LA CORTE DI APPELLO
   Ha  pronunciato  la seguente ordinanza nel procedimento civile RG.
540/01  avente  ad  oggetto:  espropriazione,  promossa da Autostrade
concessioni  e  costruz.  Autostrade S.P.A. e Autostrade per l'Italia
S.P.A.  (avv.  Sarasso  Carlo)  appellanti;  Contro  Ravizza Viviana,
Ravizza  Giorgiana,  Ravizza Alexandra o Alessandra, Ravizza Rugiada,
Zanelli De Vescovi Linda (avv. Montanaro Riccardo) appellati.
   Udienza spedizione 4 maggio 2007.
   Letti gli atti e i documenti di causa;
   Premesso  che  con  atto  di citazione in riassunzione ex art. 392
c.p.c.,  notificato  in  data 3 marzo 2001, la Societa' Autostrade ha
convenuto  davanti  a questa sezione della Corte di Appello di Torino
Ravizza   Viviana,  Bedogni  Cristiana,  Ravizza  Alexandra,  Ravizza
Giorgiana,  Ravizza  Rugiada,  quali eredi di Ravizza Ugo, al fine di
determinare l'indennita' di espropriazione e di occupazione dovuta ai
predetti  eredi  sulla  base del principio di diritto enunciato dalla
cassazione  con  la  sentenza  n. 3712/2000,  deliberata il 6 ottobre
1999, a seguito del ricorso della Societa' Autostrade;
     che  le  parti  riassunte  si  sono  costituite in giudizio e il
contraddittorio  e'  stato  regolarmente  integrato  nei confronti di
un'altra  erede,  Linda  Zanelli  De  Vescovi;  essendo  quest'ultima
successivamente  deceduta, il processo e' stato dichiarato interrotto
e riassunto dalle altre parti riassunte, quali eredi della defunta;
     che,  dovendo  il  presente  giudizio  di  rinvio  procedere  al
ricalcolo   dell'indennita'   di   occupazione  e  di  espropriazione
spettanti,  ricalcolo  da  effettuarsi  sulla base di criteri fissati
dall'art.  5-bis  d.l.  11 luglio 1992, n. 333, convertito in legge 8
agosto  1992 n. 359, le parti attualmente riassumenti, con il ricorso
per la riassunzione, hanno sollevato questione di incostituzionalita'
del  citato art. 5-bis, ritenendo la questione di incostituzionalita'
certamente  rilevante  nel  presente  giudizio  e  non manifestamente
infondata,  richiamando due analoghi recenti ordinanze della Corte di
cassazione (la n. 12810 del 29 maggio 2006, pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale,  serie  speciale  Corte cost., n. 42 del 18 ottobre 2006 a
pagina  83  e seguenti, e la n. 22357 del 19 ottobre 2006, pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale,  serie  speciale  Corte cost. n. 7 del 14
febbraio  2007  a  pagina  75  e seguenti), che ha ritenuto il citato
articolo 5-bis  in  contrasto con gli articoli 111 e 117 Cost., anche
alla  luce  dell'articolo  6 e dell'articolo 1 Protocollo addizionale
della  Convenzione  europea  dei  diritti  dell'uomo e delle liberta'
fondamentali;
   Ritenuto  certamente  rilevante nel presente giudizio di rinvio la
questione di legittimita' costituzionale sollevata, in quanto occorre
procedere a ricalcolo della indennita' di occupazione e di esproprio,
ricalcolo  da  effettuarsi,  proprio  in base al principio di diritto
stabilito  dalla cassazione con la sentenza di rinvio, sulla base dei
criteri   fissati   dall'articolo  5-bis  (erroneamente  la  Societa'
Autostrade    Ritiene    irrilevante    la   dedotta   questione   di
incostituzionalita',  sulla base che la cassazione avrebbe prescritto
al  giudice  del  rinvio di attenersi, nel calcolo dell'indennita' di
occupazione  temporanea  riguardante  i  terreni agricoli, ai criteri
dettati   dall'articolo   20  legge  n. 865/1971,  non  censurato  di
incostituzionalita':  invero,  la  sentenza  di  rinvio  dispone  che
l'indennita'   di   occupazione  debba  essere  liquidata  in  misura
corrispondente   ad   una  percentuale  dell'indennita'  che  sarebbe
spettata per l'espropriazione dell'area occupata, e cio' determina la
rilevanza delle fonti normative che prevedono le modalita' di calcolo
dell'indennita' di espropriazione, cioe' l'articolo 5-bis);
   Ritiene di svolgere le seguenti osservazioni, del tutto aderenti a
quelle  gia' svolte dalle citate ordinanze della cassazione che hanno
investito della questione di legittimita' la Corte costituzionale.
                            O s s e r v a
   I  dubbi  di  costituzionalita' dell'articolo 5-bis che inducono a
investire  la  Corte  costituzionale di un rinnovato esame rispetto a
quelli,  gia'  compiuti,  successivamente  all'entrata  in  vigore di
quella norma (principalmente Corte cost. 16 giugno 1993 n. 283), sono
suggeriti  dalla  recente  giurisprudenza  della  Corte  europea  dei
diritti  dell'uomo,  che  evidenziando  elementi di inadeguatezza del
sistema  indennitario  regolato dall'articolo 5-bis relativamente ai'
suoli  edificatori,  ha  inflitto  condanne  allo  Stato italiano per
violazione delle norme della Convenzione.
   Ci si riferisce alla sentenza 28 luglio 2004, nella causa Scordino
contro  Italia,  alla  quale  e'  poi seguita la pronuncia definitiva
nella  stessa  controversia,  resa  dalla  Grande Camera della stessa
Corte sul ricorso del Governo italiano in data 29 marzo 2006.
   Con  la pronuncia del 2006, in particolare, la Grande Camera della
CEDU  ha affermato (paragrafi 82 - 104) che l'articolo 5-bis viola il
sistema   della   Convenzione   sulla   privazione  della  proprieta'
individuale  per  pubblica  utilita',  come  da  essa  reiteratamente
interpretato  nella  relazione  tra i due commi del citato articolo 1
del  primo  Protocollo  addizionale, in ordine allo scopo di pubblica
utilita'  che  consente  l'acquisizione della proprieta' in danno dei
titolari  del  diritto  (primo  comma)  e  al raffronto tra interesse
generale  e  diritto individuale che con detta privazione si realizza
(secondo comma).
   La  normativa  italiana,  nel  prevedere  un'indennita' largamente
inferiore rispetto al valore venale del bene espropriato e riducibile
a  circa  un terzo del prezzo di questo in comune commercio, oltre al
carico  tributario,  per  ogni  espropriazione,  senza considerare la
causa per la quale avviene il sacrificio individuale, rompe il giusto
equilibrio tra interesse generale e diritto di proprieta' individuale
tutelato dall'articolo 1 del primo Protocollo addizionale citato.
   Tale  ultima  norma  impone,  nelle  espropriazione  per  pubblica
utilita',  un  ristoro  di regola corrispondente al valore di mercato
dei  beni  ablati, anche se gli Stati convenzionati possono prevedere
la  corresponsione  di  un  indennizzo  inferiore  a  tale  valore in
rapporto  ad  alcuni  scopi di pubblica utilita', che incidono su una
pluralita'  indistinta di cittadini in fattispecie eccezionali, nelle
quali  si  persegue un interesse generale in un contesto di modifiche
costituzionali o di sistema o di nazionalizzazioni, oppure di riforme
economico-sociali  o  politiche,  che  giustifichino  un  ristoro non
integrale  per il proprietario espropriato (paragrafi 102 - 103 della
sentenza citata CEDU del 2006).
   Di  conseguenza,  la riduzione dell'indennita' fino a circa il 30%
del  valore  venale  delle aree edificabili, come effetto dei criteri
legali  di  liquidazione  delle  indennita'  di espropriazione di cui
all'articolo  5-bis,  non  consente  un serio ristoro dei proprietari
espropriati e viola il giusto equilibrio tra sacrificio del privato e
interessi  generali,  per cui la citata norma interna e' in contrasto
con l'articolo 1 del primo Protocollo addizionale e lo Stato italiano
e'  stato  condannato  a  corrispondere  l'equa riparazione per detta
violazione della Convenzione.
   Analoga   violazione  della  Convenzione  opera  l'articolo  5-bis
(paragrafi  128-132  della  sentenza  del  2006)  con  la  previsione
dell'applicazione  retroattiva  di  esso  (comma 6) alle liquidazioni
dell'indennita'  gia'  in  corso in sede amministrativa e persino nel
caso  di  giudizi pendenti, sull'accertamento di tale indennita' alla
data  di  entrata  in vigore della legge, cosi privando i proprietari
dei  terreni espropriati di una parte di quanto gia' loro spettante e
da  chiedere  o  chiesto  in  sede giurisdizionale, corrispondente al
valore  commerciale  delle aree espropriate che, ai sensi della legge
n. 2359  del  1865,  era  da applicare, prima della novella del 1992,
alla fattispecie.
   Pertanto,  nel  caso  di  specie,  analogo  a quello oggetto della
presente causa, si era avuta un'ingerenza del legislatore nella causa
in  corso per la determinazione dell'indennita' a favore di una delle
parti,  violandosi i principi «dello stato di diritto e la nozione di
giusto  processo»  di cui all'articolo 6 della Convenzione (paragrafi
126  e  133 della sentenza Scordino del 2006), per non avere lo Stato
italiano  giustificato la rilevata retroattivita', con la particolare
specialita' della pubblica utilita' nelle espropriazione per edilizia
residenziale  pubblica intervenuta nella fattispecie, non inserita in
un   contesto   di   grande  rilievo  socio-economico  o  di  riforma
istituzionale.
   Le  richiamate  sentenze  della  CEDU  rilevano  per l'ordinamento
interno  e  sulla  disciplina  dei  criteri  legali  di  liquidazione
dell'indennita'  di  espropriazione,  anche perche' si e' esattamente
affermato  che  le  norme  della  Convenzione  vanno interpretate dai
giudici  italiani uniformandosi all'ermeneutica di esse come data dal
loro giudice naturale, che e' appunto la Corte di Strasburgo (S.U. 26
gennaio  2004  n. 1340,  Cass. 28 maggio 2004 n. 10294, 16 marzo 2005
n. 5724,  29  settembre  2005  n. 19028,  4 novembre 2005 n. 21391 e,
nello stesso senso CEDTJ (27 febbraio 2001, Luca' contro Italia).

   Onde  rendere ammissibile la questione che si intende proporre, va
esaminata   la  mancanza  del  potere  per  il  giudice  italiano  di
disapplicare   l'articolo   5-bis   per   effetto  della  riscontrata
violazione  della  norma  interna  della Convenzione, uniformandosi a
quanto deciso dalla CEDU in varie sue pronunce.
   Un tale potere del giudice italiano di disapplicazione della legge
interna  sarebbe incompatibile con il nostro sistema costituzionale e
in  particolare  con  le norme che regolano l'abrogazione delle leggi
(articolo  15  disposizioni  preliminari codice civile e articolo 136
Costituzione).
   Del  resto  la  stessa  sentenza della CEDU del marzo 2006 rimette
allo   Stato   italiano   l'adozione   delle   misure   «legislative,
amministrative    e    finanziarie»    (paragrafo   237)   necessarie
all'adeguamento   del   sistema   alle  norme  sovranazionali,  cosi'
chiarendo  che  la  sua  pronuncia  non  puo'  incidere  con  effetti
abrogativi sulla legislazione interna italiana.
   Invero,  sul  carattere  precettivo  delle  norme  contenute nella
Convenzione  europea,  occorre  mantenere  distinti i diritti da essa
protetti, «riconosciuti» dagli Stati contraenti con l'articolo 1 come
«fondamentali»  anche  nel  diritto  interno,  con  effetto immediato
conseguente  alla  legge  di  ratifica,  salvo  per  quelle posizioni
soggettive  gia' garantite in precedenza, dai mezzi e dalle modalita'
di  tutela  di  tali diritti rimessi ai singoli Stati aderenti e agli
ordinamenti interni.

   L'articolo   13   della   Convenzione   prevede  il  ricorso  alla
magistratura  interna  di  ciascuno  Stato  convenzionato, in caso di
violazione  dei diritti tutelati dalla Convenzione, anche se posta in
essere da persone che agiscono nell'esercizio di' funzioni pubbliche,
e  cosi'  dimostra  che  i  mezzi  normativi  di  tutela  dei diritti
fondamentali  sono  rimessi  ai  singoli  Stati,  salvo  l'intervento
sussidiario della CEDU sui ricorsi individuali di cui all'articolo 34
della  Convenzione  e  la condanna degli Stati convenzionati all'equa
riparazione di cui all'articolo 41.
   Nello stesso senso e' l'articolo 46 della Convenzione per il quale
«le  alte  Parti  contraenti  s'impegnano a conformarsi alle sentenze
definitive  della  Corte  nelle  controversie nelle quali sono parti»
cosi'  escludendo  ogni  effetto  immediatamente  abrogativo di norme
interne  delle  sentenze  della  CEDU,  alle quali consegue l'obbligo
degli   Stati   di   dar  loro  esecuzione  (in  Italia  recentemente
disciplinato  con  la legge 9 gennaio 2006 n. 12), che individua solo
nel  Governo  e nel Parlamento gli organi cui trasmettere le sentenze
della  Corte  di Strasburgo, unici legittimati a dare esecuzione alle
decisioni sopranazionali.
   Appare chiara quindi in base alla stessa Convenzione la esclusione
di  ogni  potere  dei  giudici  italiani  di  «disapplicare» le norme
legislative  in  contrasto  con  essa,  riservando la Costituzione il
potere  di  far  venir  meno  le  norme  primarie al solo legislatore
nazionale e regionale e alla Corte costituzionale ex articoli 70 ss.,
117  e  136  della  Costituzione;  nel  caso  inoltre  l'esigenza  di
copertura  finanziaria  della  modifica  normativa  comporterebbe una
violazione,    dagli   stessi   giudici,   dell'articolo   81   della
Costituzione.

   Anche  il  richiamo,  contenuto  nell'articolo 6, paragrafo 2, del
Trattato  di  Maastricht,  al rispetto, da parte dell'Unione europea,
dei  «diritti  fondamentali  quali  sono  garantiti dalla Convenzione
europea  per  la  salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'
fondamentali  firmata Roma il 4 novembre 1950 e quali risultano dalle
tradizioni  costituzionali  comuni  degli  Stati  membri,  in  quanto
principi  generali  del  diritto  comune»,  non esclude la diversita'
degli  organi  giurisdizionali  preposti  alla tutela di tali diritti
(Corte  europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo) da quelli cui e'
invece demandata la interpretazione delle norme comunitarie, quale e'
la  Corte  di  giustizia  del  Lussemburgo, che ha negato una propria
competenza  in  materia di diritti fondamentali (Cfr. Corte giustizia
29 maggio 1997 C -199-95 Kremzow).
   Le  norme  della  Convenzione  non  sono  quindi  assimilabili  ai
regolamenti comunitari ne', come questi, si' applicano immediatamente
nell'ordinamento interno.
   La  Corte  costituzionale  che  in  passato, prima delle modifiche
apportate   alla  Convenzione  con  il  Protocollo  n. 11  firmato  a
Strasburgo  l'11  maggio  1994  e  ratificato  in Italia con legge 28
agosto 1997 n. 296, che ha modificato i citati articoli 46 e 56 della
Convenzione, sembra avere avuto orientamenti non incompatibili con la
diretta  applicabilita'  in  Italia delle norme della Convenzione (v.
Corte  costituzionale  9  luglio  1992 n. 373 e 3 maggio 1993 n. 235,
entrambe  sul  carattere pubblico delle udienze nel giusto processo),
e'  oggi  orientata  invece, dopo la novella degli articoli 111 e 117
della Costituzione, a dare rilievo indiretto alle norme convenzionali
come  fonte  di obblighi cui l'Italia e' da tali norme costituzionali
vincolata  (Corte cost. 25 settembre 2002 n. 445 e ord. 6 aprile 2005
n. 139),  cosi'  negando implicitamente ogni abrogazione automatica e
disapplicazione delle leggi ordinarie interne in contrasto con quelle
della Convenzione europea da parte dei giudici nazionali.

   Il giudice italiano che eventualmente disapplichi la norma interna
non  avrebbe  comunque il potere di imporre come giusto indennizzo il
valore  venale  del  bene  espropriato,  ritenuto  piu' volte in sede
sovranazionale  l'unico di regola applicabile e che invece il Giudice
delle   leggi   interno   ha   affermato  essere  non  conforme  alla
Costituzione,  per  la  quale  un serio ristoro si e' sempre ritenuto
compatibile con una riduzione del prezzo pieno del bene acquisito per
pubblica utilita'.
   In  conclusione, denegato il potere di disapplicazione delle norme
in contrasto con la Convenzione, unico strumento per rilevare il loro
contrasto  con  la Convenzione europea e provocare la loro espunzione
dall'ordinamento  e'  quello di investire della questione relativa la
Corte costituzionale.
   Neppure  sembra  sostenibile  un  ruolo di supplenza, da parte del
giudice, nelle funzioni del legislatore, per lungo tempo inadempiente
all'impegno  autoimposto,  di  por  mano  ad  una  riforma in materia
espropriativa  (l'articolo  5-bis esordisce: «fino alla emanazione di
un'organica  disciplina  per tutte le espropriazioni preordinate alla
realizzazione  di  opere.»),  tanto piu'  che non piu' di inerzia si'
tratta,  ma  ora  di consapevole reiterazione del regime indennitario
del 1992, definitivamente raccolto nell'articolo 37 d.P.R. n. 327 del
2001, in vigore dal 01 luglio 2003.

   L'organica  disciplina  e' stata emanata (con il d.P.R. n. 327 del
2001,  testo  unico in materia di espropriazioni), ma la regola della
semisomma,  di  cui  all'articolo 5-bis, e' rimasta intatta, migrando
nell'articolo  37  dello  stesso  testo  unico,  nel quale, pero', si
omette la formula di provvisorieta'.
   L'acquisita  definitivita'  della  disciplina,  dunque,  ne  rende
evidente  il  contrasto con la Costituzione, e induce a rimettere gli
atti  alla  Corte  costituzionale per un rinnovato esame della norma,
anche  alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti
dell'uomo,  che,  come  sopra spiegato, non consente di supplire alla
funzione  del  legislatore  mediante un coordinamento delle fonti nel
senso  di  affermare  la prevalenza di quella convenzionale su quella
interna.
   La  questione  di  legittimita' costituzionale dell'articolo 5-bis
del  d.l.  n. 333/1992,  convertito  in  legge  n. 359/1992,  e'  non
manifestamente infondata.
   La  Corte  costituzionale,  pur  riconoscendo,  a differenza della
CEDU,  il  carattere  di  principi  e  norme  fondamentali di riforma
economica-sociale  alla  disciplina del richiamato articolo 5-bis, ha
negato  la illegittimita' costituzionale di tale norma, salvo che per
la  parte in cui essa non ha previsto, in violazione degli articoli 3
e  42  della Costituzione, per i procedimenti espropriativi in corso,
cui   la  norma  si  applica,  una  nuova  offerta  della  indennita'
allo espropriato,  la  cui  accettazione possa escludere la riduzione
del  40%  del  ristoro  di  cui alla norma, gia' fortemente riduttivo
rispetto  al  valore  di  mercato del bene espropriato (paragrafo 7.3
della  sentenza  n. 283/1993).  La  stessa sentenza del Giudice delle
leggi,  al  successivo  paragrafo  9,  nega  la  illegittimita',  per
violazione  dell'articolo  3 Costituzione, della retroattivita' della
disciplina  dell'articolo  5-bis per non essere l'ultrattivita' delle
leggi (articolo 11 delle disposizioni preliminari) principio recepito
dalla  Costituzione,  escludendo quindi la fondatezza della questione
«nei termini cosi' puntualizzati».

   Appare  pero'  chiaro  che l'articolo 111 della Costituzione, come
novellato  dalla  legge  costituzionale  23  novembre  1992  n. 2  ha
garantito,  tra  l'altro, con il principio del giusto processo di cui
al  primo  comma,  anche  quello  delle «condizioni di parita» tra le
parti.
   Occorre  quindi  accertare  se,  in  rapporto  a  tale  norma,  la
retroattivita'  di  cui al sesto comma dell'articolo 5 bis non incida
sullo stesso giusto processo destinato a determinare l'indennita', in
corso  o  addirittura ancora da iniziare, eliminando le condizioni di
parita'  delle parti del processo, con un intervento che ha sfavorito
una  sola  di  esse,  riducendo  fortemente  quanto la stessa avrebbe
potuto chiedere o aveva in concreto preteso al momento della domanda,
non  ottenendo poi quanto si sarebbe potuto aspettare di ricevere per
la   durata  del  procedimento  amministrativo  e/o  per  quella  del
processo.
   La  retroattivita'  dei criteri di liquidazione dell'indennita' ha
inciso  sulla  indennita'  nei  procedimenti amministrativi in corso,
anteriormente  all'opposizione alla stima ancora non proponibile  per
ragioni imputabili all'espropriante (Corte costituzionale 22 febbraio
1990  n. 67)  e,  per  tale  profilo,  ha  determinato  comunque  una
ingerenza   del   legislatore   sul   presente   processo  a  sfavore
dell'espropriato  che,  senza tale norma, avrebbe potuto pretendere e
ottenere  una  maggiore  somma,  se  i  procedimenti amministrativi o
giurisdizionali  in  corso fossero stati conclusi prima della data di
entrata in vigore dell'articolo 5-bis.
   In  effetti  la  CEDU,  nella  citata  sentenza Scordino del 2006,
Ritiene  violato  l'articolo 6 della Convenzione, per l'ingerenza del
legislatore  nei processi in corso a favore di una delle parti, anche
in  rapporto  all'articolo  1  del  primo Protocollo addizionale alla
Convenzione,  proprio  in  quanto  non  risulta giustificata, con una
rilevante  causa  di  pubblica  utilita',  la  perdita  di  una parte
dell'indennita'  retroattivamente  stabilita mentre era gia' iniziato
il  procedimento espropriativo ed era ancora in corso il processo di'
liquidazione dell'indennita' stessa (paragrafo 132).
   Nel  caso in giudizio, l'opposizione alla stima era stata proposta
prima  dell'entrata in vigore dell'articolo 5-bis e quindi il diritto
di proprieta' dei Ravizza e' stato inciso dal intervento normativo di
cui   all'articolo  ora  richiamato,  che  ha  modificato  in  favore
dell'espropriante  i  criteri  di  liquidazione  del  ristoro  dovuto
all'espropriato,  riducendo  di  oltre il 50% la somma che tale parte
avrebbe  potuto  ottenere  in  caso  di  tempestiva conclusione della
procedura espropriativa e del conseguente processo.
   I  contenuti dell'articolo 111 Costituzione, particolarmente nelle
sue  parti  programmatiche  (primo e secondo comma), sembra ancora in
gran  parte  da  esplorare.  E'  ancora  da chiarire fino in fondo il
rapporto   di   discendenza  della  nuova  formulazione  della  norma
costituzionale dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
   Se  l'originario intento di costituzionalizzare l'articolo 6 della
Convenzione  pare  modificato  nel  corso  dei  lavori  parlamentari,
giacche'  nel  risultato testuale dell'articolo 111 si ritrovano solo
assonanze o similitudini rispetto alla formula internazionale, non di
meno,  sembra da avallare la tesi di riscontrare nella giurisprudenza
della  Corte  dei  diritti  il materiale utile alla ricostruzione dei
nuovi precetti costituzionali.
   La  collocazione  della  Convenzione europea nella gerarchia delle
fonti  non  e' mai stata chiarita appieno, giacche' la qualificazione
di  essa  come  fonte atipica (Corte cost. 19 gennaio 1993 n. 10) non
risolve  fino  in  fondo le non infrequenti ipotesi di conflitto, non
solo con le norme di legge ordinaria, precedenti e successive, ma con
le  stesse norme costituzionali: e la concezione liberale del diritto
di  proprieta'  che fa da sfondo all'interpretazione resa dalla Corte
dei  diritti  sull'articolo  1 primo Protocollo addizionale (si veda,
oltre  le citate sentenze Scordino, anche l'altra sentenza, sempre in
causa  Scordino,  del  15 luglio 2004, sulla reiterazione dei vincoli
urbanistici)  non  appare  perfettamente  in  linea  con  il  disegno
dell'Assemblea  Costituente  (nell'articolo  42,  ma  anche,  piu' in
generale,  nell'articolo  41  Costituzione),  di  mediare le facolta'
dominicali (e imprenditoriali) con l'utilita' pubblica.
   Cio'  non  toglie  che alla ricerca del significato precettivo del
parametro      costituzionale      possa     utilmente     ricorrersi
all'interpretazione  che  dell'analoga  disposizione  dell'articolo 6
della  Convenzione ha reso la Corte europea: il senso della pronuncia
Scordino  in  materia  di  indennizzo espropriativo e' che la parita'
delle  parti  davanti al giudice implichi la necessita' che il potere
legislativo  non  si  intrometta nell'amministrazione della giustizia
allo  scopo  di  influire sulla risoluzione della singola causa, o di
una circoscritta e determinata categoria di controversie.
   L'articolo   5-bis   si  presta  ulteriormente,  alla  luce  della
Convenzione  dei diritti, come interpretato dalla Corte europea, alla
censura  di  contrasto con l'articolo 117, primo comma, Costituzione,
nella  sua  nuova  formulazione derivante dall'articolo 3 della legge
costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3.
   La  CEDU  con  diverse  sue  pronunce,  ha  ormai  definitivamente
chiarito   il   contrasto  con  l'articolo  1  del  primo  Protocollo
addizionale  alla  Convenzione  dei ristori indennitari e risarcitori
previsti   per   le   acquisizioni   lecite  e  illecite  connessi  a
procedimenti  espropriativi  (cfr.  con  le pronunce della CEDU sopra
citate,  le  sentenze  della  stessa  Corte 30 ottobre 2003 Belvedere
Alberghiera contro Italia, 30 ottobre 2003 Carbonara e Ventura contro
Italia,  11  dicembre  2003  Colacrai  contro  Italia,15  luglio 2005
Carletta   contro   Italia   e   Donati   contro   Italia,12  gennaio
2006 Sciarretta  contro  Italia -  caso  nel  quale  si  e' decisa la
ricevibilita'  con  il  merito per essere ormai certa la contrarieta'
della  liquidazione  della  illecita  privazione  della proprieta' in
Italia   per   causa  di  pubblica  utilita'  - e  23  febbraio  2006
Immobiliare Cerro contro Italia).
   E'  indubbio  che  le  norme  costituzionali  novellate,  come gli
articoli  111  e  117 della Costituzione, pur se hanno effetto con la
entrata  in vigore delle loro modifiche, incidono con queste non solo
sulla  normativa  futura  ma anche su quella previgente da dichiarare
illegittima  se  con esse contrastante (cosi' Corte cost. 24 dicembre
2004  n. 425, in rapporto all'articolo 117 della Costituzione), anche
se   il  legislatore  ha  poi  provveduto  a  regolare  l'adeguamento
dell'ordinamento interno statale e regionale alla stessa con le leggi
5 giugno 2003 n. 131 e 4 febbraio 2005 n. 11.
   Si  deve negare quanto affermato da parte della dottrina, sia pure
minoritaria,  che  le norme costituzionali novellate in questi ultimi
anni  possano  operare  solo  su  quelle ordinarie successive per una
sorta  di ultrattivita' di esse, senza incidere sulla legittimita' di
quelle  gia' vigenti, che devono invece essere dichiarate illegittime
ed  abrogarsi  per  le  parti  in  cui  risultino in contrasto, anche
sopravvenuto,  con  principi nuovi inseriti dalle novelle della Carta
costituzionale.
   Nella  fattispecie,  puo'  affermarsi  che l'eventuale riscontrata
violazione  da norme italiane di quelle della Convenzione europea dei
diritti  dell'uomo,  gia'  vigenti alla data di entrata in vigore del
nuovo  articolo  117  della Costituzione, ne comporta la sopravvenuta
illegittimita'   costituzionale   che   ovviamente,   se  dichiarata,
retroagisce  sin  dalla data di entrata in vigore dell'articolo 5-bis
ritenuto   in   contrasto   con   la  norma  modificata  nella  Carta
fondamentale.
   La   questione,   comunque,  non  e'  quella  della  conformazione
dell'ordinamento   interno  alle  norme  del  diritto  internazionale
generalmente  riconosciute, di cui all'articolo 10 della Costituzione
(sul  tema  v.  Corte cost. 11 febbraio 1993 n. 75), ma l'altra della
incidenza      delle      norme     convenzionali     sovrannazionali
sulla legislazione  statale  e  regionale  in  materia  di criteri di
determinazione  dell'indennita'  di  espropriazione,  per  i quali lo
Stato  italiano  deve  esercitare  il  proprio  potere legislativo in
conformita'  alla  Convenzione,  con  leggi  statali anche quadro per
quelle  regionali,  al  fine  di conformare le norme interne a quelle
convenzionali.
   L'avere   esercitato   il  proprio  potere  normativo  in  materia
espropriativa  in  contrasto  con  l'articolo  1 del primo Protocollo
addizionale  della  Convenzione  europea,  rende  non  manifestamente
infondata la questione del contrasto sopravvenuto dell'articolo 5-bis
all'articolo 117 della Costituzione.
   Conclusivamente,  vanno  dichiarate rilevanti e non manifestamente
infondate  le  questioni  di  legittimita' costituzionale riguardanti
l'articolo  5-bis  decreto-legge 11 luglio 1992 n. 333, convertito in
legge 8 agosto 1992 n. 359:
     per  contrasto con l'articolo 111, primo e secondo comma, Cost.,
anche alla luce dell'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti
dell'uomo   e  delle  liberta'  fondamentali,  nella  parte  in  cui,
disponendo  l'applicabilita'  ai  giudizi  in  corso  delle regole di
determinazione  dell'indennita'  di espropriazione in esso contenute,
viola i principi del giusto processo, in particolare le condizioni di
parita'   delle   parti   davanti  al  giudice,  che  risultano  lese
dall'intromissione  del potere legislativo nell'amministrazione della
giustizia   allo   scopo   di   influire  sulla  risoluzione  di  una
circoscritta determinata categoria di controversie;
   per contrasto con l'articolo 117, primo comma, Costituzione, anche
alla  luce  dell'articolo  6  e  dell'articolo 1 del primo Protocollo
addizionale  della  Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle
liberta'    fondamentali,    nella    parte    in   cui,   disponendo
l'applicabilita'  ai  giudizi in corso delle regole di determinazione
dell'indennita'  di  espropriazione in esso contenute, ed assicurando
un trattamento indennitario lesivo del diritto di proprieta', viola i
vincoli derivanti dagli obblighi internazionali.
   Ai  sensi  dell'articolo  23,  legge  11  marzo  1953, n. 87, alla
dichiarazione  di rilevanza nel giudizio e non manifesta infondatezza
della  questione di legittimita' costituzionale, segue la sospensione
del  giudizio,  e  l'immediata  trasmissione  degli  atti  alla Corte
costituzionale.