IL GIUDICE DI PACE DI FIRENZE
    Premesso,  che  con  decreto  di  citazione a giudizio emesso dal
p.m.,  Belli  Salvatore e Montesano Alba sono stati citati dinanzi al
sottoscritto  giudice  di pace per rispondere in concorso tra di loro
dei  reati  di  ingiuria (art. 594 c.p.) e di lesioni (art. 582 c.p.)
commessi in data 1° febbraio 2003;
        che  all'odierna  udienza  i  difensori  dell'imputato  hanno
chiesto   una   sentenza   di  non  doversi  procedere  per  avvenuta
prescrizione  dei  reati  contestati,  quantomeno  con riferimento al
reato di cui all'art. 582 c.p.;
        ai sensi del novellato art. 157, comma 5 c.p.;
        che la parte civile ed il p.m. si sono opposti.
    Il giudice di pace osserva quanto segue.
    Molti  commentatori  e  recentemente anche la Corte di cassazione
(Cass.  pen., sez.  fer.,  31 agosto  2006,  n. 29786)  ritengono che
l'art. 157, comma 5 c.p., cosi' come novellato dalla legge 5 dicembre
2005,  n. 251,  art. 6, quando fa riferimento ai reati per i quali la
«legge  stabilisce  pene  diverse  da  quella  detentiva  e da quella
pecuniaria», si riferisca ai reati di competenza del giudice di pace.
    Risulta  pertanto  evidente  che, ai fini della odierna decisione
occorre  fare  applicazione  della  disposizione dettata dal suddetto
articolo,  dovendosi  al  tempo  stesso  escludere la possibilita' di
ricorrere  ad  interpretazione adeguatrici tali da dissolvere i dubbi
di  costituzionalita' che di seguito si illustreranno, riportandosi a
quanto  scritto  dalla  suprema  Corte  di  cassazione nella sentenza
citata.
    A  proposito  delle  sanzioni  applicabili  dal  giudice  di pace
l'art. 52,  d.lgs. 274 del 2000 stabilisce una sorta di summa divisio
tra  i  reati  per  i  quali  e'  prevista la sola pena della multa o
dell'ammenda,   per   i  quali  continuando  ad  applicarsi  le  pene
pecuniarie  vigenti,  e tutti gli altri reati, per i quali il comma 2
dello  stesso articolo stabilisce che, in luogo delle pene detentive,
si  applichi  -  con i meccanismi differenziati a seconda delle varie
ipotesi  ivi  prese  in  considerazione  - o la pena pecuniaria della
specie  corrispondente,  o  la  pena  della  permanenza domiciliare o
quella del lavoro di pubblica utilita' (ove per il reato sia prevista
la  pena  detentiva  alternativa  a  quella  pecuniaria,  le sanzioni
paradetentive  sono  applicabili  soltanto  se  la  pena detentiva e'
superiore nel massimo a sei mesi).
    In  sostanza: per le ipotesi meno gravi, per le quali la sanzione
applicabile  e'  solo  la pena pecuniaria, il termine di prescrizione
e', a norma del novellato art. 157, comma 5 c.p., quello previsto dal
primo  comma  (sei  anni se si tratta di delitto e quattro anni se si
tratta  di  contravvenzione);  nei  casi  di  maggior gravita', quali
quelli  per  i  quali  sono  applicabili  le  pene  della  permanenza
domiciliare   o   del   lavoro  di  pubblica  utilita',  il  termine,
inspiegabilmente,  si  riduce  a  tre  anni.  Va  poi aggiunto che le
indicate  sanzioni,  che  «per  ogni effetto giuridico si considerano
come  pena detentiva della specie corrispondente a quella originaria»
(art. 58,  d.lgs. n. 274/2000), vengono configurate come in ogni caso
facoltative   e   alternative   rispetto  alle  sanzioni  pecuniarie:
cosicche',  la commisurazione del termine di prescrizione viene fatto
dipendere,  non  da  una  pena  astrattamente  prevista  (e  di certa
applicazione),  ma  dalla  teorica  irrogabilita' di una sanzione, la
quale in concreto puo' anche non essere applicata. D'altra parte, non
e' senza significato la circostanza che la giurisprudenza della Corte
di  cassazione  si fosse consolidata nell'affermare - con riferimento
al   «vecchio»   testo  dell'art. 157  c.p.  -  che,  ai  fini  della
determinazione   del  tempo  necessario  per  la  prescrizione  delle
contravvenzioni  attribuite  alla  cognizione  del  giudice  di pace,
punite  con  la  pena  pecuniaria  o, in alternativa, con le sanzioni
cosidette paradetentive, dovesse farsi riferimento all'art. 157 c.p.,
comma  1,  n. 5),  che  per  le  contravvenzioni  punite  con la pena
dell'arresto  determinava  il  termine  prescrizionale in tre anni; e
cio'  appunto,  proprio  in  forza  della  disposizione contenuta nel
richiamato art. 58, d.lgs. n. 274/2000, in base al quale - come si e'
detto  -  per  ogni  effetto  giuridico  la  pena  dell'obbligo della
permanenza   domiciliare   e  del  lavoro  di  pubblica  utilita'  si
considerano  come pena detentiva della specie corrispondente a quella
della  pena  originaria (ex plurimis Cass., sez. IV, 16 gennaio 2004,
Carlini).
    La  norma  in  esame  appare  dunque essere priva di razionalita'
intrinseca  e  tale  da  vulnerare,  ad  un  tempo,  il  principio di
ragionevolezza ed il canone della uguaglianza, presidiati dall'art. 3
Cost.
    Come  infatti  ha  avuto  modo di puntualizzare la giurisprudenza
costituzionale,   ogni   tessuto   normativo   deve   presentare  una
motivazione  obiettiva  nel  sistema,  che  si manifesta come entita'
tipizzante  del  tutto avulsa dai «motivi», storicamente contingenti,
che  possono  aver  indotto  il legislatore a formulare una specifica
opzione:  se  dall'analisi di tale motivazione scaturira' la verifica
di  una  carenza  di «causa» o «ragione» della disciplina introdotta,
allora  e  soltanto  allora  potra'  dirsi  realizzato  un  vizio  di
legittimita'  costituzionale  della  norma,  proprio  perche' fondato
sulla   «irragionevole»   e   percio'  stesso  arbitraria  scelta  di
introdurre  un  regime  che necessariamente finisce per omologare fra
loro  situazioni  diverse  o,  al  contrario,  per  differenziare  il
trattamento  di  situazioni  analoghe (Corte cost. sentenza n. 89 del
1996).
    La  disposizione  oggetto  di  censura  ad avviso del giudicante,
appare   priva  di  una  causa  giustificatrice,  proprio  nel  senso
lumeggiato   dalla   richiamata  pronuncia  costituzionale,  giacche'
introduce  un  inaccettabile disparita' di trattamento tra reati, per
cui paradossalmente quelli piu' gravi si prescriverebbero in tre anni
e  quelli  meno  gravi in quattro se contravvenzioni o sei se delitti
puniti con la sola pena pecuniaria.
    Nel  caso in esame il delitto di lesioni dolose (commesso in data
1° febbraio  2003),  uno  dei  piu'  gravi tra quelli attribuiti alla
competenza  del  giudice  di  pace, essendo il decreto di citazione a
giudizio  stato  emesso in data 24 dicembre 2003 e non essendovi atti
interruttivi,  applicando  la  norma  che  qui  si censura si sarebbe
prescritto  in  data  24 dicembre  2006,  mentre quello meno grave di
ingiurie,  sempre  applicando il medesimo articolo si prescrivera' il
24 dicembre   2009   (rectius   24 dicembre  2008  trovando  comunque
applicazione il regime previgente piu' favorevole).