Ordinanza
nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale degli artt. 69, quarto
comma  e  99,  quarto  comma del codice penale, come modificati dagli
articoli  3  e  4  della  legge  5 dicembre 2005 n. 251 (Modifiche al
codice  penale  e  alla  legge  26 luglio 1975, n. 354, in materia di
attenuanti  generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle
circostanze  di  reato  per  i recidivi, di usura e di prescrizione),
promossi  con  ordinanze del 12 giugno 2006 dal Tribunale di Perugia,
del 18 dicembre 2006 dal Tribunale di Ragusa e del 10 maggio 2006 dal
Tribunale  di  Ragusa sezione distaccata di Vittoria, rispettivamente
iscritte al n. 616 del registro ordinanze 2006 ed ai numeri 360 e 384
del  registro  ordinanze  2007  e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della  Repubblica  numeri  3,  20  e 21, 1ª serie speciale, dell'anno
2007.
   Visti  gli  atti  di  intervento  del Presidente del Consiglio dei
ministri;
   Udito  nella  Camera  di  consiglio  del  12 marzo 2008 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
   Ritenuto  che,  con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale
di  Perugia  ha  sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, primo e
terzo   comma,   della   Costituzione,   questione   di  legittimita'
costituzionale  dell'art.  99,  quarto comma, del codice penale, come
sostituito dall'art. 4 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche
al  codice  penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di
attenuanti  generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle
circostanze  di  reato  per  i recidivi, di usura e di prescrizione),
nella  parte  in cui - secondo il giudice a quo - prevede, in caso di
recidiva  reiterata  (recte:  di  recidiva  reiterata  aggravata), un
aumento «obbligatorio e fisso» della pena di due terzi;
     che  il  rimettente - chiamato a giudicare, nelle forme del rito
abbreviato,  una  persona imputata del reato di detenzione e cessione
illecite  di  sostanze  stupefacenti, di cui all'art. 73 del d.P.R. 9
ottobre   1990,  n. 309  (Testo  unico  delle  leggi  in  materia  di
stupefacenti    e    sostanze   psicotrope,   prevenzione,   cura   e
riabilitazione   dei   relativi   stati  di  tossicodipendenza),  con
l'aggravante  della  recidiva  reiterata  specifica - osserva come, a
fronte  dell'irrogazione all'imputato di una pena base pari al minimo
edittale  (sei anni di reclusione, oltre la multa), l'aumento di pena
per  la  recidiva  dovrebbe  corrispondere all'intera frazione di due
terzi, prevista dalla norma impugnata;
     che  -  stante  l'entita'  delle  precedenti  condanne riportate
dall'imputato - non verrebbe, difatti, in rilievo il limite stabilito
dall'ultimo  comma  dell'art.  99  cod.  pen. (in forza del quale «in
nessun  caso  l'aumento  di  pena  per  effetto  della  recidiva puo'
superare  il  cumulo  delle pene risultante dalle condanne precedenti
alla commissione del nuovo delitto non colposo»); ne', d'altra parte,
sussisterebbero  i  presupposti  per  l'applicazione  di  circostanze
attenuanti e il conseguente giudizio di comparazione con l'aggravante
contestata;
     che  il  giudice  a quo dubita, tuttavia, sotto plurimi profili,
della legittimita' costituzionale della norma denunciata;
     che  il  rimettente  osserva  anzitutto  come,  alla  luce della
giurisprudenza  costituzionale,  il  meccanismo  piu'  idoneo  per il
conseguimento   delle   finalita'   della   pena   sia  quello  della
predeterminazione  della  medesima entro un limite minimo e un limite
massimo,  cosi'  da  consentire  l'individualizzazione della risposta
punitiva in rapporto alle caratteristiche delle singole fattispecie;
     che  infatti  -  rileva  ancora il giudice a quo - l'adeguamento
della  pena  ai  casi  concreti  contribuisce  a  rendere quanto piu'
possibile  «personale»  la  responsabilita'  penale, in ossequio alla
previsione  dell'art.  27, primo comma, Cost.; concorre ad assicurare
una  pena  quanto piu' possibile finalizzata alla rieducazione, nella
prospettiva   dell'art.   27,  terzo  comma,  Cost.;  e  costituisce,
altresi', uno strumento di attuazione dell'uguaglianza di fronte alla
pena;
     che  da cio' deriva la tendenziale illegittimita' costituzionale
delle  pene  fisse, non suscettibili di adeguata modulazione nei casi
concreti:  salva  l'esigenza  di  verificare  tale  illegittimita' in
relazione alle singole ipotesi normativamente previste, tenendo conto
dei residui margini di graduabilita' del trattamento sanzionatorio di
cui il giudice fruisce;
     che,  nel  caso  in cui venga contestata la recidiva reiterata e
non  sussista  la  possibilita'  del  giudizio  di  comparazione  con
circostanze  attenuanti concorrenti, il giudice, pur disponendo della
facolta'   di  determinare  la  pena  entro  i  limiti  edittali,  si
troverebbe  a  dover  irrogare,  nell'ipotesi  di  condanna, una pena
«rigidamente aumentata di due terzi»;
     che la previsione di un aumento di pena rigidamente prefissato -
tanto piu' se di notevoli proporzioni, come nella fattispecie oggetto
di  scrutinio  -  risulterebbe  inidonea  a  consentire  una risposta
individualizzata,  diversa  a  seconda  dei  casi  e  della  concreta
personalita' del reo;
     che,  in  tale  ottica, la disposizione impugnata si porrebbe in
contrasto sia con il primo che con il terzo comma dell'art. 27 Cost.,
non assicurando ne' un trattamento che valga a rendere «personale» la
responsabilita'  penale,  ne'  l'irrogazione  di  una  pena  idonea a
conseguire la sua finalita' rieducativa;
     che  detta  disposizione  violerebbe,  altresi', l'art. 3 Cost.,
comportando  l'irrogazione  di pene identiche, a fronte di situazioni
anche  marcatamente  diverse;  cio'  risulterebbe tanto piu' evidente
quando  si discuta di figure criminose - quali la detenzione illegale
e  lo  spaccio  di  sostanze  stupefacenti - caratterizzate da limiti
edittali di pena gia' di per se' elevati;
     che  l'art. 3 Cost. risulterebbe violato anche sotto l'ulteriore
profilo della irrazionalita' intrinseca della norma, avendo lo stesso
legislatore  della  legge  n. 251  del 2005 previsto che, nel caso di
recidiva  semplice, la pena possa essere aumentata fino a un terzo; e
che, nel caso di recidiva aggravata, l'aumento possa essere fino alla
meta';
     che,  in tale quadro - mentre non sarebbe irragionevole che, nel
caso   di   recidiva   reiterata,  l'aumento  divenga  obbligatorio -
risulterebbe  viceversa «incongrua» la determinazione di tale aumento
in  misura fissa, pari a due terzi; apparrebbe, infatti, illogico che
-  a  fronte  della  commissione  di  un ulteriore delitto, magari di
modesta  entita'  e scarsamente rilevante sul piano della valutazione
della personalita' del reo - si passi «automaticamente» da un aumento
di  pena  che  avrebbe potuto essere anche di un solo giorno, fino al
limite massimo della meta', ad un aumento addirittura di due terzi;
     che,  con  le  due  ordinanze  indicate  in epigrafe, di analogo
tenore,  il  Tribunale  di  Ragusa  e il Tribunale di Ragusa, sezione
distaccata di Vittoria, hanno sollevato, in riferimento agli artt. 3,
25,   secondo   comma,   e   27   Cost.,  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 69, quarto comma, cod. pen., come modificato
dall'art.  3  della  legge  n. 251  del  2005,  nella  parte  in  cui
stabilisce  il  divieto  di  prevalenza  delle circostanze attenuanti
sull'aggravante  della  recidiva  reiterata;  nonche'  dell'art.  99,
quarto  comma,  cod. pen., come sostituito dall'art. 4 della medesima
legge,  nella  parte  in  cui prevede un aumento di pena fisso per le
ipotesi di recidiva reiterata;
     che i giudici a quibus
-  chiamati a giudicare, nelle forme del giudizio abbreviato, persone
imputate  del  delitto  di detenzione e cessione illecite di sostanze
stupefacenti,  con l'aggravante della recidiva reiterata - premettono
che  risulterebbe  configurabile,  nei casi di specie, a fronte della
qualita'  e  quantita'  dello  stupefacente detenuto o ceduto e delle
modalita'  della  condotta,  la  circostanza  attenuante  ad  effetto
speciale del fatto di lieve entita', di cui all'art. 73, comma 5, del
d.P.R.   n. 309  del  1990;  e  che  tale  circostanza  comporta  una
sensibilissima  mitigazione  della pena edittale prevista dal comma 1
dello stesso art. 73;
     che,  peraltro  - stante il divieto posto dal censurato art. 69,
quarto   comma,   cod.   pen.  -  detta  attenuante  potrebbe  essere
considerata,  al piu', equivalente all'aggravante contestata; sicche'
all'imputato  andrebbe  inflitta  (salva  la  successiva  diminuzione
conseguente  al  rito)  una  pena minima di sei anni di reclusione ed
euro 26.000 di multa;
     che, ad avviso dei giudici a quibus
,  le  norme denunciate si porrebbero in contrasto, anzitutto, con il
principio  di  ragionevolezza (art. 3 Cost.), incidendo in modo cosi'
energico  sul  potere  discrezionale del giudice, da non consentire a
quest'ultimo  l'irrogazione  di  una  pena proporzionata al disvalore
dell'illecito commesso;
     che  un  ulteriore  profilo  di  violazione  dell'art.  3  Cost.
emergerebbe  dal raffronto con il trattamento sanzionatorio riservato
al  delitto  di  associazione  finalizzata  al  traffico  illecito di
sostanze  stupefacenti: delitto riguardo al quale l'art. 74, comma 6,
del  d.P.R.  n. 309  del 1990 - ove l'associazione sia costituita per
commettere fatti di lieve entita' - opera un rinvio all'art. 416 cod.
pen.;   prevedendo,   in  tal  modo  -  secondo  un  indirizzo  della
giurisprudenza di legittimita' - una fattispecie autonoma di reato, e
non  gia'  una  semplice  diminuzione  di  pena rispetto alle ipotesi
associative piu' gravi previste dai commi 1 e 2 del medesimo art. 74;
     che  da  cio'  deriverebbe  che  il  recidivo  reiterato, per la
cessione anche solo di qualche grammo di hashish, verrebbe punito con
la  pena della reclusione da sei a venti anni, oltre la multa, stante
la  natura  circostanziale  dell'ipotesi di cui all'art. 73, comma 5,
del  d.P.R.  n. 309  del  1990  e  il  divieto di prevalenza di detta
circostanza; invece, il medesimo recidivo reiterato che - commettendo
un  fatto  da  ritenere  senz'altro piu' grave - partecipi o si renda
promotore  di  una  associazione  dedita  al  narcotraffico, anche di
cosiddette droghe pesanti, per fatti di lieve entita', sarebbe punito
con la minore pena della reclusione da uno a cinque anni (nel caso di
mera  partecipazione)  o  da tre a sette anni (nel caso di promozione
del sodalizio criminoso);
     che  sarebbero compromessi, altresi', i principi di materialita'
e  offensivita'  del  reato,  desumibili dall'art. 25, secondo comma,
Cost.:  principi  a  fronte  dei  quali  il  legislatore  - pur senza
trascurare  i  profili  soggettivi  del  reato  -  sarebbe  tenuto  a
valorizzare   in   modo   preminente  la  condotta  posta  in  essere
dall'agente, nella determinazione del trattamento sanzionatorio;
     che,   per   contro,  facendo  derivare  dalla  mera  condizione
personale del reo - legata al suo status
di  recidivo  reiterato  -  il  divieto  assoluto  di  prevalenza  di
circostanze  attenuanti  pure  sussistenti  in concreto e stabilendo,
altresi', un aumento obbligatorio e fisso della pena nei confronti di
detto  recidivo,  il legislatore imporrebbe l'irrogazione di pene che
possono   risultare   manifestamente   sproporzionate  rispetto  alla
gravita' del fatto e alle sue modalita' di realizzazione;
     che  risulterebbe  leso,  di conseguenza, anche l'art. 27 Cost.,
giacche'  una  pena  con  tali  caratteristiche non sarebbe idonea ad
esplicare  nessuna  delle  sue  funzioni:  non quella retributiva, in
quanto  verrebbe  totalmente  trascurata  la componente oggettiva del
fatto;  non  quella  di  prevenzione  generale,  giacche' pene troppo
severe,  se  pure  suscitano  timore,  non  rafforzano  la  coscienza
giuridica  dei consociati, potendo rivelarsi addirittura criminogene;
non,  infine,  quella  di prevenzione speciale, in quanto neppure «il
piu'   incallito  criminale»  sarebbe  in  grado  di  comprendere  il
significato di una pena del tutto sproporzionata al fatto commesso;
     che,  al  tempo  stesso,  la  regola  posta dall'art. 69, quarto
comma,  cod.  pen.  determinerebbe un «appiattimento» del trattamento
sanzionatorio di situazioni anche completamente diverse, imponendo il
giudizio  di  equivalenza  anche  in  presenza di plurime circostanze
attenuanti,  benche'  «autonome»  o  «indipendenti», come nei casi di
specie:  col  risultato  di  determinare  discriminazioni nell'ambito
degli stessi recidivi reiterati;
     che  la  medesima  regola finirebbe, altresi', per ostacolare la
resipiscenza  del reo, il quale non avrebbe alcuno stimolo a porre in
essere condotte riparatorie o risarcitorie post factum
,  quali  quelle  rilevanti  ai  fini dell'applicazione dell'art. 62,
numero 6), cod. pen.;
     che  l'aumento  «notarile»  della  pena  previsto  dall'art. 99,
quarto  comma,  cod.  pen.,  infine  -  impedendo  sotto un ulteriore
profilo  l'adeguamento  della  pena al fatto - rivelerebbe «un totale
disinteresse  dello  Stato» per la finalita' di risocializzazione del
reo;
     che  in  tutti  i giudizi di costituzionalita' e' intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che le questioni
siano dichiarate non fondate.
   Considerato  che  le  ordinanze  di rimessione sollevano questioni
identiche  od  analoghe,  onde  i  relativi giudizi vanno riuniti per
essere definiti con unica decisione;
     che   i   giudici   rimettenti   -   muovendo   dal  presupposto
interpretativo,  indimostrato,  secondo  cui l'aumento di pena per la
recidiva  reiterata  sarebbe  divenuto  obbligatorio  in ogni caso, a
seguito  della  legge  5  dicembre  2005,  n. 251  - censurano che il
legislatore  abbia  configurato  un  «automatismo»  sanzionatorio per
effetto  del  quale  -  a prescindere dalle peculiarita' concrete del
nuovo  delitto e dalla significativita' delle precedenti condanne, ai
fini  della  valutazione  della  personalita'  del  reo - il recidivo
reiterato  si troverebbe ineluttabilmente esposto ad un aumento fisso
della pena di rilevante entita', quale quello previsto dal nuovo art.
99, quarto comma, del codice penale;
     che,   ad   avviso   del   Tribunale   di  Ragusa,  inoltre,  la
contestazione della recidiva reiterata renderebbe senz'altro operante
la  previsione  dell'art. 69, quarto comma, cod. pen., in forza della
quale,  nell'ambito  del  cosiddetto  giudizio  di  bilanciamento, le
circostanze  attenuanti  non possono essere ritenute prevalenti sulla
circostanza  aggravante in questione: previsione che avrebbe, dunque,
l'effetto di neutralizzare - con analogo automatismo - la diminuzione
di  pena  connessa  alle  attenuanti  concorrenti,  a prescindere dal
numero e dalle caratteristiche di queste ultime;
     che,  nello  scrutinare questioni di costituzionalita' aventi ad
oggetto  il  citato art. 69, quarto comma, cod. pen., questa Corte ha
gia'  avuto modo di rilevare, peraltro, come quella prospettata dagli
odierni  rimettenti non rappresenti affatto l'unica lettura possibile
del  vigente  quadro  normativo  (sentenza n. 192 del 2007; ordinanza
n. 409 del 2007);
     che,  in primo luogo, difatti - per le ragioni specificate nella
sentenza  n. 192  del  2007  -  e' possibile ritenere che la recidiva
reiterata  sia  divenuta  obbligatoria  unicamente  nei casi previsti
dall'art.  99,  quinto  comma,  cod. pen. (rispetto ai quali soltanto
tale  regime  e'  espressamente contemplato), e cioe' ove concernente
uno  dei  delitti  indicati  dall'art.  407, comma 2, lettera a), del
codice di procedura penale (il quale reca un elenco di reati ritenuti
dal  legislatore,  a  vari  fini,  di  particolare gravita' e allarme
sociale);   salvo,   poi,   l'ulteriore  problema  interpretativo  di
stabilire  quale  delitto debba rientrare in tale catalogo, affinche'
scatti  l'obbligatorieta':  se  il  delitto  oggetto della precedente
condanna; ovvero il nuovo delitto che vale a costituire lo status
di  recidivo;  o  indifferentemente  l'uno  o  l'altro; o addirittura
entrambi;
     che, d'altra parte, nei limiti in cui si escluda che la recidiva
reiterata  sia  divenuta  obbligatoria, e' possibile sostenere che il
giudice  debba  procedere  al giudizio di bilanciamento - soggetto al
regime  limitativo  di  cui  all'art.  69,  quarto comma, cod. pen. -
unicamente quando ritenga la recidiva reiterata effettivamente idonea
a determinare, di per se', un aumento di pena per il fatto per cui si
procede;  cio'  che  avviene  -  alla stregua dei criteri di corrente
adozione  in  tema  di recidiva facoltativa - solo allorche' il nuovo
episodio  delittuoso  appaia concretamente significativo, in rapporto
alla  natura  ed  al  tempo  di  commissione dei precedenti, sotto il
profilo   della   piu'   accentuata  colpevolezza  e  della  maggiore
pericolosita' del reo;
     che la stessa Corte di cassazione - che in un primo tempo si era
espressa sul tema in modo contrastante - risulta aver adottato, nelle
piu' recenti decisioni, la linea interpretativa dianzi indicata;
     che,  in  fatto, gli odierni rimettenti procedono per delitti in
materia  di  stupefacenti,  che  non  risultano  compresi nell'elenco
dell'art.  407,  comma  2,  lettera a), cod. proc. pen.; i rimettenti
stessi,  inoltre,  non  specificano a quali delitti si riferiscano le
precedenti  condanne  riportate dagli imputati, ovvero riferiscono di
condanne per delitti parimenti non compresi nell'elenco;
     che, nell'ottica della soluzione interpretativa dianzi indicata,
i  giudici  rimettenti  -  all'esito di un apprezzamento basato sulle
caratteristiche del caso concreto - potrebbero, quindi, non applicare
affatto   l'aumento   di   pena   per   la   recidiva   reiterata;  e
conseguentemente   -  quanto  ai  casi  oggetto  delle  ordinanze  di
rimessione  del Tribunale di Ragusa - non procedere ad alcun giudizio
di  bilanciamento fra detta aggravante e la circostanza attenuante di
cui all'art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990;
     che, pertanto - a prescindere dall'ulteriore considerazione che,
nelle   fattispecie  concrete  all'esame  del  Tribunale  di  Ragusa,
l'entita'  dell'aumento  di pena per la recidiva reiterata rimarrebbe
comunque  irrilevante,  posto  che,  per  affermazione  degli  stessi
rimettenti,  detto  aumento  resterebbe  neutralizzato,  in  caso  di
applicazione  dell'art.  69, quarto comma, cod. pen., dal giudizio di
equivalenza  con  l'attenuante  concorrente  - le questioni sollevate
sono manifestamente inammissibili, per la mancata sperimentazione, da
parte dei giudici a quibus
,  della  praticabilita'  di  una soluzione interpretativa diversa da
quella posta a base dei dubbi di costituzionalita' ipotizzati, e tale
da  determinare il possibile superamento di detti dubbi o da renderli
comunque non rilevanti nei casi di specie.
   Visti  gli  artt.  26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.