IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunziato la seguente ordinanza sul ricorso iscritto al R.G.
2223/2007,  proposto  dal sig. Rahman Mizanur, rappresentato e difeso
dall'avv.  Leopardi  Bardi',  presso  il  cui studio e' elettivamente
domiciliato in Milano, via Lamarmora, 44;
   Contro  il  Comune  di Milano, in persona del sindaco pro tempore,
rappresentato  e  difeso  dagli  avv.  Maria  Rita  Surano, Antonella
Fraschini,  Ruggero Meroni, Ariberto Limongelli, Irma Marinelli, Anna
Maria  Pavin  e  Maria  Sorrenti,  presso  i  quali  e' elettivamente
domiciliato   in  Milano,  via  della  Guastalla  n. 8  negli  uffici
dell'Avvocatura comunale e nei confronti del Ministero dell'interno e
del Ministero delle comunicazioni, in persona dei rispettivi Ministri
pro  tempore,  rappresentati  e  difesi  dall'Avvocatura distrettuale
dello  Stato,  presso i cui uffici sono selettivamente domiciliati in
Milano,  via  Freguglia  n. 1,  per  l'annullamento del provvedimento
n. prot.  277299/2007,  adottato  dal  Comune  di  Milano,  Attivita'
produttive in data 21 agosto 2007;
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Viste le memorie prodotte dal ricorrente;
   Vista  la domanda di sospensione dell'esecuzione del provvedimento
impugnato;
   Uditi  alla  Camera  di  consiglio  del 20 novembre 2007 (relatore
dott.  Paolo  Passoni)  i  procuratori  del  ricorrente  e del comune
intimato;
   Vista l'ordinanza cautelare di accoglimento a termine, relativa al
ricorso in epigrafe, deliberata dalla sezione alla medesima Camera di
consiglio in riferimento alla presente questione costituzionalita';
   Visto l'articolo 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Visti gli atti tutti della causa;
                              F a t t o
   Il   ricorrente  e'  titolare  in  Milano  di  phone  center  dopo
all'entrata  in  vigore  della  legge della Regione Lombardia 3 marzo
2006,  n. 6,  con  la  quale  sono  state  emanate apposite nome «per
l'insediamento e la gestione di centri di telefonia in sede fissa».
   Con  l'ordinanza  in questione, il comune di Milano ha disposto il
diniego  dell'istanza  e  la  cessazione  immediata dell'attivita' di
phone  center  gestita  dal  ricorrente, per mancata conformazione ai
requisiti  disposti  dalla  predetta  legge regionale ed in vincolata
applicazione di quest'ultima.
   Alla  camera  di  consiglio  del  20  novembre  2007 la sezione ha
accolto  -  a termine, sino alla pronuncia della Corte costituzionale
sulla   questione   oggetto  della  presente  ordinanza  -  l'istanza
incidentale  di  sospensiva,  ritenendo  non manifestamente infondata
(nei  sensi  che  verranno  specificati con la presente ordinanza) la
questione   di   costituzionalita'  prospettata  di  ricorrente,  nei
confronti della citata legge regionale n. 6/2006.
                            D i r i t t o
   Oggetto  della presente questione di costituzionalita' sono alcune
disposizioni   della   legge   della   Regione   Lombardia  n. 6/2006
sull'insediamento e la gestione di centri di telefonia in sede fissa.
   Le norme sospettate di incostituzionalita', che assumono rilevanza
nelle  vertenze in esame, riguardano l'articolo 1, nella parte in cui
riporta la materia oggetto di trattazione alla legislazione residuale
regionale  sul  commercio,  l'articolo  4,  che  introduce un sistema
generalizzato    di    autorizzazione    civica    per    l'esercizio
dell'attivita',  ed  il  precedente  articolo  3  che pur si limita a
ribadire la necessita' della citata autorizzazione.
   Le   norme   costituzionali  di  cui  si  sospetta  la  violazione
riguardano  l'articolo  117, in relazione ai vincoli dell'ordinamento
comunitario  ed  al  sistema  di riparto delle competenze legislative
Stato-regione,  con riverberi sulla liberta' di comunicazione ex art.
115.
   La  rilevanza  attiene  per  l'appunto al fatto che nella presente
sede  viene impugnato un diniego di autorizzazione in materia che non
sembra  consentire  al legislatore regionale l'istituzione del potere
autorizzatorio   previsto   dalla  legge  in  esame  e  questo  rende
indifferente  ai  fini  della  rilevanza  stessa  la  questione della
posterita'  temporale  dell'insediamento  rispetto al predetto dies a
quo  -  affermata  nel  provvedimento  impugnato - che viene comunque
contestata dal ricorrente.
   Sul  piano,  ancora,  della  rilevanza, va detto nuovamente che in
relazione  alla  valutazione  di  non  manifesta  infondatezza  della
questione  di  costituzionalita'  delle  indicate  disposizioni della
predetta   legge  regionale,  la  sezione  ha  adottato  un'ordinanza
cautelare    di   sospensione   del   provvedimento   di   cessazione
dell'attivita'  di phone center, con efficacia limitata al periodo di
tempo  necessario  a  che  la  Corte costituzionale si pronunci sulla
questione stessa.
   Chiarita  la  rilevanza  della  questione,  il Collegio intende in
primis  evidenziare a carico della l.r. n. 6/2006 - quanto al profilo
della  non  manifesta infondatezza - la sospetta violazione dell'art.
117, commi primo, secondo, terzo e quarto della Costituzione.
   L'articolo  1  della  legge riconduce la deliberata normativa «nel
quadro  delle  competenze  della  regione  e dei comuni in materia di
commercio»,  tuttavia  il riferimento a siffatta materia (che rientra
nella  legislazione  residuale  regionale  ex  art. 117, quarto comma
Cost.)  sembra  al Collegio del tutto estranea all'ambito applicativo
della  legge  stessa,  che  ai  sensi  dell'articolo  2, primo comma,
consiste nell'attivita' di 44 «... cessione al pubblico di servizi di
telefonia  in  sede  fissa  in locali aperti al pubblico», secondo le
ulteriori specificazioni illustrate nei successivi commi.
   Invero,   tale  attivita'  non  rientra  nella  vendita  di  merci
all'ingrosso  o  al dettaglio secondo quanto previsto dall'art. 4 del
decreto  legislativo 31 marzo 1998, n. 114 («Riforma della disciplina
relativa al settore del commercio (...)», ne' rientra nei settori del
commercio  definiti  dall'art.  39  del  decreto legislativo 31 marzo
1998, n. 112.
   Va  detto  piuttosto  che una delle novita' della legge e' proprio
quella  di impedire che all'interno delle strutture di «phone center»
possano  affiancarsi  -  come  in  passato - attivita' commerciali di
supporto, secondo un principio di esclusivita' non condiviso invece -
almeno  dalla legislazione statale - nella situazione inversa, in cui
la  cessione dei servizi telefonici e telematici puo' ben avvenire in
modo  complementare rispetto ad altre attivita' principali (cfr. art.
7  del  d.l.  27  luglio  2005,  n. 144,  convertito  in  legge,  con
modificazioni,  dall'art.  1  della legge 31 luglio 2005, n. 155, che
nel   quadro   di   una   disposta   «integrazione  della  disciplina
amministrativa  degli  esercizi  pubblici  di telefonia ed internet»,
prevede  la  licenza  del  questore  per  «chiunque intende aprire un
pubblico  esercizio  o  un  circolo  privato di qualsiasi specie, nel
quale  sono posti a disposizione del pubblico, dei clienti o dei soci
apparecchi   terminali   utilizzabili   per  le  comunicazioni  anche
telematiche»).
   Le  uniche  attivita' commerciali consentite all'interno dei phone
center  dalla legge regionale n. 6/2006, che riguardano la vendita di
schede  telefoniche  e  l'installazione di distributori automatici di
bevande  ed alimenti (cfr. art. 2, comma 2, lettera b e comma 3), non
sono  oggetto della specifica autorizzazione richiesta dalla legge, e
rivestono carattere apertamente occasionale o eventuale, e quindi del
tutto marginale.
   L'attivita'  terziaria  in esame sembra, invece, piu' propriamente
riportabile  alla  materia dell'ordinamento delle comunicazioni (art.
117,  terzo  comma Cost. con legislazione concorrente Stato-regione),
ascrivendosi   piu'  specificamente  al  «servizio  di  comunicazione
elettronica»,  categoria  introdotta  dall'art.  2,  par. 1, lett. c)
della  dir. 7 marzo 2002, n. 2002/21/CE, con conseguente applicazione
della  disciplina  di  derivazione  comunitaria (comprensiva altresi'
delle    direttive    2202/19   CE,   2002/20/CE   e   2002/22   CE),
complessivamente  recepita  con  il  cd.  codice  delle comunicazioni
elettroniche di cui al decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259. Di
particolare  pertinenza  ai  casi  di  specie  appaiono  del resto le
definizioni  mirate a delimitare il campo di applicazione del decreto
medesimo  ai  sensi  dell'articolo 1, comma 1, con peculiare riguardo
alla   lettera   bb)   («rete   telefonica   pubblica:  una  rete  di
comunicazione  elettronica  utilizzata per fornire servizi telefonici
accessibili  ai  pubblico») ed alla lettera oo) («telefono pubblico a
pagamento:  qualsiasi apparecchio telefonico accessibile al pubblico,
utilizzabile  con  mezzi  di pagamento che possono includere monete o
carte di credito o di addebito o schede prepagate, comprese le schede
con codice di accesso»).
   La rilevata derivazione europea di tale normativa comporta poi che
la  materia  ivi  trattata (ordinamento delle comunicazioni) vincola,
anche  con riguardo al rispetto del principio di proporzionalita', la
regione,  non  solo  ai  sensi dell'articolo 117, terzo comma entro i
limiti  della legislazione statale di principio, ma piu' in radice ai
sensi  dell'articolo  117,  primo comma, secondo cui ogni legge della
Repubblica  deve  conformarsi  ai  «vincoli  derivanti dagli obblighi
comunitari».  In via strettamente consequenziale, il rispetto di tali
disposizioni  finisce  poi  per  impingere  su profili trasversali di
legislazione  esclusiva statale ex art. 117, secondo comma Cost., con
specifico  riguardo  alla  tutela della concorrenza (lett. e) nonche'
alla  determinazione  (e  salvaguardia)  dei livelli essenziali delle
prestazioni  concernenti i diritti civili e sociali che devono essere
garantiti  su  tutto  il  territorio  nazionale  (lett.  m), anche in
conformita' all'interesse generale che connota tali servizi, ai sensi
dell'art. 3 del citato decreto n. 259/2003.
   In  proposito, va altresi' evidenziato il disposto del primo comma
dell'art. 3, il quale garantisce i «diritti inderogabili di liberta':
delle  persone  nell'uso  dei mezzi di comunicazione elettronica» con
espresso  richiamo a quel regime di (libera) concorrenza che rinforza
il   legame   dell'attivita'  in  questione  alla  «materia-funzione»
devoluta alla legislazione esclusiva statale.
   Inoltre  i  principi  di  derivazione comunitaria e costituzionale
risultano  espressamente  ribaditi  dall'art.  4 del medesimo decreto
legislativo,  il quale prevede al primo comma che la disciplina delle
reti   e   dei   servizi   e'   volta   a   salvaguardare  i  diritti
costituzionalmente  garantiti di «liberta' di comunicazione», nonche'
di  «liberta'  di  iniziativa  economica e suo esercizio in regime di
concorrenza, garantendo un accesso al mercato delle reti e servizi di
comunicazione    elettronica   secondo   criteri   di   obiettivita',
trasparenza, non discriminazione e proporzionalita» (sul punto, Corte
costituzionale n. 236/2005).
   Il  terzo  comma  dello stesso art. 4 dispone, tra l'altro, che la
suddetta  disciplina  e' volta anche a «promuovere la semplificazione
dei  procedimenti  amministrativi  e  la  partecipazione  ad essi dei
soggetti  interessati, attraverso l'adozione di procedure tempestive,
non  discriminatorie  e  trasparenti  nei confronti delle imprese che
forniscono reti e servizi di comunicazione elettronica».
   Puntualizzato   quanto  sopra,  va  poi  affermato  che  la  nonna
regionale  -  nella  sua  unilaterale  iniziativa  di regolazione del
settore  (erroneamente  riportato  al  commercio)  - ha introdotto un
regime  autorizzativo  ulteriore  e  duplicativo, rispetto al sistema
delineato   in   sede   comunitaria  come  recepito  con  il  decreto
legislativo n. 259/2003.
   Ed  invero,  tornando  al comma 2 dell'articolo 3 di tale decreto,
ivi  si  prevede che «la fornitura di reti e servizi di comunicazione
elettronica,  che e' di preminente interesse generale, e' libera e ad
esse  si  applicano  le  disposizioni  del  codice»,  fatte  salve al
successivo comma «le limitazioni derivanti da esigenze della difesa e
della  sicurezza  dello  Stato, della protezione civile, della salute
pubblica   e  della  tutela  dell'ambiente  e  della  riservatezza  e
protezione  dei  dati  personali, poste da specifiche disposizioni di
legge  o  da  disposizioni  regolamentari  di  attuazione»  (testuali
concetti  sono  poi  ribaditi  nell'articolo 25, comma 1 dello stesso
decreto).
   A  fronte  della  conclamata  liberta' di fornitura dei servizi di
comunicazioni  elettronica  (ivi compresi - come sopra visto - quelli
connessi  all'esercizio  di  un phone center), il decreto legislativo
n. 259/2003  prevede  poi  che  l'espletamento  di tali servizi venga
subordinato  ad  una  (sola) «autorizzazione generale», in rigoroso e
vincolato  recepimento  della  normativa europea. In particolare tale
autorizzazione  viene  definita dall'art. 1, comma 1, lettera g) come
«il regime giuridico che disciplina la fornitura di reti o di servizi
di  comunicazione  elettronica ... » e consegue alla presentazione di
una   dichiarazione   dell'interessato  (a  seguito  della  quale  e'
possibile  iniziare  l'attivita) contenente l'intenzione di procedere
alla fornitura (art. 25, comma 3); il potere del Ministero competente
di   vietare   il   prosieguo  dell'attivita'  medesima  puo'  essere
esercitato  «entro  e  non  oltre»  sessanta giorni secondo il modulo
procedimentale  della  dichiarazione  di inizio attivita' ex art. 19,
legge  n. 241/1990,  espressamente  richiamato  dalla  norma in esame
(art.  25,  comma  4,  cfr.  anche  delibera  n. 467/00/CONS  con cui
l'Autorita'  per  le  garanzie nelle comunicazioni ha disciplinato il
rilascio   di   tali  autorizzazioni  generali,  per  uniformarne  il
contenuto).
   Pur  a  fronte di tali vincolanti previsioni - che la legislazione
regionale  non e' legittimata ad alterare, ai sensi dei primi 3 commi
dell'art.  117  Cost.  -  la  legge  lombarda  ora in esame ha invece
introdotto un ulteriore titolo abilitativo, disponendo in particolare
all'art.  3,  comma 1 che «l'esercizio della attivita' di cessione al
pubblico  del  servizio  di  telefonia  in sede fissa e' assoggettato
all'autorizzazione  di  cui all'articolo 4», al cui rilascio provvede
il   comune   competente  per  territorio.  Trattasi  dunque  di  una
previsione  che  sembra  al  Collegio  comunque alterare il regime di
sostanziale  liberta'  di  fornitura dei servizi de quibus cosi' come
delineato  in  via  primaria  dall'ordinamento comunitario, ed in via
attuativa   dalla  norma  statale  di  recepimento,  con  conseguenti
aggravamenti  procedimentali,  pur  vietati dai citati articoli 3 e 4
del decreto n. 259/2003.
   Quanto sopra viene peraltro a determinare una sospetta lesione dei
principi   di  libera  concorrenza  e  di  salvaguardia  dei  livelli
essenziali  di  prestazioni di interesse generale connesse ai diritti
inderogabili    dell'individuo,   ivi   compresa   la   liberta'   di
comunicazione  garantita  dall'art.  15 Cost., proprio ai sensi delle
citate  definizioni  legislative  ex  art.  3 del decreto legislativo
n. 259/2003 (sul cui ruolo di garanzia rispetto a tali principi si e'
espressa  la  Corte  con  la  segnalata  pronuncia  n. 336/2005). Nel
delineato  contesto,  si  inserisce peraltro anche la segnalazione in
data   6   agosto  2007  formalizzata  dall'Autorita'  garante  della
concorrenza  e  del  mercato  al  Presidente  della Regione Lombardia
proprio  in  relazione «... agli effetti distorsivi della concorrenza
che  derivano  dalle  disposizioni  ...  dettate  dalla legge Regione
Lombardia 3 marzo 2006, n. 6».
   Inoltre,   anche  nel  caso  in  cui  la  funzione  autorizzatoria
introdotta  dall'art.  4  della  legge  regionale  n. 6/2006  dovesse
intendersi   riferita  (solo)  agli  interessi  pubblici  strumentali
all'attivita'  di  comunicazione elettronica (nel quadro delle citate
«limitazioni» a tale attivita', previste e consentite dagli artt. 3 e
25  del  decreto  legislativo  n. 259/2003), resta il fatto che anche
siffatte  limitazioni  sembrano  afferire  a materie comunque (tutte)
estranee  a quella potesta' legislativa residuale ex art. 117, quarto
comma  Cost.,  che la Regione Lombardia ha invece inteso nella specie
esercitare.
   Basti pensare:
     alle esigenze della difesa e della sicurezza dello Stato ed alla
tutela   dell'ambiente   (legislazione  esclusiva  statale  ai  sensi
dell'art. 117, secondo comma, lettera d);
     alle   esigenze  di  protezione  civile  e  di  salute  pubblica
(legislazione concorrente ex art. 117, terzo comma).
   Va  poi  precisato  che  anche  le limitazioni di tipo edilizio od
urbanistico   (peraltro   non  espressamente  comprese  nella  citata
elencazione  di  cui  agli  artt.  3  e  25  del  decreto legislativo
n. 259/2003)  sono subordinate alla concorrenza legislativa di poteri
Stato-regioni  sotto  la  voce del «governo del territorio», ai sensi
del citato comma 3 dell'art. 117 Cost.
   Inoltre,  le problematiche connesse alla riservatezza e protezione
dei  dati  personali (queste ultime invece espressamente previste fra
le  limitazioni  di cui sopra) sono state gia' considerate e regolate
dal  legislatore  statale,  nel  quadro  delle  esigenze di sicurezza
pubblica  con  il  citato decreto-legge 27 luglio 2005 recante «nuove
disposizioni  antiterrorismo  per  gli  internet  point ed i pubblici
esercizi  che  mettano  a  disposizioni  del  pubblico postazioni per
comunicazioni telematiche», convertito nella legge n. 155/2005.
   Sulla   illegittimita'   costituzionale   di  quelle  legislazioni
regionali   che   -   nella   presente  materia  delle  comunicazioni
elettroniche  -  aggiungono  fasi  autorizzatorie comunque denominate
rispetto  alle  procedure  abilitative  gia'  contemplate nel decreto
legislativo n. 259/2003, si richiama al riguardo la recente pronuncia
della  Consulta  n. 129/2006, che - seppure in relazione alla diversa
problematica  delle  installazioni  di torri e tralicci - ha comunque
censurato  l'art.  27,  comma  1,  lettera  e)  della  l.r. Lombardia
n. 12/2005,  per  aver  previsto  la necessita' di un titolo edilizio
ritenuto  ulteriore  e  superfluo  rispetto  alle procedure delineate
nell'articolo  87  del  decreto  legislativo;  cio'  in  quanto  - ha
osservato   testualmente  la  Corte  con  esternazioni  di  principio
applicabili  al  caso  di specie - «... la tutela del territorio e la
programmazione  urbanistica sono salvaguardate dalle norme statali in
vigore  ed  affidate proprio agli enti locali competenti, i quali, al
pari  delle  regioni  (sentenza n. 336 del 2005), non vengono percio'
spogliati  delle  loro attribuzioni in materia, ma sono semplicemente
tenuti  ad  esercitarle  all'interno dell'unico procedimento previsto
dalla  normativa  nazionale,  anziche'  porre  in  essere un distinto
procedimento»  (con  conseguente  violazione dei principi generali di
semplificazione  della legislazione statale in materia di governo del
territorio).
   Sulla base delle esposte considerazioni si ritiene rilevante e non
manifestamente infondata la presente questione costituzionalita', che
si  solleva  pertanto  ai sensi dell'articolo 23 della legge 11 marzo
1953,  n. 87 in relazione agli artt. 1, 3, 4 della l.r. 3 marzo 2006,
n. 6, in relazione agli artt. 3, 15, 41 e 117 della Costituzione.