Ordinanza
nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 99, primo,
terzo   e   quarto   comma,   del   codice  penale,  come  modificati
dall'articolo  4  della  legge  5  dicembre 2005 n. 251 (Modifiche al
codice  penale  e  alla  legge  26 luglio 1975, n. 354, in materia di
attenuanti  generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle
circostanze  di  reato  per  i recidivi, di usura e di prescrizione),
promosso  con  ordinanza  del  9 maggio 2007 dal Giudice dell'udienza
preliminare  del Tribunale di Genova nel procedimento penale a carico
di  C.M., iscritta al n. 645 del registro ordinanze 2007 e pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale della Repubblica n. 37, 1ª serie speciale,
dell'anno 2007.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
ministri;
   Udito  nella  Camera  di  consiglio  del  12 marzo 2008 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
   Ritenuto che, con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Giudice per
le  indagini  preliminari  del  Tribunale  di  Genova, in funzione di
giudice  dell'udienza  preliminare, ha sollevato, in riferimento agli
artt.  3,  25  e  27  della  Costituzione,  questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 99, primo, terzo e quarto comma, del codice
penale,  come  sostituito  dall'art.  4  della legge 5 dicembre 2005,
n. 251  (Modifiche  al  codice  penale  e  alla legge 26 luglio 1975,
n. 354,  in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio
di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e
di  prescrizione),  nella  parte  in  cui  prevede  che,  nei casi di
recidiva   semplice,   di   recidiva  pluriaggravata  e  di  recidiva
reiterata, la pena possa essere aumentata nella misura fissa indicata
in relazione a ciascuna di dette ipotesi, anziche' «fino alla» misura
stessa;
     che  il  giudice  a quo premette di essere chiamato a giudicare,
nelle  forme  del giudizio abbreviato, una persona imputata del reato
di  detenzione  illecita  di  sostanza stupefacente, con l'aggravante
della  recidiva  reiterata, specifica e infraquinquennale: aggravante
per la quale il nuovo testo dell'art. 99 cod. pen. prevede un aumento
di pena nella misura fissa di due terzi;
     che,  per  la  quantita'  della sostanza detenuta e le modalita'
della  detenzione, il fatto oggetto di giudizio non puo' - secondo il
rimettente   -   essere   considerato   di   lieve  entita'  ai  fini
dell'applicazione  dell'attenuante speciale di cui all'art. 73, comma
5,  del  d.P.R.  9  ottobre  1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in
materia  di  stupefacenti  e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e
riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza); ne', d'altra
parte,   potrebbero   essere   concesse  all'imputato  le  attenuanti
generiche, tenuto conto del negativo comportamento processuale, delle
numerose  condanne precedentemente riportate - anche per reati gravi,
quali  la  rapina,  l'estorsione  e il sequestro di persona - e della
circostanza che il reato per cui si procede e' l'«ultimo di una serie
di  delitti, tutti determinati dalla condizione di tossicodipendenza,
commessi con abitualita' e senza soluzione di continuo»;
     che,  pertanto,  anche  qualora la pena base venisse determinata
nel minimo edittale previsto dall'art. 73, comma 1, del d.P.R. n. 309
del  1990  (anni sei di reclusione ed euro 26.000 di multa) - scelta,
ad  avviso  del rimettente, «non [...] facilmente giustificabile alla
luce  dei  parametri  di  cui  all'art.  133  cod.  pen.» - l'aumento
derivante   dall'applicazione  della  recidiva  risulterebbe  pari  a
quattro  anni  di  reclusione  ed  euro  17.333 di multa; ed esso non
potrebbe  essere  temperato  -  stante  l'entita' delle condanne gia'
riportate  dall'imputato - neppure dal limite posto dall'ultimo comma
dell'art.  99 cod. pen., in forza del quale l'aumento per la recidiva
non  puo'  superare  «il  cumulo delle pene risultante dalle condanne
precedenti alla commissione del nuovo delitto»;
     che  la  norma  impugnata  presenterebbe,  tuttavia,  profili di
irragionevolezza  e  di contraddittorieta' tali da porla in contrasto
con i principi costituzionali sanciti dagli artt. 3, 25 e 27 Cost.;
     che, al riguardo, il rimettente osserva come la legge n. 251 del
2005, nel modificare l'art. 99 cod. pen., non abbia eliminato - salvo
che  per  i  delitti previsti dall'art. 407, comma 2, lettera a), del
codice di procedura penale - il carattere facoltativo dell'aumento di
pena  per  la recidiva: onde il giudice conserverebbe la possibilita'
di   valutare   se   la   ricaduta   nel  reato  sia  espressione  di
«insensibilita'  etica  ed  attitudine  a delinquere», giustificando,
percio',  una  pena  piu'  severa;  o se, al contrario, non meriti un
inasprimento  del trattamento sanzionatorio, avuto riguardo ai motivi
contingenti   che  hanno  determinato  il  nuovo  delitto,  alla  sua
eterogeneita'  rispetto  ai precedenti o al lungo intervallo di tempo
trascorso rispetto ad essi;
     che,  tuttavia, qualora - come nel caso di specie - non vi siano
elementi  che  giustifichino  la  scelta  di escludere l'operativita'
della recidiva, la determinazione del conseguente aumento di pena non
viene  piu'  demandata  al  prudente apprezzamento del giudice, ma e'
effettuata ex ante
dal legislatore in misura fissa; cosi' che il giudice puo' modificare
l'entita' dell'aumento solo variando la pena base, ma non in funzione
della maggiore o minore rilevanza concreta della circostanza;
     che  tale  regime  e' stato adottato, in specie, per la recidiva
semplice (primo comma dell'art. 99 cod. pen.: aumento nella misura di
un  terzo);  per la recidiva pluriaggravata (terzo comma dello stesso
articolo:  aumento  della  meta);  per  la recidiva reiterata (quarto
comma,  prima parte: aumento della meta); e per la recidiva reiterata
ed aggravata (quarto comma, seconda parte: aumento di due terzi);
     che  l'unico caso nel quale il legislatore non ha determinato in
misura   fissa   l'entita'  dell'aumento  e'  quello  della  recidiva
monoaggravata,  previsto  dal  secondo  comma dell'art. 99 cod. pen.,
poiche'  -  quando  ricorra  una sola delle ipotesi descritte da tale
disposizione (nuovo delitto della stessa indole; delitto commesso nei
cinque  anni  dalla  condanna  precedente; delitto commesso durante o
dopo  l'esecuzione  della pena o nel tempo in cui il condannato si e'
volontariamente  sottratto  ad  essa) - la pena puo' essere aumentata
«fino alla meta»;
     che  -  ad  avviso  del  rimettente  -  tale scelta normativa si
rivelerebbe,  peraltro, del tutto irrazionale, in quanto, a fronte di
essa, sarebbe possibile applicare al recidivo aggravato un aumento di
pena  anche  di  un  solo  giorno di reclusione o di un euro di multa
(«fino alla meta») e, dunque, minore rispetto all'aumento applicabile
al recidivo semplice, necessariamente pari ad un terzo;
     che  non  si  potrebbe neppure sostenere, in via interpretativa,
che  nei  casi  di  recidiva  aggravata  l'aumento  non  possa essere
comunque  inferiore  a  quello  previsto  per  la  recidiva  semplice
(andando, quindi, da un terzo alla meta), trattandosi, da un lato, di
una interpretazione in malam partem
;  dall'altro  lato, di una interpretazione preclusa dalla previsione
del  quinto comma dell'art. 99 cod. pen., in base alla quale soltanto
con  riferimento ai delitti di cui all'art. 407, comma 2, lettera a),
cod.  proc. pen., l'aumento di pena per la recidiva aggravata - oltre
ad essere obbligatorio - «non puo' essere inferiore ad un terzo della
pena da infliggere per il nuovo delitto»;
     che,  al di la di cio', l'intero trattamento sanzionatorio della
recidiva,  delineato  dal  nuovo  art.  99 cod. pen., darebbe luogo a
disparita'  di  trattamento  prive  di razionale giustificazione, non
superabili   per   effetto   della  facoltativita'  dell'applicazione
dell'aumento di pena;
     che,  ad  esempio,  quando l'autore del nuovo delitto abbia gia'
riportato  una  condanna  per  un reato della stessa indole (recidiva
specifica), l'eventuale aumento di pena puo' essere discrezionalmente
determinato   dal  giudice  in  misura  variabile  da  un  giorno  di
reclusione  (o  un  euro  di  multa), fino alla meta' della pena base
inflitta  per  il  nuovo  reato;  per  contro,  ove il reo abbia gia'
riportato,  oltre  ad  una condanna per un reato della stessa indole,
una  o  piu'  ulteriori  condanne  per  delitti non colposi (recidiva
reiterata  e  specifica),  l'eventuale  aumento  della pena base deve
essere  senz'altro pari a due terzi; e cio' anche quando le ulteriori
condanne  riguardino episodi non gravi, del tutto eterogenei rispetto
a quello per cui si procede e risalenti nel tempo;
     che,  analogamente,  nei  confronti  di  chi  abbia  commesso un
delitto  non  colposo  nei  cinque anni dalla precedente condanna, il
giudice  puo'  determinare  l'aumento di pena - entro il limite della
meta'  -  tenendo conto della gravita' del precedente delitto e della
personalita'  dell'imputato;  invece,  colui il quale - essendo stato
condannato due o piu' volte per delitti non colposi - commetta, molti
anni  dopo,  un altro delitto non colposo, potrebbe vedersi aumentata
la  pena «della meta», quale recidivo reiterato, senza che il giudice
possa  graduare  tale  aumento  alla  luce del tempo trascorso, della
gravita'  e  della  omogeneita'  o meno del nuovo delitto rispetto ai
precedenti;
     che  il  rimettente  ricorda,  altresi',  che  -  secondo quanto
chiarito  da  questa  Corte  con  la  sentenza  n. 50  del  1980 - il
principio  di  legalita'  delle  pene,  sancito dall'art. 25, secondo
comma,  Cost.,  «esige  la differenziazione piu' che l'uniformita»; e
che   «l'adeguamento   delle   risposte  punitive  ai  casi  concreti
contribuisce   a   rendere   quanto  piu'  possibile  "personale"  la
responsabilita'  penale nella prospettiva segnata dall'art. 27, primo
comma, della Costituzione»;
     che da cio' deriva che il legislatore e' tenuto ad articolare il
sistema   sanzionatorio   in   modo  da  consentire  un  «adeguamento
individualizzato e proporzionale» delle pene inflitte con le sentenze
di  condanna,  riconoscendo  «appropriati  ambiti  e  criteri  per la
discrezionalita'  del  giudice»:  sicche',  in  linea  di  principio,
previsioni sanzionatorie rigide non appaiono in armonia con il «volto
costituzionale» del sistema penale;
     che,  pertanto  -  allorche',  come nella specie, il legislatore
differenzi  ingiustificatamente  situazioni  analoghe, prevedendo per
alcune aumenti di pena rigidi e per altre, anche di maggior gravita',
aumenti  di  pena  graduabili  - il contrasto dovrebbe essere risolto
tramite  la  generalizzazione  della  seconda  opzione, che meglio si
armonizza con i principi sanciti dai citati artt. 25 e 27 Cost.;
     che   nel   giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto  il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale dello Stato, chiedendo che la questione sia
dichiarata inammissibile o manifestamente infondata.
   Considerato  che  il  giudice rimettente dubita della legittimita'
costituzionale,   in   riferimento  agli  artt.  3,  25  e  27  della
Costituzione,  dell'art.  99, primo, terzo e quarto comma, del codice
penale,  come  sostituito  dall'art.  4  della legge 5 dicembre 2005,
n. 251  (Modifiche  al  codice  penale  e  alla legge 26 luglio 1975,
n. 354,  in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio
di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e
di  prescrizione),  nella  parte  in cui stabilisce che - nei casi di
recidiva semplice, di recidiva pluriaggravata e di recidiva reiterata
-  la  pena  possa  essere  aumentata  nella misura fissa indicata in
relazione  a  ciascuna  di dette ipotesi, anziche' «fino alla» misura
stessa;
     che  -  come  eccepito  anche  dall'Avvocatura  dello Stato - la
questione   risulta   palesemente   irrilevante   in   rapporto  alle
disposizioni  del primo e del terzo comma dell'art. 99 cod. pen., che
prevedono  gli  aumenti  di  pena,  rispettivamente,  per la recidiva
semplice e la recidiva pluriaggravata; l'unica disposizione che viene
in rilievo, nel caso di specie, e' quella del quarto comma del citato
art.  99  cod. pen., poiche' - secondo quanto riferito nell'ordinanza
di  rimessione  - all'imputato nel giudizio a quo e' stata contestata
la  recidiva reiterata (e, piu' in particolare, la recidiva reiterata
aggravata);
     che   -   quanto   alle   censure   che  investono  tale  ultima
disposizione,  e  con  particolare  riguardo  alla dedotta violazione
dell'art.  3  Cost.  -  la giurisprudenza di questa Corte e' costante
nell'affermare  che la scelta e la quantificazione delle sanzioni per
i   singoli   fatti   punibili  rientra  nella  discrezionalita'  del
legislatore,  il  cui  esercizio  e'  censurabile  solo  nel  caso di
manifesta irragionevolezza, in sede di sindacato di costituzionalita'
(ex  plurimis,  sentenze n. 22 del 2007, n. 394 del 2006 e n. 144 del
2005):   principio,   questo,  riferibile  evidentemente  anche  alla
determinazione degli aumenti di pena per le circostanze aggravanti;
     che,    nella    specie,   il   rimettente   desume   l'asserita
irrazionalita' del regime sanzionatorio della recidiva dal fatto che,
nel  caso  di  recidiva  reiterata,  non  sia  consentito  al giudice
graduare   il   corrispondente  aumento  di  pena  in  rapporto  alle
peculiarita'  del caso concreto, come invece gli e' permesso, in base
al  secondo  comma  dell'art.  99  cod.  pen.,  nel  caso di recidiva
aggravata;
     che,  tuttavia,  la  scelta  legislativa di prevedere per talune
forme  di  recidiva  un  aumento  di  pena fisso e per altre (la sola
recidiva aggravata) un aumento variabile, non comporta - di per se' -
una violazione del principio di uguaglianza e di ragionevolezza, fino
a  quando  non  consti  che la soluzione normativa adottata e' atta a
produrre  sperequazioni  prive di qualsiasi ratio giustificativa, nel
trattamento sanzionatorio di situazioni omogenee;
     che,  per  questo  verso,  i  profili  di  irrazionalita' che il
rimettente  denuncia -  nel  passaggio  dal trattamento sanzionatorio
della   recidiva   aggravata   (e,  in  particolare,  della  recidiva
specifica)  a quello della recidiva reiterata (rimanendo irrilevante,
per  quanto detto, il confronto tra il regime della recidiva semplice
e  quello della recidiva aggravata) - vengono a risolversi in censure
di  merito  alle  scelte  discrezionali  del legislatore, in punto di
determinazione  della  pena,  basate su personali apprezzamenti dello
stesso rimettente;
     che,   d'altra  parte  -  avuto  riguardo  agli  esempi  addotti
nell'ordinanza    di   rimessione   a   dimostrazione   dell'asserita
irrazionalita', con i quali si prospetta l'eventualita' che, nel caso
di  recidiva  reiterata,  le precedenti condanne concernano reati non
gravi,  eterogenei  rispetto  a quello per cui si procede e risalenti
nel  tempo  - il giudice a quo riconosce che, anche dopo le modifiche
operate   dalla  legge  n. 251  del  2005,  la  recidiva  e'  rimasta
facoltativa  in  tutte  le  sue  forme,  salvo che nei casi di cui al
quinto  comma  dell'art. 99 cod. pen. (e, cioe', quando si tratti dei
delitti  previsti  dall'art.  407, comma 2, lettera a), del codice di
procedura  penale):  con la conseguenza che, nella stessa prospettiva
del  rimettente,  il  giudice  potrebbe  comunque  tenere conto della
natura   delle   precedenti   condanne   per   escludere   in  radice
l'applicazione dell'aumento di pena;
     che  quanto,  all'asserita violazione degli artt. 25 e 27 Cost.,
va  osservato  come  l'affermazione  di  questa  Corte  - evocata dal
giudice a quo - circa la tendenziale contrarieta' delle pene fisse al
«volto costituzionale» dell'illecito penale (si veda, in particolare,
la  sentenza  n. 50  del  1980),  debba intendersi riferita alle pene
fisse  nel  loro  complesso:  non  ai  trattamenti  sanzionatori  che
coniughino   articolazioni  rigide  ed  articolazioni  elastiche,  in
maniera    tale    da   lasciare   comunque   adeguati   spazi   alla
discrezionalita' del giudice, ai fini dell'adeguamento della risposta
punitiva alle singole fattispecie concrete;
     che  questa  Corte  ha  escluso,  in tal ottica, che i parametri
costituzionali  che  esigono  l'individualizzazione  del  trattamento
sanzionatorio possano considerarsi lesi nell'ipotesi di comminatoria,
per  un determinato illecito, di una pena pecuniaria fissa, congiunta
ad una pena detentiva dotata di una forbice edittale; infatti, in una
simile  evenienza,  il giudice conserva, agendo anche solo sulla pena
detentiva,  la  possibilita'  di  adeguare  la risposta punitiva alle
specificita'  del  singolo  caso  (con  riferimento agli artt. 3 e 27
Cost.,  sentenza  n. 472  del  2002;  si  veda, altresi', la sentenza
n. 188 del 1982);
     che, nell'ipotesi in esame - come lo stesso rimettente riconosce
- il giudice puo', a monte, decidere discrezionalmente se applicare o
meno  l'aumento  di pena per l'aggravante in questione; e cio' - alla
stregua  dei  criteri  di  corrente  adozione  in  tema  di  recidiva
facoltativa    -   in   esito   alla   valutazione   della   concreta
significativita'  del  nuovo  delitto,  in rapporto alla natura ed al
tempo  di  commissione  dei  precedenti,  sotto il profilo della piu'
accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosita' del reo;
     che,  d'altra  parte,  ove  il  giudice  opti per l'applicazione
dell'aumento   di  pena,  quest'ultimo  risulta  fisso  nella  misura
frazionaria;  la  quale,  tuttavia,  si correla ad un dato variabile,
qual   e'  la  pena  base,  che  il  giudice  puo'  discrezionalmente
determinare,  tra  il  minimo  e  il  massimo edittale, alla luce dei
criteri  stabiliti  dall'art.  133  cod.  pen., incidendo di riflesso
anche sull'incremento connesso alla recidiva;
     che,  in  conclusione  -  pur costituendo, quello scrutinato, un
assetto  che  si  discosta  per  piu'  versi dalle linee generali del
sistema  -  deve  comunque  escludersi che il giudice, per effetto di
esso,   resti   privo  di  sufficienti  margini  di  adattamento  del
trattamento  sanzionatorio  alle  peculiarita'  della singola ipotesi
concreta;
     che    la    questione   deve   essere   dichiarata,   pertanto,
manifestamente  inammissibile, in rapporto al primo ed al terzo comma
dell'art.  99  cod.  pen., e manifestamente infondata, in rapporto al
quarto comma del medesimo articolo.
   Visti  gli  artt.  26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.