IL TRIBUNALE
Decidendo sulla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1,
comma 547, legge n. 266/2005 (cosiddetta legge finanziaria anno 2006)
in  relazione  agli artt. 3 e 25 della Carta costituzionale sollevata
dalla difesa degli imputati.
                            O s s e r v a
La   citata  legge  finanziaria  ha  disposto  la  punizione  con  la
depenalizzazione  della  condotta  di  chi  distribuisce,  installa o
comunque consente in luogo pubblico o aperto al pubblico o in circoli
o   associazioni  qualunque  specie  di  apparecchi  o  congegni  non
rispondenti  alle  caratteristiche descritte ai commi 6 e 7 dell'art.
110   t.u.l.p.s.,  prevedendo  la  punizione  con  la  sola  sanzione
amministrativa.
Pur  prevedendo  il  noto  art.  2 del codice penale che nessuno puo'
essere  punito  per  un  fatto che, secondo una legge posteriore, non
costituisce   reato,  la  stessa  legge  finanziaria,  al  comma  547
dell'art.  1,  ha dettato una disciplina transitoria, secondo cui per
le  violazioni  dell'art. 110 t.u.l.p.s. commesse prima della data in
vigore  della  legge  finanziaria stessa si applicano le disposizione
vigenti al tempo delle violazioni.
Ne  deriva che gli odierni imputati, pur non essendo piu' previsto il
fatto   loro   contestato  come  reato,  dovrebbero  comunque  essere
penalmente  puntiti  in  virtu'  della  disposizione  di legge teste'
citata.
Pur  avendo  la  Corte  costituzionale  piu' volte ribadito l'assenza
della    costituzionalizzazione    del    principio   di   necessaria
retroattivita'  della legge penale piu' favorevole, non puo' comunque
non affermarsi detto principio qualora la sua violazione comporti una
ingiustificata disparita' di trattamento.
Orbene,  la  disciplina  transitoria  dettata dalla legge finanziaria
2006  appare  in  evidente contrasto con l'art. 3 Cost. avendo creato
una ingiustificata disparita' di trattamento tra soggetti imputati di
reati  identici  a  causa  di  evenienze  del tutto occasionali e non
predeterminate dalla legge.
La  Corte  costituzionale  si  e'  piu' volte espressa affermando che
«l'applicazione delle disposizioni penali piu' favorevoli al reo puo'
subire   limitazioni  e  deroghe,  purche'  non  manchi  una  qualche
razionale  giustificazione da parte del legislatore ordinario» (Corte
cost. n. 74/1980). E' di immediato rilievo che nel caso di specie non
vi  sia  stata  alcuna  razionale  giustificazione  alla  deroga  del
principio  di  retroattivita'  della  legge penale favorevole al reo,
ravvisandosi  nella  scelta  operata dal legislatore solo una diversa
valutazione  nel  tempo  del  disvalore  sociale  e penale del fatto,
nell'ottica  della generalizzata tendenza dello Stato, trasfusa negli
innumerevoli  interventi  legislativi in materia, di regolamentare le
occasioni di gioco, ampliandone il monopolio.
In  conclusione,  la  norma contestata appare del tutto irrazionale e
soprattutto   generatrice   di   una   ingiustificata  disparita'  di
trattamento.
La  questione,  pertanto,  oltre  che  non  manifestamente infondata,
risulta  rilevante ai fini del presente giudizio, in quanto, se cosi'
fosse,  gli  imputati andrebbero mandati assolti perche' il fatto non
e'  piu'  previsto  dalla  legge  come  reato  e  gli atti andrebbero
trasmessi alla competente autorita' amministrativa.