Ordinanza
nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 197-bis, comma
4,  del  codice  di  procedura  penale, promosso con ordinanza del 27
maggio  2005  dal  Giudice  dell'udienza preliminare del Tribunale di
Imperia, nel procedimento penale a carico di V.C., iscritta al n. 433
del  registro  ordinanze  2005  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 38, 1ª serie speciale, dell'anno 2005.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito  nella  Camera  di  consiglio  del  24  ottobre 2007 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto che, con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Giudice per le
indagini preliminari del Tribunale di Imperia, in funzione di Giudice
dell'udienza preliminare, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e
24  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art.  197-bis,  comma  4, del codice di procedura penale, «nella
parte  in cui non prevede che il testimone non possa essere obbligato
a  deporre  sui  fatti  per  i  quali  e'  stata pronunciata nei suoi
confronti  sentenza  di  applicazione della pena, se nel procedimento
egli  aveva  negato  la propria responsabilita' ovvero non aveva reso
alcuna dichiarazione»;
     che  il  rimettente  premette  di essere chiamato a celebrare un
giudizio abbreviato subordinato alla audizione di un teste, il quale,
gia'  coimputato  per  i  medesimi  fatti,  aveva definito la propria
posizione   processuale   con   sentenza,   nel   frattempo  divenuta
irrevocabile,  di  applicazione  della  pena su richiesta, senza aver
reso alcuna dichiarazione nel corso di quel procedimento;
     che  la descritta condizione processuale -- argomenta il giudice
a   quo   --  non  consente  a  tale  soggetto  di  essere  esonerato
dall'obbligo  di deporre sui fatti oggetto della sentenza gia' emessa
nei  suoi confronti: garanzia, questa, che la norma censurata riserva
esclusivamente  al  soggetto  nei cui confronti sia stata pronunciata
sentenza di condanna all'esito di un giudizio;
     che   peraltro,   a   parere   del   rimettente,   una   diversa
interpretazione   della   norma   --   idonea,  cioe',  ad  estendere
l'esenzione  dall'obbligo  di  testimoniare anche al soggetto nei cui
confronti  sia stata applicata una pena a seguito di «patteggiamento»
--  risulta  impedita,  oltre  che  dal  suo  tenore letterale, anche
dall'esame   dei   lavori   preparatori;   questi   ultimi,  infatti,
evidenziano  l'esplicita  volonta'  del legislatore di ricomprendere,
nell'ambito  del  dettato  normativo  censurato, solo le «sentenze di
condanna»  emesse all'esito di un «giudizio», con esclusione, quindi,
delle sentenze di applicazione della pena su richiesta;
     che   nondimeno,   a  parere  del  rimettente,  tale  esclusione
risulterebbe  incompatibile, innanzitutto, con l'art. 3 Cost., attesa
l'irragionevolezza  del  differente trattamento: in entrambi i casi i
«testimoni   assistiti»  hanno  scelto,  nei  precedenti,  rispettivi
giudizi,  di  non  effettuare alcuna dichiarazione ed hanno riportato
una   sentenza  «comportante  l'irrogazione  di  una  pena»;  con  la
conseguenza  che,  stante  la  piena omogeneita' delle situazioni, la
diversa disciplina determinerebbe una discriminazione solo in ragione
del momento processuale in cui la sentenza e' stata emessa;
     che  la  norma  censurata contrasterebbe altresi' con l'art. 24,
secondo comma, Cost., poiche', con la previsione di tale obbligo alla
testimonianza,   risulterebbe   violato   «il   diritto  al  silenzio
codificato  dall'art.  64 cod. proc. pen.», esponendo «il dichiarante
al  rischio di un procedimento per falsa testimonianza (ancorche' sia
applicabile l'esimente di cui all'art. 384 del codice penale)»;
     che   nel   giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla
Avvocatura Generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza della
questione;
     che,  a  parere  della  difesa  erariale,  risulta  innanzitutto
destituita di fondamento la censura circa la pretesa irragionevolezza
della  normativa  sottoposta a scrutinio, tenuto conto, per un verso,
dell'eterogeneita'  delle  situazioni  poste  a  raffronto; e, per un
altro  verso,  della  circostanza che il rito alternativo comporta la
piena  accettazione, accanto ai benefici premiali, anche di tutti gli
ulteriori  effetti di essa, tra i quali l'obbligo di assunzione della
veste di testimone: in linea, d'altra parte, «con la scelta normativa
di circoscrivere l'area del "diritto al silenzio"»;
     che,  infine,  quanto  alla  pretesa  violazione  del diritto di
difesa,  essa  sarebbe esclusa dal sistema di garanzie che, comunque,
preserva,  in  generale,  il  dichiarante  che  assuma  la  veste  di
«testimone assistito».
Considerato  che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale
di  Imperia, in funzione di Giudice dell'udienza preliminare, dubita,
in  riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione,
della  legittimita'  costituzionale  dell'art.  197-bis, comma 4, del
codice  di  procedura  penale,  nella parte in cui non prevede che il
soggetto   nei  cui  confronti  sia  stata  pronunciata  sentenza  di
applicazione  della  pena  -- e che, nel relativo procedimento, abbia
negato  la  propria  responsabilita'  ovvero  non  abbia  reso alcuna
dichiarazione   --  non  possa  essere  obbligato  a  deporre,  quale
testimone, sui fatti oggetto della sentenza medesima;
     che  il  dubbio di costituzionalita' e' innanzitutto riferito al
principio  di  ragionevolezza,  ritenuto  violato  per  il differente
trattamento, sancito dalla disciplina censurata, rispetto a colui che
abbia  subito  una  sentenza  di  condanna,  il quale non puo' essere
obbligato  a  deporre  sui  fatti per i quali e' stata pronunciata in
giudizio  sentenza  di condanna nei suoi confronti: e cio' nonostante
le situazioni si rivelino «assolutamente analoghe ed assimilabili»;
     che  sarebbe  inoltre  violato  l'art. 24, secondo comma, Cost.,
poiche',  persistendo  l'obbligo  della testimonianza per il soggetto
che  abbia  «patteggiato», egli risulterebbe esposto -- in violazione
del  diritto  al  silenzio  e,  dunque,  del piu' generale diritto di
difesa  --  al  rischio  di  un procedimento per falsa testimonianza,
ancorche'  sia  applicabile l'esimente di cui all'art. 384 del codice
penale;
     che  il  giudice  a  quo muove dal presupposto che -- in ragione
della   finalita'   di   garanzia  della  norma  censurata,  volta  a
contemperare  il  diritto  al  contraddittorio  dell'imputato  con il
diritto  al  silenzio  di  chi,  sin  dall'inizio, abbia operato tale
scelta   --   la   condizione  di  «colui  che  sceglie  la  via  del
"patteggiamento"»  vada  pienamente  equiparata a quella del soggetto
destinatario di una sentenza di condanna: entrambi, nella prospettiva
del  rimettente, «hanno scelto la via del silenzio ed hanno riportato
una  sentenza  comportante  l'irrogazione della pena» ed entrambi, se
costretti  a  deporre,  potrebbero  invocare il principio di garanzia
nemo  tenetur  se  detegere;  con la conseguenza che la disparita' di
trattamento,  in  punto  di  esenzione dall'obbligo testimoniale, non
potrebbe  essere giustificata solo dal «momento processuale in cui la
sentenza e' stata emessa»;
     che   tuttavia  --  al  di  la'  della  costante  giurisprudenza
ordinaria  e  costituzionale  (si  vedano,  ex  plurimis, le sentenze
n. 313  del  1990  e  n. 251 del 1991) che ha evidenziato le profonde
diversita'  che  caratterizzano  i  due  tipi  di  giudizio  posti  a
raffronto  e  le  sentenze  che  ne  costituiscono  l'epilogo  --  ad
inficiare  il presupposto da cui prende le mosse la censura proposta,
risulta   dirimente   il   rilievo   che,   proprio  a  fronte  delle
caratteristiche  che  connotano  il  modello  di  patteggiamento,  la
posizione di coloro che decidono di accedere ad esso diverge rispetto
al  modulo  processuale dell'accertamento «ordinario», specificamente
in relazione alle caratteristiche dei dichiaranti;
     che,   infatti,   in   quest'ultima   situazione  l'imputato  e'
naturalmente   chiamato   a  dichiarare  in  relazione  alla  vicenda
processuale  e  si  prospettano,  in  corrispondenza  di  cio', varie
situazioni   processuali   conseguenti  alle  diverse  manifestazioni
dichiarative  (confessione;  dichiarazione  di innocenza; chiamata di
correita';  facolta'  di  non  rispondere  e  simili);  invece,  tale
varieta'  di  ipotesi  e'  eccentrica  rispetto  alla  posizione  del
soggetto che abbia optato per l'applicazione della pena su richiesta:
costui, proprio perche' proiettato verso una soluzione processuale di
nolo   contendere,   si   propone   quale   soggetto  sostanzialmente
indifferente  rispetto  a  prospettive  defensionali diversificate e,
dunque,   rispetto   alla   stessa   molteplicita'   delle  possibili
dichiarazioni;
     che,  pertanto,  la scelta operata dal legislatore di garantire,
in  relazione al successivo obbligo testimoniale, maggior cautela per
l'imputato  condannato  a  seguito di giudizio, rispetto a quello che
abbia scelto di definire la propria posizione processuale mediante il
«patteggiamento»,   risulta  non  irragionevole  alla  stregua  delle
differenti caratteristiche strutturali dei due riti;
     che,   d'altra   parte,   nell'opzione   del  rito  alternativo,
l'imputato e' posto ex ante nella piena condizione di conoscere tutte
le  conseguenze  scaturenti  dalla scelta processuale operata, tra le
quali, innanzitutto, quella di ottenere un'«applicazione della pena»,
equiparata  ad  una  sentenza  di  condanna  solo  rispetto  ai  fini
espressamente   indicati   dalla   legge:   ben  potendo  non  essere
contemplato,  tra  di  essi,  l'esonero  dal deporre, quale teste, in
processi  riguardanti  altri soggetti, anche per vicende strettamente
collegate a quella nella quale ha subito l'applicazione della pena;
     che, esclusa la violazione del principio di ragionevolezza nella
scelta  operata dal legislatore, risulta logicamente fugato, per cio'
stesso,  anche  il  dubbio  di  costituzionalita' relativo al preteso
contrasto  della  disciplina  censurata con l'art. 24, secondo comma,
Cost.;  d'altra  parte,  il  diritto  di  difesa  del  soggetto  gia'
destinatario  di  una  sentenza di applicazione della pena e chiamato
poi   a  deporre  sui  fatti  oggetto  della  sentenza  medesima,  e'
adeguatamente  salvaguardato:  sia  dalle  garanzie  connaturate alle
modalita'  di  audizione di quel soggetto come «testimone assistito»;
sia  dal complesso di garanzie -- di diretta derivazione dal precetto
costituzionale  --  che risultano attuate in altre norme del sistema,
quali  quelle  del  comma  5  del medesimo art. 197-bis e del comma 2
dell'art.  198,  per il codice di rito, o dell'art. 384 per il codice
sostanziale;
     che  la questione deve pertanto essere dichiarata manifestamente
infondata.
Visti  gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87,
e  9,  comma  2,  delle  norme integrative per i giudizi davanti alla
Corte costituzionale.