IL TRIBUNALE
Nel processo penale a carico di Divano Sabrina + 2 (03345/03 R.G.);
Rilevato   il   mancato   consenso   dei   difensori  degli  imputati
all'utilizzazione  delle  deposizioni  testimoniali assunte nel corso
dell'istruttoria  dibattimentali  precedentemente svolta, manifestato
all'udienza del 26 gennaio 2006, considerazioni della parziale mutata
composizione del Collegio giudicante;
Ritenuto  di  dover  sollevare, di ufficio, eccezione di legittimita'
costituzionale,  in  relazione agli artt. 3, 25, 101 e 111, Cost. del
combinato disposto degli artt. 511, 514 e 525, comma 2, c.p.p., cosi'
come  interpretati  dalle  ss.uu.  della  Corte  di  cassazione nella
sentenza  15 gennaio-17 febbraio 1999, e, in particolare, nella parte
in cui non prevedono che, nel caso si mutamento totale o parziale del
giudicante,  le  dichiarazioni  assunte  nella  precedente istruzione
dibattimentale, quando l'esame del dichiarante possa aver luogo e sia
stato  richiesto  da  una  delle  parti,  siano  utilizzabili  per la
decisione  mediante semplice lettura, dopo l'applicazione degli artt.
190 e 190-bis c.p.p.;
Ritenuta  la  questione non manifestamente infondata, per le seguenti
ragioni:
     le  ss.uu.  della  Corte  di  cassazione  hanno, con la sentenza
ricordata  in epigrafe, affermato il principio che, indispensabile la
rinnovazione del dibattimento per evitare la nullita' assoluta di cui
all'art.  525  c.p.p., la testimonianza raccolta dal giudicante nella
sua originaria composizione, sebbene ritualmente trasfusa nei verbali
agli  atti del fascicolo per il dibattimento, non e' utilizzabile per
la   decisione   mediante   semplice   lettura,  quando  l'esame  del
dichiarante  possa  aver luogo e sia stato (anche solo genericamente)
richiesto da una parte;
     siffatta interpretazione del combinato disposto degli artt. 511,
514  e  525  c.p.p.  appare contrastare con i principi costituzionali
stabiliti  negli  artt. 3, 25, 101, 111, innanzitutto alla luce delle
argomentazioni  svolte nell'ordinanza del Tribunale di Sala Consilina
15  novembre 2004, pubblicata al n. 18 nella Gazzetta Ufficiale del 4
maggio  2005, argomentazioni che, per economia di esposizione, devono
essere qui integralmente richiamate;
     la   suddetta  interpretazione,  comunque,  non  appare  affatto
imposta  dalla  lettera  della  norma, poiche' la dizione «a meno che
l'esame  non  abbia  luogo»,  con  la  quale si conclude il capoverso
dell'art.  525  c.p.p., non legittima affatto la sola indicazione del
caso  dell'obiettiva  impossibilita' della riassunzione (anzi, appare
ultronea,  in  presenza  della specifica previsione dell'art. 512) ma
consente la considerazione dell'ipotesi in cui, per qualsiasi motivo,
(tra  cui  l'esercizio  dei poteri/doveri stabiliti dagli artt. 190 e
190-bis c.p.p.) non abbia effettivamente luogo;
     non  attiene  alle  modalita'  di  introduzione  della prova nel
processo,  sotto  il  diverso  profilo del diritto al contraddittorio
nella sua formazione dibattimentale;
     si   risolve,   invero,   nell'esaltazione  dell'oralita'  quale
apodittico canone e fonte di legittimita' della prova, in un contesto
sistematico  in  cui,  per  contro,  non  solo manca alcuna norma che
consenta  una  tale  conclusione,  ma,  addirittura, vi sono plurime,
inequivoche e insuperabili indicazioni del carattere solo tendenziale
del   principio   dell'oralita',   quali  l'incidente  probatorio  e,
soprattutto,   il   giudizio   di  appello,  in  cui  il  giudice  e'
assolutamente libero di modificare le valutazioni di attendibilita' e
adeguatezza  delle  prove  orali  soltanto dopo la mera lettura delle
carte  contenute  nel  fascicolo dibattimentale, laddove si pone come
ipotesi del tutto eccezionale la rinnovazione dell'istruttoria);
     una  conferma della lettura sistematica qui esposta si trova nel
nuovo testo dell'art. 190-bis, comma 1, sostituito dall'art. 3, legge
1°  marzo  2001,  n. 63, laddove si prevede che, quando le precedenti
dichiarazioni  siano  state  assunte nel contraddittorio con la parte
nei   cui  confronti  le  dichiarazioni  stesse  saranno  utilizzate,
«l'esame  e'  ammesso solo se riguarda fatti o circostanze diversi da
quelli  oggetto delle precedenti dichiarazioni ovvero se il giudice o
taluna  delle  parti lo ritengono necessario sulla basi di specifiche
esigenze»; ne' tale ultima innovazione, che non e' la prima, potrebbe
considerarsi  quale  eccezione  a  un  principio  generale  di  segno
opposto:  si  e',  infatti,  gia'  osservato che l'art. 525, comma 2,
c.p.p. non impone affatto la lettura datagli dalle ss.uu. della Corte
di   cassazione,   mentre   sarebbe   singolare   che   le  eccezioni
riguardassero   proprio   le   situazioni   di   maggiore  potenziale
delicatezza  sotto  il  profilo  probatorio  (i casi ex art. 51.3-bis
c.p.p.;  le  situazioni di incompatibilita', astensione e ricusazione
in relazione all'art. 1, d.l. 23 ottobre 1996, n. 553, conv. in legge
23  dicembre  1996,  n. 652; la composizione monocratica o collegiale
del giudice, ex art. 170, d.lgs. 19 febbraio 1998, in forza del quale
«l'inosservanza  delle  disposizioni  sulla composizione collegiale o
monocratica  del tribunale non determina... l'inutilizzabilita' delle
prove  gia'  acquisite»; l'incompetenza del giudice che ha proceduto,
ex  art.  26  c.p.p.,  nel  quale,  in  ossequio  al  principio della
conservazione  degli  atti  processuali,  si  stabilisce il principio
secondo cui le prove assunte nanti il giudice incompetente conservano
validita' e efficacia; ).
In   definitiva,   questi   ripetuti   interventi  legislativi  vanno
interpretati  come  indicazione  univoca  e  reiterata dell'oggettiva
volonta'   del   legislatore  in  punto  utilizzabilita'  degli  atti
acquisiti  al  processo,  nel rispetto delle norme e, in particolare,
del contraddittorio, anche nel caso di mutamento della persona fisica
del  giudicante,  in  assenza  di una precedente norma contraria e in
presenza,  quindi,  di un vuoto normativo in tale materia, non tenuta
presente al momento della redazione del codice del 1998.
Sulla  scorta  delle  suddette  osservazioni,  imporre il riesame del
teste,  gia'  sentito  nel  pieno  rispetto  del  contraddittorio, in
presenza di una richiesta generica e senza l'indicazione specifica di
ragioni  da  sottoporre  al vaglio previsto dagli artt. 190 e 190-bis
c.p.p., sembra contrastare:
     con  l'art.  3  Cost.,  laddove  tale riesame obbligato verrebbe
escluso  per  le  situazioni  di maggiore rischio per la genuinita' e
terzieta'   dell'acquisizione  delle  prove  e,  invece,  imposto  in
situazioni  «fisiologiche» (quale l'occasionale mutamento del giudice
per  ragioni  del  tutto  estranee alle vicende endoprocessuali), con
evidente disparita' di trattamento in situazioni identiche;
     con  gli  artt.  25  e  101  Cost., parametri costituzionali che
regolano l'esercizio della funzione giurisdizionale consentendo, come
gia'   insegnato   dai   Giudici  delle  leggi,  di  enucleare  anche
l'efficienza  del  processo  (intesa  quale necessaria attitudine del
sistema  processuale  a  conseguire,  attraverso meccanismi normativi
idonei  allo  scopo, l'accertamento dei fatti e delle responsabilita)
quale   bene   costituzionalmente  tutelato;  nella  specie,  imporre
l'integrale  ripetizione  di  tutte le prove orali gia' assunte nella
massima pienezza del contraddittorio, senza altra ragione che quella,
normativamente  non prevista e non ricavabile dal sistema processuale
penale   quale   principio   generale  indefettibile,  del  garantire
l'oralita'  quale  mezzo  necessario  di  conoscenza  del giudice, si
risolve  in  una  palese  gratuita  inefficienza, tanto piu' che tale
riesame  non  comporta  l'interruzione  o  la sospensione dei termini
prescrizionali;
     con  l'art.  111.2  Cost.,  poiche'  l'incombente  determina  un
evidente  allungamento  della  durata  del processo, senza che alcuna
ragione  di  tutela  di  beni  e interessi, individuali o collettivi,
tutelati  costituzionalmente  o  anche  solo  da  legge ordinaria; lo
giustifichi:  quindi  un allungamento dei tempi di ragionevole durata
del  procedimento,  per  causa  irragionevole, che ha comportato, per
tale motivo, numerose pronunce di condanna dell'Italia da parte della
Corte di giustizia europea.
Osserva,  al riguardo, questo Collegio che la Corte costituzionale ha
recentemente  statuito,  con  ordinanza  25  gennaio-9 febbraio 2001,
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale suppl. 1ª serie spec. n. 7 del 14
febbraio  2001,  che  «l'esigenza  di  garantire la maggior celerita'
possibile  dei  processi  deve  tendere a una durata degli stessi che
sia,  appunto,  ‘‘ragionevole'',  in  considerazione  anche delle
altre tutele costituzionali in materia, in relazione al diritto delle
parti di agire e difendersi in giudizio garantito dall'art. 24 Cost.;
che  il  legislatore  continua  quindi  a  disporre  della piu' ampia
discrezionalita'  in  materia, pur essendo vincolato a scelte che non
siano  prive  di una valida ragione, ora anche sotto il profilo della
durata dei processi».
Nella  fattispecie,  si impone una ripetizione (che determinerebbe la
necessita'  di celebrare diverse udienze) di attivita' istruttoria, a
fronte   dell'assenza   di  qualunque  lesione  del  contraddittorio,
dell'assenza  di alcuna sostanziale rilevanza sulla valutazione della
prova  e dell'assenza di una norma ovvero di un principio sistematico
che  imponga l'oralita' quale forma indefettibile di conoscenza della
prova.
La  questione  qui sollevata, oltre che non manifestamente infondata,
sulla scorta delle osservazioni sinora svolte, e' anche rilevante nel
presente processo: l'adesione alla giurisprudenza delle sezioni unite
comporterebbe,   infatti,   l'impossibilita'  di  tener  conto  delle
deposizioni  assunte nelle udienze precedenti a quella del 26 gennaio
2006  e,  di  conseguenza,  la  totale  innovazione  dell'istruttoria
dibattimentale  sino  ad allora compiuta, con relativa ingiustificata
dilatazione dei tempi di celebrazione del processo.