Ordinanza
nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale dell'articolo 3, commi
2-bis,  2-ter  e  2-quater del decreto-legge 30 novembre 2005, n. 245
(Misure  straordinarie  per  fronteggiare l'emergenza nel settore dei
rifiuti  nella  regione Campania ed ulteriori disposizioni in materia
di  protezione  civile),  commi  aggiunti  dalla  relativa  legge  di
conversione  27  gennaio  2006,  n. 21, promossi con ordinanze dell'8
(nn. 3 ordinanze) e del 10 maggio 2006, del 12 aprile e dell'8 maggio
(nn.  3  ordinanze)  2006  dal Tribunale amministrativo regionale del
Veneto,  del  5  giugno  2006  dal Tribunale amministrativo regionale
della  Campania, sede di Napoli, del 4 ottobre 2006 (nn. 2 ordinanze)
dal  Tribunale  amministrativo  regionale  della  Calabria,  sede  di
Catanzaro, del 2 novembre 2006 dal Tribunale amministrativo regionale
della  Liguria,  del  5  e  del  29  maggio  e del 27 luglio 2006 dal
Tribunale  amministrativo  della  Campania,  del  30 gennaio 2007 dal
Tribunale  amministrativo  regionale della Regione Siciliana, sezione
staccata  di  Catania,  del  12  e del 18 dicembre 2006 dal Tribunale
amministrativo  regionale  della  Campania  e  del  3 aprile 2007 dal
Tribunale  amministrativo  regionale  della Calabria, rispettivamente
iscritte  ai  numeri  392,  393,  dal  396  a  400 e 670 del registro
ordinanze 2006 e ai numeri 95, 217, 218, 250, da 431 a 433, 531, 650,
651  e  655  del  registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta
Ufficiale  della  Repubblica  numero 41, 1ª serie speciale, dell'anno
2006,  numeri  5,  11,  16, nell'edizione straordinaria del 26 aprile
2007, e numeri 24, 32 e 38, 1ª serie speciale, dell'anno 2007.
Visti  gli  atti di costituzione della Regione Veneto, della Societa'
Ca'  Dese s.a.s. di Tombacco Giorgio & c. e della Ditta Cantine F.lli
Tombacco,  di Lupi Walter e dell'E.N.I. s.p.a. - Divisione Refining &
Marketing;
Udito  nella  Camera  di  consiglio  del  12 dicembre 2007 il giudice
relatore Alfonso Quaranta.
Ritenuto che, con le ordinanze in epigrafe i Tribunali amministrativi
regionali del Veneto, della Campania, sede di Napoli, della Calabria,
sede di Catanzaro, della Liguria e della Sicilia, sezione staccata di
Catania,  hanno  sollevato  -  in  riferimento,  nel  complesso, agli
articoli 3, 24, 25, 111, 113 e 125 della Costituzione, e all'articolo
23 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione
dello  statuto  della  Regione  siciliana),  convertito  dalla  legge
costituzionale  26  febbraio  1948,  n. 2  (parametro,  quest'ultimo,
evocato  solo  dal  Tribunale amministrativo regionale della Sicilia,
sezione   staccata   di   Catania)   -   questioni   di  legittimita'
costituzionale dell'articolo 3, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater (norma,
quest'ultima,   censurata   da   tutti   i  rimettenti  salvo  quello
calabrese),  del  decreto-legge  30  novembre  2005,  n. 245  (Misure
straordinarie  per  fronteggiare  l'emergenza nel settore dei rifiuti
nella  regione  Campania  ed  ulteriori  disposizioni  in  materia di
protezione   civile),   commi   aggiunti   dalla  relativa  legge  di
conversione 27 gennaio 2006, n. 21;
     che,  in  particolare, il Tribunale amministrativo regionale del
Veneto  dubita  della  legittimita' costituzionale dei predetti commi
2-bis,  2-ter  e  2-quater, ipotizzando che essi violino gli artt. 3,
24, 111, 113 e 125 Cost.;
     che  il  giudice  a quo premette, nella prima delle ordinanze di
rimessione  (r.o.  n. 392  del  2006), di essere chiamato a conoscere
dell'impugnativa proposta, dal proprietario di alcuni terreni ubicati
nel  Comune  di  Magliano  Veneto, avverso taluni provvedimenti - ivi
compresi,   peraltro,   gli   atti  presupposti,  nonche'  quello  di
occupazione  d'urgenza dei suddetti terreni - adottati nell'ambito di
un  procedimento  di espropriazione, finalizzato alla costruzione del
cosiddetto  passante  autostradale  di  Mestre,  posto  in essere dal
Commissario   delegato   per   l'emergenza   socio-ambientale   della
viabilita' di Mestre;
     che  cio'  premesso,  il  giudice  rimettente evidenzia che tale
impugnativa   dovrebbe   essere  definita,  proprio  ai  sensi  delle
censurate  disposizioni,  mediante  una  decisione che dichiari «tout
court  inammissibile il ricorso», ai sensi dell'art. 26 della legge 6
dicembre  1971,  n. 1034  (Istituzione  dei  Tribunali amministrativi
regionali);
     che  la  disciplina processuale recata dalle norme censurate (ed
applicabile  «anche  ai  processi  in  corso»,  come  prescritto,  in
particolare, dal comma 2-quater) comporta - evidenzia il rimettente -
lo  spostamento di competenza, in favore del Tribunale amministrativo
regionale del Lazio, sede di Roma, di controversie del tipo di quella
oggetto  del  giudizio  principale,  e cioe' di quelle nelle quali si
discuta  della  legittimita'  delle  ordinanze  e  dei consequenziali
provvedimenti  commissariali  adottati  in  «tutte»  le situazioni di
emergenza  dichiarate  ai  sensi dell'art. 5, comma 1, della legge 24
febbraio  1992,  n. 225  (Istituzione  del  Servizio  nazionale della
protezione civile);
     che,  difatti,  sebbene dai lavori preparatori della legge n. 21
del  2006 - la quale, nel convertire in legge il decreto-legge n. 245
del  2005,  ha  inserito  nel  testo  dell'art. 3 i commi censurati -
parrebbe  emergere  l'intento del Governo di «limitare lo spostamento
di  competenza  giurisdizionale alle sole situazioni emergenziali dei
rifiuti  in  Campania»,  la  formulazione  letterale  delle censurate
disposizioni   suggerisce   la   «valenza  generale»  della  disposta
translatio iudicii
;
     che  tanto osservato in via preliminare circa la rilevanza della
sollevata  questione  di  legittimita'  costituzionale, quanto invece
alla   non  manifesta  infondatezza,  assume  il  rimettente  che  le
disposizioni  censurate  siano  «in  contrasto  con  l'art. 125 della
Costituzione,  e  segnatamente  con  il principio del decentramento e
dell'articolazione   su   base  regionale  degli  organi  statali  di
giustizia amministrativa di primo grado», oltre che «col principio di
ragionevolezza desumibile dall'art. 3 Cost.»;
     che  ai  sensi,  infatti,  del  primo  dei  richiamati parametri
costituzionali,  del  quale  costituirebbe  attuazione  il sistema di
riparto  delle controversie tra i differenti tribunali amministrativi
regionali  delineato  dalla  legge  n. 1034  del  1971,  si  dovrebbe
ritenere  che  la sfera di competenza di questi ultimi sia oggetto di
garanzia   costituzionale,   non   suscettibile,  dunque,  di  deroga
allorquando  (come  nella specie) «le singole situazioni di emergenza
abbiano rilievo esclusivamente locale»;
     che,   d'altra   parte,  tale  deroga  neppure  potrebbe  essere
giustificata  «facendo  ricorso all'argomento che il tribunale locale
sarebbe troppo sensibile ed esposto alle tensioni che possono sorgere
presso la popolazione locale, derivanti dagli eventi emergenziali»;
     che,  difatti,  tale  esigenza - anche a prescindere dal rilievo
secondo cui la soluzione legislativa della translatio iudicii
si  presenta non idonea a soddisfarla, nell'ipotesi di «situazioni di
emergenza  riguardanti la Regione Lazio» - dovrebbe poter essere piu'
adeguatamente   soddisfatta  attraverso  «rimedi,  di  carattere  non
generale ed assoluto ma da applicarsi caso per caso ed in relazione a
situazioni   contingenti»,   come,   ad  esempio,  accadrebbe  se  lo
spostamento  di competenza «fosse concepito e disciplinato similmente
alla fattispecie di rimessione del processo», previsto dagli artt. 45
e seguenti del codice di procedura penale;
     che la ratio
della  disciplina  censurata  non  potrebbe  neppure ravvisarsi nella
volonta'  «di  assicurare  un sistema piu' "rafforzato" di protezione
civile»,  atteso  che tale obiettivo sembra essere gia' efficacemente
garantito  dall'applicazione,  ai processi de quibus, delle «norme di
accelerazione»  di  cui  agli  artt.  23-bis  e  seguenti della legge
n. 1034 del 1971;
     che sarebbe, pertanto, evidente - a dire del giudice a quo - che
il   sistema   delineato   dalle   norme  in  contestazione  realizza
«un'asimmetria»  tra  il Tribunale amministrativo «centrale» e quelli
«periferici»,  dando  vita  ad  un  sistema  di  distribuzione  delle
controversie  «che  va  ben oltre l'attuale criterio di riparto delle
competenze  basato  sull'efficacia  (regionale  o ultraregionale) dei
provvedimenti  delle  autorita' centrali dello Stato», presentandosi,
cosi',  «irrazionale  ed  incompatibile con il dettato costituzionale
dell'art. 125 Cost.»;
     che  ulteriori profili di irragionevolezza consisterebbero, poi,
nel  fatto  che «lo spostamento delle competenza su questa materia e'
irrazionalmente  solo parziale», giacche' «riguarda le ordinanze ed i
consequenziali   provvedimenti   commissariali,   ma  non  i  decreti
governativi   che   dichiarano   lo  stato  di  emergenza»,  e  nella
circostanza  che  il Tribunale amministrativo regionale del Lazio (ai
sensi  del  censurato  comma 2-quater) «non assume soltanto una nuova
competenza   funzionale   esclusiva   di   primo   grado,  ma  sembra
configurarsi  anche  come  vero  e  proprio  giudice di appello sulle
decisioni  cautelari di un tribunale periferico, potendo "modificare"
o "revocare" le misure cautelari da questo concesse»;
     che  dubbi, infine, sono avanzati anche in relazione alla scelta
di  imporre  la  pronuncia  declinatoria  di  competenza con sentenza
succintamente  motivata ai sensi dell'art. 26 della legge n. 1034 del
1971  (rientrando la sua adozione, invece, nella discrezionalita' del
giudicante), ed in ordine alla permanenza dell'efficacia delle misure
cautelari   adottate   da   un   tribunale  amministrativo  regionale
dichiaratosi  incompetente,  allorche'  il relativo ricorso non venga
riproposto innanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio;
     che, inoltre, la prevista translatio iudicii
recherebbe  «grave  disagio  ai  ricorrenti»,  comportando anche «una
violazione  degli  artt. 24 e 113 della Costituzione», e cio' «per la
maggiore difficolta' e i maggiori costi» dagli stessi sopportati, con
conseguente  riduzione  delle  «possibilita'  di  tutela  dei diritti
soggettivi e degli interessi legittimi»;
     che,  infine,  si  ipotizza  che la «concentrazione» di tutte le
controversie de quibus
presso  lo  stesso giudice «potrebbe influire negativamente sui tempi
dei   processi»,   in   contrasto  con  il  principio  della  "durata
ragionevole" (art. 111, primo comma, Cost.);
     che  il  medesimo Tribunale amministrativo regionale del Veneto,
con  le  altre  sette ordinanze di rimessione, ha sollevato identiche
questioni  di  legittimita'  costituzionale,  premettendo  di  essere
investito - anche in ciascuno di tali ulteriori giudizi (salvo quello
nel  corso  del  quale  e' stata adottata l'ordinanza r.o. n. 398 del
2006) - delle impugnative proposte avverso taluni provvedimenti - ivi
compresi,  peraltro,  gli  atti presupposti - adottati nell'ambito di
procedimenti   di  espropriazione,  del  pari  posti  in  essere  dal
Commissario   delegato   per   l'emergenza   socio-ambientale   della
viabilita'  di  Mestre  e  sempre  finalizzati alla realizzazione del
cosiddetto passante autostradale di Mestre;
     che   oggetto,   invece,   del   giudizio   principale   di  cui
all'ordinanza  r.o.  n. 398  del  2006  e'  l'impugnativa dei decreti
emessi  dal  Commissario  delegato  per  l'emergenza  socio economico
ambientale  relativa  ai  canali portuali di grande navigazione della
laguna  di Venezia, nonche' degli atti connessi, relativi a procedura
negoziata accelerata per il disinquinamento dei canali;
     che  in  tutti  questi casi, comunque, venendo in rilievo sempre
l'esercizio dei poteri emergenziali di cui all'art. 5, comma 1, della
legge  n. 225  del 1992, trova applicazione la disciplina processuale
oggetto  dei  censurati commi 2-bis, 2-ter e 2-quater dell'art. 3 del
d.l. n. 245 del 2005, donde la rilevanza, nei giudizi a quibus
, del dubbio di costituzionalita' concernente tali norme;
     che  anche il Tribunale amministrativo regionale della Campania,
sede  di  Napoli  (r.o.  nn.  95, 431, 432, 433, 650 e 651 del 2007),
censura  i  predetti  commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, ipotizzandone il
contrasto, nel complesso, con gli artt. 3, 24, 25, 113 e 125 Cost.;
     che  nel primo dei provvedimenti da esso pronunciato (r.o. n. 95
del  2007),  il  rimettente  napoletano  evidenzia di dover giudicare
della  legittimita' di atti relativi alla esecuzione di interventi di
bonifica,   adottati   dal   Commissario   delegato   a  fronteggiare
l'emergenza,  verificatosi  nella  Regione  Campania, nel settore dei
rifiuti, delle bonifiche e della tutela delle acque;
     che  nelle  more  del giudizio principale, tuttavia, per effetto
della   sopravvenienza   della   disciplina  recata  dalle  censurate
disposizioni, competente a conoscere tale controversia e' divenuto il
Tribunale  amministrativo  regionale  del  Lazio,  sede  di  Roma, di
talche'   il   giudice  a  quo  -  come  dallo  stesso  espressamente
riconosciuto - dovrebbe definire il processo pendente innanzi ad esso
«con sentenza dichiarativa di incompetenza»;
     che reputa, pero', il rimettente di dover sollevare questione di
legittimita'   costituzionale  dei  predetti  commi  2-bis,  2-ter  e
2-quater, in riferimento agli artt. 3 e 25 Cost.;
     che in ordine, in particolare, al primo di tali parametri, viene
evidenziato   come   la   nuova   disciplina   dia   luogo  -  quanto
all'identificazione  del  giudice  di  primo  grado  territorialmente
competente  -  ad una «ingiustificata disparita' di trattamento tra i
destinatari di provvedimenti ad efficacia infraregionale (come quelli
oggetto del presente giudizio) emanati dai commissari per l'emergenza
delegati  localmente»,  ed  «i  destinatari di analoghi provvedimenti
emanati da altre autorita', che permangono assoggettati agli ordinari
criteri  di  riparto  dettati in via generale dagli artt. 2 e 3 della
legge  6  dicembre  1971,  n. 1034,  ancorche'  assumano carattere di
emergenza  e  siano adottati in situazioni di eccezionale pericolo da
altre autorita»;
     che  sotto  il  profilo sostanziale, prosegue il rimettente, «la
deroga  agli  ordinari  canoni  di  riparto  tra  i diversi tribunali
amministrativi  regionali»  si  risolverebbe,  nella  specie, «in una
manifesta   violazione   di  quel  principio  di  ragionevolezza  che
costituisce  limite  alla  discrezionalita' legislativa in materia di
competenza territoriale»;
     che   tale   deroga   non   potrebbe   essere   giustificata  in
considerazione   «della   rilevanza   degli  interessi  sottesi  alla
situazione  di  emergenza  nel  cui  ambito  si  iscrivono  gli  atti
commissariali», ne' tanto meno in ragione di «un presunto sospetto in
ordine  ad  un  eventuale  condizionamento  ambientale  del tribunale
amministrativo locale»;
     che,   difatti,  problemi  come  quelli  da  ultimo  evidenziati
«trovano soluzione con altri sistemi di spostamento della competenza»
(e'  citato,  a  titolo  di esempio, quello previsto dall'art. 11 del
codice   di   procedura   penale)  i  quali,  di  regola,  «escludono
l'accentramento di tutte le controversie innanzi ad un unico organo»;
     che  un «ulteriore segno sintomatico» della irrazionalita' della
nuova  disciplina  sarebbe, infine, costituito dal fatto che estranee
alla prevista translatio iudicii
sono  le controversie «conseguenti la dichiarazione di emergenza e la
nomina del Commissario delegato»;
     che  e'  ipotizzata,  inoltre, la violazione dell'art. 25, primo
comma,  Cost.,  atteso  che  il  rimettente  - nel premettere come la
formula  «giudice  naturale  precostituito per legge» non costituisca
«un'endiadi», rendendo, viceversa, necessario «che la precostituzione
del  giudice  ad  opera  del  legislatore  avvenga nel rispetto di un
principio  di  naturalita', nel senso di razionale maggiore idoneita'
del  giudice rispetto alla risoluzione di determinate controversie» -
esclude  che  l'evenienza  da  ultimo  descritta  ricorra nel caso di
specie;
     che  a suo dire, difatti, la disciplina introdotta dal censurato
comma  2-bis  dell'art.  3  non sarebbe sorretta da alcuna plausibile
giustificazione  logica, giacche' fondata su «situazioni di emergenza
aventi  rilievo  esclusivamente  locale, con riferimento ad interessi
sostanziali pure di ambito strettamente locale»;
     che  la  violazione di quegli stessi parametri costituzionali e'
ipotizzata,  inoltre,  con riferimento alla scelta del legislatore di
estendere  la  nuova  disciplina  processuale  «anche  ai processi in
corso»,  stabilendo  che  l'incompetenza del tribunale amministrativo
regionale originariamente adito debba «essere rilevata d'ufficio»;
     che,  difatti,  con  tale scelta il legislatore avrebbe non solo
violato,  nuovamente,  il principio della precostituzione del giudice
(il  quale  esige  che  «la  norma  regolatrice  della competenza sia
prefissata  rispetto  all'insorgere  della controversia»), ma avrebbe
vieppiu'  palesato  «il  carattere  irragionevole  ed ingiustificato»
della  nuova  disciplina, giacche' essa «affida alla nuova competenza
accentrata anche le cause in corso»;
     che con tre successive ordinanze (r.o. numeri 432, 433 e 650 del
2007)  il  Tribunale amministrativo regionale della Campania, sede di
Napoli,  ha  proposto  questioni  di  legittimita' costituzionale del
tutto  analoghe  a  quelle  appena  illustrate,  premettendo di dover
conoscere,  anche  in  relazione  ai giudizi nel corso dei quali tali
provvedimenti  di  rimessione  risultano  adottati, dell'esercizio di
poteri emergenziali;
     che,  infatti,  nel  primo  caso,  il  rimettente  e' chiamato a
giudicare  della legittimita' degli atti con i quali la ricorrente e'
stata   esclusa   dalla   gara   per   l'affidamento  dei  lavori  di
completamento  della rete fognaria del Comune di San Valentino Torio,
gara  indetta  dal  Commissario  delegato  per  l'emergenza economico
ambientale  del  bacino  idrografico del fiume Sarno, negli altri due
casi risultando investito dalla cognizione di controversie relative a
provvedimenti  del  Commissario  delegato  per l'emergenza rifiuti in
Campania, dovendo in particolare conoscere dell'impugnativa proposta,
nell'un  caso, avverso atti con i quali il predetto Commissario aveva
diffidato  il ricorrente nel giudizio a quo a presentare una proposta
di  recupero  della  cava  di  calcare,  sita presso il Comune di San
Potito,  in  conformita'  alle norme del piano di recupero ambientale
approvato   con  apposita  ordinanza  commissariale,  e,  nell'altro,
avverso  l'atto  di  retrocessione  del  fondo  di  proprieta'  della
ricorrente,   gia'   oggetto   di  occupazione  temporanea  d'urgenza
finalizzata alla realizzazione di una discarica;
     che  con  l'ordinanza r.o. n. 431 del 2007 il medesimo Tribunale
amministrativo  regionale  della  Campania,  sede di Napoli, denuncia
l'illegittimita'  costituzionale  dei  commi 2-bis, 2-ter e 2-quater,
ipotizzandone il contrasto con gli artt. 3, 24, 25 e 125 Cost.;
     che  chiamato  a  giudicare della legittimita' del provvedimento
attributivo  delle  funzioni  di direzione dei lavori per le opere di
completamento della rete fognaria del Comune di Corbara, adottato dal
Commissario  delegato per l'emergenza economico ambientale del bacino
idrografico  del  fiume  Sarno,  il rimettente ha sollevato d'ufficio
l'indicata  questione  di  legittimita'  costituzionale,  ritenendone
«palese»  la  rilevanza,  atteso  che  ai  sensi  della  sopravvenuta
disciplina  processuale, applicabile anche ai processi in corso, esso
dovrebbe  «dichiarare  la  improcedibilita'  del ricorso con sentenza
succintamente motivata, stante la propria incompetenza»;
     che  il  giudice  a  quo  reputa,  tuttavia,  tale disciplina in
contrasto,  innanzitutto,  con  l'art.  3 Cost. «per la disparita' di
trattamento  che  la  deroga  alle  ordinarie regole di riparto delle
competenze  comporta,  per la tutela giurisdizionale delle rispettive
situazioni giuridiche, tra soggetti in situazioni eguali»;
     che,  difatti,  risulterebbero  assoggettati  ad  un trattamento
differenziato  i  «destinatari  delle ordinanze adottate dagli organi
governativi o dai commissari delegati, nelle situazioni di dichiarata
emergenza,  eventi  efficacia limitata al territorio di una Regione»,
rispetto  ai  «destinatari dei provvedimenti, aventi lo stesso ambito
di  efficacia,  adottati,  in  via  ordinaria», e posti in essere, in
genere,  «dagli  organi esponenziali di enti territoriali regionali o
sub regionali»;
     che,   in   definitiva,   osserva  il  giudice  a  quo,  «mentre
l'impugnazione   dei   provvedimenti  adottati  nell'esercizio  delle
ordinarie attribuzioni rientra nella competenza del TAR regionale del
luogo  ove i provvedimenti hanno incidenza», in caso di dichiarazione
della  situazione  di  emergenza ai sensi dell'art. 5, comma 1, della
legge  n. 225  del  1992,  la cognizione a conoscere di quegli stessi
provvedimenti,  sebbene  «volti  alla  cura dei medesimi interessi» e
quindi  «idonei  a  produrre le medesime conseguenze, eventualmente a
comprimere   uguali   posizioni   soggettive»,  spetta  al  Tribunale
amministrativo regionale del Lazio;
     che,   d'altra   parte,  tale  diversita'  non  potrebbe  essere
giustificata   «dalla  maggiore  o  minore  rilevanza  dell'interesse
sotteso  ai provvedimenti» in questione, in quanto il vigente sistema
di  giustizia  amministrativa  non  contempla  una  distribuzione  di
competenza  tra  gli organi giurisdizionali di primo grado fondata su
un  simile  criterio,  che  sarebbe, oltretutto, «in contrasto con le
disposizioni  costituzionali» (segnatamente con l'art. 125 Cost.) che
li «pongono su un piano paritario»;
     che,  inoltre,  decisiva - nella stessa prospettiva - sarebbe la
circostanza  che  le  situazioni di emergenza di cui all'art. 5 della
legge  n. 225  del  1992  «non  si  caratterizzano per il particolare
rilievo  dell'interesse  considerato», bensi' soltanto «per l'urgenza
di provvedere»;
     che,  infine,  conclude sul punto il rimettente, le disposizioni
censurate  non  possono, neppure in ipotesi, trovare fondamento nella
pretesa  maggiore  rilevanza  dell'interesse curato, come conferma il
fatto  che  il peculiare regime processuale da esse previsto riguarda
unicamente   le  ordinanze  e  gli  atti  commissariali  adottati  in
situazioni  emergenziali, «ma non i provvedimenti che tali situazioni
di   emergenza   dichiarino»,   cio'   che,  pertanto,  rivela  anche
l'irragionevolezza   del   «disegno   complessivo»   realizzato   dal
legislatore;
     che  a giustificazione della scelta legislativa - e quindi della
deroga  introdotta all'ordinario criterio di riparto della competenza
territoriale  tra  tribunali  amministrativi regionali previsto dagli
artt.  2  e  3  della  legge  n. 1034  del  1971 - neppure potrebbero
invocarsi  ragioni analoghe a quelle valorizzate dalla sentenza della
Corte  costituzionale  n. 189  del  1992  con riferimento al disposto
dell'art. 4 della legge 12 aprile 1990, n. 74, recante «Modifica alle
norme  sul  sistema  elettorale  e  sul  funzionamento  del Consiglio
superiore   della   magistratura»  (ed  individuate  nella  peculiare
posizione costituzionale del Consiglio superiore della magistratura),
dovendo,  invece,  riconoscersi  che  la  disciplina  contestata «non
appare  supportata  da alcuna plausibile ragione, dotata di copertura
costituzionale»;
     che  deduce,  altresi', il rimettente la violazione dell'art. 24
Cost.,  «per  la  evidente  maggiore  difficolta'  di  esercitare  le
relative  azioni  presso  il  Tar  del Lazio piuttosto che presso gli
organi giurisdizionali localmente istituiti»;
     che  il rimettente, pur conscio che «la fattispecie in esame sia
diversa  da  quella  oggetto  della  citata  pronuncia», richiama, in
proposito, la sentenza della Corte costituzionale n. 123 del 1987, la
quale   -  sul  presupposto  dell'accertata  violazione  del  «valore
costituzionale  del diritto di agire, in quanto implicante il diritto
del  cittadino  ad  ottenere  una  decisione nel merito senza onerose
reiterazioni»  - ebbe a dichiarare l'illegittimita' costituzionale di
una disposizione che imponeva l'estinzione ope legis
di giudizi pendenti, in qualsiasi stato e grado gli stessi si fossero
trovati alla data di entrata in vigore della disposizione stessa;
     che, a suo dire, in modo non del tutto dissimile, anche le norme
censurate  impongono  a  chi  abbia gia' incardinato il giudizio, «ed
addirittura  abbia  ottenuto una decisione cautelare», di «proseguire
altrove la propria iniziativa giudiziaria»;
     che  assume, inoltre, il rimettente «la violazione del principio
del  giudice  naturale  precostituito  per  legge, di cui all'art. 25
della  Costituzione»,  il  quale  esclude  «che  vi  possa essere una
designazione  tanto da parte del legislatore con norme singolari, che
deroghino  a  regole  generali, quanto da altri soggetti, dopo che la
controversia  sia  insorta»,  esigendo,  invece,  che  «la  regola di
competenza sia prefissata rispetto all'insorgere della controversia»;
     che  e' ipotizzato, da ultimo, anche il contrasto con l'art. 125
Cost.,  il quale «esprimendo il principio della articolazione su base
regionale  degli  organi statali di giustizia amministrativa, implica
conseguentemente  il rilievo e la garanzia costituzionale della sfera
di  competenza degli stessi», sfera di competenza «che non ha ragione
di  subire  deroghe  nella materia di cui trattasi, in cui le singole
situazioni  di  emergenza  hanno  rilievo  spiccatamente  locale, con
conseguente    efficacia    territoriale    limitata   dei   relativi
provvedimenti  adottati  da  soggetti  delegati alla cura delle varie
situazioni emergenziali»;
     che,  infine,  sempre  il rimettente napoletano, con l'ordinanza
r.o.  n. 651  del  2007,  censura  la disciplina processuale in esame
assumendone la contrarieta' agli artt. 3, 24, 25 113 e 125 Cost.;
     che in punto di fatto il giudice a quo deduce di dover conoscere
dell'impugnativa  proposta avverso l'ordinanza con cui il Sindaco del
Comune  di  Napoli  -  nella qualita' di Commissario delegato per gli
interventi  di  emergenza connessi al consolidamento del sottosuolo e
dei  versanti della citta' di Napoli - ha ingiunto alla ricorrente il
pagamento di una somma di danaro necessaria per ovviare allo stato di
pericolo riscontrato sul costone tufaceo di proprieta' della stessa;
     che  troverebbe  pertanto  applicazione,  nel caso di specie, la
disciplina di cui ai censurati commi 2-bis, 2-ter e 2-quater;
     che tale disciplina, pero', derogherebbe ingiustificatamente «al
normale  criterio di riparto della competenza per territorio dinnanzi
al  giudice amministrativo di primo grado stabilito dagli artt. 2 e 3
della  legge n. 1034 del 1971», in quanto le situazioni di emergenza,
dichiarate  ai  sensi  dell'art.  5,  comma 1, della legge n. 225 del
1992,  «si  caratterizzano  nella  quasi  totalita'  dei casi» (ed in
particolare,  «pacificamente»,  in quello oggetto del giudizio a quo)
«per   essere   spazialmente   delimitate»,   di   talche'   anche  i
provvedimenti emanati nell'esercizio dei poteri extra ordinem
,  conferiti  per fronteggiare tali situazioni, presentano «un ambito
di   efficacia  spaziale  territorialmente  delimitato  a  dimensione
infraregionale»;
     che  assume,  poi,  il rimettente che tale deroga alla ordinaria
disciplina  sulla competenza «si traduce in un aggravio significativo
nella  tutela del cittadino» (atteso che lo stesso, per effetto della
translatio iudicii
,  «si  vede  gravato  di  oneri  economici  e  logistici sicuramente
maggiori» di quelli che deve normalmente affrontare), ponendosi anche
«come   una  differenziazione  limitativa  del  regime  ordinario  di
impugnabilita'   degli   atti»   che   «ridonda   in   disparita'  di
trattamento», donde l'ipotizzata violazione anche degli artt. 113 e 3
della Costituzione;
     che,  inoltre,  il  censurato comma 2-bis dell'art. 3 violerebbe
anche  l'art.  25,  primo comma, Cost., sebbene essa «sembri obbedire
formalmente  al  criterio della precostituzione per legge del giudice
competente»;
     che,  difatti,  la  «generalizzazione  a priori» di una sorta di
«legittima   suspicione   derogatoria   della  competenza  ordinaria»
finirebbe   per   alterare   «la   regola  fondamentale  del  diritto
processuale  per  cui  il  sospetto di condizionamento del giudice va
verificato  nel  singolo caso concreto come eccezione che conferma la
regola  di  competenza  territoriale»,  senza  poi  trascurare che la
formula  «giudice naturale precostituito per legge» non costituirebbe
«un'endiadi»,  rendendo,  dunque,  necessario «che la precostituzione
del  giudice  ad  opera  del  legislatore  avvenga nel rispetto di un
principio  di  naturalita', nel senso di razionale maggiore idoneita'
del giudice rispetto alla risoluzione di determinate controversie»;
     che,  tuttavia, l'evenienza da ultimo descritta non ricorrerebbe
nel caso di specie, atteso che la disciplina introdotta dal censurato
comma  2-bis  dell'art.  3  «non  e'  sorretta  da  alcuna plausibile
giustificazione   logica,   ne'   tanto   meno  appare  diretta  alla
salvaguardia   di   valori   costituzionalmente   protetti   tali  da
giustificare  la  compressione  di  quelli,  sopra  enunciati, che ne
risultano pregiudicati»;
     che  nel  sistema  della  giustizia amministrativa - prosegue il
rimettente - «non esiste una differenziazione tra i diversi tribunali
amministrativi  regionali  in  dipendenza  della  maggiore  o  minore
rilevanza dell'interesse sotteso al provvedimento impugnato»;
     che,  per  contro, il ricorso al «metodo dall'allontanamento dal
territorio delle controversie che in esso si sono generate» - seguito
dalla censurata disposizione - si pone in contrasto, oltre che con il
principio  del  «giudice  naturale», anche con l'art. 125 della Carta
fondamentale,  «che esprime un profilo attuativo degli artt. 24 e 113
della   Costituzione   nel  senso  dell'apprestamento  di  organi  di
giustizia  amministrativa  di  primo grado distribuiti sul territorio
secondo   un  criterio  di  vicinanza  e  di  accessibilita'  per  il
cittadino»;
     che  anche il Tribunale amministrativo regionale della Calabria,
sede  di  Catanzaro,  con  tre  ordinanze  di rimessione censura - in
riferimento  agli artt. 3, 24, 111 e 125 Cost. - i soli commi 2-bis e
2-ter  dell'art.  3  del decreto-legge n. 245 del 2005, ipotizzandone
l'illegittimita' «nella parte in cui prevedono la competenza in primo
grado,  esclusiva  ed inderogabile, estesa anche ai giudizi in corso,
del  Tribunale  amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, sui
ricorsi   giurisdizionali   proposti   avverso   le  ordinanze  ed  i
provvedimenti  adottati  nell'ambito  delle  situazioni  di emergenza
dichiarate  ai  sensi  dell'art.  5, comma 1, della legge 24 febbraio
1992, n. 225»;
     che, in punto di fatto, il rimettente premette che l'oggetto dei
giudizi    principali    e'   costituito,   nei   primi   due   casi,
dall'impugnativa delle ordinanze con le quali il Commissario delegato
per  l'emergenza  ambientale nel territorio della Regione Calabria ha
annullato,   in   via   di   autotutela,   una  precedente  ordinanza
commissariale   (r.o.   n. 217  del  2007),  ovvero  ha  nominato  un
commissario ad acta
per il recupero della tariffa per il servizio della depurazione delle
acque  presso  il Comune di Cicala, impugnativa questa seconda estesa
ad  «ogni  atto  presupposto, connesso o dipendente» (r.o. n. 218 del
2007);
     che, invece, nel terzo caso (r.o. n. 655 del 2007) l'impugnativa
concerne   una   nota  (e  con  essa  «ogni  altro  atto  prodromico,
consequenziale e comunque connesso») emessa dal medesimo Commissario,
con  la  quale  si e' ingiunto alla ricorrente interventi di messa in
sicurezza di emergenza e bonifiche di ripristino ambientale;
     che  cio'  premesso,  il  rimettente  ipotizza, innanzitutto, la
violazione  dell'art.  3 Cost., «per la disparita' di trattamento che
la deroga alle ordinarie regole di riparto delle competenze comporta,
per la tutela giurisdizionale delle rispettive situazioni giuridiche,
tra soggetti in situazioni eguali»;
     che,   difatti,   risultano   assoggettati   ad  un  trattamento
differenziato  i  «destinatari  delle ordinanze adottate dagli organi
governativi o dai commissari delegati, nelle situazioni di dichiarata
emergenza,  aventi  efficacia limitata al territorio di una Regione»,
rispetto  ai  «destinatari dei provvedimenti, aventi lo stesso ambito
di  efficacia,  adottati,  in  via  ordinaria», e posti in essere, in
genere,  «dagli  organi esponenziali di enti territoriali regionali o
sub regionali»;
     che,   in   definitiva,   osserva  il  giudice  a  quo,  «mentre
l'impugnazione   dei   provvedimenti  adottati  nell'esercizio  delle
ordinarie attribuzioni rientra nella competenza del TAR regionale del
luogo  ove i provvedimenti hanno incidenza», in caso di dichiarazione
della  situazione  di  emergenza ai sensi dell'art. 5, comma 1, della
legge  n. 225  del  1992,  la cognizione a conoscere di quegli stessi
provvedimenti,  sebbene  «volti  alla  cura dei medesimi interessi» e
quindi  «idonei  a  produrre le medesime conseguenze, eventualmente a
comprimere   uguali   posizioni   soggettive»,  spetta  al  Tribunale
amministrativo regionale del Lazio;
     che  tale  diversita'  non  potrebbe  essere giustificata «dalla
maggiore  o minore rilevanza dell'interesse sotteso ai provvedimenti»
in questione, in quanto il nostro sistema di giustizia amministrativa
non   contempla  una  distribuzione  di  competenza  tra  gli  organi
giurisdizionali  di  primo  grado  fondata su un simile criterio, che
sarebbe,    oltretutto,    «in    contrasto   con   le   disposizioni
costituzionali»  (segnatamente  con l'art. 125 Cost.) che li «pongono
su un piano paritario»;
     che,  inoltre,  decisivo  - nella stessa prospettiva - appare il
rilievo  che le situazioni di emergenza di cui all'art. 5 della legge
n. 225  del  1992  «non  si caratterizzano per il particolare rilievo
dell'interesse   considerato»,  bensi'  soltanto  «per  l'urgenza  di
provvedere»;
     che,   del   resto,   conclude   sul  punto  il  rimettente,  le
disposizioni  censurate  non  possono,  neppure  in  ipotesi, trovare
fondamento  nella  pretesa  maggiore rilevanza dell'interesse curato,
come  conferma  il  fatto che il peculiare regime processuale da esse
previsto  riguarda  unicamente  le ordinanze e gli atti commissariali
adottati in situazioni emergenziali, «ma non i provvedimenti che tali
situazioni di emergenza dichiarino», cio' che, pertanto, rivela anche
l'irragionevolezza   del   «disegno   complessivo»   realizzato   dal
legislatore;
     che  a  giustificazione  di tale disegno - e quindi della deroga
introdotta   all'ordinario   criterio  di  riparto  della  competenza
territoriale  tra  tribunali  amministrativi regionali previsto dagli
artt.  2  e  3  della  legge  n. 1034  del  1971 - neppure potrebbero
invocarsi  ragioni analoghe a quelle valorizzate dalla sentenza della
Corte  costituzionale  n. 189  del  1992  con riferimento al disposto
dell'art.  4  della  legge  n. 74  del  1990  (ed  individuate  nella
peculiare  posizione  costituzionale  del  Consiglio  superiore della
magistratura),   dovendo,  invece,  riconoscersi  che  la  disciplina
contestata  «non  appare  supportata  da  alcuna  plausibile ragione,
dotata di copertura costituzionale»;
     che le norme censurate, per contro, violano sia l'art. 24 Cost.,
in  ragione  dell'«ingiustificato aggravio organizzativo e di costi a
cui  debbono  andare  incontro  i  soggetti  incisi dai provvedimenti
impugnati» a causa della prevista translatio iudicii
,  sia  l'art.  125  della  Carta  fondamentale  che, «in sostanziale
coerenza  e continuita' logica» con il precedente art. 24, enuncia il
principio   «del   decentramento   territoriale  della  giurisdizione
amministrativa»  con  riferimento  a tutte le controversie scaturenti
dalla  contestazione  di atti amministrativi «destinati ad esaurire i
propri effetti "in loco"»;
     che  esse,  inoltre,  creano  «una  sorta di gerarchia tra i TAR
territoriali», realizzando anche «un non irrilevante "vulnus
"  del principio generale del "giusto processo", quale desumibile dal
testo novellato dall'art. 111 della Costituzione»;
     che  il Tribunale amministrativo regionale della Liguria censura
anch'esso,  in  riferimento agli artt. 3, 25, 11 e 125 Cost., i commi
2-bis, 2-ter e 2-quater, dell'art. 3 del d.l. n. 245 del 2005;
     che  il  rimettente  premette  di essere chiamato a giudicare la
legittimita' di un'ordinanza, emessa dal Presidente del Consiglio dei
ministri,  nella parte in cui la stessa dispone che al ricorrente nel
giudizio  a  quo  subentri  il Presidente del Consiglio superiore dei
lavori  pubblici, in qualita' di attuatore di incarichi in materia di
protezione civile;
     che ritenendo applicabile anche in relazione a tale controversia
la  summenzionata  disciplina  processuale, il rimettente ne ipotizza
l'illegittimita' costituzionale;
     che  sarebbe  violato,  innanzitutto,  l'art.  125  Cost.,  «che
prevede  l'organizzazione  su  base regionale degli organi statali di
giustizia   amministrativa  di  primo  grado»,  dettando  una  regola
generale  «poi  trasposta»,  sul  piano della legislazione ordinaria,
dagli  artt.  2  e  3  della legge n. 1034 del 1971, che a loro volta
sanciscono  criteri  «generali  e  derogabili  di distribuzione della
competenza  tra  i  tribunali  al  fine di agevolare il ricorso delle
parti alla giustizia amministrativa»;
     che  e'  ipotizzato,  altresi', il contrasto con l'art. 3 Cost.,
giacche'  «l'estrema  latitudine  delle situazioni di emergenza, lato
sensu
riconducibili  alle  ordinanze contingibili ed urgenti» comporterebbe
che  l'ambito  della  deroga  ai  gia' citati artt. 2 e 3 della legge
n. 1034 del 1971 «sia di fatto rimesso alla valutazione discrezionale
che  di  volta  in  volta  l'amministrazione  compia  qualificando il
provvedimento come ordinanza adottata in situazione di emergenza»;
     che le censurate disposizioni, infine, recherebbero un vulnus
al  principio del giudice naturale precostituito per legge (violando,
cosi',  l'art. 25, primo comma, Cost.), contravvenendo anche all'art.
111  Cost.  «sul giusto processo», la cui «portata precettiva» mira a
salvaguardare  anche  «l'effettivita' e la celerita' apprestata dalla
tutela cautelare», compromessa invece, nel caso di specie, almeno con
riferimento al «regime transitorio di cui al comma 2-quater»;
     che,  infine,  anche il Tribunale amministrativo regionale della
Sicilia,  sezione  staccata  di  Catania,  ha  sollevato questione di
legittimita'  costituzionale - con riferimento agli artt. 3, 24, 25 e
125  Cost., e all'art. 23 dello statuto della Regione Siciliana - del
medesimo  art.  3,  commi  2-bis, 2-ter e 2-quater, del decreto-legge
n. 245 del 2005;
     che  il rimettente premette di essere investito dell'impugnativa
di  un'ordinanza  emessa  dal  Commissario  per l'emergenza rifiuti e
tutela  delle acque in Sicilia nella parte in cui approva il progetto
proposto  dalla  societa'  concessionaria per la realizzazione di una
stazione  cosiddetta  di  trasferenza  dei  rifiuti solidi urbani nel
Comune di Caltabiano;
     che,   conseguentemente,  il  giudice  a  quo  deduce  di  dover
«affrontare   d'ufficio   la   questione   relativa  alla  competenza
inderogabile del TAR del Lazio a conoscere la vicenda», in ragione di
quanto stabilito dalla sopravvenuta normativa oggetto di censura;
     che sulla base, difatti, di tale disciplina il rimettente assume
di   dover   dichiarare  il  proprio  difetto  di  competenza,  esito
processuale  al  quale,  tuttavia,  reputa  di  non  dover pervenire,
ipotizzando    l'illegittimita'   costituzionale   delle   previsioni
legislative suddette per violazione degli artt. 3, 24, 25 e 125 Cost.
e dell'art. 23 dello statuto regionale di autonomia;
     che  in  proposito  il  rimettente catanese deduce il contrasto,
innanzitutto,  con l'art. 125 Cost., «e segnatamente con il principio
della  articolazione  su  base  regionale  degli  organi  statali  di
giustizia  amministrativa  di primo grado», principio che implica «il
rilievo  e  la  garanzia costituzionale della sfera di competenza dei
singoli organi predetti»;
     che,  d'altra  parte,  neppure  ricorrono  «sufficienti  ragioni
logiche  o  di  coerenza  istituzionale  per derogare a tale sfera di
competenze  costituzionalmente  garantite», allorche' - come nel caso
di  specie  -  «le  singole  situazioni  di  emergenza  hanno rilievo
spiccatamente  locale  con  conseguente efficacia locale dei relativi
provvedimenti  adottati  dai  soggetti delegati alla cura delle varie
situazioni emergenziali»;
     che,  per  contro,  la  scelta  compiuta  dal legislatore appare
«contraddittoria ed irrazionale», donde l'ipotizzata violazione anche
dell'art.  3  Cost., giacche' essa «sottopone al medesimo trattamento
processuale situazioni disparate e differenti tra loro»;
     che   la   scelta   di  radicare  la  competenza  del  Tribunale
amministrativo  regionale  del Lazio, sede di Roma, riguarda tutte le
ipotesi  in  cui  sia  dichiarato  lo stato di emergenza ai sensi del
comma  1  dell'art. 5 della legge n. 225 del 1992, con esclusione dei
soli  casi  di  intervento  di protezione civile attuabili da singoli
enti o amministrazioni competenti in via ordinaria, ovvero attraverso
il coordinamento delle loro azioni;
     che  sebbene  il sistema della protezione civile sia «articolato
in  vari  livelli  di  intervento, contraddistinti dal corrispondente
grado di ampiezza della situazione emergenziale», nonche' strutturato
in  base  al  principio che esige, «per ogni tipologia territoriale e
"qualitativa"   della  situazione  di  emergenza»,  l'intervento  del
livello  di  governo  «piu'  vicino  alla  concreta  dimensione delle
comunita'  colpite»,  a  tale  «multiformita»  di azione corrisponde,
viceversa,      un     sistema     processuale     che,     derogando
«contraddittoriamente  ed  immotivatamente»  agli  artt.  2 e 3 della
legge  n. 1034  del  1971,«assegna  ex  lege  rilevanza  nazionale  a
qualsiasi   controversia   insorga   nell'esercizio   del  potere  di
protezione civile»;
     che, in altri termini, osserva ancora il giudice rimettente, «il
legislatore,  sul semplice presupposto della necessita' di interventi
di protezione civile extra ordinem
»,  avrebbe  «cristallizzato  una  valutazione di rilevanza nazionale
degli  stessi»,  laddove «possiedono rilievo nazionale "solamente" il
potere  di  dichiarare  lo  stato di emergenza e quello, distinto dal
primo, seppure ad esso finalisticamente connesso, di derogare a norme
dell'ordinamento»,   cio'   che   emergerebbe   -   oltre  che  dalla
giurisprudenza  costituzionale (sono menzionate le sentenze n. 82 del
2006  e  n. 327  del  2003) - da quanto espressamente stabilito dalla
legge  n. 225 del 1992 e dall'art. 107, comma 1, lettere b) e c), del
decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e
compiti  amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali,
in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59),
     che   sarebbe,   dunque,   evidente  la  irragionevolezza  della
disciplina   censurata,   «per  contraddittorieta'  e  disparita'  di
trattamento   processuale»,   giacche'   essa   «utilizza  lo  stesso
trattamento  per  situazioni  del  tutto  differenti quanto ad ambito
territoriale   e   livello   e   qualita'  degli  interessi  pubblici
coinvolti»;
     che  il  rimettente deduce, altresi', la violazione dell'art. 24
Cost.,  «per  la  evidente  maggiore  difficolta'  di  esercitare  le
relative  azioni  presso  il  Tar  del Lazio piuttosto che presso gli
organi   giurisdizionali  localmente  istituiti»,  rilievo  che  vale
identicamente  «sia  per la disciplina transitoria, sia per le future
nuove controversie»;
     che  viene  richiamata,  in  particolare, quella pronuncia della
Corte  costituzionale  (sentenza n. 123 del 1987) che ha riconosciuto
«il  diritto  del cittadino ad ottenere una decisione di merito senza
onerose  reiterazioni»,  osservando  che,  sebbene  la fattispecie in
esame  risulti  diversa  da  quella oggetto della citata sentenza, il
principio  da essa enunciato sarebbe comunque applicabile nel caso di
specie,  poiche' la disciplina processuale in contestazione fa carico
a  «chi  abbia  gia'  un  giudizio pendente davanti al TAR locale, ed
abbia   addirittura  ottenuto  una  decisione  cautelare»,  di  dover
«proseguire altrove nella propria iniziativa giudiziaria»;
     che  e'  ipotizzata, poi, l'incostituzionalita' della disciplina
processuale   denunciata   per   violazione   dell'art.   25   Cost.,
sottolineandosi   come,  ancora  nella  piu'  recente  giurisprudenza
costituzionale,  sia  stato  affermato  che  «alla nozione di giudice
naturale   precostituito  per  legge  non  e'  affatto  estranea  "la
ripartizione  della  competenza  territoriale tra giudici, dettata da
normativa   del  tempo  anteriore  alla  istituzione  del  giudizio"»
(sentenza  n. 41 del 2006, che richiama le sentenze n. 410 del 2005 e
n. 251 del 1986);
     che, pertanto, il rispetto del principio costituzionale ex
art.  25,  primo  comma,  Cost.  escluderebbe che vi possa essere una
designazione  del  giudice  «tanto da parte del legislatore con norme
singolari, che deroghino a regole generali, quanto da altri soggetti,
dopo che la controversia sia insorta», essendo, viceversa, necessario
che  «la  regola  di competenza sia prefissata rispetto all'insorgere
della controversia»;
     che la sussistenza del denunciato profilo di incostituzionalita'
sarebbe   vieppiu'   confermata,   secondo   il   rimettente,   dalla
possibilita' - riconosciuta al Tribunale amministrativo regionale del
Lazio,  sede  di  Roma,  dal comma 2-quater del censurato art. 3 - di
riforma di provvedimenti cautelari gia' assunti dal Tribunale locale,
giacche'   l'esercizio   di  tale  potere  «ad  opera  di  un  organo
giurisdizionale  pariordinato  a quelli di provenienza» costituirebbe
un  «rimedio  inedito,  che non e' di secondo grado e che finisce per
costituire  un  doppione  del  gia' espletato giudizio (cautelare) di
primo  grado, senza alcuna possibilita' di inquadramento tra i rimedi
noti  e  tipizzati  (appello, revocazione, reclamo)», con conseguente
violazione del principio del ne bis in idem
che,    «seppur    non    espressamente   contemplato   dalla   Carta
Costituzionale,  deve  ritenersi  corollario  del  medesimo  generale
principio del "giusto processo"»;
     che  la  previsione,  inoltre, di tale «anomalo percorso», nella
misura in cui «stravolge l'ordinario iter
giudiziario»,  violerebbe  anche  «il  principio  del doppio grado di
giudizio nella giustizia amministrativa» previsto dall'art. 125 Cost.
(integrando,  cosi',  un'ulteriore  violazione  di  tale  parametro),
principio che non consente «una doppia pronuncia sulla stessa materia
da parte di due diversi giudici di primo grado»;
     che  quanto,  infine, alla dedotta violazione dell'art. 23 dello
statuto  regionale  di  autonomia,  la  stessa  risulterebbe evidente
richiamando   quella   interpretazione,  fatta  propria  anche  dalla
giurisprudenza   amministrativa,   secondo  cui  nelle  «controversie
d'interesse  regionale»  -  devolute  dalla norma statutaria suddetta
alla  competenza  del  Consiglio  di  giustizia amministrativa per la
Regione Siciliana (e quindi in primo grado, di riflesso, ai Tribunali
amministrativi  regionali  istituiti  in Sicilia) - debbono ritenersi
ricomprese  quelle  «sorte  da impugnazione di atti amministrativi di
autorita' centrali aventi effetti limitati nel territorio regionale»,
evenienza che ricorrerebbe nel caso di specie;
     che e' intervenuto, in ognuno dei giudizi instauratisi all'esito
delle  diverse  ordinanze  di  rimessione  illustrate  (tranne che in
quello  di  cui al r.o. n. 431 del 2007), il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,   chiedendo   che  le  questioni  sollevate  siano  dichiarate
inammissibili e comunque non fondate;
     che  assume,  in  particolare, la difesa erariale l'infondatezza
della  censura  formulata  ai sensi dell'art. 3 Cost., essendo, a suo
dire,  giustificata  «la  diversita'  della contestata disciplina» in
quanto  espressione  di  una  scelta  legislativa  «non  arbitraria»,
giacche'   assunta   in   funzione  della  ragionevole  «esigenza  di
concentrare  in  un  unico  giudice  di primo grado, anche nella fase
cautelare,  la  pronta  e  uniforme cognizione delle controversie» in
esame,  relative  a  provvedimenti  caratterizzati,  per loro natura,
dalla  finalita'  di realizzare «interventi miranti a fronteggiare, a
protezione  della  collettivita',  situazioni di emergenza, con mezzi
straordinari»;
     che   l'Avvocatura  generale  nega,  inoltre,  che  ricorra  una
«irragionevole  disparita'  di  trattamento (nella individuazione del
giudice  territorialmente  competente)  tra provvedimenti adottati in
via ordinaria e provvedimenti emanati in situazioni di emergenza», ai
sensi  dell'art.  5, comma 1, della legge n. 225 del 1992, «attesa la
evidente disomogeneita' tra le due situazioni poste a raffronto»;
     che  la  difesa  dello Stato, difatti, «giustifica la diversita'
della   contestata   disciplina»,  espressione  di  una  scelta  «non
arbitraria», giacche' assunta in funzione della ragionevole «esigenza
di  concentrare  in un unico giudice di primo grado, anche nella fase
cautelare,  la  pronta  e  uniforme cognizione delle controversie» in
esame,  relative  a  provvedimenti  caratterizzati,  per loro natura,
dalla  finalita'  di  realizzare  «interventi  miranti a fronteggiare
situazioni emergenziali»;
     che,  d'altra  parte,  neppure  si  potrebbe  ipotizzare  che le
disposizioni  censurate  violino l'art. 125 della Carta fondamentale,
in  quanto  questo «non preclude certamente al legislatore statale di
individuare  non  irragionevolmente,  per  determinate "categorie" di
controversie,   particolari   criteri  di  riparto  della  competenza
territoriale tra giudici di primo grado», derogando ai criteri di cui
agli artt. 2 e 3 della legge n. 1034 del 1971;
     che   l'Avvocatura   generale   dello  Stato  esclude,  inoltre,
l'esistenza  del  paventato  contrasto  con gli artt. 24 e 113 Cost.,
atteso che il maggior aggravio ed i piu' rilevanti costi destinati ad
essere  sopportati  dai  destinatari  dei provvedimenti in questione,
oltre  a  costituire  «conseguenze  di  mero  fatto»,  non  integrano
l'evenienza   della   impossibilita'   o   dell'estrema   difficolta'
dell'esercizio   del  diritto  di  difesa,  idonea  a  concretare  la
violazione degli evocati parametri costituzionali;
     che  neppure  potrebbe  ipotizzarsi  -  osserva ancora la difesa
erariale  - la violazione dell'art. 111 Cost, atteso che dalla scelta
di  radicare  presso  il Tribunale amministrativo regionale del Lazio
tutte  le controversie relative all'esercizio dei poteri emergenziali
non  si  puo'  far derivare «come conseguenza necessaria una maggiore
protrazione della durata del giudizio»;
     che,  analogamente,  sarebbe da escludere anche il contrasto con
l'art.  23  dello  statuto  regionale  siciliano,  il  quale  esprime
«soltanto la necessita» che in Sicilia sia istituita «una particolare
articolazione  del  giudice  amministrativo  di secondo grado», e non
implica  anche  il  riconoscimento,  in  suo  favore, di una generale
«competenza  a  conoscere  ogni tipo di controversia», incluse quelle
che  -  come  nella specie - «non hanno alcun rapporto con la materia
regionale»;
     che,  infine,  la  difesa  erariale  nega  che il comma 2-quater
dell'art.  3, nella parte in cui estende la nuova disciplina anche ai
processi  in  corso,  violi il principio del giudice naturale, e cio'
non solo perche' la norma censurata fa in ogni caso (temporaneamente)
salva «l'efficacia dei provvedimenti cautelari eventualmente adottati
dal  giudice  gia'  competente»,  ma  soprattutto perche' la disposta
translatio iudicii
«non   puo'   intendersi  come  diretta  alla  arbitraria  successiva
indicazione di un giudice diverso "appositamente istituito per quella
controversia  e  per  quelle  parti,  con una scelta idonea ad essere
orientata  in  vista  di  un determinato giudizio"», evenienza che la
giurisprudenza costituzionale (e' citata la sentenza n. 460 del 1994)
individuerebbe  come  la  sola  idonea  ad integrare il contrasto con
l'art. 25, primo comma, Cost.;
     che  si e' costituita in taluni dei giudizi che traggono origine
dalle  ordinanze  del Tribunale amministrativo regionale del Veneto -
salvo  quelli  scaturiti  dalle ordinanze r.o. nn. 398, 400 e 670 del
2006 - anche la Regione Veneto, parte dei giudizi a quibus
,   per  chiedere  la  declaratoria  d'infondatezza  della  sollevata
questione di legittimita' costituzionale;
     che,  del  pari,  si  sono  costituite,  nel  giudizio scaturito
dall'ordinanza  di rimessione r.o. n. 397 del 2006 sempre pronunciata
dal rimettente veneto, la societa' Ca' Dese s.a.s. e la Ditta Cantine
F.lli  Tombacco  ricorrenti  del  giudizio  principale,  chiedendo la
declaratoria   di   illegittimita'   costituzionale  delle  censurate
disposizioni;
     che  si  sono  costituiti  nei giudizi conseguenti all'ordinanze
r.o.  n. 250  e  n. 655  del  2007 (pronunciate, rispettivamente, dal
Tribunale  amministrativo  regionale  della Liguria e da quello della
Calabria,  sede  di Catanzaro), il Signor Maurizio Lupi e la societa'
Eni  s.p.a.,  entrambi  ricorrenti  dei giudizi principali, chiedendo
l'accoglimento della questione di legittimita' costituzionale.
Considerato  che  i  Tribunali  amministrativi  regionali del Veneto,
della  Campania,  sede  di Napoli, della Calabria, sede di Catanzaro,
della  Liguria  e  della  Sicilia, sezione staccata di Catania, hanno
sollevato  -  in riferimento, nel complesso, agli articoli 3, 24, 25,
111,  113  e  125  della  Costituzione,  e  all'articolo 23 del regio
decreto  legislativo  15  maggio  1946,  n. 455  (Approvazione  dello
statuto    della   Regione   siciliana),   convertito   dalla   legge
costituzionale  26  febbraio  1948,  n. 2  (parametro,  quest'ultimo,
evocato  solo  dal  Tribunale amministrativo regionale della Sicilia,
sezione   staccata   di   Catania)   -   questioni   di  legittimita'
costituzionale dell'articolo 3, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater (norma,
quest'ultima,   censurata   da   tutti   i  rimettenti  salvo  quello
calabrese),  del  decreto-legge  30  novembre  2005,  n. 245  (Misure
straordinarie  per  fronteggiare  l'emergenza nel settore dei rifiuti
nella  regione  Campania  ed  ulteriori  disposizioni  in  materia di
protezione   civile),   commi   aggiunti   dalla  relativa  legge  di
conversione 27 gennaio 2006, n. 21;
     che,  in  via  preliminare, deve essere disposta la riunione dei
giudizi,  atteso  che  la  loro  comunanza  di  oggetto ne giustifica
l'unitaria trattazione;
     che,  quanto  al  merito  delle  censure  formulate  dal giudice
rimettente,  deve  osservarsi  come questa Corte, con sentenza n. 237
del  2007,  abbia  gia'  escluso  la  fondatezza di analoghi dubbi di
legittimita'   costituzionale   aventi   ad   oggetto  la  disciplina
processuale in contestazione;
     che, in primo luogo, le motivazioni della citata sentenza n. 237
del  2007  possono  essere qui richiamate in relazione all'ipotizzata
violazione   dell'art.   3   Cost.,   prospettata,   adducendo  tanto
l'esistenza  di una supposta «disparita' di trattamento che la deroga
alle  ordinarie  regole  di riparto delle competenze comporta, per la
tutela   delle  rispettive  posizioni  giuridiche,  tra  soggetti  in
situazioni eguali» (giacche' le disposizioni censurate riserverebbero
un  trattamento  ingiustificatamente  differenziato  ai  «destinatari
delle  ordinanze  adottate  dagli organi governativi o dai commissari
delegati,  nelle situazioni di dichiarata emergenza, aventi efficacia
limitata  al  territorio  di una regione, rispetto ai destinatari dei
provvedimenti  aventi lo stesso ambito di efficacia, adottati, in via
ordinaria, dagli organi esponenziali di enti territoriali regionali o
sub  regionali»), quanto l'irragionevolezza della scelta compiuta dal
legislatore, e cio', in definitiva, sotto un duplice profilo, e cioe'
adducendo  che  «lo spostamento della competenza su questa materia e'
irrazionalmente solo parziale», giacche' riguarderebbe unicamente «le
ordinanze  ed  i consequenziali provvedimenti commissariali, ma non i
decreti  governativi  che  dichiarano  lo stato di emergenza», ovvero
rilevando  che  il  Tribunale  regionale amministrativo del Lazio (ai
sensi,  in  particolare,  del  censurato  comma 2-quater) «non assume
soltanto una nuova competenza funzionale esclusiva di primo grado, ma
sembra  configurarsi  anche  come  vero  e proprio giudice di appello
sulle   decisioni  cautelari  di  un  tribunale  periferico,  potendo
"modificare" o "revocare" le misure cautelari da questo concesse»;
     che, tuttavia, in ordine alla presunta disparita' di trattamento
alla  quale  le  norme  in  contestazione sottoporrebbero «situazioni
eguali  di  fronte  alla tutela giurisdizionale», puo' in questa sede
ribadirsi come sia «proprio l'avvenuta dichiarazione della situazione
di emergenza, ex
art.  5,  comma  1,  della  legge  n. 225  del  1992»,  a  costituire
«l'elemento  caratterizzante  la  fattispecie oggetto della censurata
disciplina,   impedendo,   cosi',   di   ravvisare  quel  profilo  di
omogeneita'  tra  tale  ipotesi e quella - con cui essa viene posta a
confronto  -  dell'ordinario  esercizio  dei  poteri amministrativi»,
profilo  che  rappresenta,  invece, «il presupposto indispensabile ai
fini  della  loro  valutazione comparativa» (cosi' la sentenza n. 237
del 2007);
     che  in relazione, invece, al primo dei profili in base ai quali
si ipotizza il difetto di ragionevolezza della contestata disciplina,
questa Corte ha rilevato come i giudici rimettenti «non si sono posti
alla  ricerca  di  una differente interpretazione» che - «sulla base,
peraltro,  della semplice lettera della norma» - consenta di ritenere
sottoposta alla competenza del Tribunale amministrativo regionale del
Lazio «anche l'impugnativa dei provvedimenti dichiarativi dello stato
di emergenza, qualunque sia il loro ambito territoriale di efficacia,
attesa,  tra  l'altro,  la  loro  natura di atti presupposti» (cosi',
nuovamente, la sentenza n. 237 del 2007);
     che, d'altra parte, quanto al secondo profilo dal quale dovrebbe
desumersi,  per taluno dei rimettenti, l'irragionevolezza delle norme
censurate,  e'  sufficiente  rammentare  come questa Corte abbia gia'
evidenziato la possibilita' di interpretare le stesse «in conformita'
con  quanto  previsto  dall'art.  21,  tredicesimo comma, della legge
n. 1034  del  1971; nel senso cioe' che l'efficacia del provvedimento
cautelare  adottato dal Tribunale locale sia destinata a venire meno,
in  tutto  o  in  parte,  non  in forza di una revisione da compiersi
necessariamente  da  parte del Tribunale amministrativo regionale del
Lazio,  il  quale  in  tal  modo  assumerebbe una anomala funzione di
giudice di secondo grado rispetto a provvedimenti emessi da un organo
giurisdizionale  equiordinato,  bensi'  in  forza di una decisione da
prendere    sulla    base   degli   ordinari   presupposti   previsti
dall'ordinamento  del  processo amministrativo per la modificazione o
revoca di precedenti misure cautelari gia' concesse» (sentenza n. 237
del 2007);
     che,  del pari, manifestamente infondata e' la censura sollevata
in riferimento all'art. 24 Cost. e motivata, sostanzialmente da tutti
i rimettenti, in base all'assunto che la translatio iudicii
in favore del Tribunale amministrativo regionale del Lazio violerebbe
«il  diritto  del cittadino ad ottenere una decisione di merito senza
onerose reiterazioni»;
     che,  difatti,  la sentenza n. 237 del 2007 ha osservato come il
denunciato  inconveniente  non  costituisca  un  «grave  ostacolo» al
conseguimento della tutela giurisdizionale, non concretizzando quella
condizione  di  «sostanziale impedimento all'esercizio del diritto di
azione  garantito  dall'art.  24 della Costituzione» suscettibile «di
integrare la violazione del citato parametro costituzionale»;
     che  neppure  puo'  accogliersi la censura fondata sulla pretesa
violazione  dell'art.  25,  primo  comma, Cost., anch'essa articolata
sulla base di diversi e concorrenti argomenti;
     che,  in proposito, premessa la necessita' di riaffermare che la
nozione  di  giudice  naturale  «corrisponde  a  quella  di  "giudice
precostituito  per  legge"»  (cosi'  la sentenza n. 237 del 2007, che
richiama, ex multis
,  la  sentenza n. 460 del 1994), per quanto attiene, in particolare,
all'argomento   secondo   cui   «la   ripartizione  della  competenza
territoriale tra giudici» deve essere «dettata da normativa del tempo
anteriore alla istituzione del giudizio», e' sufficiente ribadire che
il  principio  costituzionale del giudice naturale «viene rispettato»
allorche'  «la  legge,  sia  pure  con  effetto anche sui processi in
corso,  modifica  in  generale  i  presupposti o i criteri in base ai
quali  deve essere individuato il giudice competente: in questo caso,
infatti,  lo  spostamento della competenza dall'uno all'altro ufficio
giudiziario  non avviene in conseguenza di una deroga alla disciplina
generale,  che  sia  adottata  in  vista  di  una  determinata  o  di
determinate controversie, ma per effetto di un nuovo ordinamento - e,
dunque,  della  designazione  di un nuovo giudice "naturale" - che il
legislatore,  nell'esercizio  del suo insindacabile potere di merito,
sostituisce a quello vigente» (sentenza n. 237 del 2007);
     che  manifestamente privo di fondamento risulta anche il rilievo
secondo  cui la riforma dei provvedimenti cautelari gia' assunti, «ad
opera   di   un  organo  giurisdizionale  pariordinato  a  quelli  di
provenienza»  -  nel rappresentare un «rimedio inedito, che non e' di
secondo  grado  e  che  finisce  per  costituire un doppione del gia'
espletato   giudizio   (cautelare)   di  primo  grado,  senza  alcuna
possibilita' di inquadramento tra i rimedi noti e tipizzati (appello,
revocazione,  reclamo)» - darebbe luogo ad «un anomalo percorso» che,
nella  misura  in cui «stravolge l'ordinario iter giudiziario», viola
il principio del "giudice naturale";
     che,  in  proposito,  e'  sufficiente ribadire quanto gia' sopra
osservato,  e  cioe'  la  possibilita'  di  interpretare il testo del
censurato  comma  2-quater - laddove prevede la modifica o la revoca,
da  parte  del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, del gia'
concesso   provvedimento  cautelare  -  «in  conformita'  con  quanto
previsto  dall'art.  21,  tredicesimo  comma, della legge n. 1034 del
1971»;
     che,   del   pari,   e'   manifestamente  infondata  la  censura
concernente  la  presunta violazione dell'art. 111 Cost., motivata in
base  all'argomento che le disposizioni censurate, creando «una sorta
di  gerarchia»  tra il Tribunale amministrativo regionale del Lazio e
gli altri tribunali, recherebbero un vulnus
al  principio  del  "giusto processo", nonche' contravverrebbero alla
regola   generale  applicabile  ad  ogni  giudizio,  compreso  quello
cautelare,  secondo  cui,  ad  una  sua prima fase, deve seguirne una
d'appello,  e  non gia' «una doppia pronuncia sulla stessa materia da
parte di due diversi giudici di primo grado»;
     che  in  ordine  a  tale  doglianza - a parte, evidentemente, il
rilievo  che  valgono  qui  le  stesse  considerazioni  svolte  circa
l'asserita violazione dell'art. 24 Cost. - puo' ribadirsi, ancora una
volta,  quanto  osservato nella sentenza n. 237 del 2007, ovvero «che
tali  censure  non  sono  dotate  di  una  propria autonomia rispetto
all'ipotizzata violazione dell'art. 125 della Carta fondamentale»;
     che  neppure  puo' sostenersi - come ipotizzato, in particolare,
dal  Tribunale amministrativo regionale della Liguria - che il regime
transitorio  prefigurato  dal censurato comma 2-quater si porrebbe in
contrasto  con  la  «portata  precettiva»  della norma costituzionale
suddetta,  che  mira  a  salvaguardare  anche  «l'effettivita'  e  la
celerita' apprestata dalla tutela cautelare»;
     che,  difatti,  tale  doglianza  (a  prescindere  dai profili di
oscurita'   che  potrebbero  indurre  a  dubitare  della  sua  stessa
ammissibilita),  nella  misura  in  cui  appare  diretta a nuovamente
censurare - alla stregua di un parametro differente da quelli evocati
(art. 3 e 25 Cost.) da altri giudici a quibus
-  l'asserita  "duplicazione"  di  attivita'  processuali  in  ordine
all'istanza   cautelare,   trova   risposta  nella  gia'  evidenziata
possibilita'  di  interpretare il testo del contestato comma 2-quater
«in  conformita' con quanto previsto dall'art. 21, tredicesimo comma,
della legge n. 1034 del 1971»;
     che  circa, invece, l'ipotizzata violazione dell'art. 113 Cost.,
e'  sufficiente  ribadire  che la «concentrazione presso il Tribunale
amministrativo regionale del Lazio del contenzioso de quo
neppure  ha  l'effetto  di rendere "oltremodo difficoltosa" la tutela
giurisdizionale  contro  gli  atti  della  pubblica  amministrazione,
evenienza  che potrebbe dar luogo al contrasto con l'art. 113 Cost.»,
articolo,  oltretutto,  che  «interpretato  nel  suo  complesso»  non
implica  affatto  che si debba «assicurare in ogni caso contro l'atto
amministrativo  una  tutela giurisdizionale illimitata e invariabile,
essendo  invece  rimesso  al  legislatore  ordinario, per l'esplicito
disposto  del  terzo comma, di regolare i modi e l'efficacia di detta
tutela»;
     che  in  relazione,  poi,  al  dedotto  contrasto con l'art. 125
Cost., non puo' che tornarsi a sottolineare che «l'attribuzione della
competenza  al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, anziche'
ai  diversi  Tribunali amministrativi regionali dislocati su tutto il
territorio   nazionale,   non   altera   il   sistema   di  giustizia
amministrativa»,   esistendo,   nella   specie,   «ragioni  idonee  a
giustificare  la  deroga  agli ordinari criteri di ripartizione della
competenza   tra   gli   organi   di   primo  grado  della  giustizia
amministrativa» (sentenza n. 237 del 2007);
     che, difatti, tali ragioni sono state individuate - sempre nella
citata  sentenza - «nel peculiare regime che connota le situazioni di
emergenza - e particolarmente quelle di cui alla lettera c) del comma
1  dell'art.  2  della legge n. 225 del 1992», atteso che, ricorrendo
tale  evenienza,  «i  provvedimenti  posti  in  essere dai commissari
delegati  sono  atti  dell'amministrazione  centrale  dello Stato (in
quanto emessi da organi che operano come longa manus
del  Governo)  finalizzati  a  soddisfare  interessi  che trascendono
quelli  delle  comunita' locali coinvolte dalle singole situazioni di
emergenza,  e  cio'  in  ragione  tanto della rilevanza delle stesse,
quanto della straordinarieta' dei poteri necessari per farvi fronte»;
     che,  infine,  neppure  puo' ravvisarsi la denunciata violazione
dell'art.  23  dello  statuto  della  Regione  Siciliana, dedotta dal
Tribunale amministrativo regionale della Sicilia, sezione staccata di
Catania,  in  base  all'assunto  che l'impugnativa dei «provvedimenti
adottati   da  organi  dello  Stato  centrale,  nelle  situazioni  di
emergenza»  rientra  certamente  tra  quegli  «affari  concernenti la
Regione»  che,  ai  sensi  della  predetta  disposizione  statutaria,
sarebbero devoluti, in sede di appello, alla competenza del Consiglio
di giustizia amministrativa;
     che, difatti, la gia' piu' volte citata sentenza n. 237 del 2007
ha chiarito che la predetta norma statutaria «stabilisce soltanto che
gli  organi  giurisdizionali  centrali  debbano  avere  in Sicilia le
sezioni   per   gli   affari   concernenti   la   regione»,   sicche'
«l'attribuzione   della   competenza   al   Tribunale  amministrativo
regionale  del  Lazio,  anziche'  ai diversi Tribunali amministrativi
regionali  dislocati  su  tutto  il  territorio  nazionale, non viola
l'art. 23 dello statuto siciliano»;
     che,  pertanto,  non  essendo state prospettate - in relazione a
nessuna   delle   censure   formulate   dai   giudici   rimettenti  -
argomentazioni  nuove,  rispetto  a  quelle  gia' esaminate da questa
Corte,  si  impone,  nel caso di specie, la declaratoria di manifesta
infondatezza delle questioni sollevate.
Visti  gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87,
e  9,  comma  2,  delle  norme integrative per i giudizi davanti alla
Corte costituzionale.