IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunziato la seguente ordinanza sul ricorso iscritto al R.G.
n. 2141/2007  proposto  dalla  societa'  F.C.Z. s.r.l. in persona del
legale  rappresentante,  rappresentata  e  difesa  dagli  avv. Sergio
Pezzucchi  e  Manlio  Vicini,  ed elettivamente domiciliata presso lo
studio dell'avv. Giorgio Bonamassa in Milano, via Visconti Venosta 2;
   Contro  il  comune  di Milano, in persona del sindaco pro tempore,
rappresentato  e  difeso  dagli  avv.  Maria  Rita  Surano, Antonella
Fraschini,  Ruggero Meroni, lima Marinelli, Ariberto Limongelli, Anna
Maria  Pavin  e  Maria  Sorrenti,  presso  i  quali e' selettivamente
domiciliato  in  Milano,  via  della  Guastalla  n. 8,  negli  uffici
dell'avvocatura comunale, per l'annullamento dell'ordinanza 30 luglio
2007  (PG 725941/2007 del 7 agosto 2007) di cessazione dell'attivita'
di  centro  di  telefonia  in  sede  fissa  (phone  center) di cui e'
titolare  la  societa'  ricorrente in Milano, via Cesare Da Sesto 19,
emessa dal direttore del Settore commercio del comune di Milano;
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Viste le memorie prodotte dal ricorrente;
   Vista  la domanda di sospensione dell'esecuzione del provvedimento
impugnato;
   Udita  la parte resistente alla Camera di consiglio del 23 ottobre
2007 (relatore il dott. Paolo Passoni);
   Vista l'ordinanza cautelare n. 1615/2007 di accoglimento a termine
dell'istanza   di   sospensione  relativa  al  ricorso  in  epigrafe,
deliberata  dalla  sezione  alla  medesima  Camera  di  consiglio  in
riferimento alla presente questione costituzionalita';
   Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Visti gli atti tutti della causa;
                              F a t t o
   La  societa'  ricorrente  e'  titolare  in  Milano di phone center
preesistente   all'entrata   in  vigore  della  legge  della  Regione
Lombardia 3 marzo 2006 n. 6, con la quale sono state emanate apposite
norme  «per  l'insediamento  e  la gestione di centri di telefonia in
sede fissa».
   Con  l'ordinanza  impugnata,  il  comune  di Milano ha disposto la
chiusura dell'attivita' di phone center gestita dalla ricorrente, per
mancata    conformazione    ai   nuovi   requisiti   (in   prevalenza
igienico-sanitari  e di sicurezza dei locali) disposti dalla predetta
legge   regionale;   quanto   sopra,  in  vincolata  applicazione  di
quest'ultima,  la  quale - nel disporre per gli esercizi preesistenti
un termine di adeguamento annuale - ha altresi' previsto, nei casi di
infruttuosa  scadenza  di  tale  termine,  la  cessazione  definitiva
dell'attivita'  senza  possibilita'  di  proroghe,  come da combinato
disposto  dell'art.  9  primo  comma  lettera c) e secondo comma, con
l'art. 12.
   In particolare, fra le piu' significative e restrittive novita' in
tema  requisiti  igienico-sanitari  e di sicurezza dei locali, che il
Collegio  ritiene  sospette sul piano costituzionale, si segnalano le
seguenti  testuali  prescrizioni  dell'articolo  8  primo  comma:  un
servizio  igienico  in  uso esclusivo del personale dipendente (lett.
e);  un  servizio  igienico  riservato al pubblico, anche prossimo al
locale  nel  caso di esercizi gia' attivi all'entrata in vigore della
presente  legge,  ma  ad uso esclusivo dello stesso per il locale con
superficie  fino  a  60  metri  quadrati (...); un ulteriore servizio
igienico  per  il locale di dimensioni superiori (lett. f); spazio di
attesa  all'interno  del  locale di almeno 9 metri quadrati, fino a 4
postazioni  telefoniche,  provvisto  di  idonei sedili posizionati in
modo da non ostruire le vie di esodo; la sala di attesa dovra' essere
aumentata  di  2 metri quadrati ogni postazione aggiuntiva (lett. h);
ogni postazione deve avere una superficie minima di un metro quadrato
ed essere dislocata in modo da garantire un percorso di esodo, libero
da  qualsiasi  ingombro  ed  avere una larghezza minima di 1,20 metri
(lett. i).
   Alla camera di consiglio del 23 ottobre 2007 la sezione ha accolto
--  a  termine,  sino alla pronuncia della Corte costituzionale sulla
questione oggetto della presente ordinanza - - l''istanza incidentale
di  sospensiva, ritenendo non manifestamente infondata (nei sensi che
verranno  specificati  con  la  presente  ordinanza)  la questione di
costituzionalita'   prospettata   dalla   societa'   ricorrente,  nei
confronti della citata legge regionale n. 6/2006.
                            D i r i t t o
   Oggetto  della presente questione di costituzionalita' sono alcune
disposizioni  della  legge  della  Regione  Lombardia n. 6/2006 (gia'
indicate  in  narrativa) che ha regolato l'insediamento e la gestione
di  centri  di  telefonia in sede fissa, con disposizioni applicabili
anche   agli   esercizi   (come  nel  caso  dell'odierna  ricorrente)
preesistenti all'entrata in vigore della legge stessa.
   Le norme sospettate di incostituzionalita', che assumono rilevanza
nelle vertenze in esame, riguardano:
     l'articolo  1,  nella parte in cui riporta la materia oggetto di
trattazione alla legislazione residuale regionale sul commercio;
     l'articolo   4,   che  introduce  un  sistema  generalizzato  di
autorizzazione civica per l'esercizio dell'attivita';
     l'articolo  8, nella parte (comma 1, lettere e, f, h, i, e comma
2)  in cui introduce - con immediata modifica dei regolamenti vigenti
-  i  nuovi requisiti igienico-sanitari e di sicurezza dei locali, in
connessione  agli  articoli  9  primo comma lett. c) e secondo comma,
nonche'  12,  disposizioni  queste  ultime  che  regolano  il  regime
transitorio  per i vecchi esercizi; cio' in quanto l'ordinanza civica
impugnata   ha   disposto   «con   effetto   immediato»  la  chiusura
dell'esercizio  di phone center per mancato tempestivo adeguamento ai
nuovi requisiti di cui sopra; la difformita' rispetto a questi ultimi
e'  poi  a  sua  volta  di  impedimento  al  rilascio della specifica
autorizzazione   richiesta   dall'articolo  gia'  citato,  giusta  il
disposto dell'art. 4, terzo comma, lett. c), con riguardo al rilascio
del certificato igienico sanitario di cui al successivo art. 8.
   Le   norme   costituzionali  di  cui  si  sospetta  la  violazione
riguardano  l'articolo  117, in relazione ai vincoli dell'ordinamento
comunitario  ed  al  sistema  di riparto delle competenze legislative
Stato-regione;  gli  articoli 3 e 41 in relazione, in particolare, ai
rilevanti   ostacoli  che  le  restrittive  prescrizioni  in  materia
igienico-sanitaria   -   introdotte  dalla  legge  regionale  di  cui
trattasi,  da  applicare  anche  retroattivamente  alle  preesistenti
gestioni  di  phone  center, determinano sulla liberta' di iniziativa
economica   dei   gestori;   nonche'  l'art.  15  sulla  liberta'  di
comunicazione.
   Dalle  esposte  premesse  emerge, sotto il profilo della rilevanza
della  questione di costituzionalita', un contesto legislativo che ha
direttamente   determinato   in  modo  cogente  il  contenuto  lesivo
dell'atto  impugnato,  senza  lasciare o consentire alcuna mediazione
discrezionale  in  capo  alla  intimata  autorita' amministrativa; la
quale,  come peraltro ribadito nella circolare di chiarimenti emanata
dalla  Regione  Lombardia  (prot.  Hl.2006.0027733 del 5 giugno 2006,
punto 8), ha dovuto emettere il provvedimento (in tutto vincolato nel
contenuto)  di  cessazione immediata dell'attivita' alla scadenza del
perentorio  termine  annuale  fissato,  senza  possibilita' di alcuna
proroga  ai  sensi  del  gia'  citato  art. 9, secondo comma, che non
annovera  tra le ipotesi di proroga quelle della lettera c) del primo
comma.
   Sul  piano,  ancora,  della  rilevanza, va detto nuovamente che in
relazione  alla  valutazione  di  non  manifesta  infondatezza  della
questione  di  costituzionalita'  delle  indicate  disposizioni della
predetta   legge  regionale,  la  Sezione  ha  adottato  un'ordinanza
cautelare    di   sospensione   del   provvedimento   di   cessazione
dell'attivita'  di phone center, con efficacia limitata al periodo di
tempo  necessario  a  che  la  Corte costituzionale si pronunci sulla
questione stessa.
   Chiarita  la  rilevanza  della  questione,  il Collegio intende in
primis   evidenziare   a   carico   della  l.r.  n. 6/2006  -  quanto
all'ulteriore  profilo della non manifesta infondatezza - la sospetta
violazione  dell'art. 117, commi primo, secondo, terzo e quarto della
Costituzione.
   L'articolo  1  della  legge riconduce la deliberata normativa «nel
quadro  delle  competenze  della  regione  e dei comuni in materia di
commercio»,  tuttavia  il riferimento a siffatta materia (che rientra
nella  legislazione  residuale  regionale ex art. 117, 4 comma Cost.)
sembra  al  Collegio  del tutto estranea all'ambito applicativo della
legge  stessa,  che  ai  sensi dell'articolo 2, comma primo, consiste
nell'attivita'  di  «... cessione al pubblico di servizi di telefonia
in  sede  fissa  in  locali aperti al pubblico», secondo le ulteriori
specificazioni illustrate nei successivi commi.
   Invero,   tale  attivita'  non  rientra  nella  vendita  di  merci
all'ingrosso  o  al dettaglio secondo quanto previsto dall'art. 4 del
decreto  legislativo 31 marzo 1998, n. 114 («Riforma della disciplina
relativa al settore del commercio (...)», ne' rientra nei settori del
commercio definiti dall'art. 39 dei decreto legislativo 31 marzo 1998
n. 112.
   Va  detto  piuttosto  che una delle novita' della legge e' proprio
quella  di impedire che all'interno delle strutture di «phone center»
possano  affiancarsi  -  come  in  passato - attivita' commerciali di
supporto, secondo un principio di esclusivita' non condiviso invece -
almeno  dalla legislazione statale - nella situazione inversa, in cui
la  cessione dei servizi telefonici e telematici puo' ben avvenire in
modo  complementare rispetto ad altre attivita' principali (cfr. art.
7  del  d.l.  27  luglio  2005,  n. 144,  convertito  in  legge,  con
modificazioni,  dall'art.  1  della legge 31 luglio 2005, n. 155, che
nel   quadro   di   una   disposta   «integrazione  della  disciplina
amministrativa  degli  esercizi  pubblici  di telefonia ed internet»,
prevede  la  licenza  del  questore  per  «chiunque intende aprire un
pubblico  esercizio  o  un  circolo  privato di qualsiasi specie, nel
quale  sono posti a disposizione del pubblico, dei clienti o dei soci
apparecchi   terminali   utilizzabili   per  le  comunicazioni  anche
telematiche»).
   Le  uniche  attivita' commerciali consentite all'interno dei phone
center  dalla legge regionale n. 6/2006, che riguardano la vendita di
schede  telefoniche  e  l'installazione di distributori automatici di
bevande  ed alimenti (cfr. art. 2 comma secondo lettera b e comma 3),
non  sono  oggetto  della  specifica  autorizzazione  richiesta dalla
legge,  e  rivestono  carattere apertamente occasionale o eventuale e
quindi del tutto marginale.
   L'attivita'  terziaria  in esame sembra, invece, piu' propriamente
riportabile  alla  materia dell'ordinamento delle comunicazioni (art.
117,  3  comma  Cost.  con  legislazione  concorrente Stato-regione),
ascrivendosi   piu'  specificamente  al  «servizio  di  comunicazione
elettronica»,  categoria  introdotta  dall'art.  2,  par. 1, lett. c)
della  dir. 7 marzo 2002, n. 2002/21/CE, con conseguente applicazione
della  disciplina  di  derivazione  comunitaria (comprensiva altresi'
delle    direttive    2202/19   CE,   2002/20/CE   e   2002/22   CE),
complessivamente  recepita  con  il  c.d.  codice delle comunicazioni
elettroniche  di cui al decreto legislativo 1 agosto 2003, n. 259. Di
particolare  pertinenza  ai  casi  di  specie  appaiono  del resto le
definizioni  mirate a delimitare il campo di applicazione del decreto
medesimo  ai  sensi  dell'articolo  1 comma 1, con peculiare riguardo
alla   lettera   bb)   («rete   telefonica   pubblica:  una  rete  di
comunicazione  elettronica  utilizzata per fornire servizi telefonici
accessibili  al  pubblico») ed alla lettera oo) («telefono pubblico a
pagamento:  qualsiasi apparecchio telefonico accessibile al pubblico,
utilizzabile  con  mezzi  di pagamento che possono includere monete o
carte di credito o di addebito o schede prepagate, comprese le schede
con codice di accesso»).
   La rilevata derivazione europea di tale normativa comporta poi che
la  materia  ivi  trattata (ordinamento delle comunicazioni) vincola,
anche  con riguardo al rispetto del principio di proporzionalita', la
regione, non solo ai sensi dell' articolo 117, 3 comma entro i limiti
della  legislazione  statale di principio, ma piu' in radice ai sensi
dell'articolo  117  comma  1, secondo cui ogni legge della Repubblica
deve conformarsi ai «vincoli derivanti dagli obblighi comunitari». In
via  strettamente  consequenziale,  il  rispetto di tali disposizioni
finisce  poi  per  impingere  su  profili trasversali di legislazione
esclusiva statale ex art. 117, 2° comma Cost., con specifico riguardo
alla  tutela  della concorrenza (lett. e) nonche' alla determinazione
(e salvaguardia) dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti
i  diritti  civili  e sociali che devono essere garantiti su tutto il
territorio  nazionale  (lett.  m), anche in conformita' all'interesse
generale  che  connota  tali  sensi  dell'art.  3  del citato decreto
n. 259/2003.
   In  proposito, va altresi' evidenziato il disposto del primo comma
dell'art.  3, il quale garantisce i «diritti inderogabili di liberta'
delle  persone  nell'uso  dei mezzi di comunicazione elettronica» con
espresso  richiamo a quel regime di (libera) concorrenza che rinforza
il   legame   dell'attivita'  in  questione  alla  «materia-funzione»
devoluta alla legislazione esclusiva statale.
   Inoltre  i  principi  di  derivazione comunitaria e costituzionale
risultano  espressamente  ribaditi  dall'art.  4 del medesimo decreto
legislativo,  il quale prevede al primo comma che la disciplina delle
reti   e   dei   servizi   e'   volta   a   salvaguardare  i  diritti
costituzionalmente  garantiti di «liberta' di comunicazione», nonche'
di  «liberta'  di  iniziativa  economica e suo esercizio in regime di
concorrenza, garantendo un accesso al mercato delle reti e servizi di
comunicazione    elettronica   secondo   criteri   di   obiettivita',
trasparenza, non discriminazione e proporzionalita» (sul punto, Corte
costituzionale n. 236/2005).
   Il  terzo  comma  dello stesso art. 4 dispone, tra l'altro, che la
suddetta  disciplina  e' volta anche a «promuovere la semplificazione
dei  procedimenti  amministrativi  e  la  partecipazione  ad essi dei
soggetti  interessati, attraverso l'adozione di procedure tempestive,
non  discriminatorie  e  trasparenti  nei confronti delle imprese che
forniscono reti e servizi di comunicazione elettronica».
   Puntualizzato   quanto  sopra,  va  poi  affermato  che  la  norma
regionale  -  nella  sua  unilaterale  iniziativa  di regolazione dei
settore  (erroneamente  riportato  al  commercio)  - ha introdotto un
regime  autorizzativo  ulteriore  e  duplicativo, rispetto al sistema
delineato   in   sede   comunitaria  come  recepito  con  il  decreto
legislativo n. 259/2003.
   Ed  invero,  tornando  al comma 2 dell'articolo 3 di tale decreto,
ivi  si  prevede che «la fornitura di reti e servizi di comunicazione
elettronica,  che e' di preminente interesse generale, e' libera e ad
esse  si  applicano  le  disposizioni  del  Codice»,  fatte  salve al
successivo comma «le limitazioni derivanti da esigenze della difesa e
della  sicurezza  dello  Stato, della protezione civile, della salute
pubblica   e  della  tutela  dell'ambiente  e  della  riservatezza  e
protezione  dei  dati  personali, poste da specifiche disposizioni di
legge  o  da  disposizioni  regolamentari  di  attuazione»  (testuali
concetti  sono poi ribaditi nell'articolo 25 comma primo dello stesso
decreto). A fronte della conclamata liberta' di fornitura dei servizi
di  comunicazioni  elettronica  (ivi  compresi  -  come sopra visto -
quelli  connessi  all'esercizio  di  un  phone  center),  il  decreto
legislativo  n. 259/2003  prevede  poi  che  l'espletamento  di  tali
servizi venga subordinato ad una (sola) «autorizzazione generale», in
rigoroso   e   vincolato  recepimento  della  normativa  europea.  In
particolare  tale autorizzazione viene definita dall'art. 1, comma 1,
lettera  g)  come «il regime giuridico che disciplina la fornitura di
reti  o  di  servizi di comunicazione elettronica...» e consegue alla
presentazione  di una dichiarazione dell'interessato (a seguito della
quale  e'  possibile  iniziare l'attivita) contenente l'intenzione di
procedere  alla fornitura (art. 25, comma 3); il potere del Ministero
competente  di  vietare  il  prosieguo  dell' attivita' medesima puo'
essere  esercitato  «entro  e  non  oltre» sessanta giorni secondo il
modulo procedimentale della dichiarazione di inizio attivita' ex art.
19  legge  n. 241/1990, espressamente richiamato dalla norma in esame
(art.  25,  comma  4,  cfr.  anche  delibera  n. 467/00/CONS  con cui
l'Autorita'  per  le  garanzie nelle comunicazioni ha disciplinato il
rilascio   di   tali  autorizzazioni  generali,  per  uniformarne  il
contenuto).
   Pur  a  fronte di tali vincolanti previsioni - che la legislazione
regionale  non e' legittimata ad alterare, ai sensi dei primi 3 commi
dell'  art.  117  Cost.  -  la  legge lombarda ora in esame ha invece
introdotto un ulteriore titolo abilitativo, disponendo in particolare
all'art.  3,  comma 1 che «l'esercizio della attivita' di cessione al
pubblico  del  servizio  di  telefonia  in sede fissa e' assoggettato
all'autorizzazione  di  cui  all'art. 4», al cui rilascio provvede il
comune  competente  per territorio. Trattasi dunque di una previsione
che  sembra  al  Collegio  comunque alterare il regime di sostanziale
liberta'  di  fornitura dei servizi de quibus cosi' come delineato in
via  primaria dall'ordinamento comunitario, ed in via attuativa dalla
norma   statale   di   recepimento,   con   conseguenti  aggravamenti
procedimentali,  pur  vietati  dai  citati articoli 3 e 4 del decreto
n. 259/2003.  Quanto  sopra viene peraltro a determinare una sospetta
lesione  dei  principi  di  libera  concorrenza e di salvaguardia dei
livelli  essenziali  di prestazioni di interesse generale connesse ai
diritti  inderogabili  dell'individuo,  ivi  compresa  la liberta' di
comunicazione  garantita  dall'art.  15 Cost., proprio ai sensi delle
citate  definizioni  legislative  ex  art.  3 del decreto legislativo
n. 259/2003 (sul cui ruolo di garanzia rispetto a tali principi si e'
espressa la Corte con la segnalata pronuncia n. 336/2005).
   Inoltre,   anche  nel  caso  in  cui  la  funzione  autorizzatoria
introdotta  dall'art.  4  della  legge  regionale  n. 6/2006  dovesse
intendersi   riferita  (solo)  agli  interessi  pubblici  strumentali
all'attivita'  di  comunicazione elettronica (nel quadro delle citate
«limitazioni» a tale attivita', previste e consentite dagli artt. 3 e
25  del  decreto  legislativo  n. 259/2003), resta il fatto che anche
siffatte  limitazioni  sembrano  afferire  a materie comunque (tutte)
estranee  a quella potesta' legislativa residuale ex art. 117, quarto
comma  Cost.,  che la Regione Lombardia ha invece inteso nella specie
esercitare.
   Basti pensare:
     alle esigenze della difesa e della sicurezza dello Stato ed alla
tutela   dell'ambiente   (legislazione  esclusiva  statale  ai  sensi
dell'art. 117, secondo comma, lettera d);
     alle   esigenze  di  protezione  civile  e  di  salute  pubblica
(legislazione concorrente ex art. 117, terzo comma).
   Va  poi  precisato  che  anche  le limitazioni di tipo edilizio od
urbanistico   (peraltro   non  espressamente  comprese  nella  citata
elencazione  di  cui  agli  artt.  3  e  25  del  decreto legislativo
n. 259/2003)  sono subordinate alla concorrenza legislativa di poteri
Stato-regioni  sotto  la  voce del «governo del territorio», ai sensi
del citato 3 comma dell'art. 117 Cost.
   Inoltre,  le problematiche connesse alla riservatezza e protezione
dei  dati  personali (queste ultime invece espressamente previste fra
le  limitazioni  di cui sopra) sono state gia' considerate e regolate
legislatore  statale, nel quadro delle esigenze di sicurezza pubblica
con   il   citato   decreto-legge   27  luglio  2005  recante  «nuove
disposizioni  antiterrorismo  per  gli  internet  point ed i pubblici
esercizi  che  mettano  a  disposizioni  del  pubblico postazioni per
comunicazioni telematiche», convertito nella legge 155/2005.
   Sulla   illegittimita'   costituzionale   di  quelle  legislazioni
regionali   che   -   nella   presente  materia  delle  comunicazioni
elettroniche  -  aggiungono  fasi  autorizzatorie comunque denominate
rispetto  alle  procedure  abilitative  gia'  contemplate nel decreto
legislativo n. 259/2003, si richiama al riguardo la recente pronuncia
della  Consulta  n. 129/2006, che - seppure in relazione alla diversa
problematica  delle  installazioni  di torri e tralicci - ha comunque
censurato  l'art.  27,  comma  1,  lettera  e)  della  l.r. Lombardia
n. 12/2005,  per  aver  previsto  la necessita' di un titolo edilizio
ritenuto  ulteriore  e  superfluo  rispetto  alle procedure delineate
nell'art.  87  del decreto legislativo; cio' in quanto - ha osservato
testualmente  la  Corte  con esternazioni di principio applicabili al
caso  di  specie  - «... la tutela del territorio e la programmazione
urbanistica  sono  salvaguardate  dalle  norme  statali  in vigore ed
affidate  proprio agli enti locali competenti, i quali, al pari delle
regioni  (sentenza  n. 336  del  2005), non vengono percio' spogliati
delle  loro  attribuzioni in materia, ma sono semplicemente tenuti ad
esercitarle   all'interno   dell'unico  procedimento  previsto  dalla
normativa,   nazionale,   anziche'   porre   in  essere  un  distinto
procedimento»  (con  conseguente  violazione dei principi generali di
semplificazione  della legislazione statale in materia di governo del
territorio).
   La   violazione  dell'art.  117  Cost.  sembra  peraltro  assumere
connotati  sostanziali,  anche  al di la' dell'erronea qualificazione
formale  della  materia  trattata,  e  cio'  non solo in relazione ai
settori   occupati   dalla  legge  regionale  eppur  di  appartenenza
esclusiva  alla  legislazione statale (ove il contrasto «sostanziale»
con  il precetto costituzionale si consuma in re ipsa con il semplice
intervento   legislativo   della   regione).  Anche  nel  caso  delle
fattispecie  concorrenti,  infatti,  la  normativa  in esame non pare
essersi   correttamente   inserita   nei  principi  generali  di  una
legislazione  statale  che - dopo aver garantito all'attivita' in se'
considerata  un trattamento semplificato, improntato alla liberta' di
comunicazione  voluta  anche  dall'Unione  europea - si e' limitata a
prevedere  per  i  soli «internet point» disposizioni speciali per la
sicurezza  dello  Stato,  senza  l'introduzione  di  altri  re ad hoc
(igienico-sanitari   ed  urbanistici)  diversi  e  piu'  restrittivi,
rispetto a quelli gia' in vigore per gli altri esercizi connessi alle
attivita' terziarie. In relazione ai requisiti igienico-sanitari e di
sicurezza  dei  locali,  va  poi  rammentato  che  la legge regionale
dispone  contenuti  di  dettaglio  che integrano in modo automatico e
simultaneo  tutti i regolamenti di igiene delle autorita' sanitarie e
dei comuni in territorio lombardo (art. 8, comma 2), e cio' senza che
la  legislazione statale di riferimento consenta, all'interno di tale
regolamentazione   locale,   l'inserimento   eteronomo  di  contenuti
dispositivi  e  di  dettaglio direttamente imposti da leggi regionali
(cfr art. 344 TULS).
   Va  ancora  osservato  sul  punto  che  le  prescrizioni  previste
dall'ordinamento  statale,  si  limitano  a  stabilire una disciplina
generale  quanto  ai  requisiti di agibilita' dei locali destinati ad
attivita' economiche, la quale rimanda alle norme edilizie e igienico
sanitarie  contenute  in  prevalenza in fonti normative secondarie, e
non  contiene  comunque prescrizioni cosi' restrittive per gli indici
igienico-sanitari  regolati  specificamente  dalla legge regionale de
qua,  neanche  per  i  locali  ove  vi  e' maggiore concentrazione di
persone  per  un  tempo di permanenza maggiore (come teatri, cinema o
nei locali ove viene svolta attivita' di somministrazione di alimenti
e  bevande).  Donde  la  necessita'  che  la  competenza  legislativa
concorrente  delle regioni venga esercitata nel rispetto dei principi
fondamentali  di  cui  all'art.  3  (con  particolare  riguardo  alla
rimozione  degli ostacoli di ordine economico e sociale limitativi di
fatto  della liberta' e l'uguaglianza dei cittadini) e 41 della Carta
fondamentale,  nonche'  di  quello, di derivazione comunitaria, della
proporzionalita'   (insito   nel  riferimento  ai  vincoli  derivanti
dall'ordinamento  europeo  contenuto  nell'art.  117,  primo  comma),
secondo  il  quale,  com'e'  noto,  una  misura  e'  conforme  a tale
principio soltanto allorche' il mezzo adoperato si rilevi non tanto e
non  solo  «idoneo»  a  consentire  il  raggiungimento dell'obiettivo
desiderato,  ma anche «necessario» nel senso dell'indisponibilita' di
altra   misura  egualmente  efficace,  e  tale  da  incidere  i  meno
negativamente  possibile  nella  sfera del destinatario, ossia da non
essere  «intollerabile».  In sostanza un giudizio di proporzionalita'
basato ex ante sulla valutazione comparativa tra mezzo e fine.
   Infine,  sempre  in  relazione ai requisiti igienico-sanitari e di
sicurezza  dei  locali  ex art. 8 della legge (con specifico riguardo
alle  voci  ivi rubricate alle lettere e, f h, i, meglio descritte in
narrativa),  il  Collegio  ritiene  che  la legge regionale n. 6/2006
presenti  profili  di non manifesta infondatezza anche nella parte in
cui   dispone   l'applicazione   retroattiva   delle  rigorose  nuove
disposizioni,  senza  delineare  la possibilita' di proroghe (pur non
automatiche,  ma  discrezionali  e  da  valutare  caso  per caso) per
consentire  agli  esercizi  preesistenti  di  continuare l'attivita',
nonostante la vana scadenza del termine annuale di adeguamento.
   Secondo consolidata giurisprudenza costituzionale (da ultimo Corte
costituzionale sent. n. 156/2007), la possibilita' del legislatore di
incidere  con  norme  retroattive  su  situazioni  sostanziali  ormai
radicate da leggi precedenti, resta subordinata al rigoroso vaglio di
razionalita'  del nuovo regolamento di interessi che modifica ex post
quello preesistente.
   Ritiene  il Collegio che nella specie non sussista (a parte quanto
gia'  evidenziato  sotto il profilo della proporzionalita) una sicura
rispondenza   dello   ius   superveniens  a  sufficienti  criteri  di
ragionevolezza,   in  relazione  alle  modalita'  con  cui  la  nuova
normativa  incide  sui  giustificati  affidamenti  dei  titolari  dei
preesistenti  esercizi di phone center, e cio' in sospetta violazione
dei principi di parita' di trattamento ex art. 3 Cost.
   La  prescrizione  infatti  di  un  cosi'  nuovo e piu' impegnativo
assetto   strutturale   e  funzionale  dei  locali  strumentali  allo
svolgimento  dell'attivita'  determina,  in  capo  a  coloro che gia'
gestivano  quest'ultima  in regime di regolarita' amministrativa, una
serie  di  obblighi conformativi razionalmente inesigibili durante il
(breve) periodo annuale concesso dalla legge, anche in considerazione
della  necessita'  di  procedere  a lavori strutturali ed edilizi dal
costo  elevato  e spesso non realizzabili per l'inidoneita' oggettiva
derivante  dall'area  disponibile  dei locali, e quindi anche laddove
l'esercente     l'attivita'    voglia    adeguarvisi.    La    stessa
rilocalizzazione  ipotizzata  dalla  norma - oltre a non esser subito
praticabile  in  assenza  della  formalizzazione  di  nuovi strumenti
urbanistici  chiamati  ad  individuare  le  relative aree (cfr. terzo
comma,  art. 98-bis della l.r. n. 12 del 2005, introdotto dall'art. 7
della  l.r.  6  del 2006) - non sembra certo rappresentare un rimedio
semplice  ed efficace rispetto all'abbandono - spesso obbligato - dei
locali  di  origine,  e  cio'  in considerazione delle difficolta' di
reperimento,  in  adiacenza  o  prossimita'  allo stesso edificio, di
nuovi   locali;  senza  considerare  la  perdita  di  avviamento  che
deriverebbe   dal  trasferimento  dell'attivita'  stessa,  una  volta
approvato il previsto piano urbanistico.
   Quanto  sopra,  in  aggiunta  (donde  un  autonomo  profilo di non
manifesta  infondatezza  valutabile in base ai canoni del comma primo
dell'art. 3 Cost.), al non indifferente maggiore onere economico, che
potrebbe  risultare  insostenibile  per  i soggetti privi di adeguati
mezzi economici, favorendo l'abbandono delle relative attivita'; tali
dismissioni  determinerebbero  a  loro volta un vantaggio rispetto ai
nuovi  operatori  aventi maggiori disponibilita' d'investimento che -
potendo  organizzare  ex ante l'attivita' secondo le regole vigenti -
verrebbero    a    trovarsi    in   una   situazione   concorrenziale
(ingiustamente)  privilegiata,  con  riverberi dannosi per gli utenti
privi  di  una piu' ampia scelta, e con forte rischio di tariffe meno
vantaggiose.  Le delineate - e non improbabili - conseguenze fattuali
delle  citate  disposizioni  finirebbero pertanto per incidere, oltre
che  sulla  rilevata disparita' di trattamento ex art. 3 Cost., anche
sulla liberta' di iniziativa economica privata garantita dall'art. 41
Cost.,  con  riverberi  lesivi sotto altro profilo della tutela della
concorrenza  garantita dall'ordinamento europeo (cfr. sul punto anche
la  segnalazione  in  data  6 agosto 2007 formalizzata dall'Autorita'
garante  della  concorrenza e del mercato al Presidente della Regione
Lombardia  proprio  in  relazione  «....agli effetti distorsivi della
concorrenza  che derivano dalle disposizioni .... dettate dalla legge
Regione Lombardia 3 marzo 2006, n. 6»).
   Sulla base delle esposte considerazioni si ritiene rilevante e non
manifestamente infondata la presente questione costituzionalita', che
si  solleva  pertanto ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953
n. 87  in relazione agli artt. 1, 4, 8 (comma 1, lettere e, f h, i, e
comma  2),  9,  (primo  comma,  lett. c e secondo comma), nonche' 12,
della l.r. 3 marzo 2006 n. 6, in relazione agli artt. 3, 15, 41 e 117
della Costituzione.