ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'articolo 22-bis,
terzo  comma,  della  legge  24 novembre  1981,  n. 689 (Modifiche al
sistema  penale),  inserito  dall'articolo 98 del decreto legislativo
30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma
del  sistema  sanzionatorio,  ai sensi dell'articolo 1 della legge 25
giugno 1999,  n. 205), promosso con ordinanza del 24 gennaio 2006 dal
Giudice  di  pace  di  Milano  nel  procedimento  civile vertente tra
Publidue  s.r.l. e il Comune di Milano iscritta al n. 41 del registro
ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 8, 1ª serie speciale, dell'anno 2007;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella Camera di consiglio del 26 settembre 2007 il giudice
relatore Ugo De Siervo.
    Ritenuto  che, con ordinanza del 24 gennaio 2006, pronunciata nel
corso   di   un   processo   di   opposizione   avverso  cinquantotto
ordinanze-ingiunzione,  il  Giudice  di  pace  di Milano ha sollevato
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 22-bis,  terzo
comma,  della  legge  24 novembre  1981, n. 689 (Modifiche al sistema
penale),  inserito  dall'art. 98,  comma 1,  del  decreto legislativo
30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma
del  sistema  sanzionatorio,  ai sensi dell'articolo 1 della legge 25
giugno 1999,  n. 205),  per asserito contrasto con l'articolo 3 della
Costituzione;
        che,  in  punto  di  fatto,  il  giudice  a quo riferisce che
l'opponente,  con  unico  ricorso,  ha  proposto  opposizione avverso
cinquantotto  ordinanze-ingiunzione  emesse dal Comune di Milano, per
violazioni  della  normativa  riguardante l'esposizione di cartelloni
pubblicitari,  con le quali erano state irrogate sanzioni pecuniarie,
ciascuna  dell'importo  di lire 1.200.000, per un importo complessivo
di lire 69.000.000 (pari ad euro 35.645,40);
        che,  riferisce  ancora il rimettente, tutte tali sanzioni si
presentano  tra  loro identiche con riguardo alla norma che si assume
violata, alla pubblica amministrazione procedente ed alla fattispecie
da cui originano i comportamenti censurati, ordinati «in una medesima
sequenza  procedimentale»,  per  cui,  anche  ove le sanzioni fossero
state  impugnate  con  distinti  ricorsi,  l'art. 274  del  codice di
procedura  civile  ne  avrebbe imposto la riunione, con l'inevitabile
riproposizione  di  una  situazione  per  cui  il  giudice di pace e'
investito  della trattazione di un'unica causa il cui valore supera i
30.000.000 di lire;
        che  l'art. 22-bis  della  legge  n. 689 del 1981 dispone che
l'opposizione contro l'ordinanza-ingiunzione di pagamento «si propone
davanti  al  giudice  di  pace»  (primo  comma),  salvo  «se  per  la
violazione  e' prevista una sanzione pecuniaria superiore nel massimo
a  lire trenta milioni», nel qual caso essa, al pari di altre ipotesi
individuate  dallo  stesso  articolo, si propone davanti al tribunale
(terzo comma, lettera a);
        che   il  limite  di  valore  cosi'  stabilito  -  rileva  il
rimettente  -  costituisce  applicazione  del  principio  per  cui le
questioni di una certa rilevanza economica debbono essere affidate al
tribunale e non al giudice onorario;
        che,  con  riferimento  alla non manifesta infondatezza della
questione,  sollevata anche dalla societa' opponente e non contestata
dal  Comune  di  Milano, il giudice di pace osserva che l'art. 22-bis
censurato,  non  prevedendo  che  la  competenza  venga attribuita al
tribunale   allorche'  «per  ragioni  di  connessione  soggettiva  ed
oggettiva  (come  avvenuto  nel caso di specie) il valore della causa
superi  il complessivo importo di lire 30 milioni», determinerebbe la
violazione   dell'art. 3  della  Costituzione,  per  l'ingiustificata
disparita'  di  trattamento  «tra  il  cittadino  destinatario di una
sanzione  amministrativa  superiore a lire 30 milioni ed il cittadino
al quale, per il medesimo fatto venga irrogata una sanzione di uguale
importo  ma  attraverso  piu'  provvedimenti  della  P.A.  (i  quali,
singolarmente, rientrerebbero nella competenza del giudice di pace)»,
posto  che,  anche  in  tale ultimo caso, il gia' richiamato art. 274
cod.  proc.  civ.  non consente che le singole sanzioni di competenza
del giudice di pace divengano oggetto di separati processi;
        che   il   giudice  a  quo  ritiene  rilevante  la  sollevata
questione,  in  quanto  e'  investito  di  una causa di opposizione a
ordinanze-ingiunzione il cui valore complessivo supera quello di lire
trenta   milioni   e   che,   pertanto,   non  puo'  essere  definita
indipendentemente dalla risoluzione della questione stessa;
        che  e'  intervenuto,  con  la rappresentanza dell'Avvocatura
generale  dello  Stato,  il Presidente del Consiglio dei ministri, il
quale  ha preliminarmente eccepito l'inammissibilita' della questione
sia  per  la  omessa  motivazione in ordine alla rilevanza sia per la
mancata  esplicitazione  del  vulnus  che  la  previsione  denunciata
arrecherebbe all'art. 3 della Costituzione;
        che,  nel  merito,  l'interveniente nega che venga in rilievo
alcuna  violazione della norma costituzionale evocata a parametro, in
quanto  «non  risponde  affatto al principio di uguaglianza l'assunto
che  ad  una  violazione  piu'  grave per la quale venga irrogata una
sanzione   di   superiore  livello  debba  equivalere  una  somma  di
violazioni  meno  gravi  per le quali sono previste piccole sanzioni,
ancorche' complessivamente dello stesso importo»;
        che  l'Avvocatura  generale  ritiene  che,  in definitiva, si
tratti   di   scelte   che   rientrano   nella  discrezionalita'  del
legislatore,  al  quale  non  si puo' imporre, in materia di sanzioni
amministrative,  di tener conto «di evenienze processuali accidentali
quale  quella  che  scaturisca  dall'esercizio  di  una pluralita' di
azioni  in  opposizione  ad  una  pluralita' di ordinanze-ingiunzioni
anziche'  dall'esercizio di un'unica azione proposta avverso una sola
sanzione amministrativa di pari importo».
    Considerato  che  il  Giudice  di  pace  di  Milano ha denunciato
l'art. 22-bis,  terzo  comma,  della  legge  24 novembre 1981, n. 689
(Modifiche   al   sistema  penale),  in  relazione  all'art. 3  della
Costituzione,  nella  parte  in  cui  non prevede che la competenza a
conoscere  delle  opposizioni  avverso  le  ordinanze-ingiunzione  di
pagamento di sanzioni amministrative spetti al tribunale, anziche' al
giudice di pace, allorquando per ragioni di connessione soggettiva ed
oggettiva   il   valore   della   causa   di   opposizione   a  varie
ordinanze-ingiunzione  superi  il  complessivo importo di lire trenta
milioni;
        che,  per  quanto  non  espressamente specificato, dal tenore
complessivo  dell'ordinanza  di  rimessione  emerge che la censura e'
rivolta  avverso  la  lettera a) del terzo comma dell'art. 22-bis, la
quale   fissa   la   competenza   del  tribunale  a  conoscere  delle
opposizioni,  allorquando  la sanzione si riferisca ad una violazione
per  la  quale  «e'  prevista  una  sanzione pecuniaria superiore nel
massimo a lire trenta milioni»;
        che  tale  norma  e'  denunciata per l'asserita irragionevole
disparita'  di  trattamento  che essa determinerebbe tra il cittadino
destinatario  di  una sanzione amministrativa superiore a lire trenta
milioni  ed  il  cittadino  al  quale,  per  il medesimo fatto, venga
irrogata   una   sanzione  di  uguale  importo,  ma  attraverso  piu'
provvedimenti della pubblica amministrazione, i quali, singolarmente,
rientrerebbero nella competenza del giudice di pace;
        che  deve  essere  rigettata l'eccezione con cui l'Avvocatura
deduce  la  mancanza  di  una  compiuta  indicazione dei motivi della
censura,  dal  momento  che  dall'ordinanza  di rimessione emerge con
sufficiente  chiarezza  che  il  vulnus costituzionale denunciato dal
rimettente sarebbe rappresentato dalla minore garanzia che il giudice
onorario  assicurerebbe rispetto al giudice professionale nel caso di
sanzioni di importo complessivo superiore a trenta milioni di lire;
        che deve essere, altresi', rigettata l'ulteriore eccezione di
inammissibilita'  prospettata  dall'Avvocatura  avendo  il rimettente
illustrato  -  sia  pure  sinteticamente  -  le  ragioni per le quali
ritiene rilevante la questione sollevata;
        che,  quanto  al  merito  della censura, l'art. 22-bis, terzo
comma,  lettera a),  della  legge  n. 689  del  1981 - norma speciale
rispetto   a  quella  dell'art. 10,  secondo  comma,  del  codice  di
procedura civile il quale, pertanto, non si applica al caso di specie
-  ancora la competenza del tribunale, in luogo di quella del giudice
di  pace,  al  fatto che per la singola violazione sia «prevista» una
sanzione  pecuniaria  edittale  superiore  nel  massimo a lire trenta
milioni;
        che  la  circostanza  che  il giudizio a quo abbia ad oggetto
cinquantotto sanzioni, ciascuna per lire 1.200.000, tutte opposte con
ricorso  cumulativo  innanzi  al  giudice  di pace (al pari che se le
sanzioni   stesse   fossero   state   singolarmente   contestate  con
altrettante  opposizioni,  poi  riunite  dal  giudice),  non  vale  a
superare  la circostanza, dirimente, che la competenza va determinata
tenendo  conto unicamente della sanzione pecuniaria edittale prevista
dalla  norma per la singola violazione, trattandosi di competenza per
materia con limite di valore;
        che - tenuto conto altresi' della circostanza che la riunione
di  procedimenti  relativi  a cause connesse di cui all'art. 274 cod.
proc. civ. non e' nient'altro che una misura organizzativa del lavoro
giudiziario,  inidonea  a  superare l'autonomia dei singoli giudizi -
non  e'  possibile  porre  sullo stesso piano la posizione di chi sia
destinatario  di  un'unica  sanzione  pecuniaria di importo superiore
alla  soglia  di  competenza del giudice onorario e quella di chi sia
invece destinatario di tante sanzioni pecuniarie, ciascuna di importo
edittale inferiore a tale soglia;
        che, pertanto, la questione risulta manifestamente infondata.