LA CORTE DI ASSISE DI APPELLO Riunita in Camera di consiglio ha pronunciato la seguente ordinanza sull'appello proposto da Russo Vincenzo avverso la sentenza n. 1378/06 emessa dal Tribunale di Napoli, sezione del g.i.p., uff. 17, dr.ssa Oriente Capozzi, in data 12 giugno 2006, nel procedimento penale n. 15214/05 R.G. N.R., con la quale il prefetto, imputato del reato di omicidio doppiamente aggravato in danno di Bianco Giuseppe, esclusa l'aggravante della premeditazione e concesse le circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alla contestata aggravante del motivo futile, veniva condannato alla pena di anni 14 di reclusione (pena determinata in anni 21 di reclusione e ridotta per il rito abbreviato), nonche' al pagamento delle spese processuali di custodia cautelare, risarcimento danni in favore delle costituite parti civili con provvisionale. La Corte, letti gli atti, sentite le parti che hanno concluso come da verbale (P.G. parte civile e difensore dell'imputato), provvedendo sulla preliminare questione di legittimita' costituzionale della norma che prevede lo svolgimento del giudizio abbreviato dinanzi al g.u.p. allorquando si procede per i reati di competenza della Corte di assise, O s s e r v a A) Rilevanza della questione. La questione prospettata dalla difesa e' certamente rilevante, poiche', nel caso di specie, il giudizio si e' svolto con il rito abbreviato dinanzi al g.u.p. Nel caso la questione fosse ritenuta fondata dalla Consulta, il processo di primo grado andrebbe ripetuto dinanzi alla Corte di assise. B) Non manifesta infondatezza della questione. 1) Competenza per materia. 1.1) Il legislatore, nel libro primo, titolo primo, capo secondo, del nuovo codice di procedura penale, si occupa della giurisdizione penale e della competenza, determinandone le regole e stabilendo, all'art. 5, quali sono i reati di competenza della Corte di assise. La competenza del Tribunale viene stabilita per tutti i reati che non appartengono alla competenza della Corte di assise predetta (art. 6 c.p. cit.). Con il capo sesto sono poi determinate le attribuzioni del Tribunale in composizione collegiale (art. 33-bis c.p.p.) o in composizione monocratica (art. 33-ter c.p.p.), a seconda della natura dei reati. 1.2) Dall'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale (24 ottobre 1989), il procedimento speciale disciplinato dal libro sesto, titolo primo, e precisamente il giudizio abbreviato di cui all'art. 438 c.p.p., ha subito varie modifiche ed in ultimo, qualunque sia la natura del reato, il legislatore ha stabilito che la decisione di merito spetti sempre al giudice dell'udienza preliminare anche nelle cause di competenza della Corte di assise. 1.3) Nella XIV legislatura, in data 25 giugno 2002, e' stata presentata una proposta di legge da vari deputati, alcuni noti proceduristi, di modifica all'art. 438 del c.p.p. concernente i presupposti del giudizio abbreviato. La proposta di legge, in un articolo unico, stabiliva testualmente: Dopo il comma 5 dell'art. 438 del codice di procedura penale e' inserito il seguente: «5-bis nel caso di reati previsti dall'art. 5 il giudizio abbreviato si svolge dinanzi alla Corte di assise». Trattavasi del progetto di legge n. 2901 ove il sostenitore poneva in rilievo che: «Quando si tratta di decidere in ordine ad un reato di omicidio volontario per il quale astrattamente e' irrogabile la pena dell'ergastolo, il legislatore ha richiesto una particolare composizione dell'organo giudicante di cui 6 sono giudici popolari. L'esigenza sottesa a tale previsione non e' soltanto quella di garantire una maggiore ponderazione degli elementi processuali che inevitabilmente piu' giudici, anziche' uno soltanto, sono in grado di operare, ma anche quella di garantire -- giusta la rilevanza sociale che tali fatti assumono -- la partecipazione popolare all'amministrazione della giustizia come previsto dalla Costituzione». Tale proposta di legge non ha avuto seguito e se ne ignorano le ragioni. 2) La partecipazione popolare all'amministrazione della giustizia come previsto dalla Costituzione. 2.1) A conoscere di gravi reati come quello di omicidio, a norma del ricordato art. 5 c.p.p., e' la Corte di assise che venne riordinata con la legge 10 aprile 1951, n. 287 la quale prevede una particolare composizione del Collegio giudicante: due magistrati e sei giudici popolari (art. 3, lettere a, b e c, legge cit.). 2.2) Sono note le discussioni che seguirono tale legge che e' rimasta immutata nel tempo. Veniva esaltata una Magistratura che giudica dei reati piu' gravi ed irroga le pene maggiori e che viene raffigurata come la Magistratura del popolo. Veniva anche auspicata l'abolizione di tale sistema con l'ipotesi di una composizione di una Corte affidata soltanto a magistrati togati e specializzati. Si era anche ipotizzata una modifica all'attuale ordinamento per quanto attiene al numero di componenti il Collegio (che dovrebbe essere dispari e non pari), all'aumento di un giudice togato. Nelle successive modifiche di cui alla legge 27 dicembre 1956, n. 1441, e' stata stabilita la partecipazione delle donne all'amministrazione della giustizia nelle Corti di assise. La composizione ha sempre dato luogo ad appassionate polemiche. Un giurista, prendendo spunto da un dibattito televisivo, ebbe ad insistere sui risultati del Congresso forense di Palermo che voleva la composizione delle Corti con giudici togati. Veniva ricordato l'intervento di un procuratore generale il quale aveva sostenuto che i giudici popolari trovano la loro giustificazione specialmente negli Stati a diritto libero e non scritto. In altri termini, quando vi e' bisogno di un'interpretazione tecnica, essa puo' essere data soltanto dalle Corti formate esclusivamente da magistrati di carriera. Naturalmente vi sono state posizioni discordanti. I sostenitori del vigente sistema non hanno mancato di rilevare che la voce di persone estranee all'ordine giudiziario porta nel Collegio misto valutazioni che piu' direttamente si ricollegano al modo con cui il fatto e' apprezzato dalla pubblica coscienza. Poiche' la giustizia e' amministrata nel nome del popolo, come tale, deve essere dallo stesso considerata e sentita. E cosi', rispetto a quei fatti che maggiormente turbano la coscienza collettiva ed individuale, e la pubblica tranquillita', appare conveniente consentire che la voce del popolo abbia il suo peso nei piu' gravi giudizi penali. Tutto cio' naturalmente viene cancellato allorquando il giudizio abbreviato nelle cause di competenza della Corte di assise viene celebrato dinanzi al g.u.p. 2.3) Come e' stato rilevato dal difensore dell'imputato «anche sotto il profilo della responsabilita' dell'organo giudicante vi e' diversita' tra il giuramento del magistrato togato (che e' quello previsto dall'ordinamento giudiziario) e quello del giudice popolare (di cui e' nota la formula). Conseguentemente il giudizio che viene collegialmente espresso nei reati di estrema gravita' quale quello di omicidio, e' la risultante delle valutazioni tecniche e giuridiche delle prove (che sono bagaglio dei due magistrati), e delle ragioni dell'accusa e della difesa, (che appartengono ai sei giudici popolari)». Tale considerazione merita di essere approfondita. Il legislatore, con il nuovo codice di procedura penale, per la prima volta si e' occupato della prova stabilendo, in un apposito libro (libro terzo), l'oggetto della prova, il diritto alla prova e soprattutto la «valutazione della prova», regole alle quali il magistrato togato e' vincolato anche per giuramento (vds. la formula). Sembra cosi' che sia venuto meno il cd. libero convincimento, anche perche' il nuovo codice esige che la sentenza debba tra l'altro contenere, oltre alla concisa esposizione dei motivi di fatto, anche i motivi di diritto su cui la decisione e' fondata (art. 546, comma 1, lett. e c.p.p.). La decisione assunta dai componenti del Collegio di una Corte di assise (due magistrati togati e sei giudici popolari) rimane invece svincolata da regole precise sulla valutazione della prova e, ad avviso di questa Corte, puo' attingere elementi di valutazione dal libero convincimento, dal momento che i sei giudici popolari sono vincolati ad una formula che vuole una particolare attenzione non solo alle prove ma anche alle ragioni dell'accusa e della difesa affinche' la sentenza riesca quale la societa' l'attende. Circostanze tutte che, a dire della difesa dell'imputato, non possono realizzarsi allorquando il giudizio abbreviato nelle cause di competenza della Corte di assise venga affidato al g.u.p. e cio' a parte le maggiori garanzie di serenita', di imparzialita' e di equita' (concetto quest'ultimo estraneo alla valutazione delle prove) rispetto ad un giudice monocratico designato dall'art. 438 c.p.p. Concludendo sul punto non sara' superfluo ricordare che l'art. 106 secondo comma Cost., proprio per apprestare tutela costituzionale al giudizio su reati di estrema gravita' formulando per gli stessi una riserva di collegialita', vieta la nomina di magistrati onorari per le funzioni attribuite ai giudici collegiali in relazione alla delicatezza dei casi sottoposti al loro esame. 3) Precedenti decisioni della Corte costituzionale sul giudizio abbreviato. 3.1) Una prima ordinanza della Corte costituzionale emessa all'indomani dell'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, si e' occupata incidentalmente del giudice naturale precostituito per legge a proposito degli artt. 247, comma 4 del d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271 (norme di attuazione di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), 438, comma 1 e 440, comma 1 c.p.p. in riferimento agli artt. 3, 25, 102 e 107 Cost., 439-443 c.p.p. Il Giudice istruttore presso il Tribunale di Firenze, in un processo di omicidio pluriaggravato e di strage, ove gli imputati ne avevano chiesto la definizione con il rito abbreviato, essendovi dissenso del p.m., ebbe a sollevare la questione di legittimita' costituzionale degli articoli sopra ricordati. In particolare venne rilevato che l'art. 247, comma 4, legge n. 271/1989 appariva in contrasto con gli artt. 3, 35, 102 e 107 Cost. in quanto non prevedeva per il p.m. l'obbligo della motivazione del mancato consenso negando quindi al g.i. la possibilita' di valutare tale dissenso e, nel caso in cui lo avesse ritenuto ingiustificato, di applicare in favore dell'imputato la riduzione della pena prevista dall'art. 422, comma 2 c.p.p. La questione di legittimita' costituzionale venne sollevata anche a proposito degli artt. 438-443 c.p.p. e l'art. 247, comma 4 del d.lgs. cit., nelle parti in cui, per i reati attribuiti alla competenza della Corte di assise, giudice naturale precostituito per legge, prevedono che quest'ultima sia sostituita dal g.u.p. ovvero dal g.i., per violazione degli artt. l, 3, 13, 24, 25, 76, 77, 101, 102, 107 e 111 Cost., 6 della Convenzione dei diritti dell'uomo firmata a Roma il 14 novembre 1950 e ratificata con legge n. 848/1955. La Corte ebbe ad osservare che il g.i. remittente da un verso censurava «la norma de qua perche' non gli consente di sindacare le ragioni poste dal p.m. a base del dissenso all'accoglimento della richiesta degli imputati di definire il processo con il rito abbreviato ai sensi degli artt. 438 e segg. codice di procedura penale, e dall'altro verso, rilevava che l'attribuzione della relativa competenza al g.i., comportando il suo sostituirsi alla Corte di assise, giudice naturale precostituito per legge per giudicare dei delitti di cui gli imputati richiedenti il giudizio abbreviato, violerebbe l'art. 25 Cost». Il Giudice delle leggi, per quanto riguarda quest'ultima questione, non emise alcuna decisione ritenendo che: «l'ordinanza di remissione e' affetta da palese contraddittorieta' e che detto vizio cagiona la manifesta inammissibilita' delle questioni di legittimita' costituzionale: che, quindi, va emessa declaratoria in tal senso» a norma degli artt. 26, comma 2, legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, comma 2 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale (vds. ordinanza n. 0056 del 1991, ud. 28 gennaio 1991, mass. 0016828). 3.2) Anche in altre occasioni la Corte non ha avuto modo di decidere la questione qui dibattuta. Con la sentenza n. 0069/1991, ud. 28 gennaio 1991, mass. 0016993, occupandosi della mancanza di pubblicita', rilevava che questa era una delle caratteristiche del giudizio abbreviato previsto nel nuovo c.p.p. come uno dei mezzi per realizzare una maggiore speditezza e celerita' nella definizione dei processi penali e soggiungeva testualmente: «Allo stesso imputato e' dato valutare i vantaggi del nuovo rito ed i rischi ad esso connessi, tra cui vi e' la rinuncia all'acquisizione di prove dibattimentali e, per quanto riguarda i processi di Corte di assise, all'apporto dei giudici popolari, incidenti entrambi sulla valutazione della sua responsabilita». Dalla motivazione della sentenza che ebbe a dichiarare la inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 247, comma 2 del d.P.R. 28 luglio 1989, n. 271 (norme di attuazione e di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale) in riferimento all'art. 101 Cost., sollevata dalla Corte di assise di Torino, nulla si desume a proposito della questione di cui si discute. Parimenti e' a dirsi per altre decisioni. La sentenza n. 0176/1991, ud. 22 aprile 1991, mass. 0017119, ebbe ad occuparsi della legittimita' costituzionale dell'art. 442, comma 2 c.p.p. in riferimento all'art. 76 Cost. nella parte in cui prevedeva che in caso di condanna, alla pena dell'ergastolo, venisse sostituita la pena della reclusione di 30 anni; nonche' del dubbio di incostituzionalita' degli artt. 458, comma 2 e 441 c.p.p. in riferimento agli artt. 25, primo comma e 102, terzo comma Cost. nella parte in cui prevedono che il giudizio abbreviato si svolga innanzi al g.u.p. anche in relazione a procedimenti aventi ad oggetto delitti di competenza della Corte di assise; ed infine dell'art. 441 c.p.p. in riferimento all'art. 101 Cost. nella parte in cui non prevede che il giudizio abbreviato debba svolgersi in pubblica udienza. La decisione della Corte costituzionale, anche in tal caso, si e' sottratta alla decisione di costituzionalita' o meno della norma che stabilisce la competenza del g.i.p. allorquando il procedimento abbia per oggetto reati di competenza della Corte di assise. Infatti, leggendo la motivazione che peraltro porto' alla dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 442, comma 2, ultimo periodo c.p.p. (alla pena dell'ergastolo e' sostituita quella della reclusione di anni 30), nulla e' dato rilevare a proposito della questione, pur sottoposta all'esame della Corte, di incostituzionalita' in riferimento agli artt. 25, primo comma e 102, terzo comma Cost., degli artt. 458, comma 2 e 441, c.p.p. nella parte in cui prevedono che il giudizio abbreviato si svolga innanzi al g.u.p. anche in relazione a procedimenti aventi ad oggetto delitti di competenza della Corte di assise. Infatti la massima tratta dalla sent. cit. testualmente recita: «Perdono conseguentemente rilievo le questioni relative agli artt. 458, comma 2 e 441 c.p.p. nella parte in cui prevedono che il giudizio abbreviato si svolga innanzi al g.i.p. anche in relazione ai procedimenti per delitti di competenza della Corte di assise, e dell'art. 441 c.p.p. nella parte in cui non prevede che il giudizio abbreviato debba svolgersi in pubblica udienza». Anche nelle altre decisioni della Corte costituzionale ove e' preso in considerazione il giudizio abbreviato, nulla e' dato rilevare. Si fa riferimento all'ordinanza n. 0376 del 1991, ud. 11 luglio 1991, mass. 0017464, alla sentenza n. 0076 del 1993, ud. 26 febbraio 1993, mass. 0019256. e ordinanza n. 0040 del 20/2001, mass. 0026052. In tale ultima decisione la Corte, nell'occuparsi del problema del giudice naturale precostituito per legge a proposito dei reati di competenza della Corte di assise, dispose la restituzione degli atti al Giudice a quo con riferimento alla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 438, comma 1 e 4 c.p.p. per avere ammesso il rito abbreviato anche nei casi di reati puniti con l'ergastolo, sottraendo cosi' l'imputato al suo giudice naturale, cioe' la Corte di assise, affiche' valuti la perdurante rilevanza della questione pur dopo l'approvazione del d.l. 24 novembre 2000, n. 341 (convertito dalla legge 19 gennaio 2001), il quale ha espressamente previsto che nei procedimenti pendenti alla data della sua entrata in vigore, quando sia applicabile la pena dell'ergastolo con isolamento diurno, l'imputato possa revocare l'istanza di giudizio abbreviato ed il giudizio prosegua nelle forme ordinarie. 3.3) Non risultano altre decisioni che si siano occupate incidentalmente del problema qui dibattuto ma, prima di' enunciare i profili di incostituzionalita' che, ad avviso della Corte, sussistono dell'art. 438 c.p.p. laddove sottrae al giudice naturale (Corte di assise) la conoscenza dei gravi reati di cui all'art. 5 c.p.p., sara' bene ricordare che i giudici piu' volte si sono posti tale problema ed il legislatore aveva addirittura approntato un disegno di legge di cui abbiamo sopra riportato ogni utile riferimento. 4) Questione di legittimita' costituzionale dell'art. 438 c.p.p. in relazione agli artt. 1, 24, 25, 101, 102 e 111 Cost. che ad avviso della Corte, non appare «manifestamente infondata». 4.1) Tutto quanto e' stato fin qui esposto autorizza la Corte a ritenere che trattasi di una questione certamente non «manfestamente infondata». Per rimettere gli atti alla Corte costituzionale basta cioe' che il giudice verifichi, non gia' la fondatezza della questione, ma la sua infondatezza che, per giunta, dev'essere manifesta ovvero evidente, palese, il che non ricorre nel caso di specie. 4.2) L'attuale normativa del procedimento abbreviato ha eliminato ogni condizione di fatto che distingua i casi attribuiti al giudice del dibattimento da quelli attribuiti, con l'abbreviamento del rito, al giudice dell'udienza preliminare. La scelta del rito e' un diritto potestativo dell'imputato che, in tal modo, sceglie anche l'ufficio giudiziario che giudichera' il suo caso. Cio' contrasta non soltanto con il principio, recentemente affermato dalla Consulta, che impone la par condicio per le diverse parti del processo (analogo diritto non compete all'accusa pubblica e privata), ma soprattutto con la assoluta indisponibilita' dei diritti costituzionali. Non sembra potersi ammettere, in altre parole, che una semplice manifestazione di volonta' di una delle parti del processo incida sul giudice naturale precostituito per legge. Trattasi, con ogni evidenza, di argomentazioni che potrebbero essere addotte anche per i giudizi di competenza del tribunale. Cio', ovviamente, non ha rilevanza in questa sede. La questione presenta, tuttavia, risvolti del tutto particolari nel caso dei procedimenti di competenza della Corte d'assise, laddove entra in gioco il principio della partecipazione de1 popolo alla decisione dei processi che, per la gravita' dei fatti ascritti agli imputati, abbiano un maggiore impatto sull'opinione pubblica e sulla coscienza collettiva. 4.3) L'art. 1 Cost. richiama alla mente la formula del giuramento prestato dai giudici popolari. In virtu' di tale norma «la sovranita' appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Va qui ricordata la legge istitutiva delle Corti di assise (legge 10 aprile 1951, n. 287 e succ. modif.) la quale prevede una particolare composizione del Collegio giudicante: due magistrati e sei giudici popolari (art. 3, lettere a, b e c legge cit.). Per il combinato disposto di tale legge con l'art. 1 Cost. e per l'art. 25 Cost., in virtu' del quale «nessuno puo' essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge» puo' ben dirsi che sottrarre il giudizio alla Corte di assise per affidarlo ad un giudice monocratico, oltre a violare tali norme costituzionali, ad avviso di questa Corte remittente, vulnera il principio di ragionevolezza dal momento che restano fermi i principi di speditezza connessi al rito abbreviato pur quando tale giudizio viene celebrato dinanzi ad una Corte di assise. 4.4) Anche l'art. 24 Cost., che si occupa del diritto di difesa, appare in contrasto con la denunciata norma dell'art. 438 c.p.p. L'oralita' del processo penale, e piu' precisamente «le ragioni dell'accusa e le ragioni della difesa», che devono essere attentamente ascoltate dai giudici popolari per far fede al giuramento prestato, non trovano ingresso nel giudizio abbreviato che si svolge dinanzi ad un giudice togato (il g.u.p.) il quale deve valutare le prove secondo i canoni stabiliti dal nuovo c.p.p. e non puo', ad avviso della Corte, attingere elementi di valutazione da affidare al suo libero convincimento. Il diritto di difesa appare violato anche in considerazione dell'assoluta diversita' dei due giudizi: quello di primo grado affidato ad un magistrato, e quello di appello, invece, a due magistrati ed a sei giudici popoiari i quali partecipano al giudizio senza essere dei tecnici ma per l'esigenza, avvertita dal legislatore, che vi sia anche una giustizia concretamente amministrata in nome del popolo e come tale considerata e sentita proprio dai giudici popolari. A ben riflettere, nella permanenza di un giudizio di primo grado affidato ad un sol giudice togato, si ha un vero e proprio squilibrio nel giudizio di secondo grado. Il difensore dell'imputato infatti, con i suoi motivi di appello, nel ricordare che il legislatore, con il nuovo c.p.p. entrato in vigore il 24 ottobre 1989, con il libro terzo intitolato «Prova», si e' occupato tra l'altro della valutazione della prova, e che a proposito dei requisiti della sentenza e' stato stabilito che nella stessa occorra una concisa esposizione dei motivi di diritto su cui la decisione e' fondata (art. 546, comma 1, lett. e c.p.p.), non ha mancato di censurare la sentenza in ordine alla distorta applicazione della prova indiziaria di cui si occupa il legislatore per la prima volta nel codice di rito all'art. 192, comma 2 c.p.p. rilevando come la decisione impugnata, nell'affermare la responsabilita' dell'imputato, abbia ritenuto di poter utilizzare il suo libero convincimento svincolato da ogni regola di valutazione della prova. Censura questa che, se il giudizio fosse stato celebrato dinanzi ad una Corte di assise, non avrebbe potuto trovare ingresso. La Corte di assise di appello, proprio per la composizione allargata a sei giudici popolari, puo' fare ricorso al libero convincimento ed in tal caso, se il giudizio espresso in primo grado provenisse da una Corte di assise e non da un giudice togato, sarebbe possibile porre a confronto una decisione adottata con gli stessi canoni di valutazione della prova. 4.5) Secondo l'art. 101 Cost., «la giustizia e' amministrata in nome del popolo» e «i giudici sono soggetti soltanto alla legge». Ricordando le due distinte formule di giuramento, quella del giudice togato e quella dei giudici popolari, sara' facile rilevare come la legge istitutiva delle Corti di assise debba trovare tutela nella norma sopra ricordata dal momento che si e' ritenuto che persone estranee all'ordine giudiziario entrino a far parte di un collegio giudicante (in presenza naturalmente delle condizioni volute dalla legge) e quindi di emettere una sentenza che risulti conforme a quella che la societa' l'attende. 4.6) L'art. 102 Cost., dopo aver stabilito che «la funzione giurisdizionale e' esercitata da magistrati ordinari e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario», aggiunge che «in determinate materie puo' aversi anche la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura» e che «la legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia». Con tale norma si e' voluto, ancora una volta, blindare di costituzionalita' il giudice naturale (art. 25 Cost.) in relazione alla legge istitutiva delle Corti di assise: principi che risultano, ad avviso della Corte, vulnerati dall'art. 438 c.p.p. in virtu' del quale ad una Corte di assise viene sostituito un Tribunale in composizione monocratica. 4.7) L'art. 111 Cost. inizia testualmente: «la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge». Se la legge stabilisce quale debba essere il giudice competente per materia (art. 5 c.p.p.) e se la legge costituzionale esige che nessuno puo' essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge, l'art. 438 c.p.p. e' in violazione della legge anche costituzionale. Per tutte le ragioni esposte in motivazione la Corte di assise di appello di Napoli ritiene che la dedotta questione di legittimita' costituzionale sia non manifestamente infondata.