Ordinanza
nei  giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 3, primo comma,
della  legge 19 febbraio 1981, n. 27 (Provvidenze per il personale di
magistratura), promossi con quattro ordinanze dell'11 maggio 2007 dal
Consiglio  di  Stato rispettivamente iscritte ai nn. da 703 a 706 del
registro  ordinanze  2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 40, 1ª serie speciale, dell'anno 2007.
   Visti  gli  atti  di  intervento  del Presidente del Consiglio dei
ministri;
   Udito  nella  Camera  di  consiglio  del  2 aprile 2008 il giudice
relatore Luigi Mazzella.
   Ritenuto  che,  nel  corso di distinti giudizi promossi da Bertoia
Antonella  ed  altre,  tutte  magistrati  ordinari, nei confronti del
Ministero  della  giustizia  e  del  Ministero  dell'economia e delle
finanze,  al  fine  di  ottenere  l'«indennita' giudiziaria» prevista
dall'art.  3,  primo  comma,  della  legge  19  febbraio  1981, n. 27
(Provvidenze  per  il  personale  di  magistratura), anche durante il
periodo  di astensione dal lavoro per maternita' e puerperio ai sensi
dell'art.  4  della  legge  30  dicembre  1971, n. 1204 (Tutela delle
lavoratrici  madri),  il  Consiglio  di  Stato, con quattro ordinanze
dell'11   maggio  2007,  di  identico  contenuto,  ha  sollevato,  in
riferimento  all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale  dell'art.  3, primo comma, della legge n. 27 del 1981
nella  parte in cui escludeva detta indennita' nei periodi di assenza
obbligatoria  o  facoltativa  per maternita', di cui agli artt. 4 e 7
della legge n. 1204 del 1971;
     che,  a  giudizio  del rimettente, tale esclusione dava luogo ad
una  ingiustificata  disparita'  di trattamento rispetto al personale
amministrativo  delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie, nei
cui  confronti  l'erogazione  della  medesima  indennita'  era  stata
disposta  dall'art. 21 del d.P.R. 17 gennaio 1990, n. 44 (Regolamento
per  il  recepimento delle norme risultanti dalla disciplina prevista
dall'accordo  del  26  settembre  1989  concernente  il personale del
comparto  Ministeri ed altre categorie di cui all'art. 2 del d.P.R. 5
marzo  1986, n. 68), anche nei periodi di astensione obbligatoria per
maternita' o puerperio;
     che,  secondo  il  giudice  a quo, la diversa natura della fonte
regolatrice  dei  due  rapporti  di  lavoro posti a confronto non era
sufficiente   per  giustificare  la  differenza  di  trattamento  dei
magistrati  rispetto a quello dei dirigenti delle cancellerie e delle
segreterie  giudiziarie  (contrattualizzati  questi  ultimi,  e non i
primi);
     che,  ritenuta pacifica la rilevanza della questione, il giudice
a   quo  osserva  che  la  legittimita'  costituzionale  della  norma
censurata  e'  stata  piu' volte positivamente verificata dalla Corte
costituzionale  con riferimento a diversi parametri costituzionali, e
in  confronto con altre posizioni similari (sentenze n. 238 del 1990,
n. 407 del 1996; ordinanza n. 106 del 1997), e che la posizione delle
diverse  categorie di lavoratrici considerate non presenta differenze
tali  da  giustificare l'attribuzione ad una sola del diritto a detta
indennita',  laddove  l'identita'  di  ratio  del medesimo emolumento
(diretto   a   compensare   la   gravosita'   dell'impegno   connesso
all'esercizio  dell'attivita'  giudiziaria) esclude la compatibilita'
di  una  disciplina  differenziata dei relativi diritti tra classi di
dipendenti  del  tutto omologhe, rispetto al parametro costituzionale
che  esige  la  parita' di trattamento di situazioni uguali (sentenza
n. 476 del 2002);
     che  nel  corso dei giudizi a quibus, e' intervenuta la legge 30
dicembre  2004,  n. 311  (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale  e  pluriennale  dello  Stato  -  legge finanziaria 2005), la
quale,  all'art.  1,  comma 325, disponeva che «all'articolo 3, primo
comma,  della  legge  19  febbraio  1981,  n. 27,  le parole «assenza
obbligatoria  o facoltativa previsti negli articoli 4 e 7 della legge
30   dicembre   1971,   n. 1204»,  sono  sostituite  dalle  seguenti:
«astensione facoltativa previsti dagli articoli 32 e 47, commi 1 e 2,
del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151»,
in  tal  modo  rimuovendo  l'ostacolo  posto  a base delle censure di
legittimita' costituzionale in esame;
     che,  con ordinanza del 13 gennaio 2006, n. 10, questa Corte, in
considerazione  di tale jus superveniens, ha disposto la restituzione
degli atti al rimettente, il quale, con quattro ordinanze di identico
contenuto,  dopo  aver  escluso  l'efficacia  retroattiva della nuova
disciplina,  ha  nuovamente  sollevato  la  questione di legittimita'
costituzionale  dell'art.  3,  comma  1,  della legge n. 27 del 1981,
nella  versione  antecedente  alle  modifiche  apportate  dalla legge
n. 311 del 2004;
     che,  secondo il giudice a quo, infatti, quest'ultima normativa,
in vigore dal 1° gennaio 2005, non puo' applicarsi alle situazioni in
cui versavano le attrici, in quanto esauritesi prima di tale data;
     che,  intervenuto  in  giudizio, il Presidente del Consiglio dei
ministri -  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale dello
Stato -  ha  eccepito  l'inammissibilita'  della  questione avendo il
rimettente  omesso di pronunciarsi sulla perdurante rilevanza di essa
relativamente allo specifico caso di ciascuna delle ricorrenti;
     che,  nel  merito,  secondo  la difesa erariale, lo status delle
addette   alle   cancellerie   ed   alle  segreterie  giudiziarie  e'
completamente  diverso  rispetto  a quello dei magistrati, essendo in
particolare  diversa  la  fonte  da  cui  scaturisce  il  trattamento
economico   concernente  le  due  categorie  poste  a  confronto  (il
contratto collettivo per le prime e la legge per i secondi);
     che,  secondo  l'Avvocatura  generale,  diversa  e'  altresi' la
genesi  ed  il  fine  dell'indennita' in questione per ciascuna delle
categorie  poste  a  confronto: per i magistrati viene in evidenza la
finalita'  di  studio e di aggiornamento professionale, piuttosto che
la gravosita' dell'impegno connesso all'attivita' giudiziaria;
     che nessuna disparita' sussiste, inoltre, per la circostanza che
altre  donne magistrato possano percepire l'indennita' dopo l'entrata
in  vigore  della  nuova  normativa  del 2004: risultato, questo, che
discende  dalla  discrezionalita'  del  legislatore  di  derogare  al
principio di irretroattivita' della legge.
   Considerato  che il Consiglio di Stato ha sollevato, con esclusivo
riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione e con quattro
ordinanze   di   identico   contenuto,   questione   di  legittimita'
costituzionale  dell'art.  3,  primo  comma,  della legge 19 febbraio
1981, n. 27 (Provvidenze per il personale di magistratura), nel testo
anteriore  alla  modifica  introdotta  dall'art.  1, comma 325, della
legge  30  dicembre  2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del
bilancio  annuale  e  pluriennale  dello  Stato   legge - finanziaria
2005),  nella  parte in cui esclude la corresponsione dell'indennita'
giudiziaria   durante  il  periodo  di  astensione  obbligatoria  per
maternita';
     che  il  rimettente,  pur  dando  atto che la norma censurata e'
stata modificata dal richiamato art. 1, comma 325, della legge n. 311
del  2004,  nel  senso  che  l'astensione obbligatoria dall'attivita'
lavorativa    per   maternita'   non   comporta   piu'   la   perdita
dell'indennita'  prevista dall'art. 3, comma 1, della legge n. 27 del
1981,  rileva  che  la  novella  legislativa  non e' applicabile alle
fattispecie  oggetto  dei  giudizi principali, perche' la modifica ha
effetto con decorrenza dal 1° gennaio 2005;
     che,   relativamente  al  periodo  anteriore  a  tale  data,  il
rimettente   deduce  l'illegittimita'  della  norma  denunciata,  per
disparita'  di trattamento rispetto al personale amministrativo delle
cancellerie e segreterie giudiziarie, al quale invece l'indennita' in
questione veniva gia' concessa anche durante il periodo di astensione
obbligatoria  per  maternita',  come  previsto  dalla  contrattazione
collettiva  riguardante  il  rapporto  di lavoro di quel personale, a
partire  dall'accordo  recepito  con il d.P.R. 17 gennaio 1990, n. 44
(Regolamento   per   il  recepimento  delle  norme  risultanti  dalla
disciplina prevista dall'accordo del 26 settembre 1989 concernente il
personale del comparto Ministeri ed altre categorie di cui all'art. 2
del d.P.R. del 5 marzo 1986, n. 68);
     che  secondo  il  giudice  a  quo la diversita' del regime della
regolamentazione  dei  rapporti  di  lavoro  tra le categorie poste a
raffronto  (magistrati,  da  una  parte,  e personale dirigente delle
cancellerie  e delle segreterie, dall'altro) non vale ad escludere la
prospettata  violazione  dell'art.  3  Cost.: il fatto che un tipo di
rapporto sia regolato dalla legge e l'altro dal contratto collettivo,
non  esime  il  legislatore  che  regola  il  primo  dall'obbligo  di
rispettare   il  suddetto  precetto  costituzionale,  quand'anche  il
trattamento   piu'   favorevole  venga  introdotto  da  un  contratto
collettivo successivo alla legge;
     che  l'identita'  della  materia, e delle questioni prospettate,
rendono  opportuna  la  riunione dei giudizi, per la loro trattazione
congiunta e per la loro decisione con unica pronuncia;
     che    va,    preliminarmente,    esaminata    l'eccezione    di
inammissibilita'  della  questione sollevata dall'Avvocatura erariale
sul   presupposto  che  il  rimettente  non  avrebbe  motivato  sulla
perdurante  rilevanza  della questione, dopo l'intervento della legge
n. 311 del 2004;
     che  l'eccezione  non  e'  fondata,  in  quanto  detta rilevanza
discende  proprio  dall'irretroattivita'  della novella - presupposta
dal  rimettente -  e,  quindi,  dalla perdurante applicabilita' della
precedente  normativa  alle fattispecie dei giudizi principali, tutte
anteriori al 1° gennaio 2005;
     che, nel merito, la questione e' manifestamente infondata;
     che  l'indennita' di funzione per i magistrati ha mantenuto, sin
dalla  sua  istituzione,  connotati peculiari perche' assoggettata al
meccanismo  di rivalutazione automatica previsto per gli stipendi dei
magistrati dal precedente art. 2 della stessa legge n. 27 del 1981;
     che  tale  rivalutazione  si  ispira  al precetto costituzionale
dell'indipendenza  dei magistrati, costituendo una guarentigia idonea
a tale scopo;
     che  conseguentemente  tale meccanismo, connesso allo status dei
magistrati,  non  e' stato mai esteso sic et simpliciter al personale
delle  cancellerie  e  segreterie  giudiziarie (legge 22 giugno 1988,
n. 221,   recante   «Provvedimenti   a  favore  del  personale  delle
cancellerie  e  segreterie  giudiziarie») ne' a quello amministrativo
delle  magistrature  speciali (legge 15 febbraio 1989, n. 51, recante
«Attribuzione dell'indennita' giudiziaria al personale amministrativo
delle  magistrature  speciali»),  in  quanto  l'indennita'  e'  stata
attribuita  in  misura  fissa  con  esclusione  di ogni meccanismo di
adeguamento automatico (sentenza n. 15 del 1995);
     che  le  differenze  di regime giuridico tra le due categorie di
dipendenti  statali  si  sono  accentuate a seguito della riforma del
pubblico  impiego, stante la diversita' ormai riscontrabile sul piano
delle  fonti  di  disciplina  dei  rispettivi rapporti di impiego (il
rapporto di lavoro degli impiegati e' disciplinato in gran parte - ed
in  particolare  per  la materia del trattamento economico - da fonti
contrattuali,  quello  dei  magistrati  esclusivamente  dalla  legge)
(ordinanza n. 290 del 2006);
     che,   in  conclusione,  trattandosi  di  posizioni  e  funzioni
diverse,  non  e'  possibile  accomunare il regime dell'indennita' di
funzione riferito ai magistrati a quello riservato al personale delle
cancellerie  e  segreterie  giudiziarie, sicche' non e' configurabile
una  irrazionale  disparita'  di trattamento per il solo fatto che da
tale  raffronto discende una quantificazione diversa delle rispettive
prestazioni;
     che,  contrariamente  a  quanto ritiene il giudice a quo, non e'
possibile dedurre dall'intervento dell'art. 1, comma 325, della legge
finanziaria  per  l'anno  2005  a  favore  dei magistrati assenti per
maternita',  l'intento del legislatore di rimuovere una situazione di
illegittima disparita' di trattamento;
     che la novella citata costituisce invece la manifestazione della
discrezionalita'  del  potere  legislativo nel collocare nel tempo le
innovazioni normative;
     che,  pertanto  la questione sollevata dal Consiglio di Stato e'
manifestamente infondata.
   Visti  gli  artt.  26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.