IL TRIBUNALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile di I grado
iscritta   al  n. 25576/2006  r.g.  assunta  in  riserva  all'udienza
collegiale  del  giorno  22  marzo 2007 promossa da: fall.to Editrice
Portoria  S.p.A.  elettivamente  domiciliata  in via Francesco Sforza
n. 15  - Milano, presso e nello studio dell'avv. Jorio Alberto che la
rappresenta e difende, attrice;
Contro  Arnoldo Mondadori Editore S.p.A. elettivamente domiciliata in
piazza Borromeo n. 8 - Milano, presso e nello studio dell'avv. Munari
Alessandro  che  la  rappresenta  e  difende,  convenuta, in punto a:
«153999  -  Altri  istituti  di diritto societario soggetti al d.lgs.
n. 5/2003».
A scioglimento della riserva assunta all'udienza del 22 marzo 2207 ha
pronunciato   la   seguente   ordinanza   di  rimessione  alla  Corte
costituzionale ai sensi dell'art. 26, legge n. 87/1953.
                             M o t i v i
Con  atto  di  citazione  ex  art.  2  d.lgs. n. 5/2003 il fallimento
Editrice  Portoria  S.p.A. ha convenuto la societa' Arnoldo Mondatori
S.p.A.  per  l'accoglimento  delle  conclusioni  poi  precisate nella
memoria  ex  art.  10  d.lgs.  n. 5/2003, trattandosi di controversia
concernente  rapporti  societari.  Scambiate  le  memorie di cui agli
artt.  6  e 7 del d.lgs. n. 5/2003, l'attore ha notificato istanza di
fissazione  d'udienza ex art. 8, d.lgs. n. 5/2003 e la convenuta, nel
precisare   le   proprie   conclusioni,   ha  eccepito  l'intervenuta
estinzione del processo.
Il   giudice  relatore  ha  quindi  fissato  udienza  monocratica  di
discussione in data 6 febbraio, dopo di che, con decreto reso in data
7   febbraio   2007,  ha  respinto  l'eccezione  pregiudiziale  della
convenuta,  emettendo  i  provvedimenti istruttori e fissando udienza
collegiale  di  discussione per il 22 marzo 2007. Il provvedimento di
rigetto  veniva  reclamato  e  il  collegio investito della questione
dichiarava   l'inammissibilita'   di   detto  reclamo,  mancando  una
pronuncia  di  estinzione  del  giudizio.  La questione sulla pretesa
estinzione  del  giudizio,  pertanto,  veniva riproposta al tribunale
investito del merito della controversia.
Nel  caso  de  quo,  la  dedotta  estinzione  del giudizio si sarebbe
verificata  perche'  parte  attrice,  con  istanza  notificata  il 20
ottobre  2006,  provvedeva alla notifica della medesima decorsi venti
giorni  dalla  notifica  della memoria di replica ex art. 7, comma 2,
d.lgs.  n. 5/2003. Difatti, a norma dell'art. 8, comma primo, lettera
c),   d.lgs.  n. 5/2003,  parte  attrice  avrebbe  dovuto  notificare
l'istanza   di  fissazione  dell'udienza  entro  venti  giorni  dalla
notifica  della  memoria  alla  quale  non intendeva replicare, ossia
entro  e  non  oltre  1'11  ottobre  2006.  Parte attrice, invece, ha
notificato  l'istanza  solo  in  data  20 ottobre 2001, ossia decorsi
ventinove giorni dalla notifica della memoria di parte convenuta alla
quale  ha  dichiarato  di  non volere replicare. Conseguentemente, il
procedimento dovrebbe a rigore dichiararsi estinto ai sensi dell'art.
8,  quarto comma, d.lgs. n. 5/ 2003, laddove si indica la scadenza di
quel termine per la notifica dell'istanza, non potendo valere diversi
termini previsti per altre ipotesi.
La  tesi di parte attrice, invece, e' nel senso di non essere incorsa
in detta causa di estinzione, posto che l'istanza e' stata notificata
comunque entro il termine di trenta giorni indicato dalla controparte
per  la notifica di memoria: questo orientamento, per quanto proposto
dal  giudice  relatore che ha respinto l'eccezione di estinzione, non
viene  condiviso  dal  tribunale,  poiche'  l'istanza  di  fissazione
dell'udienza  collegiale  non  potrebbe certamente essere equiparata,
quanto ai suoi effetti processuali, a una memoria di replica, poiche'
in  detta  istanza  e'  chiaro l'intendimento della parte di ritenere
esaurita la fase di scambio di memorie.
L'istanza  di fissazione dell'udienza collegiale, invero, costituisce
l'atto  d'impulso unico e insostituibile che consente al procedimento
in  corso di passare da una fase di puro scambio di atti tra le parti
a  una  fase  apud iudicem. Nel disciplinare i diversi momenti in cui
puo'  inserirsi  detta  istanza,  il  legislatore ha previsto termini
perentori  mobili,  quanto alla loro decorrenza, a seconda della fase
endoprocessuale in cui si inserisce detto impulso, lasciando comunque
fisso il termine di venti giorni per la notifica dell'istanza.
Il  termine  per la proposizione di detta istanza, difatti, a seconda
di  come  in  concreto  si  e'  svolto il contraddittorio, decorre da
momenti  la  cui  individuazione  spetta  precipuamente  alle  parti.
Tuttavia,  le  disposizioni  normative  che  regolano i termini a quo
risultano   difficilmente   intelleggibili,  perche'  frutto  di  una
formulazione certamente non chiara e lineare, facendo essa ricorso al
rinvio  a  disposizioni  incluse  in  diversi articoli o commi che, a
seconda  delle  diverse  fasi  in cui si trova il processo, prevedono
diversi termini di decorrenza: il che non contribuisce a garantire il
regolare  svolgimento  di un processo in cui le parti interloquiscono
tra  loro  solo attraverso lo scambio degli scritti difensivi, e ove,
quindi,  il  giudice  e'  totalmente  assente  dalla  sua funzione di
direzione  del  procedimento (175 c.p.c.) che, nel rito ordinario, si
pone   a   garanzia   dell'   ordinato  e  regolare  svolgimento  del
contraddittorio  -  anche  attraverso la chiara fissazione di termini
perentori  entro  cui svolgere determinate attivita', pena, in taluni
casi  (art.  307  c.p.c.),  l'estinzione  del  giudizio.  Orbene, una
formulazione   normativa  poco  chiara  e  lineare,  certamente,  non
contribuisce  a  dare  ordine  alla  fase  piu' delicata del processo
(litis  denuntiatio  e  litis contestatio), ove per ciascuna parte e'
previsto  il  potere  di  far  autonomamente scattare preclusioni nel
momento  ritenuto  piu'  conveniente. In tal modo, inevitabilmente il
complesso  delle  norme  in  esame  tende  a  premiare chi pratica il
processo  con  maggiore  abilita'  per  prendere  di  sorpresa il suo
avversario,  con  assoluta  indifferenza  della precipua finalita' di
distribuzione di torto e ragione che costituisce l'intima essenza del
procedimento civile (ne cives ad arma ruant).
Benche'  l'interpretazione  prospettata  dal  giudice  relatore possa
essere  considerata  come  un  tentativo  di  dare un'interpretazione
conforme  a  Costituzione  della  norma  processuale  in questione, a
questo tribunale non appare esserci spazio alcuno per interpretazioni
costituzionalmente   orientate.   Tanto   ritiene  sulla  base  delle
considerazioni che seguono.
1)  Alla luce dei principi generali dai quali e' ragionevole ritenere
che  il  legislatore  non abbia inteso discostarsi, va rammentato che
l'estinzione  e'  una  vicenda  anormale  del processo, finalizzata a
evitare  la  prosecuzione  di  attivita'  processuale quando tutte le
parti, per accordo esplicito (rinuncia agli atti) o per comportamento
concludente  (inattivita), non coltivino per un apprezzabile lasso di
tempo  le  proprie  pretese;  in  alcuni  casi,  poi, essa opera come
sanzione  immediata,  perche' correlata alla mancata esecuzione di un
ordine  del  giudice (art. 107 c.p.c.). Proprio perche' l'inattivita'
e'  uno dei presupposti che il legislatore pone a base del meccanismo
d'estinzione,   le   parti  sono  tenute  a  compiere  atti  ritenuti
essenziali   per  l'iter  processuale  entro  termini  perentori  con
funzione acceleratoria, e la loro inosservanza determina l'estinzione
immediata  del processo in casi eccezionali (cfr. artt. 182, comma 2,
c.p.c.  e  290, c.p.c.; art. 165, c.p.c.; art. 102, c.p.c.; art. 107,
c.p.c.)  o differita nei casi piu' ricorrenti (art. 181, c.p.c., 309,
c.p.c.),   non   rilevando  che  detta  inosservanza  sia  frutto  di
consapevole  volonta'  o  di  mera negligenza. Come gia' nel processo
ordinario  (i  casi sono riassunti nell'art. 307, c.p.c. ), anche nel
nuovo  rito  societario - coerentemente alle finalita' di celerita' e
concentrazione  che  lo  ispirano  -  il  termine  perentorio  per il
compimento  di determinate attivita' e' stato introdotto con funzione
esclusivamente  acceleratoria,  ma  la  conseguenza  in  caso  di sua
inosservanza  e'  l'estinzione immediata ove sia mancata l'istanza di
fissazione  dell'udienza  collegiale nella fase endoprocessuale (art.
8, comma 4, d.lgs. n. 5/2003), mentre e' differita allorche' le parti
non siano comparse innanzi al giudice (art. 16, comma 1, della stessa
legge, difatti, dispone la cancellazione della causa dal ruolo).
Dovendosi intepretare una norma che regola termini di decadenza, come
e'  noto,  non  e'  possibile  ricorrere  ad applicazioni analogiche.
Inoltre,  anche  ammettendo  un  intervento  correttivo  da parte del
giudice  relatore investito dell'eccezione di estinzione, difatti, si
rischia di distorcere lo stesso spirito del rito societario, il quale
prevede  una  fase  autonomanente  gestita  dalle  parti  in cui ogni
possibile  interferenza  del  giudice  relatore  o del presidente del
collegio  e'  espressamente  regolata  dal legislatore come eccezione
alla  regola  di  autonomia delle parti (v. artt. 8, comma 4, 5, 6, e
art.  12,  comma  4  e  seg.  d.lgs.  n. 5/2003). In effetti, l'unica
operazione  correttiva  possibile  per  il  giudice  investito  della
questione,  sarebbe  di  considerare  l'istanza che comunque e' stata
proposta  con  osservanza  del  maggior  termine di trenta giorni per
replica (art. 7 del d.lgs. n. 5/ 2003), come atto equipollente di una
memoria  di  replica.  Questa  soluzione  consentirebbe al giudice di
verificare  se  l'omissione  corrisponda  a  un'effettiva inattivita'
della parte.
Cosi'  ragionando,  ricorrendo  a  previsioni  generali  in ordine al
trattamento  delle  nullita'  processuali,  riscontrabili negli artt.
156,  c.p.c.  e  seguenti  (che  notoriamente  valgono  per ogni atto
processuale  affetto  da nullita' o invalidita' processuale), laddove
stabiliscono il principio di salvezza degli atti che abbiano comunque
raggiunto  il  loro  scopo,  permetterebbe  di  far  si'  che  l'atto
notificato    fuori   termine   produca   un   effetto   conservativo
dell'endoprocedimento in cui si inserisce, potendo esso solo impedire
il  passaggio  del  procedimento alla fase apud iudicem. E allora, in
questo  caso, al giudice investito della questione di estinzione, ove
l'omissione  non sia indice di definitiva inerzia di una delle parti,
rimarrebbe  la  possibilita' di convertire la questione sottoposta al
suo  esame in quella di ammissibilita' o meno dell'istanza presentata
«fuori  dei casi previsti dalla legge», come se l'istanza fosse stata
presentata  in  un  momento  in  cui  pendevano  ancora  termini  per
ulteriori repliche (art. ex art. 5, d.lgs. n. 5/2003).
Il  tribunale,  pero',  ritiene  che  detto  minore effetto non possa
determinarsi  in  un  caso in cui e' la stessa parte istante ad avere
dichiarato  di  non  volersi  avvalere di ulteriori termini a difesa.
Qualora   si   accedesse   al   suddetto   orientamento,  l'eventuale
dichiarazione    d'ufficio    di    inammissibilita'    dell'istanza,
introdurrebbe  la  possibilita'  di porre termini giudiziali a difesa
non  richiesti  in una fase che si e' chiusa per volonta' della parte
stessa.   Poiche'   il   superamento  dell'eccezione  di  estinzione,
rilevabile  tra  l'altro  d'ufficio  dallo stesso giudice relatore ex
art.  8, comma 4, d.lgs. n. 5/2003, non e' possibile con ricorso alla
suddetta   opzione   interpretativa,   il  tribunale  reputa  che  la
fattispecie   sottoposta   al   suo   esame   ponga  in  maniera  non
manifestamente  infondata  la questione della costituzionalita' della
norma di cui all'art. 8, comma 4, d.lgs. n. 5/2003 nella parte in cui
stabilisce  che  «la  mancata  notifica  dell'istanza  di  fissazione
d'udienza  nei  venti  giorni successivi alla scadenza dei termini di
cui  ai commi precedenti, o del termine per il deposito della memoria
di  controreplica  del  convenuto  di  cui all'art. 7, comma 2 ovvero
dalla  scadenza  del  termine  massimo  di  cui  all'art.  7, comma 3
«determina  l'estinzione  immediata del processo», anziche' l'effetto
di cancellazione della causa dal ruolo.
In  particolare,  la rilevanza della questione d'incostituzionalita',
in  relazione al caso di specie, si coglie laddove nell'art. 8, comma
1,  lettera  c),  cui il comma 4 rinvia per regolare singole fasi del
procedimento,  indica  detta  decorrenza  «dalla  data della notifica
dello  scritto  difensivo  delle  altre  parti  al  quale non intende
replicare,  ovvero  dalla  data  di  scadenza  del relativo termine».
Questo  tribunale  ha  gia'  avuto  modo  di  pronunciarsi in un caso
analogo,  precisando  che  l'art.  8,  comma 4, d.lgs. n. 5/2003, nel
prevedere  che la mancata notifica dell'istanza di fissazione udienza
nei venti giorni successivi alla scadenza dei termini di cui ai commi
precedenti   determina  l'estinzione  del  processo,  fa  riferimento
esclusivamente  alla data di notifica dell'atto avversario che impone
la necessita' di un certo comportamento processuale (cfr. ordinanza 2
dicembre   2004,   G.   Rel.   D'Isa,   in  www.judicium.it).  Questo
orientamento,  invero,  rappresenta  il  diritto vivente con il quale
doversi  confrontare  per  regolare  il  caso  in  esame,  in  quanto
riaffermato  in  piu'  recenti  pronunce, tra le quali si annovera la
ordinanza  del  10 giugno 2006 del tribunale di Brindisi (in Foro It.
2006,  210).  Ne consegue che parte attrice avrebbe dovuto notificare
l'istanza  di fissazione dell'udienza collegiale nel termine di venti
giorni dalla notifica della memoria notificata da controparte ex art.
7, d.lgs. n. 5/2003 e che il presente giudizio deve essere dichiarato
irrimediabilmente  estinto,  poiche'  i diversi riferimenti temporali
indicati  dalla  norma in discussione si attagliano al caso in cui la
controparte non abbia articolato proprie memorie di replica.
La  conseguenza  dell'estinzione  immediata  del  giudizio  a  fronte
dell'agire  non tempestivo della parte onerata nel passaggio delicato
del  giudizio alla fase apud iudicem, che con l'istanza di fissazione
dell'udienza  collegiale  manifesta  all'altra  parte  la volonta' di
chiudere  la  fase  di  scambio  di scritti difensivi, per le ragioni
sopra  espresse, costituisce una sanzione spropositata perche' carica
di  effetti  pregiudizievoli  per i diritti sostanziali e processuali
della  parte  che  vi  incappa: nel panorama processuale domestico un
siffatto  meccanismo di estinzione del processo, la cui decorrenza e'
riposta  sul  libero agire delle parti del processo, appare del tutto
sproporzionato   e  incoerente  con  i  principi  costituzionali  cui
dovrebbe  essere  improntato un procedimento che pretende di offrirsi
come  modello  alternativo  a  quello  ordinario. Detto meccanismo di
estinzione,  invero, contrasta immediatamente con il principio di cui
all'art.  24  Cost.,  poiche'  l'idea  del processo il piu' possibile
rapido  non  corrisponde a un modello processuale inteso come terreno
di  esperti  e  callidi  giocatori,  bensi' a un processo inteso come
luogo   di  pronta  affermazione  e  difesa  dei  diritti  soggettivi
riconosciuti da una norma sostanziale.
Il  diritto  di  difesa  non  si esaurisce al momento dell'accesso al
processo,  ma  in virtu' dell'art. 111 Cost. che rafforza la garanzia
sancita  dall'art.  24  Cost. si esprime primariamente come diritto a
ottenere  una  pronta  pronuncia  di  merito,  per  cui le ipotesi di
violazione  delle  norme  rituali  che  precludono  la cognizione del
diritto  sostanziale,  favorendo  soluzioni preclusive dell'esame del
diritto controverso, dovrebbero essere previste solo nei casi ove sia
certo  ed  effettivo  il  venir  meno  dell'interesse  delle parti al
conseguimento di un determinato risultato.
Pertanto  ove,  in ipotesi, la scelta operata dal legislatore, qui in
discussione,  sia  considerata coerente con i principi costituzionali
al  fine  di  garantire  la ragionevole durata del processo (art. 111
Cost.),   l'opzione   di   porre  termini  perentori  sanzionati  con
l'estinzione  al  fine di governare la delicata fase di passaggio del
processo apud iudicem appare del tutto sproporzionata e irragionevole
rispetto  alla  finalita'  che  si vuole ottenere. Si rammenta che il
Legislatore,  regolando il procedimento ordinario, anziche' prevedere
la sanzione dell'estinzione in ipotesi analoghe di carenza di impulso
processuale (mancata comparizione delle parti all'udienza fissata dal
giudice)   ha   previsto   la  meno  penalizzante  conseguenza  della
«cancellazione  della  causa  dal  ruolo»  che,  pur  essendo essa il
preludio  di una possibile estinzione del processo, si articola in un
doppio  grado di omissioni (l'omessa comparizione delle parti innanzi
al  giudice  e  l'omessa riassunzione della causa cancellata entro il
termine  di  un  anno).  La  sanzione  dell'estinzione  immediata del
giudizio, se confrontata con la disciplina del procedimento ordinario
che regola un' ipotesi analoga d'inattivita' delle parti (artt. 181 e
309  c.p.c.), pertanto, si porge come eccessiva e punitiva perche' si
inserisce a contradittorio compiutamente svolto e non appare coerente
con  la  filosofia di una sanzione fondata sulla semplice presunzione
legale del disinteresse delle parti alla pronuncia sul merito.
2)  Se  si  considera,  inoltre,  che la condotta di cui all'art. 16,
comma  1,  d.lgs. n. 5/2003 (mancata presentazione delle parti avanti
al   collegio  per  la  sentenza  contestuale)  -  manifestazione  di
disinteresse   ben   piu'   esplicita  della  semplice  notifica  non
tempestiva  di  un'istanza di fissazione dell'udienza - e' sanzionata
dal  legislatore  con la sola cancellazione della causa dal ruolo, la
scelta  legislativa relativa a una sanzione processuale che incide in
una fase di puro scambio di scritti difensivi autogestita dalle parti
appare  vieppiu'  incongrua  e  irragionevole.  Da  cio'  l'ulteriore
profilo  di  contrasto  con  l'art.  3 Cost., inteso come presupposto
costituzionale  irrinunciabile  di  scelte  legislative  sorrette  da
un'intrinseca   razionalita'   e  ragionevoli  quanto  a  valutazioni
comparative con altre ispirate ad analoga logica. Reputa, difatti, il
tribunale  che  la  liberta' del legislatore di atteggiare i mezzi di
tutela  del  diritto  di difesa in relazione alla protezione di altri
interessi  costituzionalmente  garantiti (celerita' del processo) non
puo'  spingersi  a  vanificare  in  sede  giurisdizionale  situazioni
riconosciute  in  sede  sostanziale, ponendo, piu' che incentivi a un
procedere  spedito  del  giudizio, ostacoli all'esercizio dell'azione
che si rivelano tali in quanto non congrui e non ragionevoli.
Volendo  trarre  sintetiche  conclusioni  di  quanto  sopra riferito,
l'estinzione  immediata  del  processo quale conseguenza prevista dal
legislatore   nelle   ipotesi  di  cui  all'art.  8,  comma  4  -  da
individuarsi  in  virtu'  di  una lettura combinata e non agevole del
disposto  degli  art. 8, commi 1, 2 e 3 dell'art. 7, d.lgs. n. 5/2003
appare sanzione processuale irragionevole con riguardo alla finalita'
dell'istituto  dell'«estinzione»,  in  riferimento  all'art.  3 della
Costituzione,  perche' crea una diversita' di trattamento essenziale,
e  non giustificabile tra il «non agire» costituito dal non comparire
davanti   al  Collegio  all'udienza  ex  art.  16,  d.lgs.  n. 5/2003
(sanzionato  con la sola cancellazione della causa dal ruolo, benche'
imputabile  ad entrambe le parti e, quindi, anche percio' sintomatico
in modo ben piu' chiaro e biunivoco del disinteresse per la pronuncia
giurisdizionale ), e il «non agire» costituito dalla mancata notifica
dell'istanza  di  fissazione  udienza ex art. 12 della medesima legge
nel  termine  di  venti  giorni  dalla scadenza dei termini di cui ai
commi  1,  2  e  3  dell'art.  8, o del termine per il deposito della
memoria  di  controreplica  del convenuto di cui all'art. 7, comma 2,
ovvero dalla scadenza del termine massimo di cui all'art. 7, comma 3.
Pertanto,  il tribunale ritiene che, in riferimento all'art. 24 della
Costituzione,  il  quale  protegge il diritto di agire giudizialmente
per  la  tutela dei propri diritti, la questione di costituzionalita'
della norma in esame si ponga chiaramente in termini di non manifesta
infondatezza.   Detta   questione,  poi,  appare  rilevare  nel  caso
concreto,  ove  l'applicazione della regola di cui sopra porterebbe a
un'immediata  quanto  (e'  il  caso di dirlo) ingiusta estinzione del
processo.  Da qui l'immediata rilevanza della questione sottoposta al
vaglio della Corte costituzionale.
A questo punto il tribunale, tutto quanto sopra premesso.