LA CORTE DI CASSAZIONE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso iscritto al
n. R.G.  24925/05,  proposto  da  San Paolo IMI S.p.A. (Avv. Tosi, De
Luca  Tamajo)  ricorrente,  contro Nugnes Giuseppe, Pistillo Nicola e
Sbano  Rosalia  (Avv.  Ferraro,  Vacirca), intimati controricorrenti,
avverso  la  sentenza  del Tribunale di Napoli n. 3817/2004 in data 7
giugno 2004 depositata il 7 ottobre 2004;
   Udita  la relazione della causa fatta dal dott. Vincenzo Di Nubila
all'udienza del 19 aprile 2007;
   Udito per i resistenti l'avv. Ferraro;
   Udite le richieste del Procuratore generale dott. Marcello Matera,
il quale ha concluso per l'accoglimento del primo motivo del ricorso,
assorbiti gli altri;
   Rileva quanto segue.
   1.  -  Con  ricorso  depositato in data 15 marzo 1994, gli attori,
pensionati  del  Banco di Napoli, collocati a riposo anteriormente al
31  dicembre  1990,  chiedevano  di sentir dichiarare il loro diritto
alla  perequazione  automatica  delle  rispettive pensioni secondo la
disciplina  dettata  dal  decreto legislativo n. 357/1990. Il pretore
accoglieva  parzialmente  la  domanda  e  dichiarava il diritto degli
attori   alla   conservazione  della  perequazione  automatica  della
pensione con decorrenza dal 1° gennaio 1994.
   2.  -  Proponeva  appello  il  Banco  di Napoli, sostenendo che il
sistema  di  aggancio  delle  pensioni  alla  dinamica  salariale dei
lavoratori   in   servizio   era   stato  «ridisegnato»  dal  decreto
legislativo  n. 357/1990  e  dalla  legge n. 421/1992; indi era stato
abolito  con  decreto-legge  n. 497/1996 convertito con modificazioni
nella  legge  n. 588/1996.  Ai  sensi della legge n. 449/1997, dal 1°
gennaio 1998 era applicabile il regime generale di perequazione delle
pensioni.
   3.  -  Aderendo  all'interpretazione  fatta propria dalla Corte di
cassazione a sezioni unite con le sentenze nn. 9023/2001 e 9024/2001,
il tribunale accoglieva la domanda attrice limitatamente al periodo 1
gennaio 1994 - 26 luglio 1996.
   4.  -  Tale  sentenza  e'  stata  impugnata  mediante  ricorso per
Cassazione dalla S.p.A. San Paolo Imi, deducendo tre motivi, il primo
dei  quali invoca l'applicazione, quale ius superveniens dell'art. 1,
comma  55,  della  legge n. 243/2004. Resistono con controricorso gli
attori,   i   quali   hanno   sollevato   questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 55, della legge n. 243/2004, che ha
risolto  in via di interpretazione autentica la questione, disponendo
che  le norme sopra ricordate «devono intendersi nel senso» sostenuto
dalla   societa'  ricorrente.  La  questione  viene  prospettata  con
riferimento  agli  articoli  2, 3, 4, 24, 25, 36, 38, 39, 40, 41, 47,
53,  101, 102, 103, 104, 108, 111, della Costituzione. Le parti hanno
presentato memorie.
   5. - Il carattere assorbente della censura sviluppata con il primo
motivo  impone  alla  Corte  di  esaminare preliminarmente i dubbi di
legittimita'   costituzionale   avanzati   dai  controricorrenti  con
riferimento  alla  norma di interpretazione autentica, della quale la
S.p.A.  San  Paolo  chiede  l'applicazione  nella presente causa. Ove
infatti  quei  dubbi dovessero rivelarsi manifestamente infondati, la
Corte dovrebbe fare applicazione alla presente lite del ricordato ius
superveniens con conseguente accoglimento del ricorso, in conformita'
di  quanto  gia'  ritenuto  in  precedenti  pronunce  (infra  sub  7)
rimanendo  assorbiti  i  profili  di censura sviluppati nel secondo e
terzo    motivo.   Di   qui   la   rilevanza   della   questione   di
costituzionalita'.
   6.  -  E'  noto  che  questa  Corte  a  sezioni  unite ha ritenuto
(sentenze  n. 9023  e 9024/2001) che il sistema di perequazione delle
pensioni vigente per i lavoratori gia' pensionati al 31 dicembre 1990
sopravvivesse  alla  legge  n. 421/1992  ed  al  decreto  legislativo
n. 503/1992,  dato  che  le norme sopravvenute dovevano applicarsi ai
lavoratori in servizio. La giurisprudenza si e' uniformata al dictum
delle sezioni unite e puo' considerarsi costante. In tale contesto e'
intervenuto  il  legislatore  il  quale con l'art. 4, comma 55, della
legge  n. 243/2004,  ha  disposto  che  «al  fine  di  estinguere  il
contenzioso  giudiziario relativo ai trattamenti corrisposti a talune
categorie   di   pensionati  gia'  iscritti  a  regimi  previdenziali
sostitutivi, attraverso il pieno riconoscimento di un equo e omogeneo
trattamento   a   tutti  i  pensionati  iscritti  ai  vigenti  regimi
integrativi,  l'art.  3,  comma 1, lettera p), della legge 23 ottobre
1992,  n. 421,  e  l'art.  9,  comma  2,  del  decreto legislativo 30
dicembre   1992,   n. 503,   devono   intendersi  nel  senso  che  la
perequazione  automatica  delle  pensioni  prevista  dall'art. 11 del
decreto   legislativo   30  dicembre  1992,  n. 503,  si  applica  al
complessivo  trattamento  percepito  dai pensionati di cui all'art. 3
del decreto legislativo 20 novembre 1990,
     n.    357.    All'assicurazione    generale    obbligatoria   fa
esclusivamente  carico  la perequazione sul trattamento pensionistico
di propria pertinenza».
   7.  - Ritenuta la natura interpretativa e quindi retroattiva della
norma  citata,  la giurisprudenza successiva di questa Corte ha fatto
applicazione  dello  ius  superveniens alle liti aventi ad oggetto la
pretesa  dei  pensionati dal Banco di Napoli di conservare anche dopo
il  1 gennaio 1994 il diritto alla perequazione automatica ex decreto
legislativo  n. 357/1990:  vedi  tra le altre le sentenze 13 febbraio
2007  n. 3098,  23  ottobre  2006,  n. 22700,  ed  ancora le sentenze
n. 22701/2006, 22829/2006, 23716/2006.
   8.  -  La  questione  di  legittimita' costituzionale della citata
disposizione  di  cui  all'art.  1, comma 55, della legge n. 243/2004
sollevata   dai  controricorrenti  non  puo'  dirsi  «manifestamente»
infondata.  Essa,  per  vero,  e'  stata superata nelle sentenze piu'
recenti  di  questa  Corte,  peraltro  con riferimento soltanto a una
parte dei profili prospettati.
   Nella   sentenza  n. 22701/2006  si  affronta  il  problema  della
ammissibilita'  dell'interpretazione  autentica anche quando sussista
una  giurisprudenza  univoca,  per  inferirne che essa e' ammissibile
purche'   la   lettura   accolta   rientri  tra  quelle  possibili  e
sostenibili. Nello stesso senso la sentenza n. 3098/2007.
   Questo  Collegio  non  ritiene di discostarsi da tale valutazione,
dando  atto  che  nella  giurisprudenza  costituzionale  e'  pacifica
l'ammissibilita'  di  una  interpretazione  autcntica,  anche  quando
l'interpretazione accolta dal legislatore ordinario si discosta dalla
giurisprudenza  univoca  o  maggioritaria, qualora essa sia una delle
interpretazioni    ragionevolmente    sostenibili.    Vedasi    Corte
costituzionale nn. 274/2006, 29/2006, 135/2006, 291/2003, 374/2002.
   9.  - Non dubita parimenti il collegio della natura interpretativa
della  norma  in  questione,  posto che la stessa usa una espressione
(«devono    intendersi»)    equivalente    all'espressione    «devono
interpretarsi».  In  questo  senso si e' pronunciata questa Corte con
granitica  giurisprudenza  (v. le sentenze citate supra sub 7) e tale
indirizzo  va  qui  ribadito,  oltre  che  per la persuasivita' degli
argomenti che lo sorreggono, anche in ossequio al ruolo nomofilattico
di  questa  Corte,  si'  che si deve escludere la possibilita' di una
diversa  lettura  della  norma  dianzi  citata  (che  ne  escluda  il
carattere  interpretativo) sia pure in ossequio ad un'interpretazione
«costituzionalmente  orientata».  Cio'  fa  si'  che, in presenza dei
dubbi   di   cui   infra  (v.  n. 10)  la  Corte  non  puo'  esimersi
dall'investirne il Giudice delle leggi.
   10.  -  Il  dubbio  di costituzionalita' qui sollevato riguarda la
ragionevolezza  del  carattere  retroattivo, discendente dalla natura
interpretativa della disposizione, dell'art. 1, comma 55, della legge
n. 243/2004.
   Invero,  posto  che  il  divieto  di  retroattivita'  della  legge
costituisce  fondamentale  valore  di  civilta' giuridica e principio
generale   dell'ordinamento   (pur   se   non   elevato   a  dignita'
costituzionale,  salva  per la materia penale la previsione dell'art.
25  della Costituzione), la retroattivita' di una legge deve comunque
trovare adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non
deve  contrastare  con  altri  valori  o interessi costituzionalmente
protetti   (cosi'   pressoche'   testualmente   Corte  costituzionale
n. 274/2006  cit.).  Al  riguardo e' stato ritenuto che «la norma che
deriva  dalla  legge  d'interpretazione  autentica non puo' ritenersi
irragionevole   ove   si   limiti   ad  assegnare  alla  disposizione
interpretata   un   significato   gia'   in  essa  contenuto»  (Corte
costituzionale   n. 274/2006   cit.  e  precedenti  ivi  richiamati).
Circostanza,  quest'ultima,  certamente  ricorrente  nella specie (v.
ampiamente sul punto Cass. n. 22700/06 cit.).
   E  tuttavia  v'e'  da  chiedersi se una siffatta circostanza valga
sempre  ed in ogni caso a sottrarre al sospetto d'irragionevolezza la
legge  interpretativa,  anche  quanto la concreta vicenda legislativa
s'inserisca  in un contesto connotato da peculiarita' che relegano in
secondo piano la circostanza di cui sopra, caratterizzandola non gia'
come  ratio  o  magari  occasio legis ma piuttosto come mero supporto
oggettivo   di   una   finalita'  puramente  asserita  e  in  realta'
evanescente se non propriamente inesistente.
   V'e'   da   chiedersi,   insomma,   se  la  fissazione  con  legge
interpretativa  di «una delle possibili letture del testo originario»
escluda  l'irragionevolezza  della  legge  interpretativa sempre e in
ogni  caso  oppure, non in se' e per se' ma piuttosto, solo in quanto
normalmente  si  accompagna  ad una «situazione d'incertezza del dato
normativo  che renda, essa, non ‘‘irragionevole'' il ricorso alla
‘‘interpretazione autentica'' (come appunto sembrerebbe desumersi
dalla ricordata pronuncia 274/2006 della Corte costituzionale).
   Ad  avviso  di  questa  Corte,  le piu' accreditate elaborazioni a
proposito   della   categoria  dell'«irragionevolezza»  della  legge,
riassumibili  nella proposizione autorevolmente formulata secondo cui
l'irragionevolezza  ricorre  le  quante  volte  sussista un'«evidente
proporzione   tra   i  mezzi  approntati  ed  il  fine  asseritamente
perseguito»,   inducono   a   propendere   per   il   secondo   cormo
dell'alternativa  sopra  delineata.  Cio' implica l'insufficienza, ai
fini dell'esclusione del dubbio di ragionevolezza, del mero riscontro
che  il significato attribuito dalla legge interpretativa corrisponda
ad  una  delle  possibili  letture del testo originario (riscontro al
quale  si  sono  arrestate la citata sentenza n. 22700/2006 di questa
Corte  e  le  altre  che ad essa si sono conformate) e, per converso,
sollecita  un  esame  di  tutte le peculiarita' connotanti la vicenda
legislativa  in  esame. Per la verita', la citata Cass. n. 22700/2006
sembra indirettamente sorreggere la ritenuta esclusione del dubbio di
costituzionalita -  formalmente  affidata al semplice riscontro sopra
ricordato -  anche  con  l'affermazione  che  il legislatore del 2004
avrebbe  comunque  sopperito  ad una «aporia del sistema» discendente
dall'interpretazione  offerta dalle sezioni unite di questa Corte nn.
9023  e  9024/2001.  Ma  siffatta  pretesa  «aporia»,  implicitamente
esclusa  dalle ora ricordate pronunce delle sezioni unite, non sembra
essere  stata la finalita' del legislatore del 2004, almeno stando ai
lavori  preparatori ed alla testuale formulazione della disposizione,
che   espressamente   si  assegna  la  finalita'  di  «estinguere  il
contenzioso giudiziario relativo ai trattamenti corrisposti ad alcune
categorie  di  pensionati...»  e  tale finalita' assume di perseguire
«attraverso il pieno riconoscimento di un equo e omogeneo trattamento
a tutti i pensionati iscritti ai vigenti regimi integrativi». Edunque
con  riferimento alla suindicata finalita' che deve essere scrutinata
la concreta vicenda legislativa in esame.
   Va al riguardo ricordato come il congiunto normativo, sul quale e'
intervenuta  la  legge  di interpretazione autentica, dati dal 1992 e
come   l'intervento   legislativo   che   ad  esso  autoritativamente
attribuisce  un  dato  significato  sia intervenuto dopo circa dodici
anni.  Inoltre, che la norma originaria riguarda i soggetti collocati
in  pensione  entro  il  31  dicembre  1990  e  dunque  una categoria
fatalmente   destinata   a  ridursi  col  trascorrere  del  tempo  e,
presumibilmente, assai meno numerosa nel 2004 di quanto non fosse nel
1990.  Infine  -  cio' che maggiormente rileva - che la pluralita' di
sensi  desumibili dal congiunto normativo del 1992 ha dato ben presto
luogo  ad  un  nutrito  contenzioso  giudiziario pervenuto, sin dalla
seconda meta' degli anni novanta, all'esame di questa Corte che su di
esso  si e' pronunciata con pronunce contrastanti, fonte oggettiva di
incertezza  del diritto e di conseguente nuovo contenzioso. In questa
situazione  e' intervenuta la ricordata pronuncia delle sezioni unite
di  questa  Corte del 3 luglio 2001 che, nell'adempimento del compito
proprio demandato alle ss.uu., ha composto i contrasti interpretativi
esistenti  assolvendo  al  ruolo di nomofilachia dalla Costituzione e
dalle  leggi assegnata alla Corte di cassazione. Alla pronuncia delle
sezioni  unite  si sono prontamente conformate le successive pronunce
di  questa  Corte  (cfr.  Cass.  nn.  734/2002, 1498/2003, 6130/2004,
9432/2004,  11338/2004)  e,  a  giudicare dal contenzioso pervenuto a
questa Corte, le giurisdizioni di merito.
   In  questa  concreta situazione, l'intervento legislativo di oltre
tre  anni  successivo  alla  pronuncia  delle  sezioni  unite  ed  al
conseguente   assestamento   in  senso  passabilmente  univoco  della
giurisprudenza,  rischia  non  gia'  di  «estinguere  il  contenzioso
giudiziario»  ma  di  alimentarlo. Piu' precisamente, posto che a tre
lustri   circa   e   piu'   di   distanza   dal  pensionamento,  deve
ragionevolmente   presumersi   del   tutto   insignificante,  se  pur
esistente, il numero dei pensionati che non abbiano ancora intrapreso
azione  giudiziaria,  il contenzioso sul quale puo' incidere la legge
interpretativa  e' quello ancora pendente nei vari gradi di giudizio,
specie  di merito, rispetto al quale la certezza giuridica raggiunta,
grazie  alla pronuncia delle sezioni unite aveva offerto un parametro
di   assestamento  e  che,  per  effetto  del  mutamento  del  quadro
giuridico,  riceve nuovo impulso ed incentivo. Il costoso mezzo della
legge interpretativa appare in tale luce non solo «sproporzionato» ai
fini   asseritamente   perseguiti,  ma  addirittura  controproducente
rispetto ad essi. Ancor piu': esso rischia di far dipendere l'assetto
definitivo  d'interessi  tra le parti in conflitto da un fattore - la
irragionevole   durata  della  lite  -  di  per  se'  contraria  alla
Costituzione (art. 111, secondo comma, Cost.): la particolare vicenda
processuale  sulla  quale  questa Corte e' chiamata a pronunciarsi ne
costituisce  emblematica  illustrazione,  posto  che trattasi di lite
iniziata il 15 marzo 1994.
   Ancora:  l'intervento  legislativo  in questione introduce - senza
ragione  attesa  l'inesistenza  di un'incertezza del dato normativo -
una disparita' di trattamento tra quanti hanno ottenuto, nei tre anni
che  separano  l'intervento legislativo dalla pronuncia delle sezioni
unite,  una  sentenza  definitiva  e  quanti  hanno  ancora  una lite
pendente. Infine, lo stesso ruolo nomofilattico della Corte ed il suo
coinvolgimento   della  difficile  costruzione  della  «certezza  del
diritto»  sono sacrificati in assenza di plausibili ragioni, fornendo
esca   alle  spinte,  inevitabili  in  una  societa'  pluralistica  e
frammentata,  a premere sul legislatore per piegarne la funzione, non
all'imposizione  di  regole  generali  e  astratte, ma ad un ruolo di
giudice  di  quarta istanza, con ulteriore alimento ad un contenzioso
giudiziario alimentato solo nella speranza di un intervento ad hoc.
   11. - Altrettanti profili d'irragionevolezza della disposizione in
esame,   il   dubbio  sulla  cui  sussistenza  non  puo'  dichiararsi
manifestamente  infondato e che impongono a questa Corte di rimettere
alla  Corte  costituzionale  la  questione  della  rispondenza  degli
interessi  tutelati  dalla  legge  qui impugnata ai valori ricavabili
dalla   tavola  costituzionale  (segnatamente  dagli  articoli  3  in
connessione  con  gli  articoli  102  e  111)  e/o  ad  un  razionale
bilanciamento di essi.