IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 1373/2006 proposto da Chahafi Rahal rappresentato e difeso dall'avv. Amedeo Rizza nello studio del quale e' elettivamente domiciliato in Milano, piazza del Tricolore, n. 2; Contro la Questura di Milano, in persona del Questore pro tempore, ed il Ministero dell'interno, in persona del Ministro in carica, rappresentati e difesi dalla Avvocatura distrettuale dello Stato, presso cui sono domiciliati ex lege in Milano, via Freguglia n. 1, per l'annullamento del provvedimento n. 132/2006 IMM., emesso dal Questore della Provincia di Milano in data 23 marzo 2006, notificato il 5 maggio 2006, di rigetto dell'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno presentata dal ricorrente per motivi di lavoro. Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'interno; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Nominato relatore alla pubblica udienza del 28 febbraio 2007 il dott. Vincenzo Blanda; Uditi l'avv. M.L. Frescura, in sostituzione dell'avv. Amedeo Rizza, per il ricorrente ed, ai preliminari di udienza, l'avv. dello Stato Silvana Vanadia; Considerato in fatto ed in diritto quanto segue. F a t t o Con ricorso notificato il 12 maggio 2006 e depositato presso la segreteria del tribunale il 23 maggio 2006, Chahafi Rahal, cittadino del Marocco, ha impugnato il decreto con il quale la Questura di Milano, in data 23 marzo 2006, ha negato il rinnovo del permesso di soggiorno, sulla base di una sentenza emessa dal Tribunale di Monza ai sensi dell'art. 444 c.p.p. di applicazione della pena di mesi otto di reclusione e Euro 2.000,00 di multa, ai sensi dell'art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309/1990, per cessione di sostanze stupefacenti. A sostegno del gravame l'interessato ha dedotto i seguenti motivi: 1) violazione di legge intesa come falsa applicazione dell'art. 4 del d.lgs. n. 286/1998 con riferimento agli articoli 1, 2 e 3 della legge n. 1423/1956, dell'art. 86 del d.P.R. n. 309/1990 in ordine ai criteri di valutazione della pericolosita' sociale. Il provvedimento di diniego si fonderebbe unicamente su una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, per la quale sarebbe stato concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena. Nella sentenza in questione il Tribunale di Monza avrebbe evidenziato «la non particolare gravita' dei fatti in relazione al quantitativo della sostanza rinvenuta nonche' l'incensuratezza del ricorrente», elementi dai quali avrebbero tratto «un giudizio prognostico favorevole in ordine alla futura astensione dall'illecito penale». L'Autorita' di pubblica sicurezza, anche in virtu' di quanto stabilito dalla Corte di cassazione, sez. I civ. con la sentenza n. 12721/2002, avrebbe dovuto precisare le ragioni per le quali il ricorrente e' da considerare socialmente pericoloso, non potendo essere ritenute sufficienti in tal senso il mero riferimento all'esistenza di denunce penali o di sentenze di condanna. Nel caso di specie mancherebbero, inoltre, i presupposti previsti dall'articolo 1 della legge n. 1423/1956 e dall'art. 86 del d.P.R. n. 309/1990, stante l'assenza di una concreta pericolosita' sociale e di una valutazione globale dell'intera personalita' del soggetto destinatario del provvedimento. L'amministrazione non avrebbe tenuto conto del fatto che la condanna ha riguardato un singolo episodio di cessione di un quantitativo minimo di cocaina, tant'e' che il Tribunale di Monza ha riconosciuto l'ipotesi lieve di cui al comma 5 dell'art. 73 del d.P.R. n. 309/1990; 2) violazione dell'art. 3 della legge n. 241/1990. Eccesso di potere nelle forme del difetto di motivazione dell'atto impugnato. Il decreto impugnato e' stato adottato omettendo qualsiasi valutazione concreta della pericolosita' sociale del ricorrente, ai sensi degli articoli 1, 2 e 3 della legge n. 1423/1956 e dell'art. 86 del d.P.R. n. 309/1990, sulla base di un giudizio meramente probabilistico. Un'istruttoria piu' accurata avrebbe consentito di verificare l'assenza di quelle condizioni di pericolosita' idonee a giustificare il diniego alla permanenza dell'interessato sul territorio nazionale. Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell'interno e la Questura di Milano. Con ordinanza n. 1267 resa nella camera di consiglio del 31 maggio 2006 la Sezione ha respinto la domanda cautelare avanzata dall'interessato. Le parti hanno prodotto memorie nelle quali illustrano ulteriormente le loro rispettive posizioni. Alla udienza pubblica del 28 febbraio 2007, il difensore del ricorrente ha insistito per l'accoglimento del ricorso e la causa e' stata trattenuta in decisione. D i r i t t o 1. - In via preliminare, il Collegio deve occuparsi dell'eccezione sollevata nella memoria depositata il 14 febbraio 2007 dalla Avvocatura dello Stato riguardante la carenza di legittimazione passiva della Questura di Milano. Sostiene in particolare la difesa dell'Amministrazione che, sulla base di quanto disposto dall'art. 11 del T.U. n. 1611/1933, la legittimazione a resistere in giudizio spetterebbe esclusivamente al Ministero dell'interno e non alla Questura quale «organo interno dell'Amministrazione centrale dello Stato priva di autonoma soggettivita». L'assunto non rileva ai fini di causa posto che l'impugnazione e' stata correttamente notificata sia al Ministero dell'interno che alla Questura di Milano, quale organo che ha adottato l'atto gravato, presso la sede della Avvocatura distrettuale dello Stato del predetto capoluogo, cosi' come previsto dalla norma sopra menzionata. 2. - Venendo al merito del ricorso i due motivi esposti dall'interessato possono essere trattati congiuntamente attesa la loro evidente e stretta connessione. L'istante lamenta l'illegittimita' del diniego di rinnovo del permesso di soggiorno, il quale si fonderebbe unicamente sulla sentenza emessa il 21 marzo 2004 a carico dell'interessato dal Tribunale di Monza, a seguito di patteggiamento, alla pena di mesi otto di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa, per il reato di cessione illecita di sostanze stupefacenti di cui all'art. 75, comma 5, del d.P.R. n. 309/1990. Il ricorrente contesta l'automatismo applicato dall'Autorita' di P.S. che ha ritenuto sussistente la pericolosita' sociale dello straniero senza che tale giudizio sia stato puntualmente motivato sulla base di una adeguata istruttoria riguardante l'intera personalita' del soggetto. L'amministrazione, in particolare, non avrebbe tento conto che il ricorrente risulta gravato da un'unica condanna, la cui pena e' stata condizionalmente sospesa; ne' della prognosi favorevole formulata dai giudici penali in ordine alla futura astensione dalla commissione di altri reati; e nemmeno della lunga permanenza in Italia dell'interessato, il quale sarebbe entrato nel territorio nazionale per la prima volta il 1° febbraio 1997. 3. - Osserva innanzitutto il Collegio che l'impugnato provvedimento di diniego si fonda sul combinato disposto degli artt. 5, comma 5, e 4, comma 3, del d.lgs. n. 286/1998, che impediscono al cittadino straniero che abbia commesso determinati reati di ottenere il rilascio od il rinnovo del permesso di soggiorno. L'art. 5, comma 5, cit. dispone in particolare che «il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno e' stato rilasciato, esso e' revocato quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l'ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato», rinviando quindi all'art. 4, comma 3, cit. secondo il quale non e' ammesso in Italia, tra le altre ipotesi, lo straniero che «risulti condannato, anche a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'art. 444 c.p.p., per reati previsti dall'art. 380, commi 1 e 2, del c.p.p. ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la liberta' sessuale, il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina verso l'Italia e dell'emigrazione clandestina dall'Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attivita' illecite». L'interpretazione che la giurisprudenza amministrativa ha dato di queste norme e' nel senso di ritenere che la sopravvenienza di una sentenza di condanna per una delle ipotesi di reato previste dalla legge, anche a seguito di patteggiamento, costituisce il presupposto che impone e legittima l'adozione del provvedimento amministrativo di revoca del permesso gia' concesso o del rifiuto di rinnovo dello stesso, senza che residui spazio alcuno all'Autorita' amministrativa di valutazione e ponderazione di interessi e senza che in particolare vi sia spazio per una necessaria valutazione di pericolosita' sociale dello straniero, solo in presenza della quale ritenere legittimo il provvedimento negativo (in tal senso ex multis Cons. Stato, sez. VI, 1° febbraio 2007, n. 411; id. 30 gennaio 2007, n. 359; 29 agosto 2006, n. 4410; Tribunale amministrativo regionale Toscana, sez. I, 20 luglio 2006, n. 3188; Tribunale amministrativo regionale Umbria, 12 giugno 2006, n. 319; Tribunale amministrativo regionale Lazio Roma, sez. I, 5 giugno 2006, n. 4230). In senso sostanzialmente analogo altra giurisprudenza (Tribunale amministrativo regionale Piemonte, 31 marzo 2006, n. 1605; Tribunale amministrativo regionale Umbria, 24 febbraio 2006, n. 64; 14 novembre 2005, n. 496; 6 settembre 2005, n. 416; Tribunale amministrativo regionale Toscana, Sez. I, 30 gennaio 2006, n. 210; Tribunale amministrativo regionale Lombardia Milano, Sez. I, 18 gennaio 2006, n. 140; 7 settembre 2005, n. 3617; T.r.g.a. Bolzano, 12 gennaio 2006, n. 7) sostiene che nel caso in cui la condanna rientri tra le ipotesi alle quali il legislatore ricollega un'efficacia preclusiva della permanenza del cittadino extracomunitario nel territorio dello Stato, la pericolosita' sociale e' presunta ex lege, sicche' l'Autorita' di pubblica sicurezza non e' chiamata a svolgere alcuna necessaria valutazione in tal senso e comunque, se il giudizio e' reso in senso sfavorevole, il ricorrente non e' legittimato a contrastarlo, se non per contestare l'esistenza o la rilevanza della condanna, giacche' il provvedimento di rifiuto del permesso di soggiorno o di revoca e' vincolato ed e' tale per cui l'amministrazione, accertata la condanna ostativa, non potrebbe adottarne uno di contenuto diverso. 3.1. - Acclarato, pertanto, che nella vicenda in esame la puntuale applicazione della normativa in vigore non potrebbe che portare al rigetto del ricorso, il Collegio ritiene di poter esaminare d'ufficio la questione concernente la compatibilita' della normativa suddetta con i principi costituzionali. 4. - Nel caso in esame il ricorrente e' stato condannato con sentenza del 21 luglio 2004 per fatti avvenuti il 9 novembre 2003, sicche' sia l'una che gli altri sono successivi all'entrata in vigore della legge 30 luglio 2002, n. 189, con la ulteriore conseguenza della insussistenza nel caso di specie dei presupposti di fatto che hanno indotto il Tribunale amministrativo regionale Lombardia, sez. staccata di Brescia, dapprima con l'ordinanza 25 agosto 2003, n. 1190 e, successivamente, con l'ordinanza n. 561/2005, a sollevare questione di legittimita' costituzionale della normativa in questione in considerazione della ritenuta applicabilita', ai fini della non ammissione in Italia dello straniero, anche delle sentenze di patteggiamento pronunciate anteriormente all'entrata in vigore della legge sopraccitata. 5. - Secondo l'interpretazione del diritto positivo sopra evidenziata, e costituente diritto vivente alla luce della giurisprudenza amministrativa, la condanna subita dal ricorrente per il reato inerente agli stupefacenti preclude, dunque, l'accoglimento dell'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno, integrando, l'applicazione della ridetta norma, l'esercizio di una attivita' amministrativa rigorosamente vincolata, come tale priva di ogni possibile spazio per una interpretazione adeguatrice nei termini dell'insegnamento che i giudici di merito debbono prioritariamente trarre dalla giurisprudenza della Corte costituzionale. Corollario del suesposto ordine argomentativo e' che una eventuale declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 5 comma 5, e dell'art. 4, comma 3 (nel testo modificato dall'art. 4, comma 1, lett. b), della legge 30 luglio 2002, n. 189), del d.lgs. n. 286 del 1998, nella parte in cui attribuiscono automatica rilevanza alle condanne pronunciate anche a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale, comporterebbe l'accoglimento del ricorso, mentre una eventuale pronuncia di infondatezza della questione di incostituzionalita' comporterebbe necessariamente la loro reiezione. La questione di costituzionalita' e' dunque palesemente rilevante nella specie. In proposito va anche annotato che l'eventuale sopravvenienza di mutamenti del quadro normativo, secondo i criteri direttivi risultanti dal disegno di legge delega recentemente approvato dal Consiglio dei ministri, non potrebbe influire sulla rilevanza della questione, in base al principio del tempus regit actum che impone al Collegio di valutare la legittimita' del provvedimento alla luce delle sole disposizioni vigenti all'epoca della sua adozione. 6. - Sotto il profilo della non manifesta infondatezza, il Collegio ritiene che il combinato disposto dell'art. 5, comma 5 e dell'art. 4, comma 3 (nel testo modificato dall'art. 4, comma 1, lett. b), della legge 30 luglio 2002, n. 189), del d.lgs. n. 286 del 1998, si ponga in contrasto con gli artt. 2, 3, 4, 16, 27, 35 e 97 della Costituzione per i seguenti motivi concorrenti tra loro, analiticamente sviluppati nei punti successivi: a) nella parte in cui introduce un automatismo nel negare il rinnovo del permesso di soggiorno a fronte di una condanna per determinati reati anche di lieve o lievissima entita'; b) nella parte in cui pone quale elemento ostativo al rinnovo del permesso di soggiorno la condanna per determinati reati subita a seguito di applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale senza alcuna valutazione circa la pericolosita' in concreto del soggetto interessato dalla pronuncia; c) nella parte in cui sottrae all'autorita' amministrativa il potere di valutazione della pericolosita' sociale del cittadino extracomunitario, al fine di tutelare l'ordine e la sicurezza pubblica nello Stato italiano. 7. - Appare violato, sotto un duplice profilo, l'art. 3 Cost. (sub punto 5, lett. a). 7.1. - In primo luogo il parametro costituzionale invocato risulta violato per la intrinseca irragionevolezza della scelta compiuta dal legislatore, laddove collega ad un'ipotesi penale di lieve entita', qual e' quella di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, la gravissima conseguenza, sul piano amministrativo, del diniego di concessione o rinnovo del permesso di soggiorno ovvero l'obbligo di revocare il titolo di soggiorno gia' concesso. L'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 punisce con pena attenuata i fatti di reato previsti dallo stesso art. 73, agli altri commi, «quando, per i mezzi, per la modalita' o le circostanze dell'azione ovvero per la qualita' e quantita' delle sostanze, i fatti previsti dal presente articolo sono di lieve entita». I fatti ascrivibili all'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 sono quindi ontologicamente caratterizzati da una «lieve entita», valutata dal giudice penale e alla quale si collega una sanzione penale attenuata. Tuttavia, la condanna anche nell'ipotesi di cui all'artt. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 cit. e' tale da integrare il disposto di cui all'art. 4, comma 3, d.lgs. n. 286 del 1998, laddove, nell'indicare le condanne penali cui si correla l'automatico diniego di permesso di soggiorno, contempla, in termini generali e omnicomprensivi, i «reati inerenti gli stupefacenti». Peraltro, l'automatico effetto del diniego di concessione o rinnovo del permesso di soggiorno si determina anche - come nella vicenda sottoposta all'esame del Collegio - quando la fattispecie penale di cui all'art. 73, comma 5, cit. sia stata oggetto di applicazione della pena su richiesta delle parti, ex art. 444 c.p.p., in mancanza quindi di un accertamento penale pieno proprio di un pronunciamento giurisdizionale sulla sussistenza della responsabilita' penale. Appare a questo tribunale che violi l'art. 3 Cost., per intrinseca irragionevolezza delle scelta legislativa, la normativa in esame laddove fa conseguire in termini di mero automatismo ad una applicazione di pena su richiesta delle parti per il reato di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, la gravissima conseguenza sul piano amministrativo del diniego di rinnovo del permesso di soggiorno, senza imporre alcuna valutazione in concreto della pericolosita' sociale dell'istante. 7.2. - L'invocato parametro costituzionale di cui all'art. 3 Cost. risulta altresi' violato dall'art. 4, comma 3, d.lgs. n. 286 del 1998 sotto altro e diverso profilo e cioe' per aver accumunato in modo del tutto illogico, ai fini del diniego del titolo di soggiorno, fattispecie penali tra loro assai eterogenee in termini di gravita' della condotta commessa. In particolare, come gia' rilevato, la citata disposizione impone il diniego automatico del titolo di soggiorno a coloro che siano stati condannati per una serie di reati, tra cui quelli indicati dall'art. 380 c.p.p. e altre ipotesi delittuose, tra cui, per quel che rileva, i «reati inerenti gli stupefacenti». Attraverso tale generica locuzione il legislatore stabilisce che una fattispecie criminosa come quella di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, che viene espressamente qualificata come caratterizzata da «lieve entita», comporti sul piano amministrativo gli stessi effetti - automatico diniego di titolo di soggiorno - propri di fattispecie penali comportanti l'arresto obbligatorio in flagranza di cui all'art. 380 c.p.p. In questa seconda prospettiva l'art. 3 Cost. e' violato per aver il legislatore posto sullo stesso piano, sotto il profilo degli effetti scaturenti sul piano amministrativo, ipotesi criminose del tutto eterogenee e caratterizzate da gravita' del tutto incomparabili. Quanto sopra si verifica nella fattispecie dedotta in giudizio, nella quale si verrebbe ad attuare una irragionevole equiparazione, quoad effectum, della condanna penale per le piu' gravi ipotesi di reato legate alla partecipazione ad associazioni criminose dedite al traffico internazionale di stupefacenti con le fattispecie di reati inerenti pur sempre gli stupefacenti, ma attenuate dalla «lieve entita», ovvero dall'assenza di continuazione o concorso con altri reati, con concessione di tutti i benefici di legge. Cio', in una prospettiva del tutto avulsa da un confacente rapporto di adeguatezza col caso concreto, senza cioe' che attraverso il procedimento amministrativo sia possibile operare, nella selezione delle determinazioni da assumere, alcuna graduazione riferita al caso concreto: in tal modo, a parere del Collegio, verrebbero a esser vulnerati i principi fondamentali di ragionevolezza chiaramente desumibili dall'art. 3 Cost., oltre la tutela del lavoro (artt. 4 e 35) e del buon andamento amministrativo (art. 97). L'indispensabile gradualita' importa - dunque - che le valutazioni relative agli effetti derivanti dalla condanna sul titolo di soggiorno siano ricondotte alla naturale sede di valutazione: il procedimento amministrativo di verifica delle condizioni per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno, in difetto di che ogni relativa norma risulta incoerente, per il suo rigido automatismo, e conseguentemente irrazionale ex art. 3 Cost. 8. - Il combinato disposto degli artt. 5, comma 5, e 4, comma 3, d.lgs. n. 286 del 1998 sembra violare, altresi', l'art. 24 della Costituzione (sub punto 5, lett. b), nella parte in cui impone il rigetto del titolo di soggiorno per il cittadino straniero a cui carico sia stata applicata una pena ai sensi dell'art. 444 c.p.p., senza quindi che ci sia stato un accertamento pieno della responsabilita' penale dell'istante (dalla quale possa emergere la gravita' della condotta tenuta dal reo o la pericolosita' del medesimo sia sotto il profilo criminale, che della sicurezza pubblica) ed anzi traducendo quello che per la generalita' dei consociati e' un rito premiale in una procedura pregiudizievole per lo straniero. Ne' ad escludere il denunciato contrasto potrebbe rilevare la consapevolezza, generata dal dettato normativo, degli effetti preclusivi al rinnovo del permesso di soggiorno derivanti dalla scelta del rito del patteggiamento, tenuto conto che l'applicazione concordata della pena non rappresenta circostanza sufficiente a denotare di per se' la proclivita' dell'interessato alla violazione delle norme che tutelano il rispetto della tranquillita' e della sicurezza pubblica. 9. - Il Collegio, sotto altro profilo (sub punto 5, lett. c), ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, per contrasto con gli artt. 2, 3, 24 e 97 Cost., dell'art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 286 del 1998, nella parte in cui, in correlazione con l'art. 4, comma 3, ultimo periodo del medesimo decreto legislativo, relativamente allo straniero regolarmente soggiornante in Italia, pone quale automatico, inderogabile ed assoluto elemento ostativo al rinnovo del permesso di soggiorno (con obbligo della sua revoca) un'unica ed isolata condanna per determinati reati, anche di lieve o lievissima entita', senza che possa assumere rilievo alcuno l'esame in concreto dell'eventuale pericolosita' sociale dell'istante compiuto dall'Autorita' amministrava. 9.1. - Or bene, se per i cittadini extracomunitari, come gia' piu' volte evidenziato, la pronuncia penale comporta automaticamente il rigetto dell'istanza di permesso di soggiorno, al contrario il legislatore si e' ben diversamente orientato per altre categorie di persone. In primo luogo viene in considerazione la disciplina contenuta nel d.lgs. 8 gennaio 2007, n. 3 avente ad oggetto la «Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo». L'art. 1 del d.lgs. cit., nel sostituire l'art. 9 del d.lgs. n. 286 del 1998, prevede che anche per i soggiornanti di lungo periodo il permesso di soggiorno non deve essere concesso in presenza di condanne penali per determinate categorie di reati ma aggiunge che «ai fini dell'adozione di un provvedimento di diniego di rilascio del permesso di soggiorno di cui al presente comma il Questore tiene conto altresi' della durata del soggiorno nel territorio nazionale e dell'inserimento sociale, familiare e lavorativo dello straniero». Merita quindi di essere esaminato il successivo d.lgs. 6 febbraio 2007, n. 30 avente ad oggetto «Attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri». L'art. 20 del d.lgs. cit., nel disciplinare le limitazioni al diritto di ingresso e di soggiorno dei cittadini dell'Unione per motivi di ordine pubblico, stabilisce che i relativi provvedimenti «sono adottati nel rispetto del principio di proporzionalita' ed in relazione a comportamenti della persona, che rappresentino una minaccia concreta e attuale tale da pregiudicare l'ordine e la sicurezza pubblica», aggiungendo poi, per quel che piu' rileva, che «la esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l'adozione di tali provvedimenti». 9.2. - Il Collegio e' ben consapevole che le normative richiamate hanno riguardo a categorie di persone ben individuate, in modo tale, non solo da non essere invocabili dai cittadini extracomunitari privi dei necessari requisiti soggettivi, ma da non poter costituire neppure un valido tertium comparationis nel giudizio di costituzionalita'. Tuttavia ritiene che le normative invocate esplicitino principi che sono di portata generale, in base ai quali le conseguenze sul piano amministrativo devono di necessita' correlarsi ai comportamenti tenuti dalla persona sulla base del principio di proporzionalita' e devono essere il frutto di un'ampia e concreta valutazione da parte dell'Amministrazione della specifica posizione di ogni interessato. Detta disciplina deve pertanto potersi assumere come punto di riferimento per verificare se il regime applicabile alle persone di provenienza extracomunitaria sia analogo al regime generale dei cittadini comunitari o se, al contrario, attribuisca loro un livello di tutela minore, incompatibile con il divieto fondamentale di discriminazione fondata sulla cittadinanza (art. 48 Trattato CE). Tali principi, che inverano valori costituzionali scaturenti dagli artt. 2, 3, 24 e 97 Cost., sono violati dalla normativa all'attenzione di questo Collegio nella parte in cui preclude agli organi amministrativi di compiere una valutazione concreta e specifica della posizione di ciascun istante, guardando cioe' a tutti i profili inerenti il suo radicamento sul territorio ovvero la sua pericolosita' sociale, imponendo al contrario il rigetto delle istanze di soggiorno in modo automatico, in presenza di condanne penali, ancorche' patteggiate e per fatti di lieve entita'. 9.3. - Invero, la regolamentazione della materia dell'ingresso e del soggiorno e' collegata alla ponderazione di svariati interessi pubblici, quali la sicurezza e la sanita' pubblica, l'ordine pubblico, i vincoli di carattere internazionale, la politica nazionale in tema di immigrazione. E' evidente che tale ponderazione spetta, in via primaria, al legislatore che possiede, in materia, un'ampia discrezionalita'. E' noto, tuttavia, che la discrezionalita' legislativa incontri un limite costituzionale, integrato dalla preclusione di compiere scelte manifestamente irragionevoli (vedi: Corte cost.: sent. n. 104/1969; 144/1970; 62/1994). 9.3.1. - In proposito appare ipotizzabile una netta distinzione tra il primo ingresso del c.d. «migrante economico», per il quale un siffatto rigoroso divieto non appare irragionevole per un Legislatore, il cui scopo e' contenere il fenomeno, contingentare e programmare il numero dei flussi migratori e non ammettere coloro che, in una logica di prevenzione dell'ordine pubblico e della sicurezza dei propri cittadini, abbiano subito una condanna penale per determinati reati individuati dallo stesso Legislatore. In tale ipotesi, l'adozione di un provvedimento negativo trova razionale giustificazione laddove l'interessato, in attesa del primo rilascio del permesso di soggiorno, sia incorso nella commissione di reati ponendo in essere comportamenti non ispirati al tentativo di inserimento nella vita sociale e civile del nostro Paese, ma suscettibili di riprovevolezza e non meritevolezza, ai fini della permanenza in Italia. Siffatta limitazione, benche' astrattamente possa comportare la compressione di alcuni diritti dello straniero, non sembrerebbe porsi in contrasto con norme e principi di valore costituzionale, atteso che detto divieto e' connesso con una peculiare situazione di fatto in cui lo straniero e' ancora privo di uno stabile legame con la comunita' nazionale. 9.4. - La situazione si mostra invece radicalmente opposta nell'ipotesi - come quella in esame - in cui lo straniero sia gia' stabilmente e regolarmente soggiornante in Italia, in base ad un titolo che, seppure normalmente a termine, esprime un tasso di stabilita' con ragionevole aspettativa ad un suo consolidamento, tanto e' vero che lo straniero, qualora avesse mantenuto la titolarita' di un valido permesso di soggiorno, avrebbe avuto titolo ad essere annoverato tra i c.d. soggiornanti di lunga durata secondo quanto previsto dall'art. 9 del T.U. n. 286/1998, come modificato dal menzionato d.lgs. 8 gennaio 2007, n. 3. In questo caso appare ipotizzabile che le garanzie dei diritti dello straniero non possano subire limitazioni se non in stretto collegamento con l'esigenza di tutelare altri interessi costituzionalmente rilevanti. Di conseguenza la preclusione all'ulteriore permanenza autorizzata degli stranieri gia' regolarmente soggiornanti in Italia, attuata attraverso il diniego del permesso di soggiorno, sembra contrastare - come gia' accennato - con i ricordati principi di parita' di trattamento, ragionevolezza, adeguatezza, proporzionalita' e di coerenza interna della legge. Da ultimo si osserva che al ricorrente, persona celibe e privo di familiari con i quali sia possibile attuare il ricongiungimento o che siano gia' autorizzati all'ingresso e alla permanenza sul territorio nazionale, non e' applicabile il nuovo regime di particolare tutela introdotto dall'art. 2, primo comma lett. b), d.lgs. n. 5/2007, in favore dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto. Ritenuto, in conclusione, che la controversia in esame non possa essere definita indipendentemente dalla risoluzione della sollevata questione di legittimita' costituzionale (che, per le ragioni indicate, appare non manifestamente infondata), dal momento che il ricorso potra' essere definitivamente accolto oppure respinto, a seconda che la disposizione normativa denunciata sia o meno dichiarata incostituzionale (in parte qua) nella sede competente. Il giudizio deve quindi essere sospeso e deve disporsi la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per l'esame della suindicata questione di costituzionalita'.