IL TRIBUNALE
   Ritenuto  che  deve  essere  sollevata,  per  i  motivi di seguito
esposti,  questione  di legittimita' costituzionale dell'articolo 14,
comma  5-ter,  prima  parte  del  d.lgs  n. 286/1998  come sostituito
dall'articolo  1, comma 5-bis della legge n. 271/2004, di conversione
con modificazioni del d.l. n. 241/2004, nella parte in cui prevede la
pena  della  reclusione  da  uno  a quattro anni per lo straniero che
senza  giustificato motivo si trattiene nel territorio dello Stato in
violazione  dell'ordine  impartito  dal  questore  ai sensi del comma
5-bis,   questione   rilevante  e  non  manifestamente  infondata  in
riferimento  agli  artt.  3,  primo  comma  e  27,  terzo comma della
Costituzione,
                             R i l e v a
   Zhang  Sujun  e'  stato  arrestato  in data 21 febbraio 2007 nella
flagranza  del  reato  di  cui all'articolo 14, comma 5-ter del d.lgs
n. 286/1998.  Il  decreto  di  espulsione  del  Prefetto di Bergamo e
l'ordine  del  Questore di Bergamo emessi in data 17 febbraio 2004 ex
artt.  13 e 14, comma 5-bis risultano essere stati notificati in pari
data all'imputato il quale ha sottoscritto il verbale di notifica.
   All'esito  del  giudizio  di  convalida tenutasi lo stesso giorno,
rigettata la richiesta del p.m. di applicazione della misura prevista
dall'art.   285   c.p.p.,  si  e'  proceduto  al  giudizio  con  rito
direttissimo e l'imputato ha chiesto termine per preparare la difesa.
   All'odierna  udienza fissata in prosecuzione, previa richiesta del
difensore  e  procuratore  speciale  come  da  nomina  in atti, si e'
disposto ai sensi dell'art. 440 c.p.p. e le parti hanno concluso come
da verbale.
   La  sanzione  da comminare in ipotesi di affermazione della penale
responsabilita'   dell'imputato   dovrebbe   essere  determinata  con
riguardo  a quella prevista dalla disposizione della cui legittimita'
costituzionale si dubita.
                                  A
L'evoluzione normativa.
   Il    testo    originario   dell'articolo   14   non   comprendeva
l'incriminazione   dello   straniero   che   non  avesse  ottemperato
all'ordine   emesso   dal  questore  in  esecuzione  del  decreto  di
espulsione del prefetto.
   La  fattispecie  di  reato  in  discorso e' stata introdotta dalla
legge n. 189/2002, come contravvenzione punibile con l'arresto da sei
mesi a un anno e ad arresto obbligatorio.
   La   Corte   costituzionale,   con  la  sentenza  n. 223/2004,  ha
dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  dell'articolo 14, comma
5-quinquies  per  contrasto  con  gli artt. 3 e 13 della Costituzione
«nella  parte  in  cui stabilisce che per il reato previsto dal comma
5-ter  del medesimo articolo 14 e' obbligatorio l'arresto dell'autore
del  fatto», rilevando la manifesta irragionevolezza di provvedimento
provvisorio  in  materia  di liberta' personale in difetto, atteso il
titolo  di  reato,  della  condizione  di  applicabilita' ex art. 280
c.p.p. anche in riferimento all'art. 391, quinto comma c.p.p.
   Il  d.l.  n. 241/2004,  non modificando la pena suddetta, limitava
l'arresto  obbligatorio  all'ipotesi,  ex art. 14, comma 5-quater, di
delitto  punibile con la reclusione da uno a quattro anni (reingresso
nel territorio dello Stato dello straniero espulso).
   In   sede   di  conversione  del  d.l.  citato  il  reato  di  cui
all'articolo  14, comma 5-ter e' stato previsto come delitto punibile
con  la  reclusione  da  uno  a  quattro  anni e nuovamente stabilito
l'arresto  obbligatorio,  ad  eccezione  dell'ipotesi  di  espulsione
motivata  dall'essere  scaduto il permesso di soggiorno, per la quale
non si e' modificata la pena dell'arresto da sei mesi a un anno.
   Dunque,  e'  intervenuto  un notevole inasprimento della pena, per
questa  parte  la  norma attualmente in vigore apparendo in contrasto
con gli artt. 3, primo comma e 27, terzo comma della Costituzione.
                                  B
La   non  manifesta  infondatezza  per  violazione  delle  richiamate
disposizioni costituzionali.
   La Corte costituzionale, pur riservando alla «discrezionalita' del
legislatore  stabilire  quali  comportamenti  debbano  essere puniti,
determinare  quali  debbano essere la qualita' e la misura della pena
ed   apprezzare   parita'  e  disparita'  di  situazioni»,  ha  pero'
costantemente   ribadito   il  principio  che  «1'esercizio  di  tale
discrezionalita'  puo'  essere  censurato quando esso non rispetti il
limite  della  ragionevolezza e dia quindi luogo ad una disparita' di
trattamento   palese   e  ingiustificata»  (sentenza  n. 25/1994;  il
principio   e'   richiamato   anche   nella   sentenza   n. 333/1992,
nell'ordinanza n. 220/1996, nella sentenza n. 84/1997).
   E  la  sentenza n. 409/1989 individua i contenuti e la portata dei
requisiti  di  proporzionalita'  e  ragionevolezza:  «il principio di
uguaglianza,  di  cui  all'articolo 3, primo comma della Costituzione
esige  che  la pena sia proporzionata al disvalore del fatto illecito
commesso,  in  modo che il sistema sanzionatorio adempia nel contempo
alla funzione di difesa sociale ed a quella di tutela delle posizioni
individuali», disconoscendo la legittimita' di quelle «incriminazioni
che, anche se presumibilmente idonee a raggiungere finalita' statuali
di  prevenzione,  producono,  attraverso la pena, danni all'individuo
(ai  suoi  diritti fondamentali) ed alla societa' sproporzionatamente
maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da quest'ultima con la
tutela dei beni e dei valori offesi dalle predette incriminazioni».
   Il principio e' ora recepito anche dalla Costituzione europea («le
pene  inflitte  non  devono essere sproporzionate rispetto al reato»,
articolo 2 - 109).
   Inoltre,  si  e'  ripetutamente  affermato (sentenze n. 313/1995 e
n. 343/1993)  che  la manifesta mancanza di proporzionalita' rispetto
ai  fatti  reato  non  corrisponde  all'esigenza  della  finalita' di
rieducazione posta dall'articolo 27, terzo comma.
   Ora,  nella stessa relazione all'emendamento del d.l. n. 241/2004,
l'introduzione  di  una  sanzione cosi' elevata viene giustificata in
riferimento  soltanto  alla  asserita  necessita'  di  adeguarsi alla
sentenza  n. 223/2004  della  Corte costituzionale, ma cio' nel senso
non  condivisibile  di  inasprire  la  pena unicamente in funzione di
consentire    l'arresto   obbligatorio   e   l'eventuale   successiva
applicazione  di  misure  coercitive  personali  per  coloro  che non
ottemperino    all'ordine   del   questore.   L'intenzione   traspare
dall'essere  la  stessa pena prevista per il fatto di chi rientra nel
territorio   nazionale   dopo  un'espulsione  disposta  dal  giudice,
condotta  di  assai  piu'  rilevante gravita' in quanto presuppone la
commissione  di  un reato o quantomeno la pendenza di un procedimento
penale.
   Dunque  si  deve concludere che si e' operata una trasposizione di
un'esigenza  processuale  nel  diritto  penale  sostanziale in palese
contrasto  con  i  criteri  che devono informare la determinazione in
astratto delle sanzioni penali.
   Ne'  il  prospettato dubbio di costituzionalita' e' risolto ove si
consideri il trattamento sanzionatorio conseguente alla violazione di
precetti   di  norme  incriminatrici  che,  delineando  comportamenti
antigiuridici   assimilabili,   sono  poste  a  tutela  degli  stessi
interessi, l'ordine pubblico e la sicurezza, pubblica, protetti dalla
disposizione in esame.
   L'art.  650  c.p.  punisce  con l'arresto fino a tre mesi o con la
sola  ammenda  l'inottemperanza  ad  un provvedimento legalmente dato
dall'autorita'  per ragioni di sicurezza pubblica o d'ordine pubblico
(oltre che di giustizia e igiene).
   L'art.  2  della  legge  n. 1423/1956  presuppone  un ordine della
pubblica  autorita'  concernente  persone ritenute «pericolose per la
sicurezza  pubblica»  - una pericolosita' accertata in concreto e non
«potenziale»,   come   nel  caso  dello  straniero  clandestino  -  e
l'inottemperanza   configura   una   contravvenzione  sanzionata  con
l'arresto da uno a sei mesi.
   Per   l'appunto, in   applicazione   degli   stessi  parametri  di
normazione, il legislatore del 2002 aveva coerentemente previsto come
contravvenzione  l'ipotesi  di cui all'articolo 14, comma 5-ter, e la
pena  da  sei mesi a un anno di arresto, stabilita in misura maggiore
per  lo straniero, trovava ragionevole giustificazione nell'esigenza,
fatta  propria quale insindacabile scelta politica, di contrastare in
modo specifico il fenomeno dell'immigrazione clandestina, inesistente
all'epoca   della   redazione   del   codice  penale  e  della  legge
n. 1423/1956.
   Al contrario, e' di immediata evidenza la sproporzione tra la pena
per  il  delitto  di  cui  all'art.  14,  comma 5-ter, attualmente in
vigore,  e  le  sanzioni per le contravvenzioni di cui agli artt. 650
c.p. e 2, legge n. 1423/1956.
   L'irragionevolezza   si   apprezza,  pertanto,  sotto  un  duplice
profilo,  sia con riguardo alla pena che il legislatore solo due anni
prima aveva ritenuto congrua, sia con riguardo alle pene previste per
analoghe fattispecie.
   L'art.  3,  primo  comma della Costituzione impone, invece, che il
bilanciamento  tra gli interessi da tutelare e il bene della liberta'
personale  tenga  conto  delle  sanzioni  previste  per  le  analoghe
condotte di pregiudizio degli stessi interessi, derivandone l'effetto
che,   solo   quando   la   pena  sia  stabilita  con  la  necessaria
proporzionalita',  essa  risponde  alla  funzione  rieducativa di cui
all'articolo 27, terzo comma della Costituzione.