Ordinanza
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 3, commi 2-bis e
2-ter   del   decreto-legge   30   novembre   2005,   n. 245  (Misure
straordinarie  per  fronteggiare  l'emergenza nel settore dei rifiuti
nella  regione  Campania  ed  ulteriori  disposizioni  in  materia di
protezione   civile),   commi   aggiunti   dalla  relativa  legge  di
conversione 27 gennaio 2006, n. 21, promossi con cinque ordinanze dal
Tribunale amministrativo regionale della Calabria, sede di Catanzaro,
rispettivamente  iscritte ai nn. dal 692 a 696 del registro ordinanze
2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, 1ª
serie speciale, dell'anno 2007.
   Visti  gli  atti  di  costituzione  dell'E.N.I. S.p.a. - Divisione
Refining  e  Marketing  nonche' gli atti di intervento del Presidente
del Consiglio dei ministri;
   Udito  nella  Camera  di  consiglio  del  12 marzo 2008 il giudice
relatore Alfonso Quaranta.
   Ritenuto   che,   con  le  ordinanze  in  epigrafe,  il  Tribunale
amministrativo  regionale  della  Calabria,  sede  di  Catanzaro,  ha
sollevato  -  in  riferimento  agli  articoli  3, 24, 111 e 125 della
Costituzione - questioni di legittimita' costituzionale dell'articolo
3,  commi  2-bis  e 2-ter, del decreto-legge 30 novembre 2005, n. 245
(Misure  straordinarie  per  fronteggiare l'emergenza nel settore dei
rifiuti  nella  regione Campania ed ulteriori disposizioni in materia
di  protezione  civile),  commi  aggiunti  dalla  relativa  legge  di
conversione  27  gennaio  2006, n. 21, ipotizzandone l'illegittimita'
«nella parte in cui prevedono la competenza in primo grado, esclusiva
ed  inderogabile,  estesa  anche  ai  giudizi in corso, del Tribunale
amministrativo  regionale  del  Lazio,  sede  di  Roma,  sui  ricorsi
giurisdizionali  proposti  avverso  le  ordinanze  ed i provvedimenti
adottati  nell'ambito  delle  situazioni  di  emergenza dichiarate ai
sensi  dell'art.  5,  comma  1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225»
(Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile);
     che  l'oggetto dei giudizi principali - secondo quanto premesso,
in punto di fatto, dal rimettente - e' costituito dall'impugnativa di
provvedimenti   emessi   dal  Commissario  delegato  per  l'emergenza
ambientale nel territorio della Regione Calabria;
     che  il  giudice  a  quo  deduce,  inoltre, di essere chiamato a
conoscere della domanda cautelare proposta dai ricorrenti dei giudizi
principali,  ma di dover declinare la propria competenza, ai sensi di
quanto previsto dal comma 2-bis dell'art. 3 del d.l. n. 245 del 2005,
secondo cui, in «tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi
dell'articolo  5,  comma  1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, la
competenza  di  primo  grado  a  conoscere  della  legittimita' delle
ordinanze  adottate  e dei consequenziali provvedimenti commissariali
spetta  in via esclusiva, anche per l'emanazione di misure cautelari,
al tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede in Roma»;
     che  il  Tribunale  amministrativo  rimettente dubita, tuttavia,
della conformita' alla Costituzione di detta disciplina;
     che   il   rimettente   ipotizza,  innanzitutto,  la  violazione
dell'art.  3  Cost.,  «per la disparita' di trattamento che la deroga
alle  ordinarie  regole  di riparto delle competenze comporta, per la
tutela  giurisdizionale  delle  rispettive situazioni giuridiche, tra
soggetti in situazioni eguali»;
     che,  difatti,  risulterebbero  assoggettati  ad  un trattamento
differenziato privo di giustificazione i «destinatari delle ordinanze
adottate  dagli  organi  governativi o dai commissari delegati, nelle
situazioni  di  dichiarata  emergenza,  aventi  efficacia limitata al
territorio   di   una   Regione»,   rispetto   ai   «destinatari  dei
provvedimenti, aventi lo stesso ambito di efficacia, adottati, in via
ordinaria»,  e posti in essere, in genere, «dagli organi esponenziali
di enti territoriali regionali o sub regionali»;
     che   in   definitiva,   osserva   il  giudice  a  quo,  «mentre
l'impugnazione   dei   provvedimenti  adottati  nell'esercizio  delle
ordinarie   attribuzioni   rientra  nella  competenza  del  Tribunale
amministrativo  regionale  regionale  del  luogo  ove i provvedimenti
hanno  incidenza»,  in  caso  di  dichiarazione  della  situazione di
emergenza ai sensi dell'art. 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992,
la  cognizione  a  conoscere  di quegli stessi provvedimenti, sebbene
«volti  alla cura dei medesimi interessi» e quindi «idonei a produrre
le  medesime conseguenze, eventualmente a comprimere uguali posizioni
soggettive», spetta al Tribunale amministrativo regionale del Lazio;
     che,  d'altra  parte,  tale  diversita'  neppure potrebbe essere
giustificata   «dalla  maggiore  o  minore  rilevanza  dell'interesse
sotteso ai provvedimenti» in questione, in quanto - assume il giudice
a  quo  -  il  sistema  di giustizia amministrativa non contempla una
distribuzione  di  competenza tra gli organi giurisdizionali di primo
grado  fondata  su  un  simile criterio, che sarebbe, oltretutto, «in
contrasto  con  le  disposizioni  costituzionali»  (segnatamente  con
l'art. 125 Cost.) che li «pongono su un piano paritario»;
     che,  inoltre,  decisiva - nella stessa prospettiva - sarebbe la
constatazione  che le situazioni di emergenza di cui all'art. 5 della
legge  n. 225  del  1992  «non  si  caratterizzano per il particolare
rilievo  dell'interesse  considerato», bensi' soltanto «per l'urgenza
di provvedere»;
     che  le  disposizioni censurate non possano, neppure in ipotesi,
trovare  fondamento  nella  pretesa maggiore rilevanza dell'interesse
curato, sarebbe confermato dal fatto - osserva ancora il rimettente -
che  il  peculiare  regime  processuale  da  esse  previsto  riguarda
unicamente   le  ordinanze  e  gli  atti  commissariali  adottati  in
situazioni  emergenziali, «ma non i provvedimenti che tali situazioni
di   emergenza  dichiarino»,  con  conseguente  irragionevolezza  del
«disegno complessivo» realizzato dal legislatore;
     che,  poi,  a  giustificazione  di tale disegno - e quindi della
deroga  introdotta all'ordinario criterio di riparto della competenza
territoriale  tra  tribunali  amministrativi regionali previsto dagli
artt.  2  e  3  della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei
Tribunali  amministrativi  regionali)  - neppure potrebbero invocarsi
ragioni  analoghe  a  quelle  valorizzate  dalla sentenza della Corte
costituzionale n. 189 del 1992;
     che,  infatti,  tale sentenza - nello scrutinare la legittimita'
costituzionale   dell'art.  4  della  legge  12  aprile  1990,  n. 74
(Modifica  alle  norme sul sistema elettorale e sul funzionamento del
Consiglio  superiore della magistratura), articolo che attribuisce al
Tribunale amministrativo regionale del Lazio «la competenza esclusiva
sull'impugnazione degli atti del C.S.M.» - ha ritenuto di individuare
la ratio legis
,   secondo   il   rimettente,  soltanto  nella  peculiare  posizione
costituzionale del Consiglio superiore della magistratura;
     che, per contro, la disciplina contestata «non appare supportata
da alcuna plausibile ragione, dotata di copertura costituzionale»;
     che  essa,  inoltre,  violerebbe sia l'art. 24 Cost., in ragione
dell'«ingiustificato  aggravio organizzativo e di costi a cui debbono
andare  incontro  i  soggetti  incisi  dai provvedimenti impugnati» a
causa della prevista translatio iudicii
nei  confronti  del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sia
l'art.  125  della Carta fondamentale che, «in sostanziale coerenza e
continuita'  logica»  con il precedente art. 24, enuncia il principio
«del  decentramento  territoriale della giurisdizione amministrativa»
con   riferimento   a   tutte   le   controversie   scaturenti  dalla
contestazione  di atti amministrativi «destinati ad esaurire i propri
effetti in loco»;
     che,  infine,  le  censurate  disposizioni  creano «una sorta di
gerarchia  tra  i  Tribunale  amministrativo regionale territoriali»,
realizzando anche un «non irrilevante vulnus
del  principio  generale  del giusto "processo", quale desumibile dal
testo novellato dall'art. 111 della Costituzione»;
     che   e'  intervenuto,  in  tutti  giudizi,  il  Presidente  del
Consiglio   dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  chiedendo  che  le questioni sollevate siano
dichiarate manifestamente infondate, atteso che questioni identiche a
quelle  oggetto degli odierni giudizi sono state ritenute non fondate
dalla Corte costituzionale con sentenza n. 237 del 2007;
     che  si e' costituita in tutti i giudizi (salvo quello originato
dall'ordinanza  di  rimessione  iscritta  al n. 696 del r.o. 2007) la
societa'  Eni  s.p.a., ricorrente in ciascuno dei giudizi principali,
chiedendo    l'accoglimento    della    questione   di   legittimita'
costituzionale.
   Considerato  che,  con  cinque  ordinanze  di contenuto pressoche'
identico,  il Tribunale amministrativo regionale della Calabria, sede
di  Catanzaro, ha sollevato - in riferimento agli articoli 3, 24, 111
e  125  della Costituzione - questioni di legittimita' costituzionale
dell'articolo  3,  commi 2-bis e 2-ter, del decreto-legge 30 novembre
2005,  n. 245  (Misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel
settore  dei rifiuti nella regione Campania ed ulteriori disposizioni
in materia di protezione civile), commi aggiunti dalla relativa legge
di conversione 27 gennaio 2006, n. 21, ipotizzandone l'illegittimita'
«nella parte in cui prevedono la competenza in primo grado, esclusiva
ed  inderogabile,  estesa  anche  ai  giudizi in corso, del Tribunale
amministrativo  regionale  del  Lazio,  sede  di  Roma,  sui  ricorsi
giurisdizionali  proposti  avverso  le  ordinanze  ed i provvedimenti
adottati  nell'ambito  delle  situazioni  di  emergenza dichiarate ai
sensi  dell'art.  5,  comma  1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225»
(Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile);
     che,  in  via  preliminare, deve essere disposta la riunione dei
giudizi,  atteso  che  la  loro  comunanza  di  oggetto ne giustifica
l'unitaria trattazione ai fini di un'unica pronuncia;
     che,  quanto  al  merito  delle  censure  formulate  dal giudice
rimettente,  deve  osservarsi  come questa Corte, con sentenza n. 237
del  2007,  abbia  gia'  escluso  la  fondatezza di analoghi dubbi di
legittimita'   costituzionale   aventi   ad   oggetto  la  disciplina
processuale in contestazione;
     che, in primo luogo, le motivazioni della citata sentenza n. 237
del  2007  possono  essere qui richiamate in relazione all'ipotizzata
violazione dell'art. 3 Cost., prospettata adducendo tanto l'esistenza
di  una  supposta  «disparita'  di  trattamento  che  la  deroga alle
ordinarie  regole di riparto delle competenze comporta, per la tutela
delle  rispettive  posizioni  giuridiche,  tra soggetti in situazioni
eguali»   (giacche'   le  disposizioni  censurate  riserverebbero  un
trattamento  ingiustificatamente  differenziato ai «destinatari delle
ordinanze   adottate   dagli  organi  governativi  o  dai  commissari
delegati,  nelle situazioni di dichiarata emergenza, aventi efficacia
limitata  al  territorio  di una regione, rispetto ai destinatari dei
provvedimenti  aventi lo stesso ambito di efficacia, adottati, in via
ordinaria, dagli organi esponenziali di enti territoriali regionali o
sub  regionali»), quanto l'irragionevolezza della scelta compiuta dal
legislatore,  poiche'  «lo  spostamento  delle  competenza  su questa
materia  e'  irrazionalmente  solo  parziale», giacche' riguarderebbe
unicamente   «le   ordinanze   ed   i   consequenziali  provvedimenti
commissariali,  ma  non i decreti governativi che dichiarano lo stato
di emergenza»;
     che, tuttavia, in ordine alla presunta disparita' di trattamento
alla  quale  le  norme  in  contestazione sottoporrebbero «situazioni
eguali  di  fronte  alla tutela giurisdizionale», puo' in questa sede
ribadirsi come sia «proprio l'avvenuta dichiarazione della situazione
di  emergenza,  ex  art.  5, comma 1, della legge n. 225 del 1992», a
costituire  «l'elemento  caratterizzante la fattispecie oggetto della
censurata  disciplina, impedendo, cosi', di ravvisare quel profilo di
omogeneita'  tra  tale  ipotesi e quella - con cui essa viene posta a
confronto  -  dell'ordinario  esercizio  dei  poteri amministrativi»,
profilo  che  rappresenta,  invece, «il presupposto indispensabile ai
fini  della  loro  valutazione comparativa» (cosi' la sentenza n. 237
del 2007);
     che in relazione, invece, al supposto difetto di ragionevolezza,
questa Corte ha rilevato come i giudici rimettenti «non si sono posti
alla  ricerca  di  una differente interpretazione» che - «sulla base,
peraltro,  della semplice lettera della norma» - consenta di ritenere
sottoposta alla competenza del Tribunale amministrativo regionale del
Lazio «anche l'impugnativa dei provvedimenti dichiarativi dello stato
di emergenza, qualunque sia il loro ambito territoriale di efficacia,
attesa,  tra  l'altro,  la  loro  natura di atti presupposti» (cosi',
nuovamente, la sentenza n. 237 del 2007);
     che,  del pari, manifestamente infondata e' la censura sollevata
con   riferimento   all'art.   24   Cost.   e   motivata  in  ragione
dell'«ingiustificato   aggravio   organizzativo   e   di  costi»  che
subirebbero  «i  soggetti incisi dai provvedimenti impugnati» a causa
della prevista translatio iudicii
nei  confronti del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede
di Roma;
     che,  tuttavia,  in  relazione  al  primo  di  tali  profili, la
sentenza   n. 237   del   2007   ha   osservato  come  il  denunciato
inconveniente  non  costituisca un «grave ostacolo» al «conseguimento
della  tutela  giurisdizionale», non concretizzando quella condizione
di  «sostanziale  impedimento  all'esercizio  del  diritto  di azione
garantito dall'art. 24 della Costituzione» suscettibile «di integrare
la violazione del citato parametro costituzionale»;
     che,   del   pari,   e'   manifestamente  infondata  la  censura
concernente  la  presunta violazione dell'art. 111 Cost., motivata in
base  all'argomento che le disposizioni censurate, creando «una sorta
di  gerarchia» tra il Tribunale regionale amministrativo per il Lazio
e gli altri tribunali, recherebbero un vulnus
al principio del «giusto processo»;
     che  in  ordine  a  tale  doglianza - a parte, evidentemente, il
rilievo  che  valgono  qui  le  stesse  considerazioni  svolte  circa
l'asserita violazione dell'art. 24 Cost. - puo' ribadirsi, ancora una
volta,  quanto  osservato nella sentenza n. 237 del 2007, ovvero «che
tali  censure  non  sono  dotate  di  una  propria autonomia rispetto
all'ipotizzata violazione dell'art. 125 della Carta fondamentale»;
     che  in  relazione,  poi,  proprio  a  tale censura non puo' che
tornarsi  a  sottolineare  che  «l'attribuzione  della  competenza al
Tribunale  amministrativo  regionale  del  Lazio, anziche' ai diversi
Tribunali  amministrativi  regionali dislocati su tutto il territorio
nazionale,  non  altera  il  sistema  di  giustizia  amministrativa»,
esistendo,  nella  specie,  «ragioni  idonee a giustificare la deroga
agli ordinari criteri di ripartizione della competenza tra gli organi
di  primo  grado della giustizia amministrativa» (sentenza n. 237 del
2007);
     che, difatti, tali ragioni sono state individuate - sempre nella
citata  sentenza  n. 237 del 2007 - «nel peculiare regime che connota
le  situazioni  di  emergenza  - e particolarmente quelle di cui alla
lettera  c)  del  comma  1 dell'art. 2 della legge n. 225 del 1992 »,
atteso  che,  ricorrendo  tale  evenienza,  «i provvedimenti posti in
essere   dai   commissari  delegati  sono  atti  dell'amministrazione
centrale  dello  Stato  (in  quanto emessi da organi che operano come
longa manus
del  Governo)  finalizzati  a  soddisfare  interessi  che trascendono
quelli  delle  comunita' locali coinvolte dalle singole situazioni di
emergenza,  e  cio'  in  ragione  tanto della rilevanza delle stesse,
quanto della straordinarieta' dei poteri necessari per farvi fronte»;
     che,  pertanto,  non  essendo state prospettate - in relazione a
nessuna   delle   censure   formulate   dal   giudice   rimettente  -
argomentazioni  nuove,  rispetto  a  quelle  gia' esaminate da questa
Corte,  si  impone,  nel caso di specie, la declaratoria di manifesta
infondatezza delle questioni sollevate.
   Visti  gli  artt.  26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.