ha pronunciato la seguente
                              Ordinanza
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter,
del  decreto  legislativo  25  luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle
disposizioni  concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e norme
sulla  condizione dello straniero), come sostituito dall'art. 1 della
legge   12   novembre   2004,   n. 271  (Conversione  in  legge,  con
modificazioni,  del  decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante
disposizioni  urgenti  in  materia  di  immigrazione),  promossi  con
ordinanze  del  24  gennaio (n. 2 ordinanze) e del 10 maggio 2006 dal
Tribunale  di  Castrovillari, del 22 agosto 2005 e del 26 luglio 2006
dal  Tribunale  di  Firenze,  del  14  ottobre  2005 dal Tribunale di
Genova,  del 18 agosto 2006 dal Tribunale di Trieste, del 13 aprile e
del  2 novembre 2006 (n. 2 ordinanze) dal Tribunale di Torino, del 18
luglio 2006 dal Tribunale di Gorizia, rispettivamente iscritte ai nn.
145  e  146  del  registro  ordinanze  2006  e  al  n. 8 del registro
ordinanze 2007; al n. 193 del registro ordinanze 2006 e al n. 120 del
registro  ordinanze  2007;  al n. 602 del registro ordinanze 2006; al
n. 134  del  registro  ordinanze  2007;  ai  nn.  203,  247 e 248 del
registro  ordinanze  2007;  al  n. 221  del registro ordinanze 2007 e
pubblicate  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 21 e 26, 1ª
serie  speciale,  dell'anno  2006, nn. 2, 7, 12, 13, 15, 16, 1ª serie
speciale, dell'anno 2007 e nella edizione straordinaria del 26 aprile
2007.
   Visti  gli  atti  di  intervento  del Presidente del Consiglio dei
ministri;
   Udito  nella  Camera  di  consiglio del 30 gennaio 2008 il giudice
relatore Gaetano Silvestri.
   Ritenuto   che  il  Tribunale  di  Castrovillari  in  composizione
monocratica,   con   tre  ordinanze  di  tenore  analogo,  deliberate
rispettivamente il 24 gennaio 2006 (r.o. nn. 145 e 146 del 2006) e il
10  maggio  2006  (r.o. n. 8 del 2007), ha sollevato - in riferimento
agli  artt.  3  e  27, terzo comma, della Costituzione - questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  14, comma 5-ter, del decreto
legislativo  25  luglio  1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni
concernenti  la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione
dello straniero), come sostituito dall'art. 1 della legge 12 novembre
2004,   n. 271   (Conversione   in   legge,  con  modificazioni,  del
decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti
in materia di immigrazione), nella parte in cui prevede la pena della
reclusione  da  uno  a  quattro  anni  per  lo  straniero  che, senza
giustificato  motivo,  si  trattenga  nel  territorio  dello Stato in
violazione dell'ordine di allontanarsene, impartitogli dal questore a
norma del precedente comma 5-bis;
     che  il  rimettente  -  il  quale  procede  in tutti i giudizi a
quibus,  sia  pure  con  riti  diversi,  nei  confronti di persone di
nazionalita'  straniera, accusate di non avere ottemperato all'ordine
di  lasciare  il  territorio  nazionale  -  dubita  che la previsione
edittale,  entro  i  cui  limiti dovrebbe fissare le pene nel caso di
condanna  degli  imputati,  sia  stata  introdotta  in  armonia con i
precetti costituzionali;
     che  per  un  verso,  secondo  il  giudice a quo, l'inasprimento
sanzionatorio  attuato  con  la  legge  n. 271  del  2004  non  trova
corrispondenza  nella  «effettiva  offensivita'  della  condotta», ma
risponde al solo scopo di «ripristinare l'arresto obbligatorio», dopo
la  sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 2004 (dichiarativa
della  illegittimita'  dell'art.  14,  comma  5-quinquies, del d.lgs.
n. 286  del  1998,  nella  parte  in cui prescriveva l'arresto per il
reato  di cui al precedente comma 5-ter, all'epoca delineato in forma
contravvenzionale);
     che,   per   altro   verso,  l'attuale  entita'  della  sanzione
applicabile   per   i   reati   contestati   darebbe   luogo  ad  una
ingiustificata  disparita'  di trattamento rispetto a fattispecie che
pure    riguarderebbero    condotte    analoghe,   perche'   relative
all'inosservanza  di  provvedimenti  espulsivi  e dunque lesive degli
identici interessi;
     che il rimettente richiama, a tale proposito, sia l'inadempienza
conseguente all'espulsione disposta dal Ministro dell'interno a norma
del  comma  1  dell'art.  13  del d.lgs. n. 286 del 1998, che sarebbe
addirittura  immune  da  sanzione  penale, sia l'inottemperanza dello
straniero  espulso  per  non aver rinnovato il permesso di soggiorno,
punita con la pena dell'arresto da sei mesi ad un anno;
     che  il  principio  di uguaglianza risulterebbe violato anche in
esito  al  raffronto  tra  la previsione sanzionatoria per l'indebito
trattenimento  e le pene comminate per condotte che sarebbero ad esso
comparabili,  come l'inosservanza dei provvedimenti dell'autorita' di
cui  all'art.  650 del codice penale e la disobbedienza all'ordine di
rimpatrio  prevista dall'art. 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423
(Misure  di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la
sicurezza);
     che  dal difetto di proporzione scaturirebbe, secondo il giudice
a  quo,  anche  un  contrasto  con  la  prescrizione  del terzo comma
dell'art.  27  Cost.,  posto  che  solo  una pena corrispondente alla
gravita' del fatto puo' esplicare una vera funzione rieducativa;
     che  il  Presidente  del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  in
ciascuno  dei  tre giudizi, con atti depositati rispettivamente il 13
giugno  2006  (r.o.  nn. 145 e 146 del 2006) ed il 6 marzo 2007 (r.o.
n. 8 del 2007);
     che  la  difesa  erariale,  con  i  primi due tra gli atti sopra
citati,  ha  chiesto  che la questione di legittimita' sia dichiarata
manifestamente infondata;
     che  infatti,  secondo  l'Avvocatura  generale,  rientra appieno
nell'esercizio  della  discrezionalita' legislativa la determinazione
di  «un  trattamento  sanzionatorio che, nel rispetto dei principi di
legalita',  miri  ad  assicurare  un  ordinato  flusso migratorio», e
dunque   costituisca   adempimento   dell'obbligo,   per   lo   Stato
ineludibile, di presidiare le proprie frontiere;
     che  la  stessa  difesa  erariale,  con l'atto di intervento nel
giudizio  r.o.  n. 8  del  2007,  ha  chiesto  che  la  questione sia
dichiarata manifestamente inammissibile o manifestamente infondata;
     che   il   rimettente,   infatti,   avrebbe  omesso  un'adeguata
indicazione  in  punto  di  rilevanza  della  questione sollevata nel
giudizio da lui condotto;
     che  l'evoluzione  del  quadro  sanzionatorio  per effetto della
legge   n. 271   del   2004,   d'altro  canto,  non  sarebbe  affatto
irragionevole,  posto che il reato di indebito trattenimento era gia'
in  precedenza  considerato  grave  (tanto  da  prevedersi  per  esso
l'obbligatorieta'  dell'arresto), e che residua, pur dopo la riforma,
un'opportuna    articolazione    tra    forme    di   responsabilita'
contravvenzionale, per l'ipotesi piu' lieve dell'inottemperanza ad un
ordine di espulsione per mancato rinnovo del permesso di soggiorno, e
piu'   gravi  fattispecie  a  carattere  delittuoso,  che  riguardano
l'ingresso  clandestino  nel  territorio  dello Stato oppure l'omessa
richiesta  del permesso di soggiorno nei termini prescritti, o infine
la revoca del permesso medesimo;
     che il Tribunale di Firenze in composizione monocratica, con due
ordinanze  di tenore analogo, deliberate rispettivamente il 22 agosto
2005  (r.o.  n. 193  del  2006)  e il 26 luglio 2006 (r.o. n. 120 del
2007),  ha sollevato - in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma,
Cost.  - questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma
5-ter,  del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall'art. 1 della
legge  n. 271  del  2004,  nella  parte  in cui prevede la pena della
reclusione  da  uno  a  quattro  anni  per  lo  straniero  che, senza
giustificato  motivo,  si  trattenga  nel  territorio  dello Stato in
violazione   dell'ordine   impartitogli  dal  questore  a  norma  del
precedente comma 5-bis;
     che  il  rimettente - il quale procede nei giudizi a quibus, sia
pure con riti diversi, nei confronti di persone accusate del reato di
indebito trattenimento - dubita che i limiti edittali della sanzione,
cui  dovrebbe  far  riferimento in caso di applicazione della pena su
richiesta  o  di  condanna  degli  imputati,  siano  stati fissati in
armonia con i precetti costituzionali;
     che   l'incongruenza   del   trattamento  sanzionatorio  sarebbe
manifesta  alla  luce  della  vicenda  evolutiva  che  ha  segnato la
materia,  posto  che  le  pene per l'indebito trattenimento sarebbero
state  «macroscopicamente»  inasprite,  per  specie  e  quantita', ad
appena  due  anni dall'introduzione della fattispecie incriminatrice,
senza  alcuna  corrispondenza  con  una modificazione sostanziale del
fenomeno regolato;
     che  del  resto, a parere del rimettente, il legislatore avrebbe
reso  manifesta la ratio diversa ed effettiva del proprio intervento,
mirato   a   contrastare  gli  effetti  della  sentenza  della  Corte
costituzionale  n. 223  del  2004  -  con  cui  era  stata dichiarata
l'illegittimita'  dell'art.  14, comma 5-quinquies, del d.lgs. n. 286
del 1998, nella parte in cui stabiliva che, per il reato previsto dal
precedente  comma 5-ter, fosse obbligatorio l'arresto dell'autore del
fatto  -  ed  a  consentire,  in  particolare,  il  ripristino  della
previsione  di arresto per lo straniero illegalmente trattenutosi nel
territorio nazionale;
     che  la  «trasposizione  di  un'esigenza processuale nel diritto
penale  sostanziale»,  secondo  il  giudice  a  quo,  sarebbe sintomo
evidente  della  rottura del rapporto di proporzionalita' tra fatto e
pena;
     che  una  violazione  del  principio  di uguaglianza emergerebbe
anche  in  esito al raffronto del trattamento previsto per l'indebito
trattenimento con quello riservato ad altre ipotesi criminose - quali
l'inosservanza  di  un  provvedimento  legalmente dato per ragioni di
giustizia  o  di  sicurezza  pubblica o d'ordine pubblico o di igiene
(art.   650  cod.  pen.)  e  la  contravvenzione  al  foglio  di  via
obbligatorio (art. 2 della legge n. 1423 del 1956) - che sarebbero ad
esso   comparabili   in  quanto  consistenti,  a  loro  volta,  nella
disobbedienza  ad un ordine impartito dall'autorita' amministrativa a
fini di tutela dell'ordine pubblico;
     che   pertanto,   secondo  il  rimettente,  la  norma  censurata
contrasterebbe  con  il principio di uguaglianza sia in rapporto alle
sanzioni previste per la medesima fattispecie soltanto due anni prima
della  sua  introduzione,  sia  in  esito  al  raffronto  con le pene
comminate per comportamenti illeciti della stessa natura;
     che  dal  difetto  di  proporzionalita'  scaturirebbe  anche  un
contrasto  della  norma  censurata con l'art. 27, terzo comma, Cost.,
posto  che  solo una pena corrispondente alla gravita' del fatto puo'
esplicare una vera funzione rieducativa;
     che  il  Presidente  del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura generale dello Stato, e' intervenuto nel solo
giudizio r.o. n. 193 del 2006, con atto depositato il 18 luglio 2006,
chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata;
     che   infatti,  secondo  la  difesa  erariale,  rientra  appieno
nell'esercizio  della  discrezionalita' legislativa la determinazione
di  «un  trattamento  sanzionatorio che, nel rispetto dei principi di
legalita',  miri  ad  assicurare  un  ordinato  flusso migratorio», e
dunque   costituisca   adempimento   dell'obbligo,   per   lo   Stato
ineludibile, di presidiare le proprie frontiere;
     che  il  Tribunale  di  Genova  in composizione monocratica, con
ordinanza  del 14 ottobre 2005 (r.o. n. 602 del 2006), ha sollevato -
in  riferimento  agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. - questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  14,  comma 5-ter, del d.lgs.
n. 286  del  1998, come sostituito dall'art. 1 della legge n. 271 del
2004,  nella  parte  in cui prevede la pena della reclusione da uno a
quattro  anni  per  lo  straniero  che, senza giustificato motivo, si
trattenga  nel  territorio  dello  Stato in violazione dell'ordine di
allontanarsene,  impartitogli  dal  questore  a  norma del precedente
comma 5-bis;
     che  il  rimettente,  il  quale  procede con rito abbreviato nei
confronti   di   uno   straniero   accusato  del  reato  di  indebito
trattenimento,  ritiene che i valori edittali della sanzione, entro i
quali  dovrebbe  essere  fissata  la  pena da irrogare per il caso di
condanna,  siano  irragionevolmente  alti, comportando una violazione
del   principio   di   uguaglianza   e  di  necessaria  funzionalita'
rieducativa della pena;
     che   anzitutto,   secondo  il  giudice  a  quo,  l'inasprimento
sanzionatorio  attuato  con  la  legge n. 271 del 2004 non troverebbe
corrispondenza  in  un  concreto  aggravamento del fenomeno criminoso
regolato,  ed  avrebbe  avuto  il solo scopo di legittimare una nuova
previsione  di  arresto  dopo  la sentenza della Corte costituzionale
n. 223  del  2004,  la  quale  aveva stabilito l'illegittimita' della
misura  in  riferimento  alla  natura contravvenzionale che all'epoca
caratterizzava il reato di indebito trattenimento;
     che  d'altra  parte  gli  attuali  livelli della sanzione, ed in
particolare  quello minimo, risulterebbero eccessivi sia considerando
fattispecie  punite  in modo sostanzialmente analogo, ma pertinenti a
fatti  di  maggiore gravita', sia considerando fattispecie sanzionate
in  termini  assai piu' blandi, per quanto pertinenti a comportamenti
sostanzialmente analoghi a quello in considerazione;
     che  il rimettente evoca, nella prima prospettiva, il delitto di
cui all'art. 14, comma 5-quater, dello stesso d.lgs. n. 286 del 1998,
consistente  nell'indebito  reingresso  nel  territorio  nazionale di
persona  gia'  espulsa:  fattispecie  piu'  grave  di  quella  cui si
riferisce  la  norma  censurata, e come tale trattata dal legislatore
fino  alla  riforma  introdotta  con  la  legge  n. 271 del 2004, che
avrebbe  invece irragionevolmente equiparato (salvo che per una lieve
differenza  nel  massimo)  il  trattamento  sanzionatorio  delle  due
ipotesi di reato;
     che  l'indebito  trattenimento  sarebbe, invece, comparabile per
gravita'  ad  altre figure criminose - sanzionate con pene assai piu'
lievi   per   specie   e  quantita'  -  quali  l'inosservanza  di  un
provvedimento  dell'autorita',  di  cui  all'art. 650 cod. pen., e la
contravvenzione  al  foglio  di  via  obbligatorio, di cui all'art. 2
della legge n. 1423 del 1956;
     che   secondo   il   rimettente   la   deroga  al  principio  di
proporzionalita',  oltre che integrare una violazione del criterio di
uguaglianza,   priverebbe   la   pena   della   necessaria   funzione
rieducativa,  con  conseguente  lesione del principio di cui al terzo
comma dell'art. 27 Cost.;
     che  il  Presidente  del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto nel
giudizio  con  atto  depositato  il 30 gennaio 2007, chiedendo che la
questione sia dichiarata manifestamente infondata;
     che  la  riforma  attuata  con  la legge n. 271 del 2004 avrebbe
riguardato  un  reato  gia'  considerato  grave,  vista  l'originaria
previsione  dell'arresto,  e comunque avrebbe opportunamente distinto
tra   le   varie  ipotesi  di  condotta  conseguenti  all'espulsione,
conservando  la forma contravvenzionale per le fattispecie meno gravi
e   realizzando,   di  conseguenza,  una  ragionevole  ed  articolata
dosimetria della pena;
     che  il  Tribunale  di  Trieste in composizione monocratica, con
ordinanza  del  18 agosto 2006 (r.o. n. 134 del 2007), ha sollevato -
in  riferimento  agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. - questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter, primo periodo,
del  d.lgs.  n. 286 del 1998, come sostituito dall'art. 1 della legge
n. 271  del 2004, nella parte in cui prevede la pena della reclusione
da  uno  a  quattro  anni  per  lo  straniero che, senza giustificato
motivo,  si  trattenga  nel  territorio  dello  Stato  in  violazione
dell'ordine  impartitogli  dal questore ai sensi del precedente comma
5-bis;
     che  il rimettente e' chiamato a deliberare sentenza, in esito a
giudizio  abbreviato,  nei  confronti  di  uno straniero imputato del
reato  di  indebito trattenimento, per il quale il pubblico ministero
ha  formulato  richiesta  di irrogazione della minima pena consentita
dalla  legge, e ritiene che i valori edittali della sanzione, entro i
quali  dovrebbe essere fissata la pena per il caso di condanna, siano
irragionevolmente elevati;
     che  il  giudice  a  quo  -  nel richiamarsi alla giurisprudenza
costituzionale che avrebbe prospettato l'illegittimita' di previsioni
concernenti  sanzioni  irragionevoli  o sproporzionate, alla luce del
principio   di   uguaglianza   ed   anche  di  quello  di  necessaria
finalizzazione   rieducativa   della  pena  -  concentra  la  propria
attenzione,  in  particolare,  sulla  pronuncia con la quale e' stata
dichiarata manifestamente infondata una questione concernente la pena
minima  edittale  per  il  delitto  di estorsione, che il legislatore
aveva aumentato dal valore originario (tre anni) fino alla soglia dei
cinque anni (ordinanza n. 368 del 1995);
     che l'illegittimita' della disposizione era stata esclusa, nella
specie,  in  quanto  l'inasprimento  della pena non aveva determinato
«macroscopiche  differenze»  rispetto  al  trattamento  sanzionatorio
della   rapina,  fattispecie  giudicata  per  altro  «non  del  tutto
assimilabile»  a  quella  dell'estorsione, ed era stato attuato anche
per  indurre  una risposta repressiva piu' determinata ad un fenomeno
criminale in piena evoluzione;
     che  il  rimettente deduce dalla pronuncia evocata, a contrario,
che  una «macroscopica differenza» nel trattamento sanzionatorio, non
giustificata da mutamenti del fenomeno criminale sottostante, darebbe
luogo ad un contrasto con i parametri costituzionali dell'uguaglianza
e della finalizzazione rieducativa della pena;
     che,   nella  specie,  una  «differenza»  risolutiva  -  a  fini
dimostrativi  dell'illegittimita'  della riforma attuata con la legge
n. 271  del  2004  -  risulterebbe  evidente  comparando  la relativa
previsione sanzionatoria con quella introdotta appena due anni prima,
e   constatando   come   il   fenomeno  regolato  non  avesse  subito
modificazioni sostanziali;
     che  la  sproporzione  per  eccesso  della  pena  per l'indebito
trattenimento  sarebbe  documentata, inoltre, dal raffronto con altre
previsioni  concernenti  fattispecie  di  inottemperanza ad un ordine
dato dall'autorita' per ragioni di sicurezza ed ordine pubblico (sono
citati l'art. 650 cod. pen. e l'art. 2 della legge n. 1423 del 1956);
     che  la  previsione  sanzionatoria sarebbe assimilabile, d'altro
canto,  a quella concernente la contravvenzione agli obblighi ed alle
prescrizioni  inerenti  alla  sorveglianza  speciale  con  obbligo  o
divieto di soggiorno (art. 9, comma 2, della citata legge n. 1423 del
1956),  cioe'  una  condotta assai piu' grave, in quanto riferibile a
soggetto  dalla  pericolosita'  gia'  accertata  con un provvedimento
giudiziale,  e  caratterizzata  dall'attiva  violazione del precetto,
consistente,  a seconda dei casi, nell'allontanarsi da un certo luogo
o nel raggiungere un certo luogo;
     che,   in  definitiva,  la  previsione  oggetto  della  censura,
risultando   sproporzionata   sia   rispetto   ai   valori   di  pena
precedentemente  fissati  per  il  medesimo  reato, sia rispetto alle
sanzioni   previste   per   fattispecie  analoghe,  implicherebbe  un
sacrificio  non  giustificato  del bene della liberta' personale, che
per  lo  straniero  trova  tutela  in  tutto  corrispondente a quella
assicurata per il cittadino;
     che  il  Presidente  del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto nel
giudizio  con  atto  depositato  il  17 aprile 2007, chiedendo che la
questione   sia   dichiarata  manifestamente  infondata  per  ragioni
analoghe  a  quelle  gia'  illustrate  con  l'atto  di intervento nel
giudizio r.o. n. 602 del 2006;
     che  il Tribunale di Torino in composizione monocratica, con tre
ordinanze  di tenore analogo, deliberate rispettivamente il 13 aprile
2006  (r.o. n. 203 del 2007) e il 2 novembre 2006 (r.o. nn. 247 e 248
del  2007),  ha  sollevato  - in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo
comma, Cost. - questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14,
comma  5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall'art. 1
della legge n. 271 del 2004, nella parte in cui prevede la pena della
reclusione  da  uno  a  quattro  anni  per  lo  straniero  che, senza
giustificato  motivo,  si  trattenga  nel  territorio  dello Stato in
violazione   dell'ordine   impartitogli  dal  questore  a  norma  del
precedente comma 5-bis;
     che  il  rimettente - il quale procede nei giudizi a quibus, sia
pure con riti diversi, nei confronti di persone accusate del reato di
indebito  trattenimento  -  assume  che  la  previsione concernente i
limiti  edittali della sanzione, cui dovrebbe far riferimento in caso
di applicazione della pena su richiesta o di condanna degli imputati,
sarebbe  irrazionale,  e comunque discriminatoria, per il trattamento
piu'  severo  previsto  rispetto a quello concernente altre condotte,
del  tutto  assimilabili  eppure sanzionate in misura assai minore, o
addirittura immuni da conseguenze penali;
     che il giudice a quo richiama in proposito norme contenute nello
stesso  d.lgs.  n. 286 del 1998, che riguardano ulteriori condotte di
inottemperanza  all'ordine  di  lasciare  il  territorio dello Stato,
punite  solo con la pena dell'arresto da sei mesi ad un anno (in caso
di  espulsione  conseguente  alla  mancata  richiesta  di rinnovo del
permesso  di  soggiorno),  o addirittura penalmente irrilevanti (come
nel  caso  dell'espulsione disposta dal Ministro dell'interno a norma
del comma 1 dell'art. 13 del citato d.lgs. n. 286 del 1998);
     che,  secondo  il  rimettente, il legislatore non avrebbe potuto
differenziare   il   trattamento   penale  delle  varie  condotte  di
inottemperanza in ragione della causa del provvedimento di espulsione
rimasto  ineseguito,  posto che la lesione del bene giuridico sarebbe
per  tutte  identica,  e  per  tutte  si  realizzerebbe con l'inutile
scadenza del termine per l'abbandono del territorio nazionale;
     che  piuttosto lo stesso legislatore, in osservanza del criterio
di  proporzionalita',  avrebbe dovuto assimilare il trattamento della
condotta  in  esame a quello di comportamenti previsti da altre norme
poste  a  tutela  dell'ordine  pubblico,  come l'art. 650 cod. pen. e
l'art. 2 della legge n. 1423 del 1956;
     che  in particolare, a parere del rimettente, la piena comunanza
di struttura e di oggetto giuridico tra le previsioni appena citate e
quella   censurata  comproverebbe  che  il  piu'  severo  trattamento
dipende, nella specie, dalla cittadinanza straniera dell'autore della
violazione,  e quindi introduce una discriminazione inammissibile, se
riferita  ad  un  diritto  fondamentale  qual  e'  la  liberta' della
persona;
     che  l'incongruenza  del trattamento sanzionatorio rispetto alle
caratteristiche offensive della condotta sarebbe documentata, secondo
il giudice a quo, anche dall'evidente finalismo dell'opzione compiuta
con  la  legge  n. 271  del  2004,  volta  a  fissare  una  pena  che
consentisse,  a  mente  dell'art. 280 del codice di procedura penale,
l'applicazione  di una misura cautelare carceraria e dunque, pur dopo
la sentenza n. 223 del 2004 della Corte costituzionale, la previsione
dell'arresto obbligatorio;
     che,  infine,  la  sproporzione  per  eccesso  della  previsione
sanzionatoria  determinerebbe  anche  la  violazione  del terzo comma
dell'art.  27  Cost.,  atteso che la finalita' rieducativa della pena
deve  essere assicurata non solo con riguardo alla fase esecutiva, ma
anche in sede di astratta comminazione, e che detta finalita' sarebbe
vanificata     da     una    punizione    manifestamente    eccessiva
dell'interessato;
     che  il  Presidente  del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  in
ciascuno  dei  tre giudizi, con atti depositati rispettivamente il 30
aprile  2007 (r.o. n. 203 del 2007) e il 16 maggio 2007 (r.o. nn. 247
e   248   del  2007),  chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata
manifestamente infondata;
     che l'intervento di riforma attuato con la legge n. 271 del 2004
avrebbe   riguardato   un   reato   gia'   considerato  grave,  vista
l'originaria  previsione dell'arresto per il responsabile, e comunque
avrebbe  opportunamente  distinto  tra  le  varie ipotesi di condotta
conseguenti  all'espulsione,  conservando  la forma contravvenzionale
per  le  fattispecie  meno  gravi  e realizzando, di conseguenza, una
ragionevole ed articolata dosimetria della pena;
     che  il  Tribunale  di  Gorizia in composizione monocratica, con
ordinanza  del  18 luglio 2006 (r.o. n. 221 del 2007), ha sollevato -
in  riferimento  agli  artt.  2,  3,  10  e  27, terzo comma, Cost. -
questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter,
primo  periodo, del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall'art.
1  della  legge n. 271 del 2004, nella parte in cui prevede il limite
edittale  minimo di un anno di reclusione per lo straniero che, senza
giustificato  motivo,  si  trattenga  nel  territorio  dello Stato in
violazione   dell'ordine   impartitogli  dal  questore  a  norma  del
precedente comma 5-bis;
     che  il  rimettente - chiamato a deliberare sentenza, in esito a
giudizio  abbreviato,  nei  confronti  di  uno straniero imputato del
reato  di  indebito  trattenimento  - dubita della legittimita' della
previsione  che  fissa  il  minimo  edittale della pena in un anno di
reclusione,  previsione  che dovrebbe in concreto applicare, nel caso
di condanna, dato tra l'altro che l'imputato e' immune da precedenti;
     che  secondo  il  rimettente,  alla  luce  della  giurisprudenza
costituzionale,  le scelte del legislatore nella determinazione delle
pene,  discrezionali  solo  entro il limite della ragionevolezza, non
potrebbero  risolversi  nella comminatoria di sanzioni sproporzionate
al  disvalore  del  fatto  criminoso  (e' citata qui, soprattutto, la
sentenza   n. 341  del  1994),  e  non  potrebbero  implicare,  senza
pregiudizio  per  la  funzionalita'  rieducativa del trattamento, una
palese  eccedenza del sacrificio della liberta' personale in rapporto
all'offesa recata dalla condotta punibile (sentenze n. 313 del 1990 e
n. 343 del 1993);
     che l'esame dei lavori preparatori della legge n. 271 del 2004 -
svelando  la  strumentalita'  delle  modificazioni  introdotte per la
fattispecie  sostanziale al ripristino dell'arresto obbligatorio dopo
la  sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 2004 - porrebbe in
luce  come  la discrezionalita' legislativa non sia stata esercitata,
nella specie, in aderenza ai principi sopra indicati;
     che  in particolare, secondo il rimettente, la definizione di un
istituto  del  diritto penale sostanziale alla luce di un'esigenza di
carattere  processuale  varrebbe  per  se  stessa  a  determinare una
lesione dei «principi di ragionevolezza e proporzionalita' della pena
rispetto alla offensivita' della condotta»;
     che, comunque, l'elevata quantificazione del minimo edittale non
sarebbe giustificata neppure dall'intento di legittimare la rinnovata
prescrizione  dell'arresto  obbligatorio,  posto  che l'art. 280 cod.
proc.  pen.,  per  individuare  i  fatti  suscettibili  di  dar luogo
all'arresto  del responsabile, assegna rilevanza esclusiva al massimo
della pena prevista dalla disposizione sostanziale;
     che  la  disciplina  censurata,  sempre  secondo  il  Tribunale,
sarebbe  ingiustamente  discriminatoria  con  riguardo agli stranieri
extracomunitari,  posto  che  i  cittadini  comunitari,  per condotte
ritenute assimilabili, sarebbero assoggettati ad un trattamento assai
meno  severo,  come avviene per i reati di cui all'art. 650 cod. pen.
ed all'art. 2 della legge n. 1423 del 1956;
     che  la previsione oggetto di censura sarebbe in contrasto anche
con gli artt. 2 e 3 Cost. «in relazione» al successivo art. 10, posto
che tra i diritti inviolabili dell'uomo sarebbe naturalmente compreso
anche  quello  alla liberta' personale, rispetto al quale le norme di
tutela,   appunto  «in  ragione  dell'art.  10  della  Costituzione»,
spiegano  «piena vigenza anche nei confronti degli stranieri presenti
sul territorio della Repubblica»;
     che  secondo  il  rimettente,  infine,  la  norma  in  questione
contrasta  con  il principio di necessaria finalizzazione rieducativa
della  pena,  sia perche' riferita a persone non pericolose, e dunque
prive  di  «soggettivita'  criminale  da  rieducare», sia perche' uno
scopo   di   reinserimento  sociale  non  sarebbe  configurabile  per
stranieri  non  legittimati  a  restare  nel  territorio  italiano  o
dell'Unione europea;
     che  il  Presidente  del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto nel
giudizio  con  atto  depositato  l'8  maggio  2007,  chiedendo che la
questione   sia   dichiarata  manifestamente  infondata  per  ragioni
analoghe  a  quelle  gia'  illustrate  con  l'atto  di intervento nel
giudizio r.o. n. 602 del 2006.
   Considerato  che  tutte  le  ordinanze fin qui descritte sollevano
questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter,
primo  periodo, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo
unico  delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione
e  norme sulla condizione dello straniero), come sostituito dall'art.
1  della  legge  12  novembre 2004, n. 271 (Conversione in legge, con
modificazioni,  del  decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante
disposizioni  urgenti in materia di immigrazione), nella parte in cui
determina  i  limiti  edittali della pena per lo straniero che, senza
giustificato  motivo,  si  trattenga  nel  territorio  dello Stato in
violazione dell'ordine di allontanarsene, impartitogli dal questore a
norma del precedente comma 5-bis;
     che  i  Tribunali  di  Castrovillari, Firenze, Genova, Trieste e
Torino   censurano   la   norma   indicata  con  riguardo  ai  valori
asseritamente troppo elevati della previsione edittale (reclusione da
uno  a  quattro anni), e con riferimento generalizzato agli artt. 3 e
27, terzo comma, della Costituzione;
     che  il  Tribunale  di  Gorizia  censura la medesima norma nella
parte in cui prevede la pena minima della reclusione per un anno, con
riferimento,  oltre  che  agli  artt. 3 e 27, terzo comma, anche agli
artt. 2 e 10 Cost.;
     che nel complesso i giudici a quibus, dopo aver ricordato che la
sanzione   originariamente   prevista   per   il  reato  di  indebito
trattenimento  consisteva nell'arresto da sei mesi ad un anno, e che,
a  seguito  delle  modifiche  recate  dalla legge n. 271 del 2004, la
medesima  condotta  e' oggi punita con la reclusione da uno a quattro
anni, rilevano che l'inasprimento sarebbe stato attuato per finalita'
di  carattere  processuale (la legittimazione di una nuova previsione
di  arresto  obbligatorio),  senza  alcuna  sostanziale  modifica del
fenomeno  criminoso  sottostante, e per cio' stesso in violazione dei
principi di ragionevolezza e proporzionalita' della pena;
     che  le  sanzioni  comminate  dalla  norma  censurata  sarebbero
palesemente   sproporzionate   per  eccesso  rispetto  alla  gravita'
effettiva del fatto incriminato;
     che,  nel  complesso,  i  rimettenti  pongono in comparazione il
trattamento  sanzionatorio  dell'indebito  trattenimento  con quello,
assai  piu'  mite,  previsto  da  disposizioni ritenute assimilabili,
perche'  concernenti  a  loro  volta  condotte  di  inottemperanza  a
provvedimenti  adottati  dall'autorita' amministrativa per ragioni di
sicurezza e di ordine pubblico;
     che a tale proposito vengono evocati, in particolare, l'art. 650
del codice penale (recante la rubrica «Inosservanza dei provvedimenti
dell'Autorita»),  che  prevede  l'arresto fino a tre mesi o l'ammenda
fino  ad  euro  206;  l'art.  2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423
(Misure  di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la
sicurezza),   relativo   alla   contravvenzione   al  foglio  di  via
obbligatorio,  punita  con  l'arresto  da  uno a sei mesi; l'art. 14,
comma  5-ter, seconda parte, dello stesso d.lgs. n. 286 del 1998, che
punisce  con  l'arresto  da  sei mesi ad un anno lo straniero che non
ottemperi  all'ordine di allontanamento dopo essere stato espulso per
non  aver  chiesto il rinnovo del permesso di soggiorno in precedenza
ottenuto;
     che il Tribunale di Genova, inoltre, istituisce una comparazione
tra la norma censurata e l'art. 14, comma 5-quater, del d.lgs. n. 286
del  1998,  che  prevede  pene  di  analoga  portata  per condotte di
gravita' asseritamente maggiore, in quanto riferibili, nel complesso,
ad  uno straniero gia' espulso dal territorio dello Stato e nondimeno
sorpreso   sul   territorio   nazionale  in  violazione  delle  norme
sull'immigrazione;
     che   una  comparazione  di  senso  analogo  e'  istituita,  dal
Tribunale di Trieste, con riguardo alla contravvenzione agli obblighi
ed  alle prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale con obbligo
o  divieto  di soggiorno (art. 9, comma 2, della citata legge n. 1423
del   1956),   cioe'  ad  una  condotta  ritenuta  assai  piu'  grave
dell'indebito   trattenimento,   e   pero'   sanzionata   in   misura
equivalente;
     che  tutte  le  ordinanze di rimessione prospettano il contrasto
tra  la  norma  censurata  ed  il  terzo comma dell'art. 27 Cost., in
quanto   la  relativa  previsione  sanzionatoria,  essendo  priva  di
proporzionalita'   rispetto   al   fatto  incriminato,  non  potrebbe
assolvere alla necessaria funzione rieducativa della pena;
     che  inoltre,  secondo  il  Tribunale  di  Gorizia, non potrebbe
configurarsi  un  fine  di  reinserimento sociale per pene inflitte a
stranieri  comunque  destinati  all'espulsione  dal  territorio dello
Stato e da quello dei Paesi dell'Unione europea;
     che,  sempre  a  parere  del  Tribunale  di  Gorizia,  la  norma
censurata comporterebbe anche una violazione degli artt. 2 e 3 Cost.,
in  relazione  al  successivo art. 10, posto che sarebbe compresso il
diritto  inviolabile  alla  liberta'  personale, cui deve assicurarsi
tutela   anche   per  quanto  concerne  gli  stranieri  presenti  nel
territorio della Repubblica;
     che,  data  la  pertinenza  di  tutte  le questioni sollevate al
trattamento  sanzionatorio  del  reato  previsto  dall'art. 14, comma
5-ter,  primo  periodo,  del  d.lgs.  n. 286  del  1998,  puo' essere
disposta la riunione dei relativi giudizi;
     che dette questioni sono sostanzialmente identiche ad altre, che
questa  Corte  ha gia' dichiarato inammissibili con la sentenza n. 22
del  2007  e  manifestamente inammissibili con le ordinanze nn. 167 e
354 del 2007;
     che,  non  sussistendo ragioni per discostarsi dalle valutazioni
recentemente compiute, deve dichiararsi la manifesta inammissibilita'
anche delle questioni in esame.