IL GIUDICE DI PACE
Ha  emesso  la  seguente  ordinanza  nella  causa  civile iscritta al
n. 5877/04  del  Ruolo  Generale  Affari  Civili  dell'anno  2004 tra
Cesarano   Savino,   rappresentato  e  difeso  dagli  avv.  Salvatore
Caligiuri   e   Alessandro  Indipendente,  presso  cui  elettivamente
domicilia  in  Gragnano,  alla  via  Vittorio  Veneto  n. 146, giusta
procura  alle  liti,  attore  e  Gori  S.p.A.  in  persona del legale
rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in Sorrento alla
via  Fuorimura n. 20/b, presso lo studio degli avv. Ferdinando Pinto,
Giulio  Renditiso e Rosa Persico dai quali e' rapp.ta e difesa giusta
procura alle liti, convenuta.
Letti gli atti di causa;
Considerato  che con atto di citazione notificato in data 17 novembre
2004,  il  sig.  Cesarano  Savino evocava innanzi a questo giudice la
G.O.R.I.  S.p.A.,  esponendo  in  fatto  che,  essendo  egli titolare
dell'utenza  idrica  n. 2401  03778,  relativa  all'immobile  sito  a
Gragnano,  in  via  San  Giacomo n. 25, aveva provveduto al pagamento
della somma di € 70 a titolo di canone di depurazione per l'anno
2003,  a mezzo versamento sul c.c. postale n. 39268578 intestato alla
GORI  S.p.A.,  societa' subentrata nella gestione del servizio idrico
integrato al Comune di Gragnano.
L'attore,  sempre  in  punto  di  fatto,  affermava  che  la societa'
convenuta  aveva  richiesto  il  pagamento  del canone di depurazione
nella  fattura  n. 003460A/G  del  26  luglio  2004,  pur  non avendo
effettuato  ne'  potendo  effettuare il servizio di depurazione delle
acque   reflue,   per  essere  notoriamente  carente  degli  appositi
impianti.
In  diritto,  l'attore  asseverava  la  giurisdizione  dell'Autorita'
giudiziaria  ordinaria in quanto, come peraltro confermato da diverse
pronunce  della  Cassazione,  SS.UU.  (ex  plurimis  Cass.,  SS.  UU.
8522/02),  a  seguito  dell'introduzione  del  d.lgs. n. 258/2000 (di
correzione  ed  integrazione  del  precedente d.lgs. n. 152/1999), e,
piu'  specificamente,  a  seguito  dell'introduzione dell'art. 24 del
cennato  d.lgs. n. 258/2000 di modifica ed integrazione dell'art. 62,
d.lgs.  n. 152/1999,  a  partire  dal  3  ottobre  2000, il canone di
depurazione aveva perso la natura tributaria, sicche', dalla suddetta
data, aveva assunto valore di corrispettivo di diritto privato.
L'attore,  continuando  la  sua prospettazione giuridica, soggiungeva
che  il  canone  di  depurazione,  essendo sprovvisto di connotazione
tributaria,  rappresentava  ormai il corrispettivo di una prestazione
complessa  correlata  all'approvvigionamento  idrico civilisticamente
sussumibile  nella  disciplina  del  contratto di somministrazione, e
che,  proprio  in  virtu'  della  fisionomia tariffaria del canone di
depurazione,   in   assenza  della  fruizione  del  servizio  per  la
depurazione  delle  acque  reflue, non poteva che aversi diritto alla
restituzione delle somme pagate a tale titolo.
A  sostegno  delle  sue tesi, l'attore ribadiva che tale principio di
diritto   privatistico   era   stato   fatto   proprio   anche  dalla
giurisprudenza   tributaria,   menzionando   all'uopo   la   sentenza
n. 319/2001  della  Commissione  tributaria  di  Milano,  nella quale
veniva  statuito  che  «nessuno  e' tenuto al pagamento di un tributo
quale  corrispettivo  di  un  servizio  non  reso  e  non  ha rilievo
sostenere  che  il  corrispettivo  sarebbe  comunque  dovuto  per  la
raccolta di fondi per attirare detto servizio in futuro».
Per  tutto  quanto  detto, l'attore chiedeva alla giustizia adita che
venisse  accertata  per  l'anno  2003, la non debenza della quota del
servizio  idrico  integrato  corrispondente  al canone di depurazione
delle  acque  reflue,  e  che,  per  l'effetto, la societa' convenuta
venisse  condannata  alla  restituzione  delle  somme  pagate  a tale
titolo.
Costituitasi in giudizio, la societa' convenuta chiedeva innanzitutto
che il giudice di pace, al lume delle innovazioni introdotte dal d.l.
n. 18/2003,  decidesse  la controversia secondo diritto e non secondo
criteri equitativi.
La  societa'  convenuta  poi,  citando  giurisprudenza  al  riguardo,
resisteva  in giudizio asserendo che anche in assenza del depuratore,
in  base  alla  disposizione  di cui all'art. 14, comma 1 della legge
n. 36/1994   (legge   Galli),   quand'anche   si   fosse   avuta   la
trasformazione  della  natura del canone di depurazione da tributaria
in  tariffaria,  l'obbligazione  di corrispondere il canone risultava
comunque  inderogabile  per  espressa  previsione  di  legge,  e cio'
indipendentemente   dalla   sussistenza   o   meno   di  un  servizio
corrispettivo.
Concludeva  quindi  per  il  rigetto  della domanda attorea in quanto
infondata.
Nel  corso  del  giudizio,  il  giudice di pace, con ordinanza del 14
marzo 2005, sospendeva il giudizio in virtu' della sollevazione in un
altro    giudizio    analogo,   della   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 14, comma 1, legge n. 36/1994.
Con  ordinanza n. 262/2006, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale il 12
luglio  2006,  la  Corte  costituzionale  rigettava  la questione per
manifesta infondatezza, a causa della insufficiente descrizione della
fattispecie posta alla sua attenzione.
In  seguito  a tempestivo atto di prosecuzione del giudizio, l'attore
proseguiva   la  causa  incardinata,  per  la  quale  veniva  fissata
l'udienza del 6 marzo 2007.
Nel  corso  delle  predetta  udienza, il giudice di pace si riservava
sulla  richiesta  di parte attrice di sollevazione della questione di
legittimita'  costituzionale dell'art. 14, comma 1, legge n. 36/1994,
come modificato dall'art. 28, legge n. 179/2002.
Con  il  presente  provvedimento,  sciogliendo la riserva, il giudice
adito,  vagliate  approfonditamente  le  motivazioni  della richiesta
attorea,   solleva   la   questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art.  14,  comma  1  della  legge  n. 36/1994,  come  modificato
dall'art.  28,  legge  n. 179/2002, nella parte in cui stabilisce che
«la  quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di
depurazione e' dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura
sia  sprovvista  di  impianti  centralizzati  di depurazione o questi
siano  temporaneamente  inattivi. I relativi proventi, determinati ai
sensi  dell'art.  3,  commi da 42 a 47, della legge 28 dicembre 1995,
n. 549,  aumentati  della  percentuale  di  cui  al  punto  2.3 della
delibera  CIPE  4  aprile  2001,  pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
n. 165  del  18  luglio  2001,  affluiscono  a  un  fondo vincolato a
disposizione  dei  soggetti  gestori del Servizio idrico integrato la
cui utilizzazione e' vincolata alla attuazione del piano d'ambito».
                      Rilevanza della questione
In  primis,  si  ribadisce che il giudice rimettente e' assolutamente
competente  a  sollevare  la questione di legittimita' costituzionale
dell'art.  14,  comma  1, legge n. 36/1994, come modificato dall'art.
28,   legge   n. 179/2002,   in   relazione  alla  sussistenza  della
giurisdizione ordinaria per la lite introdotta dall'attore.
Difatti,  per  giurisprudenza costante, sussiste la giurisdizione del
giudice ordinario e non piu' quella delle commissioni tributarie (per
tutte  Cass.,  sez.  unite  n. 6418/2005),  ogni  qualvolta  la  lite
giudiziaria  sia  relativa  alla  non debenza o alla restituzione del
canone  di  depurazione  per un periodo successivo al 3 ottobre 2000,
sino alla quale data il canone ha conservato la natura di tributo.
Pertanto,  siccome  la  controversia  sottoposta  all'attenzione  del
giudice  di pace adito, ha ad oggetto la non debenza e la conseguente
restituzione del canone di depurazione pagato per l'anno 2003, questo
giudice  di pace e' assolutamente competente ad invocare l'intervento
della Corte costituzionale.
Cio'   detto,   la  definizione  del  giudizio  di  costituzionalita'
dell'art.  14,  legge  n. 36/1994,  come  modificato dall'art. 28, 31
luglio  2002,  n. 179,  e' assolutamente rilevante per la risoluzione
della  controversia,  in  quanto la predetta norma rappresenta sia la
disposizione   che  dovra'  essere  applicata  in  giudizio,  sia  il
riferimento    normativo   indispensabile   per   il   merito   della
controversia.
In  ordine  alla  sua  applicazione  in giudizio, occorre dire che la
materia  del canone di depurazione era disciplinata fino al 2 ottobre
2000,  dagli  articoli  16  e  17 della legge 10 maggio 1976, n. 319,
mantenuti  in  vigore per tale periodo dall'art. 62, commi 5 e 6, del
decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152.
Dal  28  agosto 2002 fino al 28 aprile 2006, il canone di depurazione
e'   stato   invece   regolamentato  dall'art.  14,  comma  1,  legge
n. 36/1994,  come modificato dall'art. 28 della legge 31 luglio 2002,
n. 179  successivamente  abrogato  con decorrenza dal 29 aprile 2006,
dall'art.  175, comma 1, lettera u), del decreto legislativo 3 aprile
2006, n. 152, (v. Corte cost. ord. 262/2006).
Di conseguenza, visto che nel caso di specie si chiede la non debenza
e  la  restituzione  del canone di depurazione pagato l'anno 2003, la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 1, legge
n. 36/1994,  come  modificato  dall'art.  28,  legge  n. 179/2002, e'
oltremodo   rilevante,   sia  perche'  e'  la  predetta  disposizione
normativa ad essere applicata nella controversia, attesa la sua sfera
di  operativita' al periodo intercorrente tra il 28 agosto 2002 al 28
aprile  2006,  sia  perche'  nel  merito  della  lite, e' ad essa che
occorre far riferimento per la decisione della causa.
             Non manifesta infondatezza della questione
La   presente   questione   di  legittimita'  costituzionale  non  e'
manifestamente  infondata,  visto che la disposizione di legge di cui
si  chiede  lo  scrutinio,  appare in evidente contrapposizione con i
dettami costituzionali, per tutti i motivi che appresso si elencano:
1) Violazione dell'art. 2 della Costituzione.
Una  disposizione  di legge ordinaria che imponga il pagamento di una
prestazione  anche  in  assenza  dell'erogazione  del servizio per il
quale  essa e' chiesta, importa l'aggressione del diritto inviolabile
alla  qualificazione  dell'individuo come soggetto di diritto, dotato
in  quanto tale, ai sensi dell'art. 2 Cost., di una fascia di diritti
inalienabili   e   irriducibili   nei  riguardi  sia  della  pubblica
amministrazione che dei soggetti privati.
Orbene,  l'art.  14,  comma  1  della  legge n. 36/1994, statuendo il
pagamento  del canone di depurazione senza che ad esso sia sotteso il
relativo servizio, nonostante sia la stessa trasformazione del canone
da  tributo  in  tariffa  ad  esigere  una  prestazione economica dal
cittadino  solo  in cambio di una controprestazione, contrasta con la
garanzia  di  soggetto  di  diritto  che  l'art. 2 della Costituzione
riconosce ad ogni cittadino.
La  predetta  norma  costituzionale, difatti, affermando la posizione
giuridica  della  persona  umana  in  quanto  soggetto di diritto, ne
esclude   la   soggezione  ad  ogni  forma  di  potere  arbitrario  e
persecutorio, compreso quello che impone una prestazione patrimoniale
in assenza della relativa controprestazione.
Pertanto,  come  formulato, l'art. 14, comma 1 della legge n. 36/1994
soppianta  l'irrinunciabile dignita' di soggetto di diritto in favore
dell'impotenza del suddito, vessato dall'imposizione iniqua di poteri
autoritari.
Ne'  puo'  dirsi  in  contrario che l'art. 14 della legge n. 36/1994,
stabilendo che i proventi del canone di depurazione «affluiscono a un
fondo  vincolato  a  disposizione  dei  soggetti gestori del Servizio
idrico  integrato  la  cui utilizzazione e' vincolata alla attuazione
del  piano  d'ambito»,  contribuisca  a  far si' che il cittadino, un
giorno!!!!,  possa avere i servizi che gli competono dietro pagamento
del corrispettivo in denaro.
Difatti,  ragionare  in  tal  modo,  significa  differire sine die la
realizzazione  della  qualita'  di  soggetto di diritto, in quanto il
testo originario dell'art. 14 della legge n. 36/1994, non prevedendo,
per  legge,  un  limite  temporale  oltre  il quale non sia possibile
procedere  alla  riscossione del canone di depurazione in assenza del
servizio,  rimette  al  mero  arbitrio  degli  amministratori locali,
deputati  all'applicazione  della  norma, la cessazione del pagamento
del canone in assenza del depuratore.
Questo   perche'   l'art.   14  della  legge  n. 36/1994,  nel  testo
originario,   sottraendo  alla  legge-controllo  sul  rispetto  delle
garanzie  di  cui  all'art.  2  Cost.,  deferisce alle valutazioni di
«convenienza»   degli   amministratori  locali,  sia  la  durata  dei
sacrifici  dei  cittadini costretti a pagare il canone in assenza del
depuratore;  sia  il tempo di realizzazione del diritto dei cittadini
stessi   a  godere  dei  servizi  pubblici;  sia  in  definitiva,  la
concretizzazione della garanzia costituzionale di soggetto di diritto
propria di ciascun cittadino.
Quanto  prospettato,  si  e'  concretamente  verificato nel Comune di
Gragnano  e  in  tanti  altri  ancora,  ove  dopo  quindici  anni  di
riscossione  del  canone  di depurazione, non si e' ancora provveduto
alla  costituzione  del  depuratore  e  all'erogazione  del  relativo
servizio.
Conseguentemente,  il  testo  originario  dell'art. 14, comma 1 della
legge  n. 36/1994  e'  in  contrasto con l'art. 2 della Costituzione,
visto  che  la  suddetta  norma, sia nel presente che nel futuro, non
garantisce  la dignita' di soggetto di diritto al cittadino, che, pur
pagando il canone di depurazione, non fruisce del relativo servizio.
2) Violazione dell'art. 3 della Costituzione.
L'art.  14,  comma  1, legge n. 36/1994, nel prescrivere l'obbligo di
corresponsione  della  tariffa  per  la  depurazione nonostante siano
carenti   o   non   funzionanti   i   relativi  impianti,  attua  una
inaccettabile  discriminazione  tra  coloro  che pagano la tariffa in
presenza di un impianto di depurazione e coloro che, pur pagando, non
godono del relativo servizio perche' non funzionante o inesistente.
Per  cui,  ne risulta chiaro il contrasto della suddetta disposizione
normativa,  sia con la posizione di uguaglianza dei cittadini innanzi
alle legge; sia con il principio di pari dignita' sociale, sia con la
necessita' di rimuovere quegli ostacoli di ordine economico e sociale
che,  limitando  di  fatto la liberta' e l'eguaglianza dei cittadini,
impediscono  il  pieno  sviluppo  della persona umana in quanto tale,
vale a dire come soggetto di diritto.
Ne'  vale  argomentare  che il principio di uguaglianza e' assicurato
dal  fatto  che  il pagamento della tariffa in assenza di un servizio
attuale, consentira' di reperire i fondi per la futura esecuzione dei
servizi  di  depurazione  in  favore di coloro che attualmente non ne
fruiscono, che cosi' risulteranno parificati a quelli che attualmente
godono del servizio del depuratore in cambio del canone corrisposto.
Difatti,  i  cittadini  costretti  a  pagare  per  avere in futuro il
servizio  di  depurazione,  inevitabilmente  verrebbero  trattati  in
maniera   diseguale   rispetto  agli  altri  cittadini  che  pagando,
fruiscono attualmente del corrispondente servizio.
Inoltre,  l'art.  14,  comma  1, legge n. 36/1994 come modificato nel
2002,  non  prevedendo  alcun  limite  temporale  alla cessazione del
pagamento  della  tariffa  senza il corrispondente servizio, non crea
nemmeno   per   il   futuro   le   garanzie  giuridiche  per  colmare
l'ineguaglianza attuale.
Questo  perche'  l'eliminazione di ogni sperequazione tra i cittadini
che  godono del servizio in cambio del pagamento del canone, e quelli
che  pur  pagando,  non ricevono il servizio, e' rimessa dall'art. 14
della  legge  Galli  alla  mera discrezionalita' degli amministratori
locali  deputati  all'applicazione  della  norma,  che,  in tal modo,
risultano  gli  unici  arbitri  sia  della  durata  dei sacrifici dei
cittadini,  costretti  a  pagare il canone in assenza del depuratore,
sia  del  tempo  di  realizzazione del diritto dei cittadini stessi a
godere dei servizi pubblici.
Conseguentemente,  l'art.  14,  comma  1, legge n. 36/1994, nel testo
originario,  e' in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, poiche'
sia  nel presente che nel futuro, non garantisce la realizzazione del
principio di uguaglianza dei cittadini.
3) Violazione dell'art. 32 della Costituzione.
L'art.  14,  legge n. 36/1994 viola anche il disposto di cui all'art.
32 Cost., che sancisce il diritto alla salute dell'individuo.
La  sua formulazione incoraggio il lassismo degli enti locali a spese
della  salute  dei  cittadini  e delle future generazioni danneggiate
dall'inquinamento che ne scaturisce.
4) Violazione dell'art. 41 della Costituzione.
Considerando  che la gestione delle risorse idriche, come nel caso di
specie, puo' essere affidata anche ad un ente privato, e' inevitabile
che l'art. 14, comma 1, legge n. 36/1994 come modificato nel 2002 sia
ulteriormente  illegittimo,  in  quanto, la GORI S.p.A., imponendo il
pagamento  di una tariffa pur in assenza del servizio di depurazione,
espleta  una attivita' economica in contrasto con la dignita' umana e
l'utilita' sociale.
Oltretutto, i valori intangibili della dignita' umana e dell'utilita'
sociale  di  cui  sopra,  risultano  ancor di  piu' compromessi dalla
mancata  previsione  normativa di un limite temporale alla cessazione
del  pagamento  della tariffa senza il corrispondente servizio, oltre
che  dalla  rimessione  del  predetto limite temporale esclusivamente
alla  mera  discrezionalita'  degli  amministratori  locali  deputati
all'applicazione  della  norma,  che in tal modo, risultano gli unici
arbitri  sia  della  durata  dei sacrifici dei cittadini, costretti a
pagare  il  canone  in  assenza  del  depuratore;  sia  del  tempo di
realizzazione  del  diritto dei cittadini stessi a godere dei servizi
pubblici; sia in definitiva, della dignita' umana di ogni cittadino.
Violazione dell'art. 97 della Costituzione.
Il  tenore  dell'art.  14  legge n. 36/1994 come modificato nel 2002,
consente d'imporre ai cittadini una sorta di tassa sine titulo la cui
finalizzazione   ad  una  futura  esecuzione  degli  impianti  appare
generica  ed  astratta  (ancora  oggi, dopo quindici anni, si attende
quantomeno la predisposizione del sevizio di depurazione).