LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE
Ha  emesso  la seguente ordinanza sul ricorso n. 41/07, depositato il
25  gennaio 2007, avverso avviso di accertamento n. 715 - Pubblicita'
2006;
Contro  I.C.A. S.r.l. proposto dal ricorrente: Banca di Piacenza Soc.
coop.  per  azioni,  via  Mazzini  n. 20  - 29100 Piacenza, difeso da
Coppolino avv. Antonino, via S. Franca n.7/A - 29100 Piacenza.
                              F a t t o
Con  atto  depositato  il  25 gennaio 2007 la «Banca di Piacenza soc.
coop.  per  azioni»  ricorreva  a  questa  Commissione  contro avviso
notificato  il  18  novembre  2006 dalla «ICA S.r.l. Imposte Comunali
Affini»,  concessionaria  del  servizio  pubblicita'  del  Comune  di
Piacenza  che  aveva  accertato  l'omessa denuncia e versamento della
imposta   sulla   pubblicita'  per  l'anno  2006  per  n. 5  cartelli
bifaccciali di mq 10 complessivi, esposti in viale Patrioti.
La  societa'  ricorrente esponeva di avere stipulato con la Pubblitop
S.r.l.  un contratto per l'utilizzo dei cinque spazi pubblicitari per
un  solo  anno  (dal  10  giugno 2003 al 10 giugno 2004) senza tacita
proroga,  pattuendo un corrispettivo (comprendente l'imposta comunale
sulla  pubblicita) fatturato e pagato. Venuta a conoscenza all'inizio
del  2006  che  i  detti  spazi  erano  ancora  utilizzati, diffidava
formalmente  la Pubblitop (racc. del 16 gennaio e 26 febbraio 2006) a
rimuovere  la  pubblicita';  ma  la  societa' non provvedeva ed il 13
luglio 2006 era dichiarata fallita.
Diffidava quindi la ICA a provvedere alla copertura degli spazi.
La  ricorrente  sosteneva  di  non  essere  tenuta al pagamento della
imposta  per  una pubblicita' mai voluta e per la quale l'obbligo del
pagamento   incombeva   alla   Pubblitop  quale  titolare  del  mezzo
pubblicitario;  di essere totalmente estranea al rapporto tributario,
cosi'  che  la  applicazione  di  sanzioni  ledeva  i suoi diritti di
contribuente, mentre la mancata preventiva escussione della Pubblitop
determinava  una  soggezione  alla  imposta  per mera responsabilita'
oggettiva.
Evidenziava  che  la  norma di legge applicata si prestava a numerose
censure   di   incostituzionalita':   a)  lesione  del  principio  di
ragionevolezza  (art.3  Cost.) per essere il contribuente costretto a
pagare  una  imposta  senza  essere  a  conoscenza del presupposto di
fatto;  b)  disparita'  di  trattamento (art. 3 Cost.) fra debitore e
coobbligato  solidale,  chiamato  a  pagare senza avere realizzato il
presupposto  di  fatto;  c)  violazione  della capacita' contributiva
(art.   53  Cost.)  per  essere  il  contribuente  assoggettato  alla
obbligazione   tributaria  senza  correlazione  della  sua  capacita'
contributiva  al presupposto di imposta; d) eccesso di delega (art. 3
e  76  Cost.)  in quanto la legge delega attribuisce la soggettivita'
passiva solo a colui che dispone dei mezzi pubblicitari.
Chiedeva  declaratoria  di  non  debenza  del  tributo e annullamento
dell'accertamento  impugnato  e, in subordine trasmissione degli atti
alla  Corte  costituzionale  per illegittimita' dell'art. 6, comma 2,
d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, per violazione degli art. 3, 53 e 76
Cost.,  con  conseguente sospensione del giudizio di merito. Il tutto
con vittoria di spese.
La  societa'  ICA  si  costituiva  in  giudizio  con  controdeduzioni
depositate  il  28  febbraio  2007  sostenendo  che la tassazione era
avvenuta  correttamente  nelle  forme  e  modi  previsti  dal  d.lgs.
n. 507/1993  e  opponendosi  alla sospensiva dell'atto impugnato. Con
successiva  memoria  illustrativa depositata l'8 marzo 2007, ribadiva
che  la  banca  era solidalmente tenuta al pagamento della imposta ai
sensi   dell'art.  6,  comma  2  del  d.lgs.  n. 507/1993  e  che  la
pubblicita'  era  abusiva in quanto la societa' OPS S.p.A. subentrata
alla  Pubblitop  nel novembre 2005 aveva dato disdetta degli impianti
appartenuti alla Pubblitop con lettera del 31 gennaio 2006.
Chiedeva che venisse rigettato il ricorso con vittoria di spese.
La  banca  ricorrente  a  propria  volta  depositava il 5 aprile 2007
memoria   illustrativa   e  dopo  avere  riepilogato  i  fatti  e  le
argomentazioni  gia' esposte in ricorso, informava di avere proceduto
in proprio il 30 gennaio 2007 alla copertura degli spazi pubblicitari
e  analizzava  la  sentenza  della  Corte  costituzionale  del  13-20
dicembre  2000,  n. 557  (che  aveva  mandato  esente  da  censure di
incostituzionalita'  l'art.  6,  comma  2  del  d.lgs.  n. 507/1993),
evidenziando  che  un  ulteriore  ricorso  alla  Corte era possibile,
trattandosi  di situazione differente e particolare. Sottolineava che
alla  banca  erano  richiesti pagamenti di somme non solo a titolo di
imposta,  ma  anche  a  titolo  di  sanzione  pecuniaria,  per omessa
denuncia e per ritardato pagamento.
Sottolineava   in   particolare   il   contrasto   con   i   principi
costituzionali  delle norme che considerano volutamente effettuata la
diffusione  di  un messaggio pubblicitario anche quando sia accertato
che  chi  produce  o  vende la merce o fornisce i servizi abbia fatto
tutto  quanto  poteva affinche' il soggetto passivo della imposta non
realizzasse il presupposto della imposizione.
Evidenziava che il permanere di responsabilita' solidale di chi si e'
attivato in ogni modo per impedire tale diffusione violava il diritto
di  difesa  ed il principio di equo processo; e che era irragionevole
l'applicazione  di  sanzioni di tipo punitivo o afflittivo, in quanto
esse  postulano, per analogia con le sanzioni penali, il principio di
una responsabilita' personale.
Insisteva  nelle  rassegnate  conclusioni  ed  in  particolare  nella
rimessione degli atti alla Corte costituzionale.
Alla  udienza  odierna  il  Relatore  esponeva i fatti e le questioni
della  controversia;  e le parti ammesse alla discussione insistevano
sulle rispettive posizioni. La Commissione si riservava la decisione.
Indi decideva come segue.
                             M o t i v i
Dagli  atti e documenti di causa risulta che la banca ha stipulato un
contratto  di  pubblicita'  per  un  solo anno (e per tale periodo il
soggetto  titolare  del  mezzo  pubblicitario - Pubblitop - ha pagato
alla  ICA  la  relativa  tassa), ma la pubblicita' e' rimasta esposta
anche  successivamente  a  tale  periodo  annuale, per inerzia di chi
disponeva del mezzo pubblicitario (la Pubblitop ha dapprima ceduto ad
altri  il  ramo di azienda e poi e' fallita) ed a totale insaputa del
soggetto  pubblicizzato  che,  non  appena  informato, si e' attivato
(invano) chiedendo la copertura della pubblicita' rimasta esposta sui
tabelloni.
La   banca  -  che  non  voleva  assolutamente  avvalersi  del  mezzo
pubblicitario oltre il termine contrattualmente convenuto - e' stata.
raggiunta  dall'accertamento  e  colpita  dalle  sanzioni, nonostante
abbia  posto in essere tutto quanto poteva per evitare le conseguenze
della altrui omissione.
Questa  responsabilita'  oggettiva  che  discende  dalla applicazione
delle  norme  in  vigore, e' irragionevole e contrasta con i principi
della Costituzione.
Non  v'e' dubbio infatti che la norma si presta a numerose censure di
incostituzionalita': a) lesione del principio di ragionevolezza (art.
3  Cost.)  per  essere il contribuente costretto a pagare una imposta
senza  essere a conoscenza del presupposto di fatto; b) disparita' di
trattamento  (art.  3  Cost.)  fra  debitore  e coobbligato solidale,
chiamato  a pagare senza avere realizzato il presupposto di fatto; c)
violazione della capacita' contributiva (art. 53 Cost.) per essere il
contribuente   assoggettato   alla   obbligazione   tributaria  senza
correlazione  della  sua  capacita'  contributiva  al  presupposto di
imposta;  d) eccesso di delega (art. 3 e 76 Cost.) in quanto la legge
delega  attribuisce la soggettivita' passiva solo a colui che dispone
dei mezzi pubblicitari.
La Corte costituzionale ha gia' avuto modo di esprimersi sull'art. 6,
comma   2,  d.lgs.  n. 507/1993,  ma  con  sentenza  di  rigetto  (n.
557/2000);  talche' non e' oggi impedito di reimpugnare in modo nuovo
le medesime disposizioni di legge.
In   tale  sentenza  la  Corte  ha  ritenuto  legittima  la  prevista
responsabilita'   solidale   del   pagamento   della   imposta  sulla
pubblicita'.   Ma  nel  presente  giudizio  solo alcune  delle  somme
richieste  alla  banca,  come  obbligata  in solido, sono richieste a
titolo  di  imposta;  infatti  altre somme sono richieste a titolo di
sanzione  pecuniaria per l'omessa denuncia, per ritardato pagamento e
per  interessi  di  mora  (del  7%),  ossia  per  titoli che appaiono
sanzioni   prettamente   afflittive,   in   quanto  svincolate  dalla
riparazione  di  un  danno  patrimoniale  e  volte invece a finalita'
essenzialmente dissuasive.
Nella  fattispecie  delineata,  appare  chiaramente irragionevole una
responsabilita'  solidale  del soggetto pubblicizzato con il titolare
del   mezzo   pubblicitario   per   la   applicazione   di   sanzioni
amministrative  di  tipo  afflittivo; cosi' come appare irragionevole
che  si  riverberino  sul primo (la banca), gli effetti della mancata
denuncia  di  cessazione  che solo il soggetto passivo di imposta (la
Pubblitop) doveva e poteva effettuare, senza nulla poter fare per far
cessare  e prevenire la propria responsabilita' solidale. Altrettanto
irragionevole  appare  che  la  banca debba considerarsi obbligata in
solido  con  un  soggetto fallito, senza potersi rivalere in regresso
sul medesimo.
La   prevalente  interpretazione  giurisprudenziale  secondo  cui  il
soggetto  economico pubblicizzato deve pagare la imposta perche' trae
comunque  diretto  vantaggio  dal  messaggio pubblicitario e non puo'
quindi considerarsi estraneo al presupposto di imposta, determina una
presunzione assoluta che egli abbia comunque voluto la diffusione del
messaggio  pubblicitario  anche  quando sia positivamente provato che
non  voleva  la  pubblicita'.  Tutto  cio'  oltre  che irragionevole,
costituisce   violazione  del  diritto  di  difesa  e  del  principio
dell'equo  processo  e determina una abnorme parificazione fra chi ha
semplicemente  tollerato  la diffusione del messaggio pubblicitario e
chi ha fatto di tutto per evitarla.
Questo   Collegio  ritiene  pertanto  opportuno  rimettere  le  varie
questioni  sollevate  al giudizio della Corte costituzionale, perche'
in  base alle argomentazioni svolte, valuti la legittimita' dell'art.
6, comma 2, d.lgs. n. 507/1993.