IL TRIBUNALE Sulla eccezione di costituzionalita' sollevata dalla difesa di Corvi Enzo; Letti ed esaminati gli atti di causa ed udito il parere delle altre parti; O s s e r v a Il sottoscrino giudice, in servizio presso il Tribunale di Montepulciano, svolgeva funzioni di componente nel collegio nell'ambito del procedimento penale n. 232/2007 a carico di C. E. e R. P. P., imputati del reato previsto dagli artt. 81, 110 c.p. 3, primo comma, numeri 1, 4; 5 e 6 e 4, primo comma, numeri 1 e 7 della legge 20 febbraio 1958, n. 75 perche': «in concorso tra loro e con piu' atti esecutivi di un medesimo disegno criminoso: controllavano e dirigevano il night club «R. V.», casa ove si esercita la prostituzione; reclutavano donne al fine di far loro esercitare la prostituzione; inducevano alla prostituzione donne di eta' maggiore; inducevano ragazze straniere a recarsi nel territorio dello stato al fine di esercitarvi la prostituzione; con l'aggravante di aver commesso i fatti con minaccia e ai danni di piu' persone. In Abbadia S. Salvatore dal 2003 al febbraio 2006». Il solo R. inoltre, era imputato di ulteriore reato ex art. 609-bis c.p. per aver costretto mediante violenza W. M. a subire atti sessuali baciandola e toccandola su tutto il corpo, in particolare nelle parti intime. Illecito commesso sempre in Abbadia S. Salvatore il 16 gennaio 2006. All'esito dell'istruttoria, mentre per il delitto di violenza sessuale, indicato al capo b) dell'imputazione, il collegio pronunciava sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto, in relazione al capo concernente le plurime violazioni della legge Merlin emetteva ordinanza ex art. 521, secondo comma c.p.p., in questi termini (testuale vedasi ordinanza emessa all'udienza del 22 gennaio 2007): «rilevato che dall'istruttoria dibattimentale il fatto e' diverso da quello descritto nel capo a) dell'imputazione dal momento che l'ipotesi criminosa integrerebbe il delitto di cui all'art. 3, primo comma, n. 8 della legge n. 75/1958... dispone la restituzione degli atti al pubblico ministero N sede per quanto in parte motiva». Con atto del 2 aprile 2007 il pubblico ministero chiedeva nuovamente il rinvio a giudizio del C. e del R. cosi' formulando l'imputazione: «del reato previsto e punito dagli artt. 81, 110 c.p. 3, primo comma, n. 8 e 4, primo comma, numeri 1 e 7 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, perche', in concorso tra loro ed in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, il primo in qualita' di titolare del night club R.V. e l'altro di barman presso lo stesso esercizio, favorivano e sfruttavano la prostituzione di ragazze straniere in quanto il primo concedeva loro spazi del night club ove le ragazze compivano atti sessuali con i clienti ed il secondo conteggiava la durata delle prestazioni e forniva indicazioni ai clienti sulle prostitute, ricavando profitto dalla circostanza che i clienti venivano attratti dalla presenza di queste ultime ed effettuavano pagamenti maggiorati per intrattenersi con le prostitute stesse; con l'aggravante di aver commesso i fatti con minaccia e ai danni di piu' persone. In Abbadia S. Salvatore dal 2003 al febbraio 2006.». Sulla base del normale criterio di distribuzione degli affari il sottoscritto magistrato veniva designato quale giudice per l'udienza preliminare, che veniva fissata per il giorno 18 ottobre 2007. All'udienza, la difesa degli imputati in primo luogo invitava il giudice ad esercitare la facolta' di astensione prevista dall'art. 36 c.p.p. ritenendo sussistente l'ipotesi prevista dalla lettera g) della medesima disposizione; quindi, in caso di mancata astensione, entrambi gli imputati formulavano comunque istanza di ricusazione, sempre ritenendo sussistente l'ipotesi suddetta contemplata dalla lettera g) dell'art. 36 c.p.p. Infine chiedevano comunque al giudicante di sollevare eccezione cui incostituzionalita' dell'art. 34 c.p.p. nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' a svolgere le funzioni di giudice per l'udienza preliminare del giudice che abbia, all'esito di un precedente dibattimento riguardante il medesimo fatto storico a carico del medesimo imputato, ordinato la trasmissione degli atti al pubblico ministero ai sensi dell'art. 521, secondo comma c.p.p. Il giudicante non ritenendo direttamente applicabile al caso di specie l'art. 34 c.p.p. e preso atto della sua avvenuta ricusazione, sollevava questione di legittimita' costituzionale ritenendo di potervi proccdere atteso che l'art. 36, ultimo comma c.p.p. fa divieto di emettere unicamente la sentenza, riservandosi l'emissione al riguardo di apposita ordinanza. Ritiene in primis lo scrivente che la questione proposta dalla difesa degli imputati, alla quale del resto si e' associato il pubblico ministero d'udienza, non e' manifestamente infondata. Nel passato la Corte costituzionale si e' occupata di questioni analoghe a quella prospettata nel presente procedimento, ma rivestendo le cause di incompatibilita' carattere tassativo, nessuna di esse appare sufficiente ad evitare, anche attraverso l'interpretazione costituzionalmente orientata del secondo comma dell'art. 34 c.p.p. che nel corso del tempo e' stata fornita dal supremo organo di garanzia, un nuovo giudizio di costituzionalita' di detta disposizione. Con la sentenza n. 455 del 30 dicembre 1994 ha infatti dichiarato «l'illegittimita' costituzionale dell'art. 34, secondo comma del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' alla funzione di giudizio del giudice che abbia all'esito di precedente dibattimento, riguardante il medesimo fatto storico a carico del medesimo imputato, ordinato la trasmissione degli atti al pubblico ministero a norma dell'art. 521, secondo comma del codice di procedura penale». Leggendo la motivazione della indicata sentenza appare evidente tuttavia che la stessa prende spunto da un caso parzialmente dissimile da quello oggetto del presente giudizio, con particolare riferimento alla figura dell'organo giudiziario chiamato a pronunciarsi, per cosi' dire, in seconda istanza, a seguito della avvenuta rimessione degli atti: mentre infatti nell'ipotesi esaminata con la sentenza n. 455/1994 era il giudice del dibattimento che doveva procedere al nuovo giudizio essendo stati trasmessi gli atti a seguito di ritenuta ricettazione in luogo di furto, nel caso che occupa lo scrivente riveste il ruolo di giudice dell'udienza preliminare atteso che i fatti ritenuti dal collegio con la citata ordinanza integrerebbero pur sempre violazioni della legge Merlin per le quali e' competente il tribunale in composizione collegiale essendo stata contestata la circostanza aggravante prevista dall'art. 4 della legge n. 75/1958. Di converso, con sentenza n. 224 del 6 luglio 2001 la Corte costituzionale ha dichiarato «illegittimita' costituzionale dell'art. 34, primo comma, del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' alla funzione di giudice dell'udienza preliminare dei giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare sentenza, poi annullata, nei confronti del medesimo imputato e per lo stesso fatto». Sul punto, la diversita' con la questione posta nel presente giudizio riguarda l'atto conclusivo del primo giudizio, nel caso gia' esaminato dalla Corte rappesentato da una sentenza poi annullata nei confronti del medesimo imputato e per lo stesso fatto, qui da un'ordinanza di rimessione degli atti ex art. 521 c.p.p. E proprio dalle considerazioni di carattere generale contenute nelle due sentenze ora citate che tuttavia puo' trarsi il convincimento della non manifesta infondatezza della questione sollevata, per contrasto con sia con il principio di parita' di trattamento normativo di situazioni simili che con il diritto di difesa, nonche' con quello di imparzialita' e terzieta' del giudice. Ed infatti, l'ipotesi del giudice che, avendo concorso a pronunciare ordinanza di rimessione ex art. 521, secondo comma c.p.p. nei confronti del medesimo imputato per lo stesso fatto, venga chiamato a riesaminare la medesima vicenda in sede di udienza preliminare, risulta, del tutto analoga a quella «gia' considerata generativa di incompatibilita» sia del giudice per l'udienza preliminare che abbia pronunciato o concorso a pronunciare sentenza, poi annullata, nei confronti del medesimo imputato e per lo stesso fatto, sia del giudice del dibattimento che abbia, all'esito di precedente dibattimento, riguardante il medesimo fatto storico a carico del medesimo imputato, ordinato la trasmissione degli atti al pubblico ministero a norma dell'art. 521, secondo comma del codice di procedura penale. Anche nella prima evenienza si assisterebbe, per vero, ad una evidente compromissione dell'imparzialita' del giudice, a fronte della «forza di prevenzione» esercitata, nella rinnovata fase processuale, dalle valutazioni compiute ai fini della precedente decisione, pur non consistita in una sentenza; come ha infatti chiarito la Corte costituzionale con la sentenza n. 455/1994, il giudice, quando accerta all'esito del dibattimento che il fatto e' diverso da come descritto nel decreto che dispone il giudizio, compie una penetrante delibazione del merito della regiudicanda, non dissimile da quella che, in mancdnza di una valutazione della diversita' del fatto, conduce alla definizione con sentenza del giudizio di merito. Un dibattimento bis riguardante il medesimo fatto storico e il medesimo imputato non puo', pertanto, non essere attribuito alla cognizione di altro giudice, trattandosi della stessa ratio di tutela della imparzialita' e serenita' di giudizio che informa la regola posta dall'art. 34, primo comma cod. proc. pen. affermativa della incompatibilita' del giudice che abbia pronunciato sentenza in un precedente grado di giudizio relativamente al medesimo procedimento. Ma cio' che e' stato affermato con riferimento al giudice del dibattimento dovrebbe valere anche per il giudice per l'udienza preliminare, se e' vero che quest'ultimo, come statuito nella sentenza n. 224/2001, per giungere alla determinazione conclusiva compie un apprezzamento del merito privo del carattere della sommarieta' si legge ancora nella sentenza citata che «l'alternativa decisoria che si offre al giudice quale epilogo dell'udienza preliminare, riposa, dunque, su una valutazione del merito della accusa ormai non piu' distinguibile - quanto ad intensita' e completezza del panorama delibativo - da quella propria di altri momenti processuali, gia' ritenuti non solo ââpregiudicanti'', ma anche ââpregiudicabili'', ai fini della sussistenza della incompatibilita». Cio' ha ovviamente rilievo ai fini della dichiarazione di non manifesta infondatezza della questione, per il contrasto quanto meno prospettabile con gli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione. Pacifica, infine, la sua rilevanza nel processo in corso, dato che qualora essa venisse accolta lo scrivente magistrato sarebbe obbligato ad astenersi dalla trattazione del processo ai sensi dell'art. 36, lettera g) c.p.p. in quanto verterebbe in una delle ipotesi di incompatibilita' stabilite dall'art. 34 del codice di rito.