IL CONSIGLIO DI STATO
Ha  pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso in appello proposto
dal  Ministero  per  i  beni  e le attivita' culturali in persona del
Ministro  pro tempore rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale
dello  Stato  presso  cui  e'  ope legis domiciliato in Roma, via dei
Portoghesi 12;
Contro  Comune  di  S.  Anastasia  in persona del sindaco pro tempore
rappresentato  e  difeso dagli avv. Giovanni Cresci e Antonio Messina
ed  elettivamente domiciliato in Roma, piazza di Spagna n. 35, presso
l'avv.  Carlo  Sarro; per l'annullamento della sentenza del Tribunale
amministrativo  regionale della Campania, sezione III, n. 10428 del 6
dicembre 2006;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di S. Anastasia;
Viste  le  memorie  prodotte  dalle parti a sostegno delle rispettive
difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla  pubblica  udienza  del  3  luglio  2007 relatore il Consigliere
Luciano Barra Caracciolo.
Udito l'avv. dello Stato Borgo, l'avv. Cresci e l'avv. Messina;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
                              F a t t o
Con  la  sentenza  in  epigrafe il Tribunale amministrativo regionale
della  Campania  ha  accolto  il  ricorso  proposto  dal Comune di S.
Anastasia avverso il decreto del 13 giugno 2006, n. 11978, con cui la
Soprintendenza  per  i  beni ambientali ed architettonici di Napoli e
provincia  aveva annullato il nulla osta paesaggistico n. 2265 del 13
gennaio  2006,  rilasciato dal comune medesimo per l'attuazione di un
«piano  particolareggiato  di  iniziativa  privata in zona D1 di area
sita in via Romani (di quel comune)», riguardante la realizzazione di
una  struttura  alberghiera  e  di  due edifici ad uso commerciale ed
uffici.
L'adito  tribunale,  con  sentenza  in  forma  semplificata  -  sulla
premessa    che    l'esame    dell'organo   statale   doveva   essere
necessariamente  ed esclusivamente limitato a motivi di legittimita',
non potendo impingere in apprezzamenti di merito - riteneva che fosse
fondato  il  profilo  di  violazione  di  legge  ed eccesso di potere
dedotto  in  ricorso  poiche'  la determinazione tutoria negativa non
indicava    le    ragioni    di   contrasto   con   le   prescrizioni
urbanistico-territoriali   della   zona  interessata  ed  atteso  che
l'intervento   progettato   appariva   conforme   alla   destinazione
urbanistica  impressa alla medesima (per la quale era consentita, tra
l'altro, proprio la realizzazione di strutture alberghiere).
Appella  il Ministero per i beni e le attivita' culturali deducendo i
seguenti motivi:
     Premesse  la  caratteristiche  fisiche  e  di regime urbanistico
dell'area  interessata  e  dell'intervento  oggetto del provvedimento
impugnato,  si  deduce  che  la  notevole volumetria e lo sviluppo in
superficie  dell'intervento  nel  suo  insieme,  ne  determinavano un
«grosso»  impatto  paesistico;  la  sua presenza, visto che l'area e'
caratterizzata   da   aree   residuali   agricole   e   di  interesse
paesaggistico,  provocherebbe, anche se in parte, la cancellazione di
tratti  del  paesaggio,  ancora intatti, a carattere rurale. Tanto ha
ritenuto il soprintendente nell'annullare l'autorizzazione sindacale,
ritenendo  che la stessa «comporterebbe la realizzazione di opere non
compatibili con le imprescindibili esigenze di tutela e conservazione
dei  valori  paesistici  riconosciuti  dal  d.m.  dell'8 agosto 1961;
esigenze  che  rappresentano,  come  noto, la ragione costitutiva del
vincolo stesso».
Erronea  e' l'affermazione del Tribunale amministrativo regionale per
cui la determinazione tutoria negativa deve essere necessariamente ed
esclusivamente limitata a motivi di legittimita' e non puo' impingere
in  apprezzamenti di merito. Infatti, l'art. 159, comma 3, del d.lgs.
n. 42/2004,  cosi'  come modificato dall'art. 26, comma 3, del d.lgs.
n. 157  del  24  marzo  2006,  stabilisce  la  piena e incondizionata
competenza dell'amministrazione per i beni culturali ad annullare gli
atti  autorizzativi  semplicemente  «qualora ritenga l'autorizzazione
non  conforme  alle  prescrizioni di tutela del paesaggio» e non solo
per  ravvisati vizi di legittimita'. L'annullamento di cui al decreto
impugnato  e'  cosi'  pienamente  legittimo,  in  quanto motivato con
riferimento   all'impatto   dell'intervento   nel   suo  insieme  sul
paesaggio,  che  determinerebbe un'obiettiva deroga al vincolo, tanto
piu'  che il nulla osta comunale e' del tutto privo di motivazione in
ordine  alla  compatibilita'  paesaggistica  dell'intervento, che non
puo'  essere  ricondotta  unicamente  al  rispetto delle prescrizioni
urbanistico-territoriali della zona interessata.
Si   e'   costituito   il  comune  originario  ricorrente  sostenendo
l'infondatezza    dell'appello   sulla   scorta   della   consolidata
giurisprudenza del giudice amministrativo che esclude che, in sede di
annullamento delle autorizzazioni rilasciate dagli enti territoriali,
la   Soprintendenza   possa   sovrapporre  e  sostituire  la  propria
valutazione  a quella effettuata dall'ente stesso in sede di rilascio
del  nulla  osta  paesaggistico.  L'art.  159,  comma  3,  del d.lgs.
n. 42/2004  non  potrebbe  essere  interpretato  nei sensi assunti in
appello,  poiche', come anche affermato da precedenti decisioni della
Corte  costituzionale,  la  pretesa  di un cosi' penetrante potere di
vigilanza   da  parte  dello  Stato  si  risolverebbe  nell'esercizio
unilaterale  della funzione autorizzatoria, attraverso determinazioni
aventi,   quindi,  rilevanti  ricadute  sull'assetto  urbanistico  ed
edilizio  del  territorio,  di  competenza  regionale,  ma  senza  la
garanzia  di  adeguati  modelli concertativi aderenti al principio di
leale collaborazione piu' volte richiamato dalla Corte.
                            D i r i t t o
La  materia del contendere, quale emergente dalla contestazione della
sentenza  impugnata sollevata in appello, si incentra preliminarmente
sulla  questione  della portata dell'art. 159, comma 3, del d.lgs. 22
gennaio  2004,  n. 42,  quale  sostituito  dall'art. 26 del d.lgs. 24
marzo    2006,    n. 157,    norma   ratione   temporis   applicabile
nell'emanazione  del  provvedimento  impugnato, adottato il 13 giugno
2006.
L'appello, in buona sostanza, sostiene l'erroneita' della sentenza di
prime cure sul rilievo che, a seguito dell'entrata in vigore di detta
norma,  la  Soprintendenza,  in  sede di verifica dell'autorizzazione
paesaggistica rilasciata dal comune, quale ente territoriale delegato
dalla  regione  ai  sensi  dell'art.  146,  commi 2 e 3, dello stesso
d.lgs.  n. 42  del 2004, non ha bisogno di indicare specifici vizi di
violazione  di  legge  da  cui  sarebbe affetta detta autorizzazione,
potendo  direttamente valutare «l'impatto ambientale» dell'intervento
richiesto,  alla  luce  del  regime  di vincolo imposto sulla zona di
volta in volta considerata.
Cioe'  non  vi  sarebbe, piu', secondo l'appellante, il vincolo della
delimitazione  del  potere di cognizione dell'autorizzazione, oggetto
del  riscontro,  ai soli parametri di legittimita', (inclusi peraltro
tutti  i  possibili  profili  di  eccesso di potere), quale affermato
costantemente   dalla   giurisprudenza   amministrativa,  secondo  un
risalente   orientamento  formatosi  presso  questa  stessa  sezione,
culminato  nelle  precisazioni  operate  con la decisione n. 9 del 14
dicembre  2001  dell'Adunanza  plenaria  e  in  seguito  univocamente
proseguito.
Va  in  proposito  rilevato che la tesi avanzata dall'amministrazione
appellante  risulta  suffragata  dalla lettura dello stesso art. 159,
comma   3,   nel   suo   testo   attuale,   che  stabilisce  che  «La
soprintendenza,   se   ritiene  l'autorizzazione  non  conforme  alle
prescrizioni  di  tutela del paesaggio, dettate ai sensi del presente
titolo, puo' annullarla, con provvedimento motivato,...».
E'  di tutta evidenza, infatti, che il rilievo della «non conformita»
alle    prescrizioni    della   legislazione   di   tutela,   implica
inevitabilmente il diretto apprezzamento dei fatti rilevanti nel caso
concreto, gia' considerati nell'ambito dell'autorizzazione oggetto di
controllo, al fine di esprimere su di essi un giudizio di «valore».
Tale  e'  infatti  quello  configurato  dalle  prescrizioni di tutela
medesime,  che  determinano  un  ambito  di valutazione del fatto, da
effettuare    in    sede    autorizzativa,   ancorato   a   «concetti
indeterminati»,  da  connotare cioe' in base ad apprezzamenti tecnici
complessi,  alla  stregua  di  regole  non giuridiche e proprie delle
discipline   estetico-ambientali,   suscettibili   di  diversi  esiti
applicativi:   si   abbia  riguardo  ai  concetti  di  «alterazione»,
«pregiudizio»,  «compatibilita»,  «coerenza»,  rapportate  ai «valori
paesaggistici» ed agli «obiettivi di qualita' paesaggistica», in base
alla lettera dell'art. 146, commi 1, 4 e 5, del d.lgs. n. 42\2004.
Cio'  premesso,  poiche', alla luce delle considerazioni ermeneutiche
che  precedono,  deve  opinarsi nel senso che la previsione dell'art.
159,  comma  3,  consenta una sostanziale revisione «in merito» delle
autorizzazioni  paesaggistiche  rilasciate  dagli  enti territoriali,
ritiene   il   Collegio   che   possa  dubitarsi  della  legittimita'
costituzionale  della  disposizione  stessa,  sollevando  la relativa
questione dinnanzi alla Corte delle leggi.
Quanto  alla  rilevanza  della questione, essa risulta palese, atteso
che   l'intendimento   e  l'individuazione  della  precisa  sfera  di
applicazione  della  norma  della  cui  costituzionalita'  si  dubita
risultano  decisivi  per  la definizione della presente controversia;
basti  dire  che  ove  la  norma,  come pare a questo Collegio, debba
intendersi  come  estensiva  dell'ambito del controllo demandato alla
soprintendenza fino agli aspetti c.d. «di merito», l'appello dovrebbe
essere  accolto  e  sicuramente riformata la sentenza di primo grado,
mentre, comunque, ogni altra censura eventualmente assorbita, dedotta
con  l'originario  ricorso di primo grado, assumerebbe una necessaria
diversa  rilevanza  ove  fosse  da  contrapporre  all'esistenza di un
potere  di apprezzamento «nel merito» della conformita' paesaggistica
in capo all'organo statale.
Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza  essa  puo' ritrarsi dalle
seguenti considerazioni:
     a)  e'  dubbio  che  una innovazione legislativa che importi una
revisione  cosi'  sostanziale,  -  nell'ambito  dell'affidamento alla
regione,  ed agli enti da essa delegati, del potere di autorizzazione
in  discorso  - del rapporto tra Stato e regione quale configurato da
una   giurisprudenza  amministrativa  ormai  trentennale,  sia  stata
prevista  nella  norma delega di cui all'art. 10 della legge 6 luglio
2002, n. 137;
     b)   tale  rapporto  era,  infatti,  configurato  come  «diritto
vivente»  fin  dall'emanazione  dell'art.  82, comma 9, del d.P.R. 24
luglio  1977,  n. 616, nel senso della devoluzione all'organo statale
di  un  potere  che, in quanto definito, dalla legislazione da allora
succedutasi,  come di «annullamento», e' stato costantemente limitato
al solo rilievo di vizi di legittimita';
     c)  e'  dubbio,  pertanto,  che  il  Legislatore delegante abbia
inteso   giungere  ad  una  siffatta  ridislocazione  dei  poteri  di
valutazione «in merito» rilevanti nella specifica materia, posto che,
al  di  la' della codificazione, cioe' della ricognizione delle norme
vigenti,  e  del  riassetto,  cioe' della «razionalizzazione» di tale
corpo  normativo,  quali obiettivi enunciati al primo comma dell'art.
10  ora  citato,  i «criteri» di attuazione della delega, quali posti
nella  lettera  d)  del  secondo  comma  dello  stesso  art.  10, non
contengono alcuna previsione che riguardi l'estensione e le modalita'
del «controllo» demandato agli organi statali relativamente agli atti
autorizzativi   qui   in   rilievo,  dovendo  quindi  sospettarsi  la
violazione,  da  parte della norma delegata qui denunziata, dell'art.
76  Cost.,  in  ordine  alla  necessaria  corrispondenza  delle norme
delegate   a   «principi   e   criteri   direttivi»  stabiliti  dalla
legge-delega;
     d) e' da dubitarsi, inoltre, che lo strumento per introdurre una
siffatta  modificazione dei rapporti Stato-regione, in tema di poteri
di   autorizzazione  paesaggistica,  potesse  essere  costituito  dai
decreti  comunque  previsti  dal  comma  4  dello stesso art. 10, che
possono  si'  apportare  «disposizioni  correttive ed integrative dei
decreti  legislativi  di cui al comma 1», ma pur sempre «nel rispetto
degli   stessi  principi  e  criteri  direttivi»,  configurandosi  un
ulteriore  profilo di violazione dell'art.76 Cost. negli stessi sensi
sopra individuati;
     e) e' da dubitarsi, poi, indipendentemente dal rispetto di detti
principi  e  criteri  direttivi,  che una innovazione di tale portata
possa  farsi  rientrare  nel  concetto di «disposizione correttiva ed
integrativa»  che,  su  di  un elementare piano logico, presuppone un
corpo normativo definito nei suoi principi e lineamenti fondamentali,
rispetto al quale si renda opportuno specificare aspetti peculiari di
tipo  applicativo e di coordinamento interno. Il medesimo concetto di
integrazione e correzione non puo', pero', implicare l'adozione, come
nel  caso,  di  una soluzione normativa che, su un punto essenziale e
qualificante  la  complessiva  disciplina  in  discorso,  risulti  in
sostanziale contraddizione con quella originariamente assunta in sede
di  emanazione  del  decreto  legislativo  di  prima attuazione della
delega,   (appunto  conforme  al  diritto  «vivente»  consolidato  in
precedenza vigente), delineandosi un'autonoma ed ulteriore ipotesi di
violazione  dell'art.  76  Cost.,  connessa  al  meccanismo peculiare
prescelto   dalla  legge  di  delega  per  stabilizzare  la  corretta
applicazione delle norme delegate;
     f)  e' da dubitarsi, sotto ulteriore e distinto profilo, che sia
conforme  al  principio  di  sussidiarieta'  stabilito  dall'art. 118
Cost.,  come  criterio di attribuzione delle funzioni amministrative,
anche  in correlazione al principio di ragionevolezza di cui all'art.
3  Cost., che possa configurarsi un potere di controllo in forma c.d.
di  «tutela»,  esteso  cioe' anche al merito, che consenta allo Stato
una   costante   e   generalizzata   autonoma   rivalutazione   delle
determinazioni  operate  dalla  regione  e  dagli  enti  territoriali
delegati,  in  particolare  dai  comuni,  assorbendosi,  agli effetti
pratici,  in  modo altrettanto costante e generalizzato, e rendendolo
cosi'  potenzialmente  instabile  ed  irrilevante,  il punto di vista
degli   enti,   costituzionalmente  dotati  di  autonomia,  che  sono
primariamente  coinvolti  nel  «governo  del  territorio»  su  cui si
colloca il bene interessato dall'autorizzazione paesaggistica.
Alla  luce delle considerazioni che precedono, il giudizio va sospeso
in  attesa della definizione del giudizio incidentale di legittimita'
costituzionale, disponendosi la rimessione della questione alla Corte
costituzionale.
Ogni  altra  statuizione in rito, in merito e in ordine alle spese e'
riservata  alla  decisione  definitiva  susseguente  alla risoluzione
della presente fase incidentale.