IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 1701/2006 proposto da Lule Ervin rappresentato e difeso dall'avv. Francesca Benzoni ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Daniela Viva in Milano, via Borgogna n. 9; Contro Ministero dell'Interno, in persona del Ministro in carica, Questura di Varese, in persona del questore in carica e Prefettura di Varese, in persona del prefetto in carica, rappresentati e difesi dalla avvocatura distrettuale dello Stato, presso cui sono domiciliati ex lege in Milano, via Freguglia n. 1, per l'annullamento del decreto del questore della provincia di Varese prot. n. 00060/06/AN emesso in data 5 giugno 2006, notificato il 19 giugno 2006, di rigetto dell'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno presentata dal ricorrente per motivi di lavoro. Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Nominato relatore alla pubblica udienza del 29 marzo 2007 il dott. Riccardo Giani; Uditi l'avv. F. Benzoni per il ricorrente ed, ai preliminari di udienza, l'avv. dello Stato A. Blandini; Considerato in fatto ed in diritto quanto segue. F a t t o Con ricorso notificato il 22 giugno 2006 e depositato presso la segreteria del tribunale il 23 giugno 2006, Lule Ervin, cittadino dell'Albania, ha impugnato il decreto con il quale la Questura di Varese, in data 5 giugno 2006, ha negato il rinnovo del permesso di soggiorno, sulla base di una sentenza emessa dal Tribunale di Varese ai sensi dell'art. 444 c.p.p. di applicazione della pena di anni uno di reclusione e E 8.000,00 di multa, ai sensi dell'art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309/1990, per cessione di sostanze stupefacenti. A sostegno del gravame l'interessato ha dedotto i seguenti motivi: 1) «Illegittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 3, d.lgs. n. 286/1998 che sancisce la valenza ostativa della sentenza di applicazione pena ex art. 444 c.p.p. al rilascio e/o al rinnovo del permesso di soggiorno». Il ricorrente contesta la valenza ostativa al rilascio del permesso di soggiorno della condanna emessa a seguito del patteggiamento. 2) «Violazione di legge, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione: art. 3 della legge n. 241/1990». Si contesta la insufficiente motivazione del provvedimento impugnato, contestandone la qualificazione in termini di attivita' vincolata. 3) «Violazione di legge, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione: art. 11 legge 241/1990». Il ricorrente evidenzia che, essendo in presenza di attivita' discrezionale, la p.a. avrebbe dovuto dare ampia motivazione della determinazione assunta. 4) «Eccesso di potere: il mancato bilanciamento degli interessi concretamente tutelati». 5) «Violazione di legge: art. 2, comma 6, d.lgs. n. 286/1998». Il ricorrente contesta la mancata traduzione del provvedimento impugnato. Si sono costituite in giudizio le Amministrazioni intimate per resistere al ricorso. Con ordinanza n. 1524 resa nella Camera di consiglio del 13 luglio 2006 la sezione ha accolto la domanda cautelare avanzata dall'interessato, sullo specifico rilievo che in presenza di condanna per l'ipotesi delittuosa attenuata di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990 «si richiedeva la valutazione in concreto della pericolosita' sociale del ricorrente, ai fini della pronuncia di rigetto del permesso di soggiorno». Tale ordinanza e' stata appellata dall'Amministrazione e il Consiglio di Stato, con ordinanza della sez. VI, n. 121 del 2007 l'ha riformata, respingendo la domanda cautelare proposta dal ricorrente in primo grado, sul rilievo che si e' in presenza di «condanna in materia di stupefacenti (intervenuta dopo la legge Bossi-Fini, il che impone l'accoglimento del presente appello interinale». Parte ricorrente ha prodotto memoria nella quale illustra ulteriormente le proprie posizioni. Alla udienza pubblica del 29 marzo 2007, sentiti i difensori comparsi, come da verbale d'udienza, la causa e' stata trattenuta in decisione. D i r i t t o 1. - Con il provvedimento impugnato l'Amministrazione ha respinto la domanda del ricorrente di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo, ponendo a base dell'atto gravato il fatto che l'istante risultasse condannato, con sentenza emessa ai sensi dell'art. 444 c.p.p., per reato in materia di stupefacenti, e rilevando in particolare che «l'art 4, comma 3 del d.lgs. n. 286/1998 non ammette la presenza in Italia dello straniero condannato per reati concernenti gli stupefacenti». Nei confronti del suddetto provvedimento il ricorrente propone una pluralita' di censure, che sono raggruppabili intorno a tre questioni giuridiche: a) la valenza ostativa, rispetto al rinnovo del permesso di soggiorno, della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, dubitando il ricorrente della legittimita' costituzionale della norma che in tal senso dispone; b) la motivazione del provvedimento di rigetto del rinnovo del permesso di soggiorno, ritenendo il ricorrente che lo stesso non sia provvedimento vincolato, a fronte della presenza di sentenza di condanna come quella sussistente a suo carico, ma che al contrario sia provvedimento discrezionale che deve quindi essere adeguatamente motivato, tenendo conto dei contrapposti interessi delle parti; c) la mancata traduzione del provvedimento gravato in lingua conosciuta al ricorrente. 2. - Puo' essere preliminarmente esaminato l'ultimo profilo evocato, cioe' la censura n. 5), la quale risulta infondata e deve essere respinta. E' pacifico nella giurisprudenza amministrativa che la traduzione del provvedimento in lingua conosciuta al destinatario prevista dal d.lgs. n. 286 del 1998 sia finalizzata a rendere effettivo l'esercizio del diritto di difesa del destinatario dell'atto, con l'effetto che il mancato rispetto di tale previsione non e' da solo sufficiente a rendere illegittimo il provvedimento, sostanziandosi in una mera irregolarita', comportando pero', ove ne ricorrano i presupposti, la remissione in termini del ricorrente (Cons. Stato, sez. IV, 19 ottobre 2004, n. 6749; Cons. Stato, sez. VI, 3 febbraio 2006, n. 376). Nella specie il ricorrente ha tempestivamente impugnato il provvedimento di diniego del rinnovo del permesso di soggiorno e ha potuto dispiegare con pienezza il suo diritto di difesa formulando una serie di articolate censure nei confronti dello stesso, conseguendone la infondatezza del motivo di gravame in esame. 3. - Le altre censure pmtono dal rilievo che l'impugnato diniego di rinnovo del permesso di soggiorno e' fondato unicamente sulla sussistenza a carico del ricorrente di una sentenza di condanna, emessa a seguito di patteggiamento, per il reato di cui all'art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309/1990, ritenuto elemento in grado di determinare automaticamente il rigetto della domanda, e contestano la legittimita' dell'operato dell'Amministrazione, evidenziandone anche profili di contrarieta' al dettato costituzionale. L'impugnato provvedimento di diniego si fonda sul combinato disposto degli artt. 5, comma 5, e 4, comma 3, del d.lgs. n. 286/1998. L'art. 5, comma 5, cit. dispone che «il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno e' stato rilasciato, esso e' revocato quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l'ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato», rinviando quindi all'art. 4, comma 3, cit. a mente del quale non e' ammesso in Italia, tra le altre ipotesi, lo straniero che «risulti condannato, anche a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'art. 444 c.p.p., per reati previsti dall'art. 380, commi 1 e 2, del c.p.p. ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la liberta' sessuale, il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina verso l'Italia e dell'emigrazione clandestina dall'Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attivita' illecite». L'interpretazione che la giurisprudenza amministrativa ha dato di queste norme e' nel senso di ritenere che la sopravvenienza di una sentenza di condanna per una delle ipotesi di reato previste dalla legge, anche a seguito di patteggiamento, costituisce il presupposto che impone e legittima l'adozione del provvedimento amministrativo di revoca del permesso gia' concesso o del rifiuto di rinnovo dello stesso, senza che residui spazio alcuno all'Autorita' amministrativa di valutazione e ponderazione di interessi e senza che in particolare vi sia spazio per una necessaria valutazione di pericolosita' sociale dello straniero, solo in presenza della quale ritenere legittimo il provvedimento negativo (in tal senso ex multis Cons. Stato, sez. VI, 29 agosto 2006,n. 4410; Tribunale amministrativo regionale. Toscana, sez. I, 20 luglio 2006, n. 3188; Tribunale amministrativo regionale Umbria, 12 giugno 2006, n. 319; Tribunale amministrativo regionale Lazio Roma, sez. I, 5 giugno 2006, n. 4230). In senso sostanzialmente analogo altra giurisprudenza (Tribunale amministrativo regionale Piemonte, 31 marzo 2006, n. 1605; Tribunale amministrativo regionale Umbria, 24 febbraio 2006, n. 64; 14 novembre 2005, n. 496; 6 settembre 2005, n. 416; Tribunale amministrativo regionale Toscana, Sez. I, 30 gennaio 2006, n. 210; Tribunale amministrativo regionale Lombardia Milano, Sez. I, 18 gennaio 2006, n. 140; 7 settembre 2005, n. 3617; T.r.g.a. Bolzano, 12 gennaio 2006, n. 7) sostiene che nel caso in cui la condanna rientri tra le ipotesi alle quali il legislatore ricollega un'efficacia preclusiva della permanenza del cittadino extracomunitario nel territorio dello Stato, la pericolosita' sociale e' presunta ex lege, sicche' l'Autorita' di pubblica sicurezza non e' chiamata a svolgere alcuna necessaria valutazione in tal senso e comunque, se il giudizio e' reso in senso sfavorevole, il ricorrente non e' legittimato a contrastarlo, se non per contestare l'esistenza o la rilevanza della condanna, giacche' il provvedimento di rifiuto del permesso di soggiorno o di revoca e' vincolato ed e' tale per cui l'amministrazione, accertata la condanna ostativa, non potrebbe adottarne uno di contenuto diverso. Nella fattispecie in esame, come esposto nella pmte in fatto, la sezione aveva accolto la domanda incidentale di sospensione, ritenendo in particolare che a fronte di una condanna per fattispecie ritenuta dal legislatore di particolare tenuita' (art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990) si imponesse una valutazione in concreto della pericolosita' sociale dell'istante. Ma il giudice d'appello, in aderenza all'indirizzo interpretativo dominante, ha riformato l'ordinanza cautelare, ritenendo che una condanna comunque rientrante nel novero di quelle contemplate dall'art. 4, comma 3, d.lgs. n. 286 del 1998 sia da ritenersi automaticamente ostativa al rinnovo del permesso di soggiorno. In punto di applicazione del diritto positivo al Collegio non resta conseguentemente che prendere atto del diritto vivente, ponendo in luce come anche nella vicenda in esame la puntuale applicazione della normativa in vigore non potrebbe che portare al rigetto del ricorso. 4. - Ricostruito in tal modo il diritto positivo il Collegio e' quindi chiamato a delibare le questioni di legittimita' costituzionale della normativa di cui al combinato disposto degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del d.lgs. n. 286 del 1998, cosi' come eccepite da parte ricorrente e comunque sollevabili d'ufficio. 5. - Nel caso in esame il ricorrente e' stato condannato con sentenza del 13 maggio 2005 per fatti avvenuti nel gennaio 2005, sicche' sia l'una che gli altri sono successivi all'entrata in vigore della legge 30 luglio 2002, n. 189, con la ulteriore conseguenza della insussistenza nel caso di specie dei presupposti di fatto che hanno indotto il Tribunale amministrativo regionale Lombardia, sez. staccata di Brescia, dapprima con l'ordinanza 25 agosto 2003, n. 1190 e, successivamente, con l'ordinanza n. 561/2005, a sollevare questione di legittimita' costituzionale della normativa in questione in considerazione della ritenuta applicabilita', ai fini della non ammissione in Italia dello straniero, anche delle sentenze di patteggiamento pronunciate anteriormente all'entrata in vigore della legge sopracitata. 6. - Secondo l'interpretazione del diritto positivo sopra evidenziata, e costituente diritto vivente alla luce della giurisprudenza amministrativa, la condanna subita dal ricorrente per il reato inerente agli stupefacenti preclude, dunque, l'accoglimento dell'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno, integrando, l'applicazione della ridetta norma, l'esercizio di una attivita' amministrativa rigorosamente vincolata, come tale priva di ogni possibile spazio per una interpretazione adeguatrice nei termini dell'insegnamento che i giudici di merito debbono prioritariamente trarre dalla giurisprudenza della Corte costituzionale. Corollario del suesposto ordine argomentativo e' che una eventuale declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 5, e dell'art. 4, comma 3 (nel testo modificato dall'art. 4, comma 1, lett. b), della legge 30 luglio 2002, n. 189), del d.lgs. n. 286 del 1998, nella parte in cui attribuiscono automatica rilevanza alle condanne pronunciate anche a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale, comporterebbe l'accoglimento del ricorso, mentre una eventuale pronuncia di infondatezza della questione di incostituzionalita' comporterebbe necessariamente la loro reiezione. La questione di costituzionalita' e' dunque palesemente rilevante nella specie. In proposito va anche annotato che l'eventuale sopravvenienza di mutamenti del quadro normativo, secondo i criteri direttivi risultanti dal disegno di legge delega recentemente approvato dal Consiglio dei ministri, non potrebbe influire sulla rilevanza della questione, in base al principio del tempus regit actum che impone al Collegio di valutare la legittimita' del provvedimento alla luce delle sole disposizioni vigenti all'epoca della sua adozione. 7. - Sotto il profilo della non manifesta infondatezza, il Collegio ritiene che il combinato disposto dell'art. 5, comma 5 e dell'art. 4, comma 3 (nel testo modificato dall'art. 4, comma 1, lett. b), della legge 30 luglio 2002, n. 189), del d.lgs. n. 286 del 1998, si ponga in contrasto con gli artt. 2, 3, 24 e 97 della Costituzione nella parte in cui impone, a fronte di una sentenza penale di condanna, peraltro pronunciata ai sensi dell'art. 444 c.p.p., per fatti di lieve entita' come quelli di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, l'automatico effetto della impossibilita' di ottenere e mantenere un legittimo titolo di soggiorno, senza che venga valutata in concreto la pericolosita' sociale dell'istante. 8. - Appare violato, sotto un duplice profilo, l'art. 3 Cost. In primo luogo il parametro costituzionale invocato risulta violato per la intrinseca irragionevolezza della scelta compiuta dal legislatore, laddove collega ad un'ipotesi penale di lieve entita', qual e' quella di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, la gravissima conseguenza, sul piano amministrativo, del diniego di concessione o rinnovo del permesso di soggiorno ovvero l'obbligo di revocare il titolo di soggiorno gia' concesso. L'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 punisce con pena attenuata i fatti di reato previsti dallo stesso art. 73, agli altri commi, «quando, per i mezzi, per la modalita' o le circostanze dell'azione ovvero per la qualita' e quantita' delle sostanze, i fatti previsti dal presente articolo sono di lieve entita». I fatti ascrivibili all'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 sono quindi ontologicamente caratterizzati da una «lieve entita», valutata dal giudice penale e alla quale si collega una sanzione penale attenuata. E tuttavia la condanna anche per la fattispecie penale di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 cit. e' tale da integrare il disposto di cui all'art. 4, comma 3. d.lgs. n. 286 del 1998, laddove, nell'indicare le condanne penali cui si correla l'automatico diniego di permesso di soggiorno, contempla, in termini generali e omnicomprensivi, i «reati inerenti gli stupefacenti». Peraltro, l'automatico effetto del diniego di concessione o rinnovo del permesso di soggiorno si produce anche, come nell'ipotesi sottoposta all'esame del Tribunale, quando la fattispecie penale tenute di cui all'art. 73, comma 5, cit. sia stata oggetto di applicazione della pena su richiesta delle parti, ex art. 444 c.p.p., in mancanza quindi di un accertamento penale pieno proprio di un pronunciamento giurisdizionale sulla sussistenza della responsabilita' penale. Appare a questo Tribunale che violi l'art. 3 Cost., per intrinseca irragionevolezza delle scelta legislativa, la normativa in esame laddove fa conseguire in termini di mero automatismo ad una applicazione di pena su richiesta delle parti per il reato di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 la gravissima conseguenza sul piano amministrativo del diniego di rinnovo del permesso di soggiorno, senza imporre alcuna valutazione in concreto della pericolosita' sociale dell'istante. L'invocato parametro costituzionale di cui all'art. 3 Cost. risulta altresi' violato dall'art. 4, comma 3, d.lgs. n. 286 del 1998 sotto altro e diverso profilo e cioe' per aver accumunato in modo del tutto illogico, ai fini del diniego del titolo di soggiorno, fattispecie penali tra loro assai eterogenee in termini di gravita' della condotta commessa. In particolare, come gia' rilevato, la citata disposizione impone il diniego automatico del titolo di soggiorno a coloro che siano stati condannati per una serie di reati, tra cui quelli indicati dall'art. 380 c.p.p. e altre ipotesi delittuose, tra cui, per quel che rileva, i «reati inerenti gli stupefacenti». Attraverso tale generica locuzione il legislatore stabilisce che una fattispecie criminosa come quella di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, che viene espressamente qualificata come caratterizzata da «lieve entita», comporti sul piano amministrativo gli stessi effetti - automatico diniego di titolo di soggiorno - propri di fattispecie penali comportanti l'arresto obbligatorio in flagranza di cui all'art. 380 c.p.p. In questa seconda prospettiva l'art. 3 Cost. e' violato per aver il legislatore posto sullo stesso piano, in termini di effetti scaturenti sul piano amministrativo, ipotesi criminose del tutto eterogenee e caratterizzate da gravita' del tutto incomparabili. Quanto sopra si verifica nella fattispecie dedotta in giudizio, nella quale si verrebbe ad attuare una irragionevole equiparazione, quoad effectum, della condanna penale per le piu' gravi ipotesi di reato legate alla pmtecipazione ad associazioni criminose dedite al traffico internazionale di stupefacenti con le fattispecie di reati inerenti pur sempre gli stupefacenti ma attenuate dalla «lieve entita», ovvero dall'assenza di continuazione o concorso con altri reati, con concessione di tutti i benefici di legge. Cio', in una prospettiva del tutto avulsa da un confacente rapporto di adeguatezza col caso concreto, senza cioe' che attraverso il procedimento amministrativo sia possibile operare, nella selezione delle determinazioni da assumere, alcuna graduazione riferita al caso concreto: in tal modo, a parere del Collegio, verrebbero a esser vulnerati i principi fondamentali di ragionevolezza chiaramente desumibili dall'mt. 3 Cost., oltre la tutela del lavoro (artt. 4 e 35) e del buon andamento amministrativo (art. 97). L'indispensabile gradualita' importa - dunque - che le valutazioni relative agli effetti derivanti dalla condanna sul titolo di soggiorno siano ricondotte alla naturale sede di valutazione: il procedimento amministrativo di verifica delle condizioni per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno, in difetto di che ogni relativa norma risulta incoerente, per il suo rigido automatismo, e conseguentemente irrazionale ex art. 3 Cost. 9. - Il combinato disposto degli artt. 5, comma 5, e 4, comma 3, d.lgs. n. 286 del 1998 viola inoltre l'art. 24 della Costituzione, nella parte in cui impone il rigetto del titolo di soggiorno per il cittadino straniero a cui carico sia stata applicata una pena ai sensi dell'art. 444 c.p.p., senza quindi che ci sia stato un accertamento pieno della responsabilita' penale dell'istante ed anzi traducendo quello che per la generalita' dei consociati e' un rito premiale in una procedura pregiudizievole per lo straniero. Ne' ad escludere il denunciato contrasto potrebbe rilevare la consapevolezza, generata dal dettato normativo, degli effetti preclusivi al rinnovo del permesso di soggiorno derivanti dalla scelta del rito del patteggiamento, tenuto conto che l'applicazione concordata della pena non rappresenta circostanza sufficiente a denotare di per se' la proclivita' dell'interessato alla violazione delle norme che tutelano il rispetto della tranquillita' e della sicurezza pubbliche. 10. - Ma le norme citate ancora, e soprattutto, violano gli artt. 2, 3, 24 e 97 Cost. laddove prevedono che l'Amministrazione debba automaticamente rigettare una domanda di soggiorno presentata da straniero che abbia subito una condanna penale, ancorche' per fatto di lieve entita' e anche se a seguito di patteggiamento, senza prevedere al contrario che l'Amministrazione debba procedere ad una valutazione in concreto della singola fattispecie, facendo conseguire il rigetto del titolo di soggiorno solo in ipotesi di accertata pericolosita' sociale dello straniero istante. Se per i cittadini extracomunitari, come gia' piu' volte evidenziato, la pronuncia penale comporta automaticamente il rigetto dell'istanza di permesso di soggiorno, al contrario il legislatore si e' ben diversamente orientato per altre categorie di persone. In primo luogo viene in considerazione la disciplina contenuta nel d.lgs. 8 gennaio 2007, n. 3, avente ad oggetto la «Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo». L'art. 1 del d.lgs. cit., nel sostituire l'art. 9 del d.lgs. n. 286 del 1998, prevede che anche per i soggiornanti di lungo periodo il permesso di soggiorno non deve essere concesso in presenza di condanne penali per determinate categorie di reati ma aggiunge che ªai fini dell'adozione di un provvedimento di diniego di rilascio del permesso di soggiorno di cui al presente comma il questore tiene conto altresi' della durata del soggiorno nel territorio nazionale e dell'inserimento sociale, familiare e lavorativo dello straniero». Merita quindi di essere esaminato il successivo d.lgs. 6 febbraio 2007, n. 30 avente ad oggetto «Attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri». L'art. 20 del d.lgs. cit., nel disciplinare le limitazioni al diritto di ingresso e di soggiorno dei cittadini dell'Unione per motivi di ordine pubblico, stabilisce che i relativi provvedimenti «sono adottati nel rispetto del principio di proporzionalita' ed in relazione a comportamenti della persona, che rappresentino una minaccia concreta e attuale tale da pregiudicare l'ordine e la sicurezza pubblica», aggiungendo poi, per quel che piu' rileva, che «la esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l'adozione di tali provvedimenti». Il Collegio e' ben consapevole che le normative richiamate hanno riguardo a categorie di persone ben individuate, in modo tale, non solo da non essere invocabili dai cittadini extracomunitari privi dei necessari requisiti soggettivi, ma da non poter costituire neppure un valido tertium comparationis nel giudizio di costituizionalita'. E tuttavia ritiene il Collegio che le normative invocate esplicitino principi che sono invero di portata generale, in base ai quali le conseguenze sul piano amministrativo devono di necessita' correlarsi ai comportamenti tenuti dalla persona sulla base del principio di proporzionalita' e devono essere il frutto di un' ampia e concreta valutazione da parte dell'Amministrazione della specifica posizione di ogni interessato. Tali principi, che inverano valori costituzionali scaturenti dagli artt. 2, 3, 24 e 97 Cost., sono violati dalla normativa qui censurata nella parte in cui preclude agli organi amministrativi di compiere una valutazione concreta e specifica della posizione di ciascun istante, guardando cioe' a tutti i profili inerenti il suo radicamento sul territorio ovvero la sua pericolosita' sociale, imponendo al contrario il rigetto delle istanze di soggiorno in modo automatico, in presenza di condanne penali, ancorche' patteggiate e per fatti di lieve entita'. Da ultimo si osserva che al ricorrente, in quanto privo di familiari che siano gia' autorizzati all'ingresso e alla permanenza sul territorio nazionale, non e' applicabile il nuovo regime di particolare tutela introdotto dall'art. 2, primo comma lett. b), d.lgs. n. 5/2007, in favore dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto. Ritiene in conclusione il Collegio che la questione di costituzionalita' relativa al combinato disposto degli artt. 5, comma 5, e 4, comma 3, del d.lgs. 286 del 1998, per violazione degli artt. 2, 3, 24 e 97 Cost. sia rilevante e non manifestamente infondata. Il giudizio deve quindi essere sospeso e deve disporsi la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per l'esame della suindicata questione di costituzionalita'.