in via generale dell'astensione dalle
udienze  degli  avvocati e' dovuto non soltanto ad analogie di questa
con  forme  di  azione  sindacale  riconducibili allo sciopero, ma al
fatto  che soltanto lo sciopero e' previsto dall'Ordinamento (art. 40
della  Costituzione  e  legge  n. 146/1990, che soltanto nell'art. 40
della  Costituzione  puo' trovare, come trova, la fonte della propria
legittimita),  come  manifestazione  collettiva  idonea  a  turbare o
interrompere servizi pubblici essenziali - che' di questo si tratta -
legittimamente. L'art. 40 della Costituzione, integrato appunto dalla
legge n. 146/1990, consente in sostanza allo sciopero cio' che non e'
concesso  a  qualsivoglia  altra  manifestazione  di  idee, opinioni,
interessi.  Ogni  altra  forma di turbativa intenzionale del servizio
pubblico, fosse anche espressione del pensiero, delle opinioni, delle
convinzioni  politiche, economiche, sociali o religiose degli autori,
non   sarebbe   infatti  legittima  e  non  si  sottrarrebbe  ad  una
valutazione anche in sede penale.
    5.  -  L'applicazione della disciplina dello sciopero nei servizi
pubblici  essenziali all'astensione degli avvocati dalle udienze deve
ritenersi  pertanto  ammissibile soltanto se tale astensione presenta
gli  elementi  essenziali  dello  sciopero.  Uno di questi certamente
manca,  ed  e' costituito dal «costo» economico che grava sul singolo
lavoratore, concretantesi nella perdita del salario o dello stipendio
relativo  al  periodo  di sciopero. Perdita ovvia, essendo la mancata
percezione  della  retribuzione  conseguente alla mancata prestazione
lavorativa,  che costituisce anche un elemento di autoregolazione, il
primo  limite all'esercizio dello sciopero, una vera e propria remora
all'eccesso  o  all'abuso  del  diritto di sciopero. Il rispetto e la
tutela  che  progressivamente  lo sciopero ha acquistato, passando da
delitto a diritto, sono dovuti anche al fatto che ogni sciopero costa
al lavoratore e quanto piu' la lotta sindacale e' dura e lunga, tanto
piu' il lavoratore ci rimette in termini di retribuzione.
    6.  - L'astensione dalle udienze non costa nulla all'avvocato. Il
rinvio dell'udienza ad altra data comporta al massimo il rinvio della
maturazione  e  percezione  dei  diritti  ed  onorari  che l'avvocato
avrebbe  conseguito a seguito dell'attivita' processuale rinviata, ma
non  la  loro  perdita.  Ma  v'e'  di  piu',  dato  che  generalmente
l'imputato  ha  interesse a procrastinare la conclusione del processo
perche'  il  tempo  giuoca  a  suo  favore.  Cio'  ovviamente non con
riferimento  alla  prescrizione,  dato  che il decorso del termine e'
sospeso,  in  applicazione  del  disposto dell'art. 159, primo comma,
n. 3),  g.p.,  per  tutta  la  durata  del rinvio, senza il limite di
giorni  sessanta  previsto  per  i  casi  di  impedimento  legittimo,
trattandosi  di  rinvio su richiesta del difensore per l'esercizio di
un  diritto costituzionalmente garantito. L'interesse dell'imputato a
guadagnare  tempo  e' evidente e notorio. Il decorso del tempo riduce
progressivamente  la  percezione  sociale  del  disvalore  del reato,
favorisce  la  concessione delle attenuanti generiche e l'irrogazione
di  pene  meno  gravi,  allontana l'esecuzione della eventuale futura
pena   e   il   pagamento   degli   eventuali  risarcimenti,  agevola
l'applicazione  di  pene alternative alla detenzione in carcere, come
ad  es. la detenzione domiciliare (art. 47-ter ord. penit.). Consente
di  sperare  in  benefici, come l'indulto, etc.. In materia civile il
rinvio  giova certamente alle parti convenute. In sostanza l'adesione
all'astensione dalle udienze non solo non costa nulla all'avvocato ma
nella maggior parte dei casi, giovando alla parte giova anche a lui.
    7.  -  Le  conseguenze  di  quanto  esposto  sono  evidenti.  Non
esistendo  remore  di  carattere  economico  alla proclamazione delle
astensioni   dalle   udienze,  gli  organismi  professionali  possono
ricorrervi  con notevole liberta' e disinvoltura, ben diversamente da
quanto  e'  concesso ai sindacati dei lavoratori dipendenti, ai quali
ogni   giorno  di  sciopero  costa  una  corrispondente  quota  della
retribuzione.  Per  rendersi conto di cio' e' sufficiente considerare
che  nel  2006  gli  avvocati  hanno  effettuato  ben  36  giorni  di
astensione  dalle  udienze,  proclamate  dall'Organizzazione Unitaria
dell'Avvocatura  e/o  dall'Unione  Camere  Penali,  in taluni casi in
periodi  coincidenti (16-18 gennaio, 5 aprile, 10-21 luglio, 24-25-28
luglio,   18-23  settembre,  11-13  ottobre,  13-18  novembre,  14-16
dicembre).   Cio'  conferisce  all'avvocatura  un  enorme  potere  di
incidenza  sulle  condizioni  di  funzionamento  dell'amministrazione
della  giustizia. Crea inoltre notevole disparita' di trattamento tra
categorie   diverse   in   relazione  a  comportamenti  identici.  Si
consideri, ad esempio l'astensione dalle udienze del 24 novembre 2004
quando  si  astennero  sia gli avvocati che i magistrati: il medesimo
comportamento,  l'astensione dall'udienza, come al solito, non costo'
nulla  agli  avvocati mentre a ciascun magistrato costo', ovviamente,
un trentesimo dello stipendio mensile. Costituisce infine un elemento
di  turbativa  della  dialettica  sindacale poiche' conferisce ad una
organizzazione  un  vantaggio  notevole su un'altra. Se si considera,
infatti,  che oggetto delle azioni sindacali di magistrati e avvocati
sono   state  perlopiu'  modificazioni  dell'ordinamento  giudiziario
sostenute  o  contrastate  per ragioni opposte (si pensi per tutti al
tema della separazione delle carriere), la disparita' di trattamento,
direttamente  incidente  sul  potere  sindacale  delle organizzazioni
degli avvocati e dei magistrati, appare evidente.
    8. - Queste considerazioni di fatto pongono in evidenza i profili
di  illegittimita' costituzionale della legge n. 146/1990 nella parte
in   cui,   per   effetto  della  sentenza  n. 171/1996  della  Corte
costituzionale,   disciplina,  oltre  all'esercizio  del  diritto  di
sciopero  nei servizi pubblici essenziali, l'esercizio del diritto di
astensione  dalle  udienze  proclamato dalle organizzazioni sindacali
degli  avvocati,  senza  prevedere  a  carico  degli  avvocati  oneri
economici  equiparabili  alla  mancata percezione del salario o dello
stipendio  dal  lavoratore  dipendente. Il fatto che gli avvocati non
siano  lavoratori  dipendenti  ma  liberi professionisti non esclude,
anzi  ad  avviso  di questo giudice, impone la previsione legislativa
dell'obbligo   a   carico   dell'avvocato   che   intenda   astenersi
dall'udienza   di   versare   ad   un   fondo   apposito,  costituito
eventualmente  presso  l'amministrazione  della  giustizia, in quanto
danneggiata    dall'astensione,    una    somma   corrispondente   al
valore-udienza  da  determinarsi  per  legge in relazione alla natura
dell'attivita'   giudiziaria   in   concreto   mancata   per  effetto
dell'astensione. O comunque la previsione di strumenti che consentano
di  equiparare  in concreto, sotto il profilo economico, l'astensione
dell'avvocato a quella del lavoratore dipendente.
    9. - La mancata previsione legislativa di siffatto obbligo appare
in contrasto con gli articoli 3, 40, 39, 97 della Costituzione.
    10.  - La violazione dell'art. 3 si concreta nella macroscopica e
irragionevole  disparita'  di trattamento tra situazioni analoghe con
riferimento  sia  alla  condotta  (astensione dalle udienze) che agli
effetti  (turbativa  dell'amministrazione  della  giustizia), a causa
delle  diverse  condizioni  personali  e  sociali dei soggetti che si
astengono dalle udienze: lavoratori autonomi gli avvocati, lavoratori
dipendenti i magistrati e il personale amministrativo.
    11.  -  La  violazione  dell'art. 40, unica fonte di legittimita'
della   legge  n. 146/1990,  si  concreta  nella  equiparazione  allo
sciopero   di   una   attivita'  priva  di  un  elemento  essenziale,
inscindibile  dalla  nozione  storica  e  giuridica  dello  sciopero:
l'onerosita'  economica dell'astensione dalla prestazione lavorativa.
Che  costituisce,  come si e' osservato al n. 5, anche un elemento di
autoregolazione,  il  primo  limite all'esercizio dello sciopero, una
vera  e  propria  remora  all'eccesso  o  all'abuso  del  diritto  di
sciopero.
    12.  -  La violazione dell'art. 39 appare insita nella disparita'
di  trattamento  riservato  dalla  legge  n. 146/1990  alle attivita'
sindacali concretantisi nell'astensione dalle udienze poste in essere
dalle organizzazione degli avvocati rispetto a quelle poste in essere
dalle  organizzazioni  dei magistrati e del personale amministrativo:
la  non  onerosita'  della  partecipazione  da  parte  degli avvocati
comporta per gli stessi una maggiore liberta' di azione e pertanto il
riconoscimento   di  un  maggior  potere  alle  loro  organizzazioni,
rispetto  a  quelle  degli  altri lavoratori indicati. Questo rilievo
vale  in  se'  e in particolare con riferimento alle azioni sindacali
conflittuali tra le varie organizzazioni. E' noto che esiste un netto
contrasto  tra  le  organizzazioni  degli  avvocati  e l'associazione
nazionale   magistrati   riguardo   alla   riforma   dell'ordinamento
giudiziario.   Le   azioni  sindacali  dell'una  categoria  non  sono
ovviamente  rivolte contro l'altra, bensi' nei confronti del Ministro
della  giustizia e/o del legislatore. Nondimeno esse sono in rapporto
di  evidente  concorrenza  tra di loro, inesorabilmente viziata dalla
maggiore  liberta' di iniziativa delle organizzazioni forensi dovuta,
come  si e' visto, alla non onerosita' dell'astensione dalle udienze.
I  36  giorni  di  astensione dalle udienze effettuati nel 2006 dagli
avvocati,    senza    costi    economici,   sarebbero   assolutamente
improponibili   per   magistrati   e  personale  amministrativo,  che
dovrebbero  rinunciare  a  piu'  di  una  mensilita' di stipendio. La
macroscopica disparita' della liberta' in concreto di astenersi dalle
udienze  riconosciuta  dalla  legge  n. 146/1990 agli avvocati da una
parte  e  ai  magistrati e al personale amministrativo dall'altra, si
traduce   inevitabilmente   in  una  minore  liberta'  dell'attivita'
sindacale   delle  organizzazioni  dei  magistrati  e  del  personale
amministrativo.
    13.  -  La  violazione  dell'art. 97  consegne alla squilibrata e
irragionevole  incidenza  della applicazione della legge n. 146/1990,
con   riferimento   all'astensione   degli  avvocati  dalle  udienze,
sull'organizzazione    e   sul   funzionamento   dell'amministrazione
giudiziaria.  Ogni  astensione  comporta  rinvio  di  processi  e  di
udienze, anche a data lontana di mesi e talora di anni, e sconvolge i
calendari  delle  udienze.  Ogni  giornata  di astensione e' un fatto
gravemente  traumatico  su  di  una  organizzazione  di  per se' gia'
precaria   a   causa  delle  notorie  carenze  di  persone  e  mezzi.
L'attuazione  di  giornate  di  astensione  continuate, reiterate, e'
obiettivamente  devastante.  La  possibilita'  per  le organizzazioni
forensi  di  proclamare  astensioni  dalle  udienze senza alcun costo
economico  per  gli  avvocati, conferisce loro un potere esorbitante,
gravemente   incidente   e   condizionante   l'amministrazione  della
giustizia.  Le  36  giornate  di  astensione effettuate nel 2006 sono
eloquenti al riguardo!.
    14.  - Le questioni di costituzionalita' sopra enunciate appaiono
a  questo giudice serie e comunque non manifestamente infondate. Esse
sono  inoltre  rilevanti nel processo poiche', se accolte dalla corte
Costituzionale,  con  la  conseguente  declaratoria di illegittimita'
delle     norme    denunciate,    comporterebbero    l'illegittimita'
dell'astensione     collettiva    proclamata    e    conseguentemente
l'inammissibilita'  del  rinvio  del  processo  ad  altra udienza. In
sostanza,  il  giudizio  non  puo'  essere definito indipendentemente
dalla risoluzione delle suddette questioni.