S e n t e n z a
nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto   a   seguito   della   nota   del  21  settembre  2005  (prot.
n. 2005/0001389/SG-CIV)  emessa  dalla  Commissione  parlamentare  di
inchiesta  sulla  morte  di  Ilaria  Alpi  e  Miran Hrovatin, nonche'
dell'atto  del  17 settembre 2005 (prot. n. 3490/ALPI) del Presidente
della  medesima  Commissione,  onorevole Carlo Taormina, promosso con
ricorso  della Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario
di  Roma notificato il 10 marzo 2006, depositato in cancelleria il 22
marzo  2006  ed  iscritto  al n. 37 del registro conflitti tra poteri
dello Stato 2005, fase di merito.
   Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;
   Udito  nell'udienza  pubblica  del  29  gennaio  2008  il  giudice
relatore Alfonso Quaranta;
   Uditi il dott. Franco Ionta per la Procura della Repubblica presso
il  Tribunale  ordinario  di Roma e l'avvocato Massimo Luciani per la
Camera dei deputati.
                          Ritenuto in fatto
   1.  - La Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di
Roma  ha promosso, con ricorso depositato pressa la cancelleria della
Corte  il  5 ottobre 2005, conflitto di attribuzione tra poteri dello
Stato nei confronti della Commissione parlamentare di inchiesta sulla
morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
   1.1.  - La ricorrente premette di aver appreso da organi di stampa
«dell'arrivo  in  Italia  della  vettura  Toyota a bordo della quale,
presumibilmente,  furono  uccisi  Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, il 20
marzo  1994»,  e  di aver pertanto avviato - nel settembre del 2005 -
uno scambio di corrispondenza con la citata Commissione parlamentare,
segnalando   «l'opportunita'   dello   svolgimento   congiunto  degli
accertamenti  tecnici»  sul  predetto  veicolo,  necessari a ciascuna
delle  due autorita' per l'espletamento dell'attivita' di indagine di
rispettiva competenza.
   Deduce,  tuttavia,  la ricorrente che il Presidente della predetta
Commissione   -   dopo   aver   informato  la  Procura  che  l'organo
parlamentare  in  questione aveva «preso in carico, previo sequestro,
l'autovettura»,  disponendo  «anche  a  norma  dell'art.  360 c.p.p.»
«accertamenti  tecnici»,  taluni dei quali «di natura irripetibile» -
comunicava,  con  nota  (prot. n. 2005/0001389/SG-CIV) pervenuta alla
stessa  Procura  il  21  settembre  2005, di non potere «aderire alla
richiesta»   formulata,   «significando   che,  tra  l'altro,  l'atto
deliberativo   di   istituzione   della  Commissione»,  dal  medesimo
presieduta,   «impone   accertamenti   non   solo  sul  fatto  e  sui
responsabili,  ma  anche sulle carenze istituzionali, comprese quelle
attribuibili  ai molteplici passaggi giudiziari che hanno interessato
la vicenda».
   Per  l'annullamento  di  tale  nota  -  e  dell'atto, adottato dal
Presidente della citata Commissione parlamentare in data 17 settembre
2005  (prot. n. 3490/ALPI), con il quale e' stato conferito «incarico
peritale»   al   dott.  Alfredo  Luzi,  «volto  allo  svolgimento  di
accertamenti  tecnici, anche di natura irripetibile, sulla vettura in
questione»   -  la  Procura  della  Repubblica  presso  il  Tribunale
ordinario  di Roma ha proposto il presente conflitto di attribuzione,
svolgendo le seguenti considerazioni.
   1.2. - La ricorrente evidenzia, innanzitutto, come la possibilita'
di  configurare  un  conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
postuli - ex art. 37, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 -
che  esso insorga «tra organi competenti a dichiarare definitivamente
la volonta' del potere cui appartengono».
   Tra  detti  organi  sono  stati inclusi - prosegue la ricorrente -
tanto   i   «singoli  giudici,  in  considerazione  segnatamente  del
carattere  "diffuso"  che contrassegna il potere giudiziario», quanto
gli    «organi    requirenti»,    relativamente    «all'attribuzione,
costituzionalmente  individuata,  dell'esercizio  dell'azione penale»
(vengono richiamate le sentenze della Corte costituzionale n. 150 del
1981 e n. 231 del 1975, nonche' l'ordinanza n. 132 del 1981).
   Egualmente  indubbia  -  secondo  la  Procura  ricorrente  - e' la
legittimazione  passiva  della Commissione parlamentare di inchiesta,
avendo  precisato la Corte, «fin dal 1975», che «a norma dell'art. 82
Cost.,  la potesta' riconosciuta alle Camere di disporre inchieste su
materie  di  pubblico  interesse  non  e' esercitabile altrimenti che
attraverso  la  interposizione di Commissioni a cio' destinate, delle
quali  puo'  ben dirsi percio' che, nell'espletamento e per la durata
del   loro   mandato,  sostituiscono  ope  constitutionis  lo  stesso
Parlamento,  dichiarandone  percio'  e definitivamente la volonta' ai
sensi  del primo comma dell'art. 37» della legge n. 87 del 1953 (sono
richiamate la sentenza n. 231 del 1975 e le ordinanze n. 229 e n. 228
del 1975).
   Alla  stregua,  quindi,  delle  considerazioni  che  precedono «e'
possibile  concludere» - si legge ancora nel ricorso - che la Procura
di  Roma  e  la  Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di
Ilaria   Alpi   e   Miran   Hrovatin   «sono   soggetti  legittimati,
rispettivamente  dal  lato attivo e dal lato passivo, ad essere parti
di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato».
   1.3.  -  «Quanto  ai  requisiti  di ordine oggettivo», prosegue la
ricorrente,  deve  rilevarsi  come  la Corte costituzionale abbia «da
tempo  superato  la  restrittiva nozione di conflitto di attribuzione
come   vindicatio   potestatis,   riconoscendo  l'ammissibilita'  del
cosiddetto  conflitto  per  interferenza  o conflitto da menomazione»
(sono richiamate le sentenze n. 126 del 1994, n. 473 del 1992, n. 204
del  1991 e n. 731 del 1988), ipotizzabile «quando un organo, pur non
rivendicando  a  se'  la  competenza  a compiere un determinato atto,
denuncia  che  un  atto  oppure un comportamento omissivo di un altro
organo  abbiano  menomato  la  sua  competenza  o ne abbiano impedito
l'esercizio».
   Orbene,  siffatta evenienza - nella prospettiva della ricorrente -
sussisterebbe proprio nel caso di specie, in quanto, se e' innegabile
che  la  Commissione  parlamentare  ha «il potere di compiere atti di
indagine»  (ex  art.  82,  secondo  comma,  della  Costituzione),  la
decisione   dalla  stessa  assunta  «di  procedere  autonomamente  ad
accertamenti  sul  veicolo»,  con  esclusione  della  possibilita' di
analogo    intervento   dell'autorita'   giudiziaria,   «provoca   un
pregiudizio  alla  Procura  perche'  le  impedisce  di  esercitare le
funzioni  che  le  attribuisce  la  Costituzione»,  e segnatamente di
orientare  quell'indagine tecnica in modo da poter «raccogliere tutti
gli elementi necessari ai fini delle proprie determinazioni in ordine
all'esercizio   dell'azione   penale»,   con  palese  violazione  del
principio  della obbligatorieta' della stessa, «sancito dall'art. 112
della   Costituzione»,  oltre  che  di  quelli  «di  indipendenza  ed
autonomia della magistratura» (ex artt. 101, 104 e 107 Cost.).
   Risulta, in particolare, preclusa la possibilita' «di sottoporre a
sequestro l'autovettura a bordo della quale viaggiavano Ilaria Alpi e
Miran  Hrovatin»,  e  con  essa  quella «di effettuare rilevamenti ed
accertamenti  sul  veicolo  stesso  ai fini dell'esatta ricostruzione
della   dinamica   dei   fatti,  attivita'  queste  tutte  essenziali
nell'ambito  del  procedimento  penale  in  oggetto  e la cui mancata
effettuazione  ha  determinato  una  vera  e  propria  paralisi»  del
procedimento medesimo.
   In tal modo, oltretutto, si contravviene a quella «opportunita' di
un   effettivo  coordinamento  tra  la  Commissione  e  le  strutture
giudiziarie» presa in considerazione «all'atto dell'istituzione della
stessa Commissione con Deliberazione della Camera dei deputati del 31
luglio  2003  (art.  6,  comma  3)  nonche'  nel  regolamento interno
approvato  dalla  Commissione  nella seduta del 4 febbraio 2004 (art.
22, comma 1)».
   1.4.  -  Su tali basi, pertanto, la suindicata Procura ha proposto
il  presente  conflitto  di  attribuzione tra poteri dello Stato, nei
confronti  della Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di
Ilaria  Alpi e Miran Hrovatin, chiedendo - previa declaratoria di non
spettanza,  alla  predetta  Commissione,  del  potere  di adottarla -
l'annullamento    della   nota   del   21   settembre   2005   (prot.
n. 2005/0001389/SG-CIV)  emessa  dalla  medesima  Commissione (con la
quale  quest'ultima  ha  rifiutato  di  aderire  alla richiesta della
ricorrente di valutare «l'opportunita' dello svolgimento congiunto di
accertamenti  tecnici»), nonche' l'annullamento, per l'effetto, anche
dell'atto  del  17  settembre  2005  (prot.  n. 3490/ALPI) con cui la
stessa  -  in  persona  del  suo  Presidente  - ha conferito incarico
peritale al dott. Alfredo Luzi.
   2.  - All'esito della Camera di consiglio del 20 febbraio 2006, il
conflitto  e'  stato dichiarato ammissibile con l'ordinanza n. 73 del
24 febbraio 2006.
   In  data  10  marzo  2006  il  ricorso  introduttivo e la predetta
ordinanza  sono  stati  notificati  - come da richiesta del giorno 1°
marzo  della  Procura  della  Repubblica  di  Roma - alla Commissione
parlamentare di inchiesta, in persona del suo Presidente.
   3.  -  Con memoria depositata presso la cancelleria della Corte il
29  marzo  2006  si e' costituita in giudizio la Camera dei deputati,
dichiaratamente  allo  scopo di «far constatare l'avvenuta cessazione
della   Commissione  parlamentare  d'inchiesta»  suddetta  (essendosi
svolta  in data 23 febbraio 2006 l'ultima sua seduta, all'esito della
quale  e'  stata  approvata  la  relazione  finale  e sono state date
disposizioni per gli incombenti amministrativi del caso), nonche' per
«fare  emergere  le circostanze in virtu' delle quali sembrano essere
ormai  venute  meno  le  ragioni stesse del conflitto», su tali basi,
dunque,   chiedendo   che   il  proposto  conflitto  sia  «dichiarato
irricevibile, improcedibile ovvero inammissibile».
   4.  - La Camera dei deputati, nell'imminenza dell'udienza pubblica
di discussione del 5 giugno 2007, ha depositato un'ulteriore memoria,
ribadendo le conclusioni gia' rassegnate.
   5. - In tale udienza pubblica e' comparsa - ai sensi dell'art. 37,
ultimo  comma,  della  legge 11 marzo del 1953, n. 87 - la ricorrente
autorita'  giudiziaria,  in  persona del dott. Franco Ionta, all'uopo
delegato dal Procuratore della Repubblica.
   Ribadite   le  ragioni  a  sostegno  dell'iniziativa  assunta,  la
ricorrente  ha  replicato  alle  eccezioni  preliminari  svolte dalla
Camera dei deputati.
   6. - Con sentenza n. 241 del 2007, questa Corte ha dichiarato «non
fondate  le eccezioni pregiudiziali di inammissibilita' del conflitto
per    nullita'    assoluta    della    notificazione,   nonche'   di
improcedibilita'  dello stesso per sopravvenuta carenza di interesse,
sollevate dalla Camera dei deputati».
   La  predetta sentenza ha assegnato, nel contempo, «alla Camera dei
deputati  ed  alla  ricorrente  Procura  della  Repubblica  presso il
Tribunale  ordinario  di  Roma  il  termine  di  giorni  sessanta»  -
decorrente  dalla  data  della  pubblicazione  della  decisione nella
Gazzetta  Ufficiale  -  «per  la  eventuale  presentazione di memorie
difensive»,  ravvisandone  la  necessita'  proprio  in  ragione della
«scelta  operata dalla Camera dei deputati, in relazione alla novita'
ed  alla  particolarita'  della  vicenda,  di  non svolgere difese di
merito   in   ordine  al  thema  decidendum»,  scelta  compiuta  «sul
presupposto di non rivestire la qualita' di contraddittore necessario
nel presente giudizio».
   7.-  In  data  27 luglio 2007 la Camera dei deputati ha depositato
una memoria, chiedendo che il ricorso sia «dichiarato improcedibile e
inammissibile», ovvero, in subordine, che lo stesso sia rigettato.
   7.1.-  Sul  presupposto  che  «eccezioni  in  rito  possono essere
formulate   in  ogni  stato  del  processo  costituzionale»,  nonche'
evidenziando come quelle sollevate con la suddetta memoria si fondino
sul   «verificarsi  di  fatti  nuovi,  successivi  ai  primi  scritti
difensivi»,  ovvero  sulle stesse domande di merito della ricorrente,
le  quali - come riconosciuto dalla stessa sentenza n. 241 del 2007 -
«non  erano  state  vagliate  nelle precedenti difese», la Camera dei
deputati eccepisce, gradatamente, «l'improcedibilita' del ricorso per
sopravvenuta  carenza di interesse», nonche' l'inammissibilita' dello
stesso «per la contraddizione del petitum e della causa petendi».
   Ed  invero,  dal  momento  che  la  medesima autorita' giudiziaria
ricorrente ha chiesto - successivamente alla pronuncia della sentenza
n. 241  del  2007 - «l'archiviazione del procedimento penale relativo
all'individuazione dei mandanti dell'uccisione di Ilaria Alpi e Miran
Hrovatin»,  appare  evidente che l'eventuale «annullamento degli atti
impugnati sarebbe inutiliter datum», tenuto conto che il giudizio per
conflitto  di  attribuzione deve vertere «su conflitti non astratti o
ipotetici,  ma  attuali  e  concreti» (viene citata la sentenza della
Corte   costituzionale   n. 404  del  2005).  Infatti,  la  descritta
evenienza,  specie  se  si  considera  che  e'  proprio il ricorso ad
istituire  «un  nesso di logica consequenzialita' tra il fatto che le
indagini  siano  in  corso»  (o meglio, che lo fossero) «ed il vulnus
subito»  dalla  ricorrente,  denoterebbe  la  sopravvenuta carenza di
interesse alla definizione del giudizio.
   Un  profilo,  invece, di inammissibilita' del ricorso e' ravvisato
in relazione all'individuazione dell'oggetto del conflitto de quo.
   Premesso, infatti, che esso ruota «tutto e solo intorno al tema se
quegli  accertamenti»  - effettuati sulla vettura a bordo della quale
si trovavano la Alpi ed il Hrovatin - «dovessero essere sottoposti ad
uno  "svolgimento  almeno  congiunto",  cosi'  come  richiesto  dalla
Procura  della  Repubblica  di  Roma»,  risulterebbe evidente come le
considerazioni  svolte dalla ricorrente - e con esse anche la domanda
di  annullamento che integra il petitum dell'atto di promovimento del
presente  conflitto  - non possano «avere ingresso in un conflitto da
menomazione»,  come e' stato qualificato dalla ricorrente. Ed invero,
e'   quest'ultima   ad  affermare  espressamente  «che  solo  un  suo
provvedimento  di  sequestro avrebbe potuto soddisfare le esigenze di
giustizia»,  atteso  che,  unicamente  grazie  ad esso, essa «avrebbe
potuto  "effettuare  rilevamenti e accertamenti"» indispensabili alle
indagini.  In tal modo, pero', la ricorrente «svolge argomenti e, nel
merito,  formula  domande che avrebbero senso solo in un conflitto da
vindicatio potestatis».
   7.2.-  In  via  di  subordine,  per  quanto  attiene al merito del
ricorso,  la  Camera  dei  deputati  ha concluso per il rigetto dello
stesso sulla base dei seguenti rilievi.
   Si  evidenzia,  in  primo  luogo,  come  gli  atti  compiuti dalle
Commissioni    parlamentari    d'inchiesta    siano    «perfettamente
utilizzabili  dall'Autorita'  giudiziaria», e cio' in conseguenza del
pieno  «parallelismo tra i poteri e le limitazioni» che le prime come
la  seconda  incontrano  nell'esercizio delle rispettive funzioni (e'
citata, in proposito, la sentenza n. 231 del 1975).
   Nella  specie,  poi,  la Commissione parlamentare d'inchiesta «non
solo  non  ha  opposto  ostacoli»  alla trasmissione delle risultanze
dell'indagine  peritale  espletata, «ma ha messo a disposizione della
ricorrente la stessa vettura sulla quale gli accertamenti erano stati
eseguiti»,  senza  che,  dunque,  si  rendesse  necessario gravare il
veicolo  di  un  provvedimento  di  sequestro  «per  compiere tutti i
rilievi  e gli accertamenti supplementari ritenuti utili dalla stessa
ricorrente». A tal fine, infatti, sarebbe stata sufficiente - secondo
la Camera dei deputati - la semplice «messa a disposizione» del bene,
atto  idoneo  a «conservare» in capo alla ricorrente «i propri poteri
giurisdizionali»  (e' citata la sentenza n. 149 del 2007), e dunque a
salvaguardare le «attribuzioni costituzionali in campo».
   Ne',  d'altra  parte,  a conclusioni diverse potrebbe pervenirsi -
contrariamente   a   quanto   assume   la   ricorrente  -  attraverso
l'evocazione   del   principio  di  leale  collaborazione,  giacche',
assecondando   l'impostazione   del  ricorso,  si  finirebbe  con  il
conferire a tale principio un contenuto costituzionalmente vincolato,
laddove,  invece,  il  suo  funzionamento  dipende  da «scelte che il
legislatore  puo' operare fra diversi modelli in astratto possibili»,
purche' dirette a conseguire un «equilibrio razionale e misurato» tra
«le  istanze dello Stato di diritto, che tendono ad esaltare i valori
connessi  all'esercizio  della  giurisdizione», e «la salvaguardia di
ambiti  di  autonomia  sottratti  al  diritto  comune,  che valgono a
conservare  alla  rappresentanza politica un suo indefettibile spazio
di  liberta» (e' citata, sul punto, la sentenza n. 149 del 2007; sono
richiamate anche le sentenze n. 451 del 2005, n. 263 del 2003, n. 225
del 2001).
   Del  resto,  se  l'esistenza  di «svariate misure di raccordo o di
coordinamento  paritario»,  finalizzate a dare concreta attuazione al
principio  di  leale  collaborazione,  e'  stata affermata in termini
generali  dalla  giurisprudenza costituzionale (e' citata la sentenza
n. 214 del 1998), quando, addirittura, manchino - come nella specie -
delle  regole  da  integrare,  «la flessibilita' dei modelli di leale
collaborazione  e' ancora piu' evidente e necessaria», non potendo la
Corte costituzionale - sottolinea la Camera dei deputati - introdurre
«in  via  interpretativa un complesso di regole procedurali del tutto
nuovo».  A  tale esito, per contro, si perverrebbe nel caso in esame,
giacche'  l'accoglimento delle domande della ricorrente finirebbe con
l'imporre  «una  ed  una  sola forma di leale collaborazione» e cio',
appunto,   «in   assoluta   carenza   di  regole  che  dettino  anche
semplicemente un quadro di riferimento».
   Pertanto,  contrariamente  a  quanto  ipotizzato  dalla ricorrente
Procura  della  Repubblica  presso il Tribunale, deve escludersi che,
nel  caso  di  specie,  «il principio di leale collaborazione potesse
essere  osservato  solo con la rinuncia della Commissione a procedere
autonomamente,  ben  potendo  essere seguite - invece - altre strade,
esse pure capaci di salvaguardare le prerogative di entrambi i poteri
a  confronto».  Del resto, anche in quello che la Camera dei deputati
indica come il leading case in materia (la sentenza n. 231 del 1975),
si   e'  riconosciuta  l'ammissibilita'  di  «accertamenti  svolti  o
direttamente  disposti  dalla Commissione», ovvero di «atti da questa
formati  o  direttamente  disposti  ai propri fini e secondo i propri
metodi  di  lavoro».  Diversamente  opinando, e dunque imponendo alla
Camera  (e  per  essa  alla Commissione d'inchiesta) «di declinare il
principio di leale collaborazione tra poteri dello Stato non gia' nei
termini dell'informazione e della trasmissione o messa a disposizione
di  atti,  documenti  e  beni»,  bensi'  «in  quelli  della congiunta
esecuzione   degli  eventuali  accertamenti»,  si  finirebbe  con  il
confondere  tale principio «con l'interferenza in corso d'opera di un
potere sull'altro».
   8.  -  La  Camera  dei  deputati  ha depositato il 16 gennaio 2008
un'ulteriore  memoria  difensiva,  e  cio'  sul  presupposto  che  la
sentenza  n. 241  del  2007 «non precluda alle parti la produzione di
scritti  difensivi  nell'imminenza  dell'udienza», ai sensi di quanto
previsto  dagli artt. 10 e 26, comma 4, delle norme integrative per i
giudizi davanti alla Corte costituzionale.
   Cio'  premesso,  la Camera rammenta di aver formulato eccezione di
improcedibilita' del conflitto per sopravvenuta carenza di interesse,
e  cio'  in  ragione  del  fatto  che  la  ricorrente  Procura  della
Repubblica  risultava  aver  formulato una richiesta di archiviazione
del   procedimento   finalizzato   all'individuazione   dei  mandanti
dell'omicidio della Alpi e del Hrovatin.
   Orbene,  le  argomentazioni addotte a sostegno di tale eccezione -
prosegue  la  Camera  - debbono essere confermate, sebbene risulti da
notizie  di  stampa  che il Giudice per le indagini preliminari abbia
«respinto  la  richiesta di archiviazione, concedendo sei mesi per lo
svolgimento  di  ulteriori  accertamenti».  Difatti,  nei giudizi per
conflitto  di  attribuzione «l'interesse alla pronuncia sul conflitto
si  puo'  desumere  solo ed unicamente dagli atti e dai comportamenti
delle parti del conflitto stesso».
   Rilevante,  invece,  e'  la  circostanza  - sempre ad avviso della
Camera  dei  deputati  -  che  il  G.i.p. romano sia stato indotto ad
assumere  la  propria  decisione sulla base degli elementi raccolti -
all'esito  dell'indagine  tecnica  espletata  dal  dr.  Luzi  - dalla
Commissione  parlamentare d'inchiesta. In tal modo il G.i.p. avrebbe,
infatti,  confermato quanto affermato dalla Camera - a sostegno della
richiesta   di   rigetto   del   ricorso   -  in  ordine  alla  piena
utilizzabilita',  nel procedimento penale, degli atti posti in essere
dalla Commissione stessa.
   All'udienza  del  29  gennaio  2008  le  parti  hanno  ribadito le
rispettive  conclusioni.  In particolare, la ricorrente Procura della
Repubblica   ha   chiesto   che   sia   disposta  l'acquisizione  del
provvedimento  adottato  dal  G.i.p., a norma dell'art. 409, comma 4,
del   codice  di  procedura  penale,  ed  ha  chiesto,  altresi',  la
secretazione del documento limitatamente a taluni punti.
   La  Corte  costituzionale  si  e'  riservata di decidere in ordine
all'acquisizione  di tale documento, del quale ha disposto, comunque,
la conservazione in plico presso la cancelleria.
                       Considerato in diritto
   1.  -  Viene  nuovamente all'esame di questa Corte il conflitto di
attribuzione  tra poteri dello Stato, gia' dichiarato ammissibile con
ordinanza   n. 73   del   2006,  nonche'  oggetto  di  decisione  non
definitiva,  adottata  con  sentenza  n. 241  del  2007,  quanto alle
pregiudiziali  eccezioni,  sollevate  dalla  Camera  dei deputati, di
inammissibilita'   del   conflitto   «per   nullita'  assoluta  della
notificazione,   nonche'   di   improcedibilita'   dello  stesso  per
sopravvenuta  carenza  di  interesse». Il conflitto e' stato promosso
dalla  Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Roma
nei confronti della Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte
di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
   Oggetto  del  giudizio  e'  la  richiesta  di  declaratoria di non
spettanza alla predetta Commissione parlamentare - e per essa, ormai,
alla  Camera  dei  deputati,  essendosi  riconosciuto,  nella  citata
sentenza  n. 241  del  2007,  che  «nell'ipotesi  di  cessazione, per
qualsiasi  causa,  del  funzionamento  della  Commissione  (quali, ad
esempio,  la scadenza del suo termine di durata o l'esaurimento della
sua  funzione),  la legittimazione processuale ad agire o a resistere
e'  riassunta  dalla  Camera  medesima»  -  del potere di interferire
nell'esercizio  delle  attribuzioni demandate dalla Costituzione alla
ricorrente  autorita'  giudiziaria,  in  particolare precludendole lo
svolgimento congiunto degli accertamenti tecnici non ripetibili sulla
vettura  a  bordo  della quale la Alpi ed il Hrovatin si trovavano in
occasione dell'attentato nel quale persero la vita.
   La  ricorrente,  difatti, promuovendo un conflitto da menomazione,
assume  che  il  predetto  organismo parlamentare abbia interferito -
negandole la possibilita' di partecipare all'accertamento tecnico non
ripetibile  disposto  sulla  vettura  costituente  corpo  di  reato -
nell'attivita'  ad essa istituzionalmente demandata e consistente nel
«raccogliere  tutti  gli  elementi  necessari  ai  fini delle proprie
determinazioni  in  ordine  all'esercizio  dell'azione  penale»,  con
palese  violazione  del principio della obbligatorieta' della stessa,
«sancito  dall'art.  112 della Costituzione», oltre che di quelli «di
indipendenza  ed  autonomia  della magistratura» (ex artt. 101, 104 e
107 Cost.).
   Su  tali  basi,  quindi,  la  ricorrente ha chiesto l'annullamento
degli  atti  con  i quali la predetta Commissione, in persona del suo
Presidente,  dopo  aver  conferito  -  con atto del 17 settembre 2005
(prot.  n. 3490/ALPI)  -  incarico  peritale  per  l'espletamento  di
accertamenti  tecnici  anche  non  ripetibili  sulla  autovettura, ha
rifiutato  di acconsentire alla partecipazione della ricorrente, agli
accertamenti tecnici da espletarsi sulla stessa autovettura (nota del
21 settembre 2005, prot. n. 2005/0001389/SG-CIV).
   2.  -  Cosi'  ricostruito  l'oggetto del contendere, devono essere
preliminarmente   esaminate   le  ulteriori  eccezioni  pregiudiziali
sollevate in questa fase di giudizio dalla Camera dei deputati.
   La  resistente  assume, per un verso, che, dopo la richiesta della
Procura  della  Repubblica  di  archiviazione del procedimento penale
relativo all'individuazione dei mandanti del duplice omicidio (e cio'
indipendentemente dal fatto che tale richiesta sia stata rigettata, a
norma  dell'art.  409,  comma  4, del codice di procedura penale, dal
Giudice  per  le  indagini  preliminari,  giacche'  nei  giudizi  per
conflitto  di  attribuzione «l'interesse alla pronuncia sul conflitto
si  puo'  desumere  solo ed unicamente dagli atti e dai comportamenti
delle  parti  del conflitto stesso»), l'eventuale «annullamento degli
atti  impugnati  sarebbe inutiliter datum». Cio' tenuto conto sia del
fatto  che  il giudizio per conflitto di attribuzione deve riguardare
«conflitti  non  astratti  o  ipotetici,  ma  attuali e concreti» (e'
citata,   sul   punto,   l'ordinanza  n. 404  del  2005),  sia  della
circostanza  che  la  Commissione  parlamentare ha, comunque, messo a
disposizione    della   ricorrente   le   risultanze   dell'espletata
consulenza.
   Per  altro  verso, poi, e' eccepita l'inammissibilita' del ricorso
in  ragione di una presunta «contraddizione del petitum e della causa
petendi»,  atteso che la ricorrente - sebbene lamenti di essere stata
ostacolata      nell'esercizio     delle     proprie     attribuzioni
costituzionalmente  rilevanti  -  «svolge  argomenti  e,  nel merito,
formula   domande  che  avrebbero  senso  solo  in  un  conflitto  da
vindicatio potestatis», e non da menomazione, come lo stesso e' stato
invece espressamente qualificato nel ricorso.
   3. - Entrambe le eccezioni sono destituite di fondamento.
   3.1.  -  Quanto alla prima, infatti, e' sufficiente osservare che,
costituendo oggetto del conflitto proprio il riconoscimento della non
spettanza alla Commissione parlamentare di inchiesta di interferire -
attraverso  la  negazione  della  possibilita'  della  ricorrente  di
partecipare  agli accertamenti tecnici non ripetibili sulla vettura -
nell'esercizio delle funzioni di indagini istituzionalmente spettanti
all'autorita'  giudiziaria,  le  vicende successive all'assunzione di
tale  determinazione  da parte dell'organo parlamentare si presentano
prive  di  rilevanza  rispetto al thema decidendum. E cio' vale tanto
per  la  scelta  compiuta  dalla Procura della Repubblica di chiedere
l'archiviazione  a  norma  dell'art. 415, comma 1, cod. proc. pen. (e
che  giustifica  la  determinazione  di  questa Corte di non prendere
neppure  visione,  attesa la sua irrilevanza ai fini della decisione,
dell'ordinanza  adottata  dal  Giudice  per  le  indagini preliminari
presso  il  Tribunale  di Roma ex art. 409, comma 4, cod. proc. pen.,
atto  di  cui  va  disposta  la  restituzione  in  plico  chiuso alla
ricorrente), quanto per quella assunta dalla Commissione parlamentare
di  mettere a disposizione della Procura le risultanze della indagine
tecnica autonomamente disposta.
   In  relazione,  in particolare, a questa seconda circostanza, deve
nuovamente   ribadirsi   che  attraverso  il  presente  conflitto  la
ricorrente autorita' giudiziaria si duole di essere stata privata del
potere  di  partecipare  allo  svolgimento  dell'accertamento tecnico
disposto  dalla  Commissione  parlamentare (cio' che avrebbe permesso
alla Procura di orientarne lo svolgimento anche verso temi d'indagine
piu'  immediatamente  riconducibili  a  quelli  oggetto delle proprie
attribuzioni  costituzionalmente  rilevanti); sicche' la possibilita'
di  avvalersi  ex  post  delle  risultanze  dell'indagine  svolta dal
tecnico nominato dall'organo parlamentare non puo' ritenersi idonea a
soddisfare la pretesa fatta valere con il ricorso.
   Sotto  questo  profilo  e',  quindi,  evidente  la  diversita' che
intercorre tra la fattispecie ora in esame e quella in relazione alla
quale  e'  intervenuta  l'ordinanza  di questa Corte n. 404 del 2005,
richiamata  nelle  sue  difese  dalla  Camera  dei  deputati. In tale
pronuncia, difatti, si e' rilevato che «il compimento dell'ispezione,
ai  sensi dell'art. 244 e seguenti del codice di procedura penale, da
parte  dell'autorita'  giudiziaria  ricorrente»  -  atto  al quale il
Presidente  del  Consiglio  dei ministri si era inizialmente opposto,
salvo  successivamente  mutare avviso, consentendo in via espressa al
«Procuratore  della Repubblica presso il Tribunale di Tempio Pausania
di  accedere  all'area  gia' oggetto del provvedimento di apposizione
del   segreto   di   Stato»   -   «ha  rimosso  l'ostacolo  frapposto
all'esercizio  del  potere d'indagine spettante alla stessa autorita'
giudiziaria,  cosi'  da  far  venir  meno,  allo stato, l'oggetto del
conflitto».
   Un'evenienza  differente  e',  viceversa,  quella verificatasi nel
caso  di specie, atteso che, pur a seguito della messa a disposizione
dei  risultati  dell'accertamento  espletato  e della vettura oggetto
dello   stesso   (recte:   di   cio'  che  resta  di  essa  all'esito
dell'indagine   tecnica,   anche   in   ragione   della   sua  natura
irripetibile),   l'atto   con  cui  la  Commissione  parlamentare  ha
rifiutato  di  accogliere  la  richiesta  della  ricorrente  conserva
inalterata   la  sua  idoneita'  a  menomare  le  attribuzioni  della
ricorrente.
   3.2.  -  Ne',  d'altra parte, sussiste - con riferimento all'altra
eccezione  pregiudiziale sollevata dalla Camera dei deputati - alcuna
«contraddizione»  tra petitum e causa petendi del ricorso: la Procura
della  Repubblica  di  Roma  non  mira,  infatti, ne' a contestare la
competenza  della  Commissione  di inchiesta, ne' a «rivendicare» per
se'  una  competenza  esclusiva,  bensi'  solo  a  far  accertare  la
menomazione delle proprie attribuzioni costituzionali derivante dalla
scelta  della  Commissione parlamentare di negarle qualunque forma di
partecipazione  allo  svolgimento di accertamenti tecnici che (anche)
la  ricorrente  avrebbe potuto effettuare ai sensi dell'art. 360 cod.
proc. pen.
   4.  -  Nel  merito  il  ricorso  e' fondato, nei limiti di seguito
precisati.
   4.1.  -  La  Commissione  d'inchiesta  -  certamente legittimata a
disporre  lo  svolgimento  di  accertamenti  tecnici  non ripetibili,
potendo  nell'espletamento  delle  indagini  e  degli  esami  ad essa
demandati  esercitare gli stessi poteri dell'autorita' giudiziaria ex
art.   82,   secondo   comma,   Cost.   (cio'  che,  quindi,  esclude
l'annullabilita'  della  nota  adottata  il  17  settembre  2005  dal
Presidente  della  predetta  Commissione  parlamentare  e relativa al
conferimento   dell'incarico   peritale)  -  avrebbe  dovuto,  pero',
salvaguardare  le prerogative della ricorrente autorita' giudiziaria,
anch'essa   titolare   di   un   parallelo  potere  d'investigazione,
costituzionalmente rilevante.
   Del  resto, non e' senza significato - in tale prospettiva - che a
norma  dell'art.  371  cod. proc. pen., in caso di indagini collegate
svolte da uffici diversi del pubblico ministero (e dunque da soggetti
ordinariamente  titolari  di  poteri investigativi), sia previsto non
solo   un   reciproco   coordinamento,  al  fine  di  assicurare  «la
speditezza,  economia ed efficacia delle indagini medesime», ma anche
la  possibilita'  di  «procedere,  congiuntamente,  al  compimento di
singoli atti». E alla suddetta disposizione del codice di rito penale
deve  essere,  per certo, riconosciuta valenza di principio generale,
come tale, applicabile ben oltre l'ambito specifico suo proprio.
   Che  poi  l'espletamento  congiunto  dell'atto  di  indagine fosse
addirittura  doveroso,  nel  caso  di  specie, e' conclusione imposta
dalla necessita' di rispettare il principio di leale collaborazione.
   4.2.  -  Rilevano in tale prospettiva, innanzitutto, le previsioni
contenute  sia  nell'atto istitutivo della Commissione (art. 6, comma
3,  della  deliberazione  della  Camera  31 luglio 2003), sia nel suo
regolamento  interno  (art. 22, comma 1, reg. interno approvato dalla
Commissione  nella  seduta  del  4  febbraio  2004),  le  quali,  nel
contemplare  un  «opportuno  coordinamento» della Commissione «con le
strutture giudiziarie», in particolare proprio per quanto concerne la
nomina   di   consulenti  ed  esperti,  hanno  inteso  confermare  la
necessita'  che  anche  le  attivita'  di indagine peritale dovessero
essere espletate in applicazione del suddetto principio.
   L'osservanza  dello  stesso avrebbe, dunque, imposto di accogliere
la richiesta avanzata dalla Procura della Repubblica di Roma; cio' al
fine  evidente  di consentire il piu' ampio spettro di indagine nella
ricerca della verita' dei fatti.
   D'altronde,  detta  soluzione appariva come la sola conforme anche
alla  diversita'  di  ambiti  e di funzioni che caratterizza i poteri
d'indagine  delle Commissioni parlamentari d'inchiesta e degli organi
giudiziari;  diversita'  che  fa  si' che, se anche il loro esercizio
possa  sovrapporsi,  restino tuttavia sempre distinte le finalita' al
perseguimento delle quali i poteri stessi sono preordinati.
   Questa  Corte,  infatti,  ha  gia'  avuto  modo di chiarire che il
compito   delle  Commissioni  parlamentari  d'inchiesta  «non  e'  di
"giudicare",  ma  solo  di  raccogliere  notizie e dati necessari per
l'esercizio  delle funzioni delle Camere», attingendo cosi' «lo scopo
di  mettere  a  disposizione delle Assemblee tutti gli elementi utili
affinche'  queste  possano,  con piena cognizione delle situazioni di
fatto,  deliberare  la  propria  linea  di  condotta, sia promuovendo
misure  legislative,  sia invitando il Governo a adottare, per quanto
di  sua  competenza, i provvedimenti del caso» (cosi', incisivamente,
la sentenza n. 231 del 1975).
   Orbene,  e'  appunto  la  diversita' degli scopi propri dei poteri
d'indagine  spettanti, rispettivamente, alle Commissioni parlamentari
d'inchiesta  ed agli organi della magistratura requirente, che impone
di  ritenere che l'esercizio degli uni non possa mai avvenire a danno
degli  altri  (e  viceversa);  e dunque impone, altresi', di ribadire
quanto  gia'  affermato da questa Corte, ovvero che «il normale corso
della  giustizia (...) non puo' essere paralizzato a mera discrezione
degli  organi  parlamentari»  (come,  invece,  avvenuto  nel presente
caso),  «potendo  e  dovendo arrestarsi unicamente nel momento in cui
l'esercizio  di questa verrebbe illegittimamente ad incidere su fatti
soggettivamente  ed  oggettivamente  ad essa sottratti e in ordine ai
quali  sia  stata  ritenuta  la competenza degli organi parlamentari»
(sentenza n. 13 del 1975).
   4.3.   -  Ne',  d'altra  parte,  puo'  sostenersi  -  come  invece
ipotizzato  dalla resistente Camera dei deputati - che l'accoglimento
della   richiesta   di   partecipazione  agli  accertamenti  tecnici,
formulata dalla Procura della Repubblica, equivarrebbe a snaturare il
principio  di  leale  collaborazione,  finendo con il legittimare una
«interferenza in corso d'opera di un potere sull'altro».
   Se e' vero, infatti, che il principio di leale collaborazione «per
la sua elasticita' consente di avere riguardo alla peculiarita' delle
singole  situazioni»  (sentenza  n. 50 del 2005), deve rilevarsi come
proprio  le specifiche caratteristiche della presente fattispecie - e
segnatamente  il  fatto  che la Commissione di inchiesta avesse tra i
propri   compiti   (art.   1   dell'atto  istitutivo)  anche  quello,
tipicamente  investigativo, di «verificare la dinamica dei fatti» che
«portarono  all'omicidio»  della Alpi e del Hrovatin - imponessero di
accogliere   la   richiesta   avanzata   dalla  Procura  di  semplice
partecipazione  agli  accertamenti  tecnici, non essendo la richiesta
stessa  diretta  a  rivendicare alcuna potesta' esclusiva di indagine
(interferendo,   cosi',   sulle   prerogative   costituzionali  della
Commissione), bensi' solo a garantire l'integrita' delle attribuzioni
che, per dettato costituzionale, spettano all'autorita' giudiziaria.
   Alla  luce  delle  considerazioni che precedono risulta violato il
principio  di leale collaborazione che deve sempre permeare di se' il
rapporto  tra  poteri  dello Stato e violati, di conseguenza, anche i
parametri costituzionali, evocati nel ricorso, di cui agli artt. 101,
104,  107  e  112 Cost. Si deve pertanto riconoscere che non spettava
alla Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi
e  Miran  Hrovatin  precludere  lo  svolgimento - che, come richiesto
dalla  ricorrente,  avrebbe  dovuto compiersi congiuntamente da parte
dei due soggetti - di quell'attivita' di accertamento, il cui mancato
espletamento,  proprio  per il suo carattere «non ripetibile» ex art.
360  cod.  proc.  pen.,  si  e'  tradotto  in  una  menomazione delle
prerogative   dell'organo   requirente,  con  evidenti  riflessi  sul
«normale corso» del procedimento ad esso demandato.