LA CORTE DI ASSISE DI APPELLO
Riunita  in  Camera di consiglio ha pronunciato la seguente ordinanza
sull'appello   proposto   da   Russo  Vincenzo  avverso  la  sentenza
n. 1378/06  emessa  dal Tribunale di Napoli, sezione del g.i.p., uff.
17,  dr.ssa Oriente Capozzi, in data 12 giugno 2006, nel procedimento
penale  n. 15214/05 R.G. N.R., con la quale il prefetto, imputato del
reato  di omicidio doppiamente aggravato in danno di Bianco Giuseppe,
esclusa  l'aggravante  della premeditazione e concesse le circostanze
attenuanti  generiche ritenute equivalenti alla contestata aggravante
del  motivo  futile,  veniva  condannato  alla  pena  di  anni  14 di
reclusione  (pena  determinata in anni 21 di reclusione e ridotta per
il  rito abbreviato), nonche' al pagamento delle spese processuali di
custodia  cautelare,  risarcimento  danni  in favore delle costituite
parti civili con provvisionale.
La Corte, letti gli atti, sentite le parti che hanno concluso come da
verbale  (P.G.  parte  civile e difensore dell'imputato), provvedendo
sulla  preliminare  questione  di  legittimita'  costituzionale della
norma  che  prevede lo svolgimento del giudizio abbreviato dinanzi al
g.u.p.  allorquando  si procede per i reati di competenza della Corte
di assise,
                            O s s e r v a
A) Rilevanza della questione.
La  questione  prospettata  dalla  difesa  e'  certamente  rilevante,
poiche',  nel  caso  di  specie, il giudizio si e' svolto con il rito
abbreviato  dinanzi  al  g.u.p.  Nel caso la questione fosse ritenuta
fondata  dalla Consulta, il processo di primo grado andrebbe ripetuto
dinanzi alla Corte di assise.
B) Non manifesta infondatezza della questione.
   1) Competenza per materia.
1.1) Il legislatore, nel libro primo, titolo primo, capo secondo, del
nuovo  codice  di  procedura  penale,  si  occupa della giurisdizione
penale  e  della  competenza,  determinandone le regole e stabilendo,
all'art.  5,  quali sono i reati di competenza della Corte di assise.
La competenza del Tribunale viene stabilita per tutti i reati che non
appartengono  alla  competenza della Corte di assise predetta (art. 6
c.p.  cit.).  Con  il capo sesto sono poi determinate le attribuzioni
del  Tribunale  in  composizione collegiale (art. 33-bis c.p.p.) o in
composizione monocratica (art. 33-ter c.p.p.), a seconda della natura
dei reati.
1.2)  Dall'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale (24
ottobre 1989), il procedimento speciale disciplinato dal libro sesto,
titolo  primo,  e precisamente il giudizio abbreviato di cui all'art.
438  c.p.p., ha subito varie modifiche ed in ultimo, qualunque sia la
natura  del  reato,  il  legislatore ha stabilito che la decisione di
merito  spetti sempre al giudice dell'udienza preliminare anche nelle
cause di competenza della Corte di assise.
1.3)  Nella  XIV  legislatura,  in  data  25  giugno  2002,  e' stata
presentata  una  proposta  di  legge  da  vari  deputati, alcuni noti
proceduristi,  di  modifica  all'art.  438  del  c.p.p. concernente i
presupposti  del  giudizio  abbreviato.  La  proposta di legge, in un
articolo unico, stabiliva testualmente: Dopo il comma 5 dell'art. 438
del  codice  di  procedura penale e' inserito il seguente: «5-bis nel
caso  di  reati previsti dall'art. 5 il giudizio abbreviato si svolge
dinanzi  alla  Corte  di  assise».  Trattavasi  del progetto di legge
n. 2901  ove  il sostenitore poneva in rilievo che: «Quando si tratta
di decidere in ordine ad un reato di omicidio volontario per il quale
astrattamente e' irrogabile la pena dell'ergastolo, il legislatore ha
richiesto  una particolare composizione dell'organo giudicante di cui
6 sono giudici popolari.
L'esigenza  sottesa  a  tale  previsione  non  e'  soltanto quella di
garantire  una  maggiore  ponderazione degli elementi processuali che
inevitabilmente piu' giudici, anziche' uno soltanto, sono in grado di
operare,  ma anche quella di garantire -- giusta la rilevanza sociale
che    tali    fatti   assumono   --   la   partecipazione   popolare
all'amministrazione    della    giustizia    come    previsto   dalla
Costituzione».
Tale  proposta  di  legge  non  ha  avuto seguito e se ne ignorano le
ragioni.
2)  La  partecipazione  popolare  all'amministrazione della giustizia
come previsto dalla Costituzione.
2.1)  A conoscere di gravi reati come quello di omicidio, a norma del
ricordato  art.  5 c.p.p., e' la Corte di assise che venne riordinata
con  la legge 10 aprile 1951, n. 287 la quale prevede una particolare
composizione  del  Collegio  giudicante: due magistrati e sei giudici
popolari (art. 3, lettere a, b e c, legge cit.).
2.2) Sono note le discussioni che seguirono tale legge che e' rimasta
immutata  nel tempo. Veniva esaltata una Magistratura che giudica dei
reati  piu'  gravi ed irroga le pene maggiori e che viene raffigurata
come  la Magistratura del popolo. Veniva anche auspicata l'abolizione
di  tale  sistema  con  l'ipotesi  di  una  composizione di una Corte
affidata  soltanto  a magistrati togati e specializzati. Si era anche
ipotizzata una modifica all'attuale ordinamento per quanto attiene al
numero  di  componenti il Collegio (che dovrebbe essere dispari e non
pari),  all'aumento  di un giudice togato. Nelle successive modifiche
di  cui  alla  legge 27 dicembre 1956, n. 1441, e' stata stabilita la
partecipazione  delle donne all'amministrazione della giustizia nelle
Corti di assise. La composizione ha sempre dato luogo ad appassionate
polemiche.
Un  giurista,  prendendo  spunto  da un dibattito televisivo, ebbe ad
insistere  sui  risultati del Congresso forense di Palermo che voleva
la  composizione  delle  Corti  con  giudici togati. Veniva ricordato
l'intervento  di un procuratore generale il quale aveva sostenuto che
i giudici popolari trovano la loro giustificazione specialmente negli
Stati  a diritto libero e non scritto. In altri termini, quando vi e'
bisogno di un'interpretazione tecnica, essa puo' essere data soltanto
dalle   Corti  formate  esclusivamente  da  magistrati  di  carriera.
Naturalmente  vi  sono state posizioni discordanti. I sostenitori del
vigente  sistema non hanno mancato di rilevare che la voce di persone
estranee  all'ordine giudiziario porta nel Collegio misto valutazioni
che  piu'  direttamente  si  ricollegano  al modo con cui il fatto e'
apprezzato   dalla   pubblica  coscienza.  Poiche'  la  giustizia  e'
amministrata nel nome del popolo, come tale, deve essere dallo stesso
considerata   e   sentita.   E  cosi',  rispetto  a  quei  fatti  che
maggiormente  turbano  la  coscienza  collettiva ed individuale, e la
pubblica tranquillita', appare conveniente consentire che la voce del
popolo  abbia  il  suo peso nei piu' gravi giudizi penali. Tutto cio'
naturalmente  viene  cancellato  allorquando  il  giudizio abbreviato
nelle  cause  di  competenza  della  Corte  di assise viene celebrato
dinanzi al g.u.p.
2.3)  Come e' stato rilevato dal difensore dell'imputato «anche sotto
il   profilo  della  responsabilita'  dell'organo  giudicante  vi  e'
diversita'  tra  il  giuramento  del magistrato togato (che e' quello
previsto  dall'ordinamento giudiziario) e quello del giudice popolare
(di  cui  e' nota la formula). Conseguentemente il giudizio che viene
collegialmente espresso nei reati di estrema gravita' quale quello di
omicidio,  e'  la  risultante delle valutazioni tecniche e giuridiche
delle  prove  (che sono bagaglio dei due magistrati), e delle ragioni
dell'accusa   e  della  difesa,  (che  appartengono  ai  sei  giudici
popolari)».
Tale considerazione merita di essere approfondita.
Il legislatore, con il nuovo codice di procedura penale, per la prima
volta  si  e'  occupato  della prova stabilendo, in un apposito libro
(libro  terzo),  l'oggetto  della  prova,  il  diritto  alla  prova e
soprattutto  la  «valutazione  della  prova»,  regole  alle  quali il
magistrato   togato  e'  vincolato  anche  per  giuramento  (vds.  la
formula).   Sembra   cosi'   che   sia  venuto  meno  il  cd.  libero
convincimento,  anche  perche'  il nuovo codice esige che la sentenza
debba  tra  l'altro  contenere,  oltre  alla  concisa esposizione dei
motivi  di  fatto,  anche  i motivi di diritto su cui la decisione e'
fondata (art. 546, comma 1, lett. e c.p.p.). La decisione assunta dai
componenti del Collegio di una Corte di assise (due magistrati togati
e  sei  giudici  popolari) rimane invece svincolata da regole precise
sulla  valutazione  della  prova  e,  ad avviso di questa Corte, puo'
attingere  elementi  di  valutazione  dal  libero  convincimento, dal
momento  che i sei giudici popolari sono vincolati ad una formula che
vuole  una  particolare  attenzione non solo alle prove ma anche alle
ragioni dell'accusa e della difesa affinche' la sentenza riesca quale
la societa' l'attende.
Circostanze tutte che, a dire della difesa dell'imputato, non possono
realizzarsi   allorquando  il  giudizio  abbreviato  nelle  cause  di
competenza  della  Corte  di assise venga affidato al g.u.p. e cio' a
parte  le  maggiori  garanzie  di  serenita',  di  imparzialita' e di
equita' (concetto quest'ultimo estraneo alla valutazione delle prove)
rispetto ad un giudice monocratico designato dall'art. 438 c.p.p.
Concludendo  sul  punto  non sara' superfluo ricordare che l'art. 106
secondo  comma Cost., proprio per apprestare tutela costituzionale al
giudizio  su  reati di estrema gravita' formulando per gli stessi una
riserva  di  collegialita', vieta la nomina di magistrati onorari per
le  funzioni  attribuite  ai  giudici  collegiali  in  relazione alla
delicatezza dei casi sottoposti al loro esame.
3)  Precedenti  decisioni  della  Corte  costituzionale  sul giudizio
abbreviato.
3.1)   Una   prima   ordinanza   della  Corte  costituzionale  emessa
all'indomani  dell'entrata  in  vigore  del nuovo codice di procedura
penale,   si   e'   occupata  incidentalmente  del  giudice  naturale
precostituito  per  legge  a  proposito  degli artt. 247, comma 4 del
d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271 (norme di attuazione di coordinamento e
transitorie  del  codice  di  procedura  penale), 438, comma 1 e 440,
comma  1  c.p.p.  in  riferimento  agli artt. 3, 25, 102 e 107 Cost.,
439-443  c.p.p. Il Giudice istruttore presso il Tribunale di Firenze,
in  un  processo  di  omicidio  pluriaggravato  e  di strage, ove gli
imputati  ne  avevano  chiesto la definizione con il rito abbreviato,
essendovi  dissenso  del  p.m.,  ebbe  a  sollevare  la  questione di
legittimita'   costituzionale  degli  articoli  sopra  ricordati.  In
particolare venne rilevato che l'art. 247, comma 4, legge n. 271/1989
appariva  in contrasto con gli artt. 3, 35, 102 e 107 Cost. in quanto
non  prevedeva  per  il  p.m. l'obbligo della motivazione del mancato
consenso  negando  quindi  al  g.i.  la possibilita' di valutare tale
dissenso  e,  nel  caso  in cui lo avesse ritenuto ingiustificato, di
applicare  in  favore  dell'imputato la riduzione della pena prevista
dall'art.   422,   comma   2  c.p.p.  La  questione  di  legittimita'
costituzionale  venne sollevata anche a proposito degli artt. 438-443
c.p.p. e l'art. 247, comma 4 del d.lgs. cit., nelle parti in cui, per
i  reati  attribuiti  alla  competenza della Corte di assise, giudice
naturale  precostituito  per  legge,  prevedono  che quest'ultima sia
sostituita  dal g.u.p. ovvero dal g.i., per violazione degli artt. l,
3, 13, 24, 25, 76, 77, 101, 102, 107 e 111 Cost., 6 della Convenzione
dei diritti dell'uomo firmata a Roma il 14 novembre 1950 e ratificata
con  legge  n. 848/1955.  La  Corte  ebbe  ad  osservare  che il g.i.
remittente  da  un  verso  censurava «la norma de qua perche' non gli
consente  di  sindacare le ragioni poste dal p.m. a base del dissenso
all'accoglimento  della  richiesta  degli  imputati  di  definire  il
processo  con  il  rito  abbreviato  ai sensi degli artt. 438 e segg.
codice   di  procedura  penale,  e  dall'altro  verso,  rilevava  che
l'attribuzione  della relativa competenza al g.i., comportando il suo
sostituirsi  alla Corte di assise, giudice naturale precostituito per
legge  per  giudicare  dei delitti di cui gli imputati richiedenti il
giudizio  abbreviato,  violerebbe  l'art.  25 Cost». Il Giudice delle
leggi,  per  quanto riguarda quest'ultima questione, non emise alcuna
decisione  ritenendo  che:  «l'ordinanza  di remissione e' affetta da
palese  contraddittorieta'  e  che  detto  vizio cagiona la manifesta
inammissibilita' delle questioni di legittimita' costituzionale: che,
quindi,  va emessa declaratoria in tal senso» a norma degli artt. 26,
comma  2,  legge  11  marzo  1953,  n. 87  e  9,  comma 2 delle norme
integrative  per  i  giudizi  davanti alla Corte costituzionale (vds.
ordinanza n. 0056 del 1991, ud. 28 gennaio 1991, mass. 0016828).
3.2)  Anche in altre occasioni la Corte non ha avuto modo di decidere
la  questione  qui  dibattuta.  Con  la sentenza n. 0069/1991, ud. 28
gennaio   1991,   mass.   0016993,   occupandosi  della  mancanza  di
pubblicita',  rilevava  che  questa era una delle caratteristiche del
giudizio  abbreviato previsto nel nuovo c.p.p. come uno dei mezzi per
realizzare  una maggiore speditezza e celerita' nella definizione dei
processi  penali e soggiungeva testualmente: «Allo stesso imputato e'
dato valutare i vantaggi del nuovo rito ed i rischi ad esso connessi,
tra cui vi e' la rinuncia all'acquisizione di prove dibattimentali e,
per  quanto  riguarda  i processi di Corte di assise, all'apporto dei
giudici  popolari,  incidenti  entrambi  sulla  valutazione della sua
responsabilita».   Dalla   motivazione  della  sentenza  che  ebbe  a
dichiarare   la  inammissibilita'  della  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art.  247,  comma  2  del d.P.R. 28 luglio 1989,
n. 271  (norme  di  attuazione  e  di coordinamento e transitorie del
codice  di  procedura  penale)  in  riferimento  all'art.  101 Cost.,
sollevata  dalla  Corte  di  assise  di  Torino,  nulla  si  desume a
proposito della questione di cui si discute. Parimenti e' a dirsi per
altre decisioni.
La  sentenza n. 0176/1991, ud. 22 aprile 1991, mass. 0017119, ebbe ad
occuparsi  della  legittimita'  costituzionale dell'art. 442, comma 2
c.p.p.  in riferimento all'art. 76 Cost. nella parte in cui prevedeva
che in caso di condanna, alla pena dell'ergastolo, venisse sostituita
la   pena  della  reclusione  di  30  anni;  nonche'  del  dubbio  di
incostituzionalita'  degli  artt.  458,  comma  2  e  441  c.p.p.  in
riferimento agli artt. 25, primo comma e 102, terzo comma Cost. nella
parte  in  cui prevedono che il giudizio abbreviato si svolga innanzi
al g.u.p. anche in relazione a procedimenti aventi ad oggetto delitti
di  competenza  della Corte di assise; ed infine dell'art. 441 c.p.p.
in  riferimento all'art. 101 Cost. nella parte in cui non prevede che
il  giudizio  abbreviato  debba  svolgersi  in  pubblica  udienza. La
decisione  della  Corte  costituzionale,  anche  in  tal  caso, si e'
sottratta  alla decisione di costituzionalita' o meno della norma che
stabilisce la competenza del g.i.p. allorquando il procedimento abbia
per oggetto reati di competenza della Corte di assise.
Infatti,   leggendo   la   motivazione   che   peraltro  porto'  alla
dichiarazione  di  illegittimita' costituzionale dell'art. 442, comma
2,  ultimo  periodo  c.p.p.  (alla  pena dell'ergastolo e' sostituita
quella  della  reclusione  di  anni  30),  nulla  e'  dato rilevare a
proposito  della  questione, pur sottoposta all'esame della Corte, di
incostituzionalita'  in riferimento agli artt. 25, primo comma e 102,
terzo comma Cost., degli artt. 458, comma 2 e 441, c.p.p. nella parte
in  cui  prevedono  che  il  giudizio abbreviato si svolga innanzi al
g.u.p. anche in relazione a procedimenti aventi ad oggetto delitti di
competenza  della  Corte  di  assise. Infatti la massima tratta dalla
sent.  cit. testualmente recita: «Perdono conseguentemente rilievo le
questioni  relative  agli artt. 458, comma 2 e 441 c.p.p. nella parte
in  cui  prevedono  che  il  giudizio abbreviato si svolga innanzi al
g.i.p.  anche  in relazione ai procedimenti per delitti di competenza
della  Corte di assise, e dell'art. 441 c.p.p. nella parte in cui non
prevede  che  il  giudizio  abbreviato  debba  svolgersi  in pubblica
udienza».  Anche nelle altre decisioni della Corte costituzionale ove
e'  preso  in  considerazione  il  giudizio abbreviato, nulla e' dato
rilevare.  Si  fa  riferimento all'ordinanza n. 0376 del 1991, ud. 11
luglio  1991,  mass.  0017464, alla sentenza n. 0076 del 1993, ud. 26
febbraio  1993, mass. 0019256. e ordinanza n. 0040 del 20/2001, mass.
0026052.
In  tale  ultima  decisione la Corte, nell'occuparsi del problema del
giudice  naturale  precostituito  per  legge a proposito dei reati di
competenza  della Corte di assise, dispose la restituzione degli atti
al  Giudice  a  quo  con  riferimento  alla questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 438, comma 1 e 4 c.p.p. per avere ammesso il
rito  abbreviato  anche  nei  casi  di  reati puniti con l'ergastolo,
sottraendo  cosi'  l'imputato al suo giudice naturale, cioe' la Corte
di  assise,  affiche'  valuti la perdurante rilevanza della questione
pur dopo l'approvazione del d.l. 24 novembre 2000, n. 341 (convertito
dalla  legge 19 gennaio 2001), il quale ha espressamente previsto che
nei  procedimenti  pendenti  alla  data  della sua entrata in vigore,
quando  sia applicabile la pena dell'ergastolo con isolamento diurno,
l'imputato  possa  revocare  l'istanza  di  giudizio abbreviato ed il
giudizio prosegua nelle forme ordinarie.
3.3)   Non   risultano   altre   decisioni   che  si  siano  occupate
incidentalmente  del problema qui dibattuto ma, prima di' enunciare i
profili di incostituzionalita' che, ad avviso della Corte, sussistono
dell'art.  438  c.p.p.  laddove sottrae al giudice naturale (Corte di
assise) la conoscenza dei gravi reati di cui all'art. 5 c.p.p., sara'
bene  ricordare  che i giudici piu' volte si sono posti tale problema
ed il legislatore aveva addirittura approntato un disegno di legge di
cui abbiamo sopra riportato ogni utile riferimento.
4)  Questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 438 c.p.p. in
relazione  agli  artt.  1, 24, 25, 101, 102 e 111 Cost. che ad avviso
della Corte, non appare «manifestamente infondata».
4.1)  Tutto  quanto  e'  stato  fin  qui esposto autorizza la Corte a
ritenere  che trattasi di una questione certamente non «manfestamente
infondata».  Per  rimettere  gli atti alla Corte costituzionale basta
cioe'  che  il  giudice  verifichi,  non  gia'  la  fondatezza  della
questione,  ma  la  sua  infondatezza  che,  per  giunta,  dev'essere
manifesta  ovvero  evidente,  palese,  il che non ricorre nel caso di
specie.
4.2)  L'attuale  normativa  del  procedimento abbreviato ha eliminato
ogni  condizione  di fatto che distingua i casi attribuiti al giudice
del  dibattimento da quelli attribuiti, con l'abbreviamento del rito,
al giudice dell'udienza preliminare. La scelta del rito e' un diritto
potestativo  dell'imputato  che, in tal modo, sceglie anche l'ufficio
giudiziario  che giudichera' il suo caso. Cio' contrasta non soltanto
con  il  principio, recentemente affermato dalla Consulta, che impone
la  par  condicio  per le diverse parti del processo (analogo diritto
non  compete  all'accusa  pubblica  e privata), ma soprattutto con la
assoluta  indisponibilita'  dei  diritti  costituzionali.  Non sembra
potersi  ammettere,  in altre parole, che una semplice manifestazione
di  volonta'  di  una  delle  parti  del  processo incida sul giudice
naturale precostituito per legge.
Trattasi,  con ogni evidenza, di argomentazioni che potrebbero essere
addotte  anche  per  i  giudizi  di  competenza  del tribunale. Cio',
ovviamente,  non  ha rilevanza in questa sede. La questione presenta,
tuttavia, risvolti del tutto particolari nel caso dei procedimenti di
competenza  della Corte d'assise, laddove entra in gioco il principio
della  partecipazione de1 popolo alla decisione dei processi che, per
la  gravita'  dei  fatti  ascritti agli imputati, abbiano un maggiore
impatto sull'opinione pubblica e sulla coscienza collettiva.
4.3)  L'art.  1  Cost.  richiama alla mente la formula del giuramento
prestato dai giudici popolari. In virtu' di tale norma «la sovranita'
appartiene  al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della
Costituzione».  Va  qui  ricordata la legge istitutiva delle Corti di
assise (legge 10 aprile 1951, n. 287 e succ. modif.) la quale prevede
una  particolare composizione del Collegio giudicante: due magistrati
e  sei giudici popolari (art. 3, lettere a, b e c legge cit.). Per il
combinato  disposto  di tale legge con l'art. 1 Cost. e per l'art. 25
Cost.,  in virtu' del quale «nessuno puo' essere distolto dal giudice
naturale  precostituito  per  legge»  puo' ben dirsi che sottrarre il
giudizio   alla   Corte   di  assise  per  affidarlo  ad  un  giudice
monocratico,  oltre a violare tali norme costituzionali, ad avviso di
questa  Corte  remittente, vulnera il principio di ragionevolezza dal
momento  che  restano fermi i principi di speditezza connessi al rito
abbreviato  pur  quando  tale giudizio viene celebrato dinanzi ad una
Corte di assise.
4.4)  Anche  l'art.  24  Cost.,  che si occupa del diritto di difesa,
appare  in  contrasto  con  la  denunciata norma dell'art. 438 c.p.p.
L'oralita'  del  processo  penale,  e  piu'  precisamente «le ragioni
dell'accusa   e   le   ragioni   della  difesa»,  che  devono  essere
attentamente   ascoltate   dai  giudici  popolari  per  far  fede  al
giuramento prestato, non trovano ingresso nel giudizio abbreviato che
si  svolge  dinanzi  ad  un  giudice togato (il g.u.p.) il quale deve
valutare  le  prove secondo i canoni stabiliti dal nuovo c.p.p. e non
puo',  ad  avviso  della  Corte, attingere elementi di valutazione da
affidare  al  suo  libero  convincimento. Il diritto di difesa appare
violato  anche  in  considerazione  dell'assoluta  diversita' dei due
giudizi: quello di primo grado affidato ad un magistrato, e quello di
appello,  invece,  a due magistrati ed a sei giudici popoiari i quali
partecipano  al  giudizio senza essere dei tecnici ma per l'esigenza,
avvertita   dal   legislatore,   che   vi  sia  anche  una  giustizia
concretamente amministrata in nome del popolo e come tale considerata
e sentita proprio dai giudici popolari.
A  ben  riflettere,  nella  permanenza  di un giudizio di primo grado
affidato ad un sol giudice togato, si ha un vero e proprio squilibrio
nel  giudizio  di  secondo grado. Il difensore dell'imputato infatti,
con  i  suoi motivi di appello, nel ricordare che il legislatore, con
il  nuovo  c.p.p.  entrato in vigore il 24 ottobre 1989, con il libro
terzo   intitolato   «Prova»,   si  e'  occupato  tra  l'altro  della
valutazione  della  prova,  e  che  a  proposito  dei requisiti della
sentenza  e'  stato  stabilito  che  nella stessa occorra una concisa
esposizione  dei  motivi  di  diritto  su cui la decisione e' fondata
(art.  546,  comma 1, lett. e c.p.p.), non ha mancato di censurare la
sentenza  in ordine alla distorta applicazione della prova indiziaria
di cui si occupa il legislatore per la prima volta nel codice di rito
all'art.  192,  comma 2 c.p.p. rilevando come la decisione impugnata,
nell'affermare  la  responsabilita'  dell'imputato, abbia ritenuto di
poter  utilizzare  il  suo  libero  convincimento  svincolato da ogni
regola di valutazione della prova. Censura questa che, se il giudizio
fosse  stato  celebrato  dinanzi  ad una Corte di assise, non avrebbe
potuto  trovare  ingresso. La Corte di assise di appello, proprio per
la  composizione  allargata a sei giudici popolari, puo' fare ricorso
al  libero  convincimento  ed in tal caso, se il giudizio espresso in
primo  grado  provenisse  da  una Corte di assise e non da un giudice
togato,  sarebbe  possibile  porre a confronto una decisione adottata
con gli stessi canoni di valutazione della prova.
4.5)  Secondo l'art. 101 Cost., «la giustizia e' amministrata in nome
del  popolo»  e  «i  giudici  sono  soggetti  soltanto  alla  legge».
Ricordando  le due distinte formule di giuramento, quella del giudice
togato  e  quella dei giudici popolari, sara' facile rilevare come la
legge  istitutiva  delle  Corti  di assise debba trovare tutela nella
norma  sopra  ricordata  dal  momento  che si e' ritenuto che persone
estranee  all'ordine  giudiziario  entrino a far parte di un collegio
giudicante  (in  presenza  naturalmente delle condizioni volute dalla
legge)  e  quindi  di  emettere  una  sentenza che risulti conforme a
quella che la societa' l'attende.
4.6)   L'art.  102  Cost.,  dopo  aver  stabilito  che  «la  funzione
giurisdizionale e' esercitata da magistrati ordinari e regolati dalle
norme  sull'ordinamento  giudiziario»,  aggiunge  che «in determinate
materie  puo'  aversi  anche  la  partecipazione  di cittadini idonei
estranei  alla magistratura» e che «la legge regola i casi e le forme
della  partecipazione  diretta  del  popolo all'amministrazione della
giustizia».  Con  tale norma si e' voluto, ancora una volta, blindare
di costituzionalita' il giudice naturale (art. 25 Cost.) in relazione
alla  legge istitutiva delle Corti di assise: principi che risultano,
ad  avviso  della Corte, vulnerati dall'art. 438 c.p.p. in virtu' del
quale  ad  una  Corte  di  assise  viene  sostituito  un Tribunale in
composizione monocratica.
4.7) L'art. 111 Cost. inizia testualmente: «la giurisdizione si attua
mediante  il  giusto  processo  regolato  dalla  legge».  Se la legge
stabilisce quale debba essere il giudice competente per materia (art.
5  c.p.p.) e se la legge costituzionale esige che nessuno puo' essere
distolto  dal  giudice  naturale  precostituito per legge, l'art. 438
c.p.p. e' in violazione della legge anche costituzionale.
Per  tutte  le  ragioni  esposte in motivazione la Corte di assise di
appello  di  Napoli  ritiene che la dedotta questione di legittimita'
costituzionale sia non manifestamente infondata.