ha pronunciato la seguente
                              Ordinanza
nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  3,  comma
41-bis,  della  legge  della  Regione Lombardia 5 gennaio 2000, n. 1,
recante   «Riordino   del   sistema  delle  autonomie  in  Lombardia.
Attuazione del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni
e  compiti  amministrativi  dallo  Stato  alle  regioni  ed agli enti
locali,  in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59)»,
introdotto  dall'art.  1,  lettera  a),  della  legge  della  Regione
Lombardia  8  febbraio  2005,  n. 7,  recante  Modifiche  alla  legge
regionale  5 gennaio 2000, n. 1 «Riordino del sistema delle autonomie
in   Lombardia.   Attuazione   del   d.lgs.  31  marzo  1998,  n. 112
(Conferimento  di  funzioni e compiti amministrativi dello stato alle
regioni  ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15
marzo  1997,  n. 59)»,  promosso con ordinanza del 27 luglio 2006 dal
Tribunale   amministrativo  regionale  della  Lombardia  sul  ricorso
proposto da Erbetti Francesca ed altri contro il Comune di Busnago ed
altra,  iscritta  al  n. 222 del registro ordinanze 2007 e pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale della Repubblica n. 16, 1ª serie speciale,
dell'anno 2007;
   Visti  gli  atti  di  costituzione della Regione Lombardia e delle
articolazioni  territoriali  di Milano del Sindacato Inquilini Casa e
Territorio   (SICeT)  ed  altri,  del  Sindacato  Unitario  Nazionale
Inquilini   e  Assegnatari  (SUNIA),  della  Confederazione  Generale
Italiana  del  Lavoro (CGIL) e della Unione Sindacale Regionale della
Confederazione  Italiana  Sindacati  Lavoratori  (USR  CISL), nonche'
l'atto di intervento della CGIL e della CISL nazionali;
   Udito  nella  udienza  pubblica  del  15  gennaio  2008 il giudice
relatore Paolo Maria Napolitano;
   Uditi  gli  avvocati Vittorio Angiolini e Giuseppe Sante Assennato
per  il  SICeT  territoriale di Milano ed altri e per la CGIL e CISL,
sia  nelle loro articolazioni territoriali lombarde sia nazionali, ed
Enzo Cardi per la Regione Lombardia;
   Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia
(sede  di  Milano)  ha  sollevato,  con ordinanza del 27 luglio 2006,
questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 41-bis,
della  legge  della  Regione  Lombardia 5 gennaio 2000, n. 1, recante
«Riordino  del  sistema  delle autonomie in Lombardia. Attuazione del
d.lgs.  31  marzo  1998,  n. 112  (Conferimento di funzioni e compiti
amministrativi  dallo  Stato  alle  regioni  ed  agli enti locali, in
attuazione  del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59)», introdotto
dall'art.  1,  lettera  a),  della  legge  della  Regione Lombardia 8
febbraio 2005, n. 7, recante Modifiche alla legge regionale 5 gennaio
2000,  n. 1  «Riordino  del  sistema  delle  autonomie  in Lombardia.
Attuazione del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni
e  compiti  amministrativi  dello  stato  alle  regioni  ed agli enti
locali,  in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59)»,
in  riferimento agli artt. 3, 47, 101, 102, 103, 104, 111, 117, commi
primo,  secondo,  lettera  m), terzo, e 120 della Costituzione, nella
parte  in  cui  prevede  che  «per la presentazione della domanda per
l'assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica di cui al
comma  3  dell'articolo 1 del regolamento regionale 10 febbraio 2004,
n. 1 (Criteri generali per l'assegnazione e la gestione degli alloggi
di  edilizia  residenziale  pubblica (art. 3, comma 41, lett. m) l.r.
1/2000), i richiedenti devono avere la residenza o svolgere attivita'
lavorativa  in Regione Lombardia da almeno cinque anni per il periodo
immediatamente precedente alla data di presentazione della domanda»;
     che  il  rimettente  premette  di essere chiamato a giudicare in
ordine  all'annullamento  dei  provvedimenti  del Comune di Busnago -
assunti in data 23 novembre 2005, nn. 12500 e 12501 - impugnati dalle
ricorrenti  Erbetti Francesca e Chica Quinonez Emma Veronica, assieme
alle articolazioni milanesi del Sindacato Inquilini Casa e Territorio
(SICeT)  territoriale  di  Milano,  del  Sindacato Unitario Nazionale
Inquilini   e   Assegnatari  (SUNIA)  provinciale  di  Milano,  della
Confederazione  Generale  Italiana  del  Lavoro  (CGIL)  lombarda,  e
dell'Unione   sindacale   Regionale   della  Confederazione  Italiana
Sindacati Lavoratori (USR CISL);
     che,  ricorda  ancora il Tar rimettente, i ricorrenti chiedevano
l'annullamento  dei  provvedimenti sopra citati con i quali il Comune
di  Busnago  rigettava  le  domande  di  assegnazione  di alloggio di
edilizia  residenziale  pubblica (in seguito erp), presentate in data
22 ottobre 2005 dalle signore Erbetti Francesca e Chica Quinonez Emma
Veronica,  poiche'  -  ai sensi della legge regionale della Lombardia
n. 7  del  2005 - «i richiedenti devono avere la residenza o svolgere
attivita'  lavorativa  in Regione Lombardia da almeno cinque anni per
il periodo immediatamente precedente alla data di presentazione della
domanda», requisito mancante ad entrambe le istanti;
     che,   quindi,   rigettate   le  eccezioni  di  inammissibilita'
formulate  dalla  Regione  Lombardia  in  merito  alla legittimazione
attiva  sia  delle  due  ricorrenti che delle suddette organizzazioni
sindacali, il rimettente evidenzia come - prima della legge regionale
n. 7  del  2005  e  del  regolamento  regionale  27 marzo 2006, n. 5,
recante  «Modifiche  al  regolamento regionale 10 febbraio 2004, n. 1
(Criteri  generali  per l'assegnazione e la gestione degli alloggi di
edilizia  residenziale  pubblica  (art.  3,  comma 41, lett. m) l. r.
1/2000»,  la Regione Lombardia, con il regolamento regionale n. 1 del
2004,  recante  «Criteri  generali  per  l'assegnazione e la gestione
degli  alloggi  di  edilizia residenziale pubblica (art. 3, comma 41,
lett. m) l. r. 1/2000», aveva stabilito che, per l'assegnazione degli
alloggi  erp,  si  dovesse  tener  conto - in aggiunta ai criteri del
disagio  familiare,  abitativo  ed  economico  -  anche degli anni di
residenza nella Regione stessa, attribuendo un punteggio ulteriore (5
punti  per  un  anno  fino  ad  un massimo di 90 per oltre 20 anni di
residenza  in  Lombardia)  e  che proprio il Tribunale amministrativo
regionale  Lombardia,  sezione  prima,  con sentenza del 29 settembre
2004,  n. 4196,  non  impugnata  dalla  Regione,  aveva  annullato il
suddetto regolamento regionale ritenendo che introducesse un elemento
estraneo   alla  ratio  della  normativa  sull'edilizia  residenziale
pubblica;
     che,  si ricorda ancora nell'ordinanza di rimessione, la Regione
Lombardia  ha  successivamente  approvato la legge regionale n. 7 del
2005,  la quale (per i profili qui coinvolti) ha introdotto nell'art.
3  della  legge  regionale  5  gennaio 2000, n. 1, il censurato comma
41-bis;
     che,  in  punto di rilevanza, il giudice a quo sottolinea come i
provvedimenti  impugnati  sono  stati  adottati in virtu' della norma
censurata   e,   conseguentemente,   in   caso   di  declaratoria  di
illegittimita'   costituzionale  della  norma  suddetta,  il  ricorso
presentato contro gli atti di esclusione potra' trovare accoglimento,
mentre,  nel  caso  contrario,  lo stesso dovra' essere rigettato, in
quanto  gli  atti impugnati sarebbero «fedele e corretta applicazione
del disposto normativo de quo»;
     che,  quanto  alla non manifesta infondatezza, il Tar rimettente
ritiene  di  doverla  esaminare in riferimento agli artt. 3, 47, 101,
102,  103,  104, 111, 117, commi primo, secondo, lettera m), terzo, e
120 della Costituzione;
     che,  a  parere dello stesso Tribunale amministrativo regionale,
la norma censurata viola l'art. 117, terzo comma, della Costituzione,
anche  in relazione all'art. 47 Cost., e all'art. 117, secondo comma,
lettera  m),  Cost., in quanto la legge regionale n. 7 del 2005 viola
(con  l'introduzione  del  requisito della residenza o, comunque, del
lavoro   in   Lombardia   protratto   per  cinque  anni)  i  principi
fondamentali  in  materia  di edilizia residenziale pubblica, fissati
dalle  leggi  dello  Stato:  in  particolare,  viola la «finalita' di
favorire  l'accesso all'abitazione a condizioni inferiori a quelle di
mercato,  a categorie di cittadini meno abbienti», affermata, secondo
il  rimettente,  sia  dalle sentenze n. 299 del 2000, n. 135 e n. 150
del 2004, che dal regio decreto 28 aprile 1938, n. 1165 (Approvazione
del  T.U.  delle  disposizioni sull'edilizia economica e popolare), e
confermata dalle leggi statali piu' recenti;
     che   la   legge   regionale,   sempre  secondo  l'ordinanza  di
rimessione,  contrasterebbe  ancora  con  il  disposto dell'art. 117,
secondo  comma,  lettera  m), della Costituzione, perche' limiterebbe
l'accesso  all'erp,  intervenendo  sulla  determinazione  dei livelli
essenziali  delle  prestazioni  relative ai diritti civili e sociali,
livelli  essenziali  che  devono essere garantiti in modo uniforme su
tutto il territorio nazionale;
     che,  per il rimettente, sarebbe altresi' violato l'art. 3 della
Costituzione,  in  quanto la norma impugnata introdurrebbe un fattore
discriminatorio,  rapportato alla durata del lavoro o della residenza
in   Lombardia,   cosi'   escludendo   dall'accesso  alle  abitazioni
residenziali  pubbliche proprio coloro che, in quanto non radicati da
lungo tempo sul territorio regionale e alla ricerca di un lavoro, «si
trovano in condizioni di maggiore difficolta' e di maggiore disagio»;
     che la norma impugnata si porrebbe in contrasto anche con l'art.
120  della  Costituzione,  poiche'  renderebbe  piu'  difficoltosa la
mobilita'  tra  Regioni  a  chi  versa  in stato di bisogno, rendendo
«difficile  lavorare  in  una  regione  a  chi  non  vi  sia da tempo
stabilmente insediato»;
     che,  inoltre,  la  disposizione  denunciata  determinerebbe  la
violazione degli art. 101, 102, 103, 104 e 111 della Costituzione, in
quanto  la  normativa censurata appare, sempre secondo l'ordinanza di
rimessione,  ispirata  «dall'intento  di  neutralizzare,  mediante la
modifica  formale  della  fonte  normativa, l'orientamento assunto in
materia  da questo Tribunale amministrativo regionale con la sentenza
n. 4196/94»,  intento  «che  non  puo'  non  risultare  lesivo  della
funzione giurisdizionale»;
     che,   infine,   la   stessa  norma,  sempre  per  il  Tribunale
amministrativo  regionale  rimettente, verrebbe a violare l'art. 117,
primo comma, della Costituzione in relazione all'art. 48 (poi 39) del
trattato  CE,  perche'  la  normativa censurata contrasterebbe con il
diritto  dei  lavoratori  alla  libera circolazione nell'ambito della
Unione  europea  proprio  in  ragione  del richiamato requisito della
residenza come criterio per l'accesso alla prestazione;
     che  si  e'  costituito  in  giudizio il Presidente della Giunta
regionale  della  Lombardia, il quale ha chiesto che la questione sia
dichiarata inammissibile e, comunque, infondata;
     che,  con riferimento all'art. 117, commi secondo, lettera m), e
terzo,  della Costituzione, anche in relazione al precedente art. 47,
l'inammissibilita'  viene  eccepita  «per  mancata  indicazione della
norma  statale  interposta  che  si  intenderebbe  violata, stante la
generica  indicazione  di  violazione  dei  principi  fondamentali in
materia  di  edilizia  residenziale pubblica», mentre, nel merito, la
questione    sarebbe    manifestamente   infondata   in   base   alla
considerazione  che  quasi  tutte  le  leggi regionali in tema di erp
prevedono,  tra  i  requisiti soggettivi richiesti, il criterio della
residenza  e/o  quello  della prestazione di attivita' lavorativa nel
Comune  o,  comunque,  nell'ambito  territoriale  cui si riferisce il
bando di concorso;
     che la Regione sottolinea, altresi', come questa Corte ha sempre
ritenuto  l'erp  «nuova  materia  di  competenza regionale» (sentenza
n. 29  del  1996),  nonche' come l'art. 60 del decreto legislativo 31
marzo  1998,  n. 112, abbia conferito alle Regioni «tutte le funzioni
amministrative   relative   alla   gestione  e  all'attuazione  degli
interventi  in  materia  di  edilizia  residenziale  pubblica»; e che
«l'assegnazione  e  gestione  degli  alloggi di edilizia residenziale
pubblica,  come gia' affermato da questa Corte, costituisce, in linea
di  principio, espressione della competenza spettante alla Regione in
questa materia (ordinanza n. 526 del 2002)»;
     che,  relativamente  alla  censura  riferita all'art. 117, primo
comma,  della  Costituzione,  anche in relazione all'art. 48 (poi 39)
del  trattato  CE, la difesa regionale ne sostiene l'infondatezza, in
quanto  il criterio oggettivo della residenza prolungata ovvero della
attivita' lavorativa «non incide minimamente sulla cittadinanza delle
persone  interessate  ed  e'  assolutamente  commisurato  agli  scopi
perseguiti dal diritto interno»;
     che,  quindi,  la  difesa  regionale  ritiene  inammissibile  la
questione di legittimita' prospettata e comunque infondate le censure
sollevate  in  riferimento  agli artt. 101, 102, 103, 104 e 111 della
Costituzione,  stante  la  genericita' delle argomentazioni contenute
nell'ordinanza  di  rimessione,  nonche'  la  totale  estraneita' dei
parametri costituzionali evocati alla materia di cui trattasi;
     che,   in   particolare,   con   riguardo   all'art.  101  della
Costituzione  (per  il  quale,  nelle  conclusioni,  si  richiede  la
dichiarazione di infondatezza, ma nel testo della memoria si richiama
anche  un  profilo  di  inammissibilita),  la  Regione  rileva che la
sentenza  n. 4196  del  2004  del  Tribunale amministrativo regionale
Lombardia  aveva per oggetto l'annullamento del regolamento regionale
n. 1 del 2004: ne conseguirebbe, quindi, se fosse accolta la tesi del
rimettente,  che  la Regione sarebbe priva del potere di legiferare a
seguito  di una sentenza di annullamento di una normativa secondaria,
con rovesciamento di quanto prevede l'art. 101 della Costituzione che
dispone che i giudici siano sottoposti alla legge;
     che, quanto all'art. 120 della Costituzione, la difesa regionale
ritiene  la  censura  infondata,  richiamando tra l'altro la sentenza
n. 51  del  1991  della  Corte  costituzionale  secondo  la quale «il
divieto  imposto  a  ciascuna  Regione  dall'art. 120, secondo comma,
della  Costituzione [...], non comporta una preclusione assoluta, per
gli  atti  regionali,  di  stabilire limiti al libero movimento delle
persone e delle cose»;
     che,  inoltre,  la  difesa  della  Regione  ritiene infondata la
questione  di  legittimita'  costituzionale sollevata con riferimento
all'art.  3  Cost.,  sottolineando  la  ragionevolezza  della opzione
normativa  che  tiene  conto  della  «limitatezza  della  risorsa» e,
quindi,  introduce  «regimi differenziati» per l'accesso al beneficio
della  fruizione  dell'alloggio,  e richiamando, altresi', a sostegno
della  propria  affermazione,  le  numerose  analoghe  leggi di altre
Regioni,  nonche'  la giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 432
del 2005, n. 34 del 2004, n. 1 del 1999 e ordinanza n. 268 del 2001);
     che,  per  quanto  riguarda  l'asserita  violazione dell'art. 47
della  Costituzione  (in  realta'  evocato in combinato con gli artt.
117,  comma  secondo,  lettera  m,  e  terzo,  della Costituzione) la
Regione  sottolinea  come  la  materia  di  cui trattasi sia di piena
competenza regionale, richiamando la giurisprudenza di questa Corte;
     che,  in  prossimita'  dell'udienza,  la  Regione  Lombardia  ha
depositato   memoria  illustrativa,  nella  quale  ha,  in  sostanza,
ribadito    le    precedenti    argomentazioni,    sia    in   ordine
all'inammissibilita' che all'infondatezza della questione;
     che,  in  particolare,  quanto  al merito, dopo aver ribadito le
precedenti conclusioni, ha ricordato come la sentenza n. 94 del 2007,
abbia chiarito che la competenza statale di cui all'art. 117, secondo
comma,  lettera  m),  della Costituzione, «riguarda la determinazione
dell'offerta  minima di alloggi destinati a soddisfare le esigenze di
ceti  meno  abbienti»,  mentre  la legge regionale di cui trattasi si
occupa  di erp e, quindi, ricade (secondo la ripartizione individuata
dalla  citata  sentenza) nella competenza residuale delle Regioni, le
quali   possono   legittimamente   «adottare  autonomi  ed  ulteriori
meccanismi»  selettivi  (sentenza  n. 80 del 2007), finalizzati ad un
miglior  funzionamento  del  sistema  di  assegnazione  degli alloggi
stessi.
     che,  nell'imminenza  dell'udienza, anche il SICeT di Milano, la
CGIL  e  la  CISL  - tutti gia' costituiti nel giudizio a quo - hanno
presentato  memoria,  ribadendo la rilevanza della questione, nonche'
la fondatezza della censure;
     che,   quanto   alla   violazione  degli  artt.  3  e  47  della
Costituzione,  hanno  richiamato  la  giurisprudenza  di questa Corte
sulla  natura del diritto all'abitazione in virtu' degli artt. 2 e 47
della  Costituzione  (sentenze  n. 203 del 2003, n. 419 del 1991, nn.
404 e 217 del 1988);
     che,  per  le  parti  costituite,  ugualmente fondata sarebbe la
censura relativa alla violazione dell'art. 117 della Costituzione: in
particolare,  ritengono  vi  sia  violazione  dell'art.  117, secondo
comma,  lettera  m),  della  Costituzione,  in quanto appartiene alla
competenza  statale esclusiva la «fissazione dei principi che valgono
a  garantire  uniformita'  dei  criteri  di  assegnazione su tutto il
territorio nazionale» dell'offerta «di alloggi destinati a soddisfare
le esigenze dei ceti meno abbienti»;
     che  la  disciplina  della  Regione  Lombardia  sia,  del resto,
chiaramente  discriminatoria  nei  confronti  degli immigrati, specie
extra  comunitari e che sia anche in contrasto con lo stesso art. 40,
comma  6,  del  decreto legislativo del 25 luglio 1998, n. 286 (Testo
unico  delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione
e  norme  sulla  condizione  dello  straniero),  come successivamente
integrato  e  modificato,  sarebbe confermato dalla circostanza che i
cinque  anni  di  residenza richiesti sono chiaramente finalizzati ad
introdurre   un  criterio  selettivo  che  sostanzialmente  impedisca
l'accesso  al  beneficio a tutti i lavoratori immigrati, in contrasto
anche  con la chiara indicazione della giurisprudenza costituzionale,
la quale afferma che il diritto degli stranieri immigrati ad accedere
all'erp  e'  «gia' riconosciuto in via di principio» nel nostro testo
costituzionale (sentenza n. 300 del 2005);
     che,   sempre  secondo  le  parti  costituite,  la  disposizione
impugnata violerebbe l'art. 117, primo comma, della Costituzione, con
la  precisazione  che la norma censurata non e' in contrasto soltanto
con  la disciplina del trattato CE, relativa alla libera circolazione
(su  cui  maggiormente  insiste il Tribunale amministrativo regionale
rimettente),  ma  anche  con  i  principi  della  Convenzione  per la
salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle liberta' fondamentali
firmata  a  Roma  il  4 novembre 1950 (CEDU), come interpretati dalla
Corte di Strasburgo;
     che,  infatti, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti
dell'uomo  da  tempo  (quanto  meno  a  partire dalla sentenza del 16
settembre  1996,  Gaygusuz  c.  Austria)  ha «enucleato il principio,
desunto  direttamente  dall'art. 14 CEDU, per cui ciascuno ha diritto
ad  usufruire  della distribuzione di beni o benefici pubblici aventi
rilievo   anche   economico  senza  subire  discriminazioni  che  non
dipendano  dal  corretto  svolgimento  delle finalita' pubblicistiche
perseguite»  e  che  principi analoghi sono stati affermati, anche di
recente,  nella  sentenza  25  ottobre  2005,  Okpisz  v. Germania, e
Niedzwiecki v. Germania;
     che,  la difesa delle associazioni ritiene, altresi', che l'art.
3,  comma  41-bis,  venga  a  violare  l'art. 120 della Costituzione,
poiche'   ostacola   la  libera  circolazione  delle  persone  e  dei
lavoratori nel territorio nazionale;
     che, d'altra parte, non puo' ritenersi ragionevole (alla stregua
dell'art.  3  della  Costituzione)  l'utilizzo  di  criteri selettivi
giustificati  dalla  pretesa  necessita'  di contenimento della spesa
pubblica e/o dalla valorizzazione dell'apporto lavorativo offerto dai
cittadini  residenti  alla produzione del benessere collettivo, visto
che   l'erp,   secondo   quanto   afferma  il  rimettente  riportando
l'orientamento  di  questa  Corte,  ha  «il  compito,  a carico della
collettivita',   di   favorire  l'accesso  all'abitazione,  a  canoni
inferiori  a  quelli  correnti  sul mercato, a categorie di cittadini
meno abbienti», intendendo per «collettivita» quella nazionale, dalla
quale  provengono  gli  interventi  speciali  che  finanziano  l'erp,
considerazione  questa  che ulteriormente dimostrerebbe la necessita'
di  evitare discriminazioni che siano correlate alla permanenza della
residenza  nelle  singole regioni per periodi temporali di durata del
tutto irragionevole;
     che  le  articolazioni  territoriali  di  SICeT,  CGIL  e  CISL,
concludono  richiamando  la  sentenza  n. 496  del  2000  della Corte
costituzionale  e  ribadendo, quanto alla violazione degli artt. 101,
102, 103, 104 e 111 della Costituzione, gli argomenti del rimettente;
     che  sono,  altresi',  intervenute in giudizio la CGIL e la CISL
nazionali, chiedendo che la questione venga dichiarata fondata;
     che  le  stesse hanno depositato memoria in data 2 gennaio 2008,
congiuntamente   alle   associazioni  territoriali,  gia'  parti  nel
giudizio  principale,  nella quale dichiaravano di essere intervenute
nel  presente  giudizio  di  costituzionalita'  con  il solo scopo di
«affiancare  le  loro  articolazioni  e  rappresentanze nella Regione
Lombardia, a cui e' comunque riconosciuta anche statutariamente piena
soggettivita'  di  stare  in giudizio, per testimoniare, accanto alla
rilevanza  dell'oggetto  della controversia, la concordia e l'impegno
pieno  delle  organizzazioni  sindacali  nel  domandare il ripristino
della legalita' costituzionale».
   Considerato   che  il  Tribunale  amministrativo  regionale  della
Lombardia  (sede di Milano) con l'ordinanza in epigrafe, ha sollevato
questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 41-bis,
della  legge  della  Regione  Lombardia 5 gennaio 2000, n. 1, recante
«Riordino  del  sistema  delle autonomie in Lombardia. Attuazione del
d.lgs.  31  marzo  1998,  n. 112  (Conferimento di funzioni e compiti
amministrativi  dallo  Stato  alle  regioni  ed  agli enti locali, in
attuazione  del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59)», introdotto
dall'art.  1,  lettera  a),  della legge Regione Lombardia 8 febbraio
2005,  n. 7  (Modifiche  alla  legge  regionale  5 gennaio 2000, n. 1
«Riordino  del  sistema  delle autonomie in Lombardia. Attuazione del
d.lgs.  31  marzo  1998,  n. 112  (Conferimento di funzioni e compiti
amministrativi  dello  stato  alle  regioni  ed  agli enti locali, in
attuazione  del  capo  I  della  legge  15  marzo  1997,  n. 59)», in
riferimento  agli  artt.  3,  47, 101, 102, 103, 104, 111, 117, commi
primo,  secondo,  lettera  m), terzo, e 120 della Costituzione, nella
parte  in  cui  prevede,  tra  i requisiti per la presentazione delle
domande  di  assegnazione  degli  alloggi  di  edilizia  residenziale
pubblica,  che  «i  richiedenti  devono avere la residenza o svolgere
attivita'  lavorativa  in Regione Lombardia da almeno cinque anni per
il periodo immediatamente precedente alla data di presentazione della
domanda», requisito mancante ad entrambe le istanti;
     che  il  rimettente  censura  la  disposizione  in  questione in
riferimento  agli  artt.  3,  47, 101, 102, 103, 104, 111, 117, commi
primo,  secondo,  lettera  m),  terzo,  e  120 della Costituzione, in
quanto  la  stessa  introdurrebbe un fattore di discriminazione tra i
cittadini   per   l'accesso   al   servizio,  violerebbe  i  principi
fondamentali  in  materia  di  erp  fissati  dalle leggi dello Stato,
interverrebbe  sulla  determinazione  dei livelli essenziali, nonche'
contrasterebbe con il diritto dei lavoratori alla libera circolazione
di  cui  all'art.  48  (ora 39) del trattato CE e di cui all'art. 120
della  Costituzione,  e  sarebbe, infine, ispirata dalla finalita' di
neutralizzare il giudicato determinatosi sulla stessa materia;
     che,  in  via  preliminare,  deve  prendersi atto della rinuncia
implicita  degli  intervenienti CGIL e CISL nazionali alla pretesa di
essere   parte   nel  presente  giudizio,  risultando  dalla  memoria
depositata  il  2  gennaio  2008 che l'intervento di cui trattasi era
solo finalizzato a testimoniare l'identita' di valutazioni, in ordine
ai   dubbi   di  costituzionalita'  della  norma  censurata,  con  le
rispettive strutture territoriali, gia' parti nel giudizio a quo;
     che,  con  riguardo  alla  censura  di cui agli artt. 117, primo
comma,   e  120  della  Costituzione,  la  questione  deve  ritenersi
inammissibile  per  carenza  di motivazione in ordine al parametro di
cui si deduce la violazione;
     che,  quanto  alla  lamentata  violazione  dell'art.  117, terzo
comma,  della  Costituzione  anche  in relazione all'art. 47 Cost., e
dell'art.  117,  secondo  comma, lettera m), Cost., la questione deve
ritenersi   manifestamente  infondata,  perche'  la  materia  di  cui
trattasi  rientra  nella  competenza  residuale  delle  Regioni e non
investe,  in  ogni  caso,  la  problematica  della determinazione dei
livelli  essenziali  delle  prestazioni  relative ai diritti civili e
sociali da garantire su tutto il territorio nazionale;
     che,  in  proposito, questa Corte ha avuto anche di recente modo
di   ribadire  come  «una  specifica  materia  edilizia  residenziale
pubblica  non  compare  tra quelle elencate nel secondo e terzo comma
dell'art. 117 Cost.», cosi' che esiste un terzo livello normativo che
rientra  nel  quarto comma dell'art. 117 della Costituzione, il quale
investe,  appunto, la gestione del patrimonio immobiliare di edilizia
residenziale    pubblica    e,    conseguentemente,    coinvolge   la
individuazione  dei  criteri  di  assegnazione degli alloggi dei ceti
meno abbienti (da ultimo, sentenza n. 94 del 2007);
     che anche la lamentata violazione da parte della norma censurata
dell'art.  3 della Costituzione, in quanto introduttiva di un fattore
discriminatorio  irragionevole e ingiustificato per l'accesso all'erp
rapportato  alla  durata  della  residenza o del lavoro in Lombardia,
deve  ritenersi  manifestamente  infondata,  in  quanto, al riguardo,
questa  Corte  ha avuto gia' modo di affermare che il requisito della
residenza   continuativa,  ai  fini  dell'assegnazione,  risulta  non
irragionevole  (sentenza  n. 432 del 2005) quando si pone in coerenza
con  le  finalita'  che  il  legislatore intende perseguire (sentenza
n. 493 del 1990), specie la' dove le stesse realizzino un equilibrato
bilanciamento  tra i valori costituzionali in gioco (ordinanza n. 393
del 2007);
     che,  rispetto  agli  ulteriori  profili  di censura prospettati
dall'odierno  rimettente in riferimento agli artt. 101, 102, 103, 104
e  111  della  Costituzione,  non  si e' ravvisato, per effetto della
norma contestata, alcuna compromissione dell'esercizio della funzione
giurisdizionale,  la  quale  opera  su di un piano diverso rispetto a
quello  del  potere  legislativo,  tanto  piu'  considerando  che  il
giudicato evocato era riferito a normazione di rango secondario;
     che,   pertanto,   anche  quest'ultima  censura  deve  ritenersi
manifestamente infondata.