IL TRIBUNALE
   Nel  reclamo  camerale  iscritto  al  n. 1472 del ruolo affari non
conten-ziosi dell'anno 2007, ha emesso la seguente ordinanza.
   1.  -  E.  F.  portatore  di  handicap  grave ai sensi della legge
n. 104/92  ed invalido civile al 100% per tetraplegia postraumatica -
recatosi   il   19   febbraio   2007   presso   la   nuova  multisala
cinematografica  inaugurata  nella  citta'  di  Reggio  Emilia  il 15
febbraio  precedente,  era  costretto a prendere posto, nonostante la
sala  (la  n. 10)  fosse  occupa-ta da circa 40 persone (su 144 posti
disponibili),  nella  prima  fila  di-stante  solo  quattro metri dal
megaschermo.
   Cio'  premesso,  conveniva  la  Cinestar  S.p.a.  davanti a questo
tribunale con le forme previste dal combinato disposto degli articoli
3   della   legge   n. 67/2006,  43  e  44  del  decreto  legislativo
n. 286/1998, chiedendo la ces-sazione della condotta discriminatoria,
l'emanazione  di  ogni  provvedi-mento idoneo a rimuovere gli effetti
della  discriminazione  stessa (com-preso la fissazione di un termine
per  l'adozione  di  un piano di rimo-zione dello stato di fatto), la
condanna  della  convenuta  al  risarcimen-to  del  danno,  anche non
patrimoniale,  e  la  pubblicazione  del provvedi-mento a spese della
controparte.
   A  sostegno delle domande deduceva che il fatto che i portatori di
handicap potessero essere collocati solo in prima fila costituiva una
discriminazione; che ben prima dell'inaugurazione del nuovo multisala
egli  aveva  denunciato  agli  organi  di stampa (portando gli esempi
della  multisala  Emiro  di  Rubiera e del Cinepiu' di Correggio) che
l'alloggiamento  dei  disabili  nel  cinema li costringeva a stare in
prima   fila;   che   la   questione   era  stata  anche  oggetto  di
interrogazione  da parte del consigliere comunale Tommaso Lombardini;
che  l'assessore de-legato del Comune di Reggio Emilia aveva risposto
all'interrogazione  asserendo  di  avere  contattato  la Cinestar per
trovare  una  soluzione al caso; che tuttavia la convenuta, incurante
delle  esigenze  dei  disabili  e  delle  iniziative  intraprese  dal
ricorrente  ben  prima  della fine dei lavori edili, aveva realizzato
una  sala  con  alloggiamento per portatori di handicap solo in prima
fila;  che la discriminazione era concretizza-ta ostacolando di fatto
ai disabili la normale fruizione del servizio.
   2.  -  Si  costituiva  la  Cinestar  gestioni S.r.l., assumendo di
essere  il  soggetto legittimato a contraddire (in quanto la Cinestar
S.p.a.  era  semplicemente  una  societa'  facente  parte  del gruppo
Cinestar).
   Replicava  quest'ultima  che  la proprietaria del multiplex era la
Tuttogiglio  S.p.a.;  che  quest'ultima  aveva concesso l'immobile in
locazio-ne  ad  essa  resistente;  che  dunque  la  supposta condotta
discriminatoria   allegata   dal  F.,  per  la  parte  relativa  alla
realizzazione  dell'edificio,  non  poteva esserle attribuita; che in
quasi  tutti  i  ci-nema  i posti per i disabili sono collocati nelle
prime  file  e  comunque  in  posti  non ottimali per la visione; che
questo  era tuttavia dovuto alla necessita' di assicurare il facile e
sicuro  accesso  ed uscita ai disabili; che l'ingresso nella sala era
posto  vicino  allo schermo, cosi' che gli avventori, per raggiungere
le  poltrone intermedie o le ultime, dovevano percorrere un corridoio
in  salita;  che  tale  passaggio, per e-sigenze di sicurezza, doveva
rimanere  sempre  libero;  che  dunque,  per motivi di sicurezza e di
tutela  degli  stessi  disabili,  i  posti  a loro riservati dovevano
essere  collocati  in  prossimita'  delle uscite di sicu-rezza, ossia
vicino  alla  prima  fila; che anche la Pubblica amministra-zione non
aveva  rilevato  nulla  in  ordine alla regolarita' della struttu-ra;
che,  del  resto,  la  proprieta'  aveva dotato il complesso di molti
al-tri   accorgimenti   (parcheggi,   ascensori,   servizi  igienici,
segnaletica  di emergenza, ecc...) al fine di favorire la fruibilita'
dei disabili; che la tesi del ricorrente implicava uno stravolgimento
del    progetto    archi-tettonico    del    multiplex,   di   dubbia
realizzabilita'; che dunque non sus-sisteva alcuna discriminazione.
   3.  - Il giudice di primo grado, ritenendo: a) che la collocazione
in   prima  fila  dei  disabili  rispondeva  all'esigenza  di  tutela
dell'incolumita'   personale   dei  soggetti  con  ridotte  capacita'
motorie; b) che le soluzioni prospettate dal ricorrente (collocazione
dei  posti  riservati ai disabili non in prima fila, realizzazione di
un  piano di ac-cesso in pendenza, realizzazione di un montascala per
sedie  a  rotelle,  creazione  di  un accesso dall'alto) in parte non
assicuravano  l'incolumita' dei disabili e, in altra parte, non erano
realizzabili se non a costi sproporzionati - rigettava il ricorso.
   Il dottor E. F. proponeva reclamo.
   Resisteva  la  Cinestar,  aggiungendo,  come  ulteriore  motivo di
reie-zione, di aver cessato l'attivita' di gestione di tutti i propri
multi-sala.
   4.  -  Ritiene il tribunale che il presente giudizio vada sospeso,
sussi-stendo    una    questione    pregiudiziale   di   legittimita'
costituzionale delle norme appresso indicate.
   Com'e' noto la legge n. 67/2006 aspira a promuovere, unitamente ad
altre  disposizioni  normative  statali  o  comunitarie  (la  legge 5
febbraio  1992, n. 104 «legge quadro per l'assistenza, l'integrazione
sociale  e i di-ritti delle persone handicappate», la legge 9 gennaio
1989,  n. 13, conte-nente «disposizioni per favorire il superamento e
l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati»,
la  legge  30  marzo  1971, n. 118, «conversione in legge del d.l. 30
gennaio  1971  e  nuove  norme  in  favore  dei  mutilati ed invalidi
civili»,  il  regolamento  di  cui  al  de-creto del Presidente della
Repubblica  27  aprile  1978,  n. 384,  «regola-mento  di  attuazione
dell'articolo  27  della  legge  30  marzo 1971, n. 118, a favore dei
mutilati  ed invalidi civili, in materia di barriere archi-tettoniche
e  trasporti  pubblici»,  oggi sostituito dal decreto del Pre-sidente
della  Repubblica  24 luglio 1996, n. 503, «regolamento recante norme
per  l'eliminazione  delle  barriere  architettoniche  negli edifici,
spazi  e  servizi  pubblici», il decreto ministeriale 14 giugno 1989,
n. 236,     «prescrizioni    tecniche    necessarie    a    garantire
l'accessibilita',  l'adattabilita'  e  la visitabilita' degli edifici
privati   e   di   edilizia  residenziale  pubblica  sovvenzionata  e
agevolata,   ai  fini  del  superamen-to  e  dell'eliminazione  delle
barriere  architettoniche»,  il  decreto  le-gislativo 9 luglio 2003,
n. 216,  «attuazione  della  direttiva  2000/78/Ce  per la parita' di
trattamento  in materia di occupazione e di condizioni di lavoro», la
direttiva  2000/43/Ce  del consiglio del 29 giugno 2000 «che attua il
principio    della    parita'   di   trattamento   fra   le   persone
in-dipendentemente  dalla  razza e dall'origine etnica», la direttiva
2000/78/Ce  del  consiglio  del  27  novembre 2000 «che stabilisce un
quadro   generale  per  la  parita'  di  trattamento  in  materia  di
occupazione e di condizioni di lavoro», ecc...) la piena tutela delle
persone portatori di handicap in tutti i settori della vita civile.
   Questa finalita' e' chiaramente desumibile dal testo dell'articolo
1  della  legge  stessa,  il quale infatti prevede che essa «ai sensi
dell'articolo  3 della Costituzione, promuove la piena attuazione del
principio  di  parita'  di  trattamento e delle pari opportunita' nei
con-fronti  delle  persone con disabilita' (...) al fine di garantire
alle  stes-se  il  pieno  godimento  dei  diritti  civili,  politici,
economici e socia-li».
   Per  realizzare  le proprie finalita', la legge n. 67/06 - facendo
ri-corso  a  concetti  non  nuovi,  in  quanto  gia'  utilizzati  dal
legislatore  statale  e  comunitario  (si  veda, ad es., l'articolo 2
delle  due  diretti-ve  Ce  da  ultimo  menzionate, l'articolo 43 del
decreto   legislativo  n. 286/1998)  -  stabilisce  che  la  condotta
discriminatoria  (per  motivi raz-ziali, etnici, sessuali, di lavoro,
per  disabilita',  ecc...)  possa  essere realizzata «direttamente» o
«indirettamente».
   Nonostante   le   varie  disposizioni  normative  sopra  riassunte
faccia-no   ricorso   ad  una  terminologia  mutevole  e  non  sempre
perfettamente   coerente,  dalla  lettura  delle  singole  norme  (la
constatazione  vale  anche  per  la  legge  n. 67/2006)  e'  comunque
possibile  desumere che, nel primo caso (discriminazione diretta), si
ha  un trattamento, volontario e manife-sto, di sfavore e, di regola,
immediatamente contrastante con norme di legge o di regolamento poste
a tutela del soggetto debole.
   Nel  secondo  caso  (discriminazione  indiretta), si' e' invece in
pre-senza  di  una  condotta,  anche  non  volontaria,  eventualmente
caratteriz-zata da piu' atteggiamenti o contegni tra loro connessi ed
apparentemen-te  «neutri»  (per  usare  l'espressione del legislatore
nazionale  e  comu-nitario), ma comunque idonei a mettere il soggetto
debole in una posi-zione di svantaggio rispetto ad altri.
   Sulla  scorta  di tali premesse in diritto, si passa ora all'esame
della fattispecie concreta.
   Ora, il tribunale non ha motivo di dubitare che le sale del cinema
gestito  dalla  Cinestar  siano  conformi  alla normativa attualmente
vigen-te  in materia, sia perche' tale circostanza non e' stata posta
in  dubbio,  per il tutto il giudizio di primo grado, da alcuna delle
parti  in  cau-sa, sia, perche' lo ha presupposto - con ragionamento,
sul  punto,  non  contrastato dalle parti - anche il giudice di prime
cure.
   Non   e'   parimenti   seriamente   contestabile   il   fatto  che
l'alloggiamento  dei  disabili  nelle  prime  file  del cinematografo
rappre-senti  di  fatto,  per  costoro,  un trattamento di svantaggio
rispetto ai normodotati (come, del resto, si evince agevolmente dalle
stesse  noti-zie,  pubblicate su organi di stampa o su miti internet,
riportate  dallo  stesso  attore  sub  documenti attorei dal n. 12 al
n. 17).
   Premesso  dunque  che,  nella  presente  fattispecie,  non si puo'
evi-dentemente parlare di discriminazione diretta (dato che non vi e'
con-cretamente   alcuna   condotta   apertamente   e  volontariamente
confliggente con norme di fonte primaria o secondaria), si tratta ora
di  verificare  se ricorra un'ipotesi di discriminazione indiretta ai
sensi dell'articolo 2, comma 3, della legge n. 67/2006.
   Orbene,  l'articolo  ora menzionato prevede che la discriminazione
indiretta  possa essere realizzata non solo tramite «un criterio, una
prassi,  un  atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri»
che  «mettono  una  persona  con  disabilita'  in  una  posizione  di
svantaggio,  ri-spetto  ad  altre  persone»,  ma  anche  tramite  una
«disposizione».
   Dato  il  termine  assolutamente  generico  di  tale  espressione,
ritie-ne  il  collegio  che il legislatore abbia inteso prevedere non
solo   la   possibilita'   che   la  discriminazione  derivi  da  una
«disposizione»  in  sen-so  proprio, ossia da un atto o da un negozio
giuridico  in  senso  stretto  proveniente  da  un  privato  o  da un
provvedimento   dell'autorita'   ammini-strativa   (eventualmente   -
quest'ultimo - avente carattere normativo), ma anche - a ben vedere -
da   una   disposizione  dello  stesso  legislatore  ordinario,  che,
emanando, in altri settori dell'ordinamento (ad es., e per quello che
qui   interessa,   in   materia  edilizia),  disposizioni  inido-nee,
incongrue  o  insufficienti  a  «promuovere  la  piena attuazione del
principio  di  parita'  di  trattamento  e  delle  pari  opportunita»
(articolo 1 della legge n. 67/2006 citato), si pone - per cio' stesso
-  in  conflitto  non  solo  con  il fine della legge n. 67, ma prima
ancora   con   il   dettato   dell'articolo   3  della  stessa  norma
costituzionale,  della  quale la legge n. 67 costituisce strumento di
diretta attuazione (o, eventualmente, anche con altre disposizioni di
rango costituzionale, come appresso si dira).
   Osserva dunque il tribunale che l'articolo 27 della legge 30 marzo
1971,  n. 118  (la  cui  rubrica  recita  «Barriere architettoniche e
traspor-ti  pubblici»)  stabilisce  che  «per  facilitare  la vita di
relazione  dei  mutilati  e  invalidi  civili  gli edifici pubblici o
aperti  al  pubblico  (...)  di  nuova  edificazione  dovranno essere
costruiti  in  conformita'  alla  circolare  del Ministero dei lavori
pubblici  del  15  giugno  1968  riguar-dante  la  eliminazione delle
barriere  architettoniche  anche  apportando  le possibili e conformi
varianti  agli  edifici  appaltati  o  gia'  costruiti all'entrata in
vigore della presente legge; (...) in tutti i luoghi dove si svolgono
pubbliche   manifestazioni  o  spettacoli,  che  saranno  in  futu-ro
edificati,  dovra'  essere  previsto  e  riservato  uno  spazio  agli
invali-di in carrozzella (...)».
   Stabilisce inoltre la citata normativa che «le norme di attuazione
delle  disposizioni  di cui al presente articolo saranno emanate, con
de-creto  del  Presidente  della  Repubblica su proposta dei Ministri
compe-tenti,  entro  un  anno  dall'entrata  in vigore della presente
legge».
   L'attuazione  del  dettato  normativo  primario  e'  avvenuta  con
decreto  del Presidente della Repubblica n. 384/1978, oggi sostituito
dal piu' recente decreto del Presidente della Repubblica n. 503/1996,
il  cui  articolo 13 pre-vede che «negli edifici pubblici deve essere
garantito  un  livello  di accessibilita' degli spazi interni tale da
consentire  la  fruizione  del-l'edificio  sia  al  pubblico  che  al
personale in servizio, secondo le di-sposizioni di cui all'articolo 3
del decreto del Ministro dei lavori pubblici 14 giugno 1989, n. 236».
   Quest'ultimo,  dal  canto  suo  (che  contiene norme di attuazione
an-che  della  legge  n. 13/1989 e della legge n. 104/1992), prevede,
tra  i  criteri generali di progettazione degli edifici, «tre livelli
di qualita' dello spazio costruito»:
     a)  l'accessibilita',  che  «esprime  il  livello  piu'  alto in
quanto» consente «la totale fruizione nell'immediato» dell'edificio;
     b)   la   visitabilita',   che   «rappresenta   un   livello  di
accessibilita'   limi-tato   ad   una   parte   piu'  o  meno  estesa
dell'edificio o delle unita' immobi-liari, che consente comunque ogni
tipo  di  relazione  fondamentale  anche  alla  persona con ridotta o
impedita  capacita'  motoria  o sensoriale»; c) la adattabilita', che
«rappresenta   un   livello   ridotto  di  qualita',  poten-zialmente
suscettibile,    per    originaria    previsione    progettuale,   di
tra-sformazione  in  livello  di  accessibilita»  e che, pertanto, e'
«un'accessibilita' differita».
   Tali  disposizioni  regolamentari sono senz'altro applicabili, per
quello  che  qui interessa, anche alle sale cinematografiche, sol che
si  considerino i richiami contenuti nell'articolo 18 del decreto del
Mini-stro del turismo e dello spettacolo n. 184/1992.
   Ora, come e' agevole osservare, le fonti normative primarie, ossia
l'articolo   1,   primo  e  secondo  comma  della  legge  n. 13/1989,
l'articolo  27,  primo  e  secondo  comma  della  legge n. 118/1971 e
l'articolo  24,  primo  comma  della legge n. 104/1992, dettano norme
inidonee, incongrue o, comunque, insufficienti a garantire appieno ai
portatori  di  handicap «la piena attuazione del principio di parita'
di  trattamento  e  delle pari opportunita» e «il pieno godimento dei
loro  diritti civili (...) e sociali» (articolo 1, legge n. 67/2006),
donde poi l'inidoneita', l'incongruita' o l'insufficienza - per cosi'
dire - deriva-ta delle stesse norme regolamentari sopra richiamate.
   Dette  disposizioni  di  legge  costituiscono  inoltre, ancora una
vol-ta, mezzi insufficienti o comunque inidonei a tutelare «i diritti
in-violabili  dell'uomo»  (tra  i quali sicuramente rientrano a pieno
titolo  quelli  dei  disabili,  di  avere pari condizioni di vita dei
normodotati),   che  invece  lo  Stato  italiano  si  e'  assunto  di
riconoscere e garantire ai sensi dell'articolo 2 della Costituzione.
   Vi   e'   infine   contrasto   con   l'articolo   32  della  Carta
costituziona-le,  sol  che si consideri che nel concetto di «salute»,
secondo  il  men-zionato  articolo,  rientra  anche  l'aspetto  della
socializzazione  del  di-sabile (attuabile mediante la partecipazione
di questi ad eventi, mani-festazioni, spettacoli, ecc...), che ha una
«funzione  sostanzialmente te-rapeutica assimilabile alle pratiche di
cura e riabilitazione» (Corte costituzionale n. 167/1999).
   E'  infatti  evidente che la piena attuazione dei predetti diritti
in  favore  dei soggetti disabili, conformemente agli articoli 2, 3 e
32  della  Costituzione  (ed  al disposto dell'articolo 1 della legge
n. 67/2006),  puo' realizzarsi - per cio' che concerne la fruibilita'
degli   edifici   pub-blici   o  aperti  al  pubblico  e  delle  sale
cinematografiche piu' in parti-colare - solo se a tali soggetti venga
riconosciuta,  oltre  alla acces-sibilita' della struttura (nel senso
del  decreto  ministeriale  n. 236/1989),  anche  la. possibilita' di
usufruire,   in   detti   stabili,   di  un  livello  qua-litativo  e
quantitativo    dei   servizi   ivi   offerti   uguale   o,   almeno,
ten-denzialmente  simile  a  quello erogato in favore di soggetti non
portato-ri di handicap.
   Per   cio'   che   concerne,   piu'   in   particolare,   le  sale
cinematografiche,  e'  evidente che la piena attuazione del principio
di  parita' di trattamento e di pari opportunita' puo' verificarsi se
in  detti  locali  e'  garantita ai portatori di handicap una visione
delle  proiezioni quali-tativamente uguale o, almeno, tendenzialmente
simile  a  quella  goduta  dagli  altri  soggetti  non  portatori  di
handicap, i quali, proprio in ra-gione della mancanza di impedimenti,
non  sono  costretti a subire una collocazione - sia pure formalmente
non  discriminatoria  (per  effetto dell'osservanza delle leggi e dei
regolamenti  predetti da parte dei ge-stori delle sale) - in luoghi o
parti  dell'ambiente  dove notoriamente e' impossibile o notevolmente
piu'  disagevole  seguire  lo  spettacolo  cinema-tografico  (sul che
concorda anche la parte resistente).
   In  una  parola,  quello  che  non viene previsto dalle menzionate
di-sposizioni  di  legge  -  e  che  invece  realizza  pienamente  ed
incontesta-bilmente  un trattamento di svantaggio per i disabili - e'
la possibili-ta', per costoro, di usufruire della stessa qualita' dei
servizi,  della quale godono i non portatori di handicap, che vengono
resi  alla  genera-lita'  dei  consociati  negli  edifici  pubblici o
privati aperti al pubbli-co.
   Sul  punto  deve  essere  solo  aggiunto  che 1a necessita' che il
disa-bile  possa  trovare  posto  nella  sala cinematografica solo in
prima  fila,  di  fatto viene vissuto e considerato, secondo il senso
comune,  come un trattamento deteriore del soggetto debole; del resto
anche  la  parte  convenuta, in buona sostanza, ammette che vi sia di
fatto  questo  trattamento peggiore, anche se lo giustifica asserendo
di  non  aver  potuto  e  di  non poter fare diversamente, e di avere
osservato tutte le disposi-zioni di legge.
   Da  ultimo il tribunale osserva che se e' vero che le disposizioni
della  legge  n. 67/2006  e  quelle contenute nelle altre leggi sopra
menzionate  hanno tutti pari rango (dal che si potrebbe sostenere che
non  e'  ammis-sibile  che  l'una  disposizione, la legge n. 67/2006,
debba  prevalere  sulle  altre), e' tuttavia anche vero che la stessa
Corte  costituzionale, pur riconoscendo la piena discrezionalita' del
Parlamento  nell'individuare le diverse misure operative dirette alla
tutela  dei  disabili,  non  ha mancato di sottolineare che e' sempre
possibile  il vaglio di costituzio-nalita' dei meccanismi predisposti
dal  legislatore,  al  fine  di  control-lare  la  razionalita'  e la
congruita'  delle  singole disposizioni legisla-tive rispetto al fine
di  tutela  dei  soggetti  deboli,  sia  la  sussistenza di eventuali
disparita' di trattamento (Corte costituzionale n. 325/1996).
   Inoltre,  in  un  altro  caso  analogo, per vari aspetti, a quello
pre-sente,  la  Corte ha avuto modo di affermare che la realizzazione
del  principio  di parita' di trattamento dei portatori di handicap e
di tute-la della salute (intesa, quest'ultima, come comprensiva della
socializ-zazione  stessa  degli  handicappati)  impone  la prevalenza
delle  norme  di  tutela di tali soggetti rispetto - alle altre norme
che   impediscono  di  realizzarla:  donde,  in  quella  fattispecie,
l'incostituzionalita'  dell'articolo  1052,  secondo comma del codice
civile, nella parte in cui non pre-vedeva, in favore del disabile, la
possibilita' di ottenere la costitu-zione della servitu' di passaggio
coattivo quando questa «risponda alle esigenze di accessibilita' - di
cui  alla  legislazione  relativa  ai  porta-tori di handicap - degli
edifici   destinati   ad   uso   abitativo»   (Corte  co-stituzionale
n. 167/1999).
   6. - La questione di costituzionalita' della predette norme, cosi'
come  illustrata  nei precedenti paragrafi, e' rilevante nel presente
giudizio e non manifestamente infondata, posto che: a) la Cinestar ha
realizza-to,  come  si  e' visto, la sala cinematografica nella piena
osservanza  delle  disposizioni di legge e di regolamento attualmente
in  vigore; b) il complesso di disposizioni normative osservate nella
realizzazione  del multisala (articolo 1, primo e secondo comma della
legge   n. 13/1989,   articolo   27,  primo  e  secondo  della  legge
n. 118/1971,  articolo  24,  primo  comma  della  legge  n. 104/1992)
contiene  prescrizioni  che  non  tutelano in modo idoneo e congruo i
diritti  invio-labili,  la  parita'  di  trattamento  e la salute dei
portatori di handicap grave, diritti tutti previsti dagli articoli 2,
3 e 32 della Costitu-zione; c) non e' evidentemente possibile, per il
giudice   ordinario,  di-sapplicare  le  norme  qui  denunciate  come
inidonee  o  insufficienti,  ana-logamente  a  quanto  sarebbe  stato
permesso  di  fare  in  presenza  di  «di-sposizioni» o provvedimenti
emanati   dalla  Pubblica  amministrazione:  da  cio'  il  necessario
intervento  della  Corte  costituzionale; d) nemmeno e' possibile una
interpretazione  costituzionalmente  adeguata  del dettato normativo,
posto  che  quello  che  dovrebbe  essere  previsto dalle menzio-nate
disposizioni  di  legge  (e  di  regolamento) e' la possibilita', per
l'handicappato  grave,  di  godere - per il caso in cui negli edifici
pub-blici  o aperti al pubblico vengano erogati servizi al pubblico -
dello  stesso  livello  qualitativo  dei  servizi  stessi,  del quale
usufruiscono i normodotati.
   Le  disposizioni  sopra  richiamate  confliggono  pertanto: a) con
l'articolo  3  della  Costituzione,  non  essendo  idonee  ad attuare
appieno il principio di parita' di trattamento e di pari opportunita'
in favore dei disabili; b) con l'articolo 2 della Costituzione, nella
parte  in  cui  le  menzionate  disposizioni  non  riconoscono  e non
garantiscono  in  maniera  adeguata  o  congrua i diritti inviolabili
dell'uomo;  c)  con  l'articolo 32 della Costituzione, nella parte in
cui non garantiscono adeguata tutela alla salute dei disabili, intesa
come comprensiva della socializzazione di tali soggetti (avendo essa,
come  gia'  detto,  secondo  la stessa Corte costituzionale, funzione
terapeutica assimilabile alle pratiche di cura e riabilitazione).
   Volta   che   siano  state  rimosse  le  norme  costituzionalmente
illegit-time con effetto ex tunc, la condotta della resistente potra'
essere  considerata  come  indirettamente  discriminatoria  e  potra'
pertanto essere rimossa mediante l'adozione di misure tecniche (sulla
cui    realizzabili-ta'    si    dira'    meglio   appresso)   idonee
all'eliminazione   degli   ostacoli  che  impediscono,  ad  oggi,  la
collocazione  dei disabili in punti della sala cinematografica idonei
ad  usufruire  di  una  visione della proiezione di qualita' uguale o
almeno tendenzialmente analoga a quella dei normodotati.
   A tal ultimo riguardo, oltre a quanto sopra detto, va aggiunto che
la c.d. condotta discriminatoria, cosi' come disciplinata dalla legge
n. 67, non sembra possa essere qualificata, sic et sirapliciter, come
un  illecito  civile,  ai  sensi  degli  articoli 2043 e seguenti del
codice ci-vile.
   La  natura  discriminatoria della condotta e' invece sussistente -
stando  al  tenore ed alla ratio delle disposizioni di legge - quando
es-sa,   anche   indipendentemente  dalla  presenza  di  un  elemento
psicologico  soggettivo - (dolo o colpa, anche presunta) del soggetto
agente,  e'  di' per se' idonea a realizzare un trattamento deteriore
nei  confronti  di un portatore di disabilita': donde la possibilita'
di  rimozione  degli  effet-ti della condotta anche in mancanza di un
elemento  psicologico  costi-tuito  dal  dolo  o  dalla colpa e salva
sempre la necessita' di questi ul-timi elementi per il caso in cui il
ricorrente  intenda  ottenere,  a  ca-rico  della  controparte, oltre
all'eliminazione degli effetti della con-dotta, anche altre misure di
tipo risarcitorio o riparatorio.
   Dalla   (eventuale)  dichiarazione  di  incostituzionalita'  della
norma-tiva qui impugnata non deriva inevitabilmente, per la Cinestar,
la    ne-cessita'    di    procedere    all'esecuzione    di   lavori
irragionevolmente  gravo-si,  sol  che  si  consideri  che la pretesa
irrealizzabilita'  delle  opere  necessarie  all'adeguamento edilizio
(eventualmente anche di una sola sala) o il loro costo eccessivo sono
circostanze  non  (ancora)  provate nel presente giudizio dalla parte
resistente  (che  pure  aveva  l'onere  di farlo); ne' e' dimostrato,
almeno   allo   stato  attuale  dell'istruttoria,  che  le  modifiche
necessarie  per  l'eliminazione  del  trattamento  deterio-re abbiano
costi   tali   da   rendere   addirittura  antieconomico  l'esercizio
dell'intero cinema multisala.
   Da  ultimo,  il  conferimento  d'azienda  da  parte  della odierna
resi-stente  nella  Multiplex  nord S.r.l. ed la vendita delle quote,
detenute da Cinestar gestioni S.r.l., di tale ultima societa' a terzi
(si vedano i do-cumenti allegati sub n. 2 dalla reclamata) non sembra
producano  conse-guenze  processuali  degne  di  rilievo nel presente
giudizio,  sol  che  si  consideri  che  al  presente procedimento si
applicano  le  norme  generali  del  libro  I del codice di procedura
civile,  tra  i  quali  l'articolo  111, che disciplina le ipotesi di
trasferimento della res litigiosa.