Sentenza
nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 301, primo
comma,  del  codice  di  procedura  civile, promosso dal Tribunale di
Genova,  nel  procedimento  civile  vertente tra il Condominio di via
Suardi  n. 16 Busalla e la Mariuccia s.s. di Galvani Pietro & c.,
con  ordinanza  del  22 febbraio 2007 iscritta al n. 709 del registro
ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 41, 1ª serie speciale, dell'anno 2007.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
ministri;
   Udito  nella  Camera  di  consiglio  del  12 marzo 2008 il giudice
relatore Francesco Amirante.
                          Ritenuto in fatto
   1.  - Nel corso di un giudizio di merito possessorio in cui, prima
dell'udienza  di  precisazione  delle conclusioni, il procuratore del
ricorrente  era  risultato volontariamente cancellato dall'Albo degli
avvocati  di  Genova, il Tribunale di quella citta' ha sollevato, con
ordinanza   del   22   febbraio   2007,   questione  di  legittimita'
costituzionale,  in  riferimento  all'art.  24,  secondo comma, della
Costituzione,  dell'art.  301,  primo  comma, del codice di procedura
civile,   nella  parte  in  cui  non  contempla  tra  le  ipotesi  di
interruzione del processo, accanto a quelle della morte, radiazione o
sospensione   del   procuratore,  anche  quella  della  cancellazione
volontaria di quest'ultimo dall'albo professionale.
   La  questione e' ritenuta rilevante poiche' dalla sua soluzione il
Tribunale  fa dipendere se dichiarare l'interruzione del processo per
consentire  alla parte rimasta priva del difensore di costituirsi con
il patrocinio di nuovo procuratore legalmente esercente.
   Secondo  il  remittente, la giurisprudenza consolidata della Corte
di  cassazione  non ricollega alla cancellazione volontaria dall'albo
del  procuratore  costituito  gli  stessi  effetti che il primo comma
dell'art.  301  cod.  proc.  civ.  fa  derivare  dai  fatti di morte,
radiazione o sospensione, ritenendo la prima non assimilabile a dette
ipotesi, tassativamente previste dalla citata norma, tutte costituite
da  eventi  indipendenti  dalla  volonta'  del  professionista  o del
cliente.  La  cancellazione  e'  assimilata a quei casi (revoca della
procura  o  rinunzia  ad  essa)  riconducibili  ad  un  comportamento
volontario,  cui  il terzo comma dell'art. 301 citato non attribuisce
efficacia interruttiva.
   Peraltro   il   giudice  a  quo  osserva  che  tale  indirizzo  e'
contrastato  sia  dalla  giurisprudenza  amministrativa sia da alcune
sentenze  di  giudici  di  merito  e  da  una sentenza della Corte di
cassazione,  secondo  cui la cancellazione dall'albo professionale da
parte  del procuratore costituito, anche se volontaria, determina, al
pari della morte, della sospensione e della radiazione del difensore,
l'interruzione  del  processo.  Per  giungere  a tale risultato viene
esclusa  l'assimilabilita' della cancellazione dall'albo alle ipotesi
della revoca o della rinunzia alla procura, posto che la finalita' di
fatti  volontari  della  parte  o  del  procuratore,  suscettibili di
determinare  una  vera  e  propria  paralisi processuale, con lesione
della  effettivita'  del  diritto  di  difesa  dell'altra  parte, non
sarebbe  ipotizzabile  per  la  cancellazione  volontaria  dall'albo,
essendo ben difficile che un evento che comporta la perdita dello jus
postulandi,  possa  essere  strumentalmente compiuto da un difensore.
Ma,  per  il  giudice  a  quo,  la cancellazione volontaria dall'albo
potrebbe  essere  seguita  da  una  reiscrizione,  sicche'  «i seri e
fondati»  argomenti della citata sentenza verrebbero a perdere «parte
del  loro  mordente».  Egli  opina quindi che, in casi come quello di
specie,  si  verifichi  un  vuoto  nello  ius  postulandi della parte
rimasta  priva  di difensore e un vulnus anche per l'altra parte, che
non   potrebbe   effettuare   le   (piu'   facili)   notificazioni  e
comunicazioni  al  procuratore  costituito.  Di  qui  la  prospettata
lesione  del  parametro  costituzionale  che sancisce il principio di
inviolabilita'  del  diritto  di  difesa  in  ogni  stato e grado del
procedimento.
   2.  -  E'  intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  che  ha  concluso  per  l'inammissibilita', ovvero per la non
fondatezza della questione. Sotto il primo profilo, il remittente non
avrebbe  espletato  il  compito  di  sperimentare  un'interpretazione
costituzionalmente  orientata delle norme della cui legittimita' egli
dubita,   non   avendo   indicato   le   ragioni   per   cui  l'unica
interpretazione possibile sia solo quella non condivisa e ritenuta di
dubbia costituzionalita', pur in presenza di un orientamento di segno
opposto.
   Nel  merito,  l'interveniente osserva che nel sistema vi sarebbero
due  gruppi  di  evenienze:  quelle  che  incidono  sullo  status del
procuratore e gli impediscono di svolgere la professione (dall'evento
estremo,  che  e'  la  morte,  alla  evenienza  temporanea, che e' la
sospensione   dall'albo)   e  quelle  che  riguardano  unicamente  il
contratto  d'opera;  l'interruzione  del  processo  nel primo caso si
verifica,  mentre  nel secondo funziona il meccanismo di cui all'art.
85 cod. proc. civ. L'ipotesi della cancellazione volontaria dall'albo
incide  direttamente  sullo  status professionale, perche' l'avvocato
non puo' svolgere la professione; si avrebbe, dunque, uno dei casi di
impedimento  assoluto di cui all'endiadi della rubrica dell'art. 301,
primo  comma,  cod.  proc. civ., in quanto «morte o impedimento» sono
espressioni  che  riguardano  tutto  cio'  che determina insuperabile
ostacolo  all'esercizio della professione. Diversamente opinando, nel
senso  che  la  cancellazione  volontaria dall'albo non e' ipotesi di
interruzione,  bensi'  fattispecie  assimilabile  alla  revoca  della
procura   o   alla   rinuncia   ad   essa,   la  conseguenza  sarebbe
l'operativita'   dell'art.   85   cod.   proc.  civ.,  senza  effetto
pregiudizievole alcuno per le esigenze della difesa.
                       Considerato in diritto
   1.  -  Il  Tribunale  di  Genova, in composizione monocratica, nel
corso di un procedimento civile nel quale era risultata la volontaria
cancellazione  dall'albo  degli avvocati del procuratore di una delle
parti, ha sollevato, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 301,
primo comma, del codice di procedura civile, in quanto non include la
cancellazione  volontaria  dall'albo  del procuratore tra le cause di
interruzione del processo.
   Secondo  il  remittente, l'orientamento consolidato della Corte di
cassazione, contraddetto da una sola pronuncia e dalla giurisprudenza
amministrativa,   esclude   che   la   cancellazione   dall'albo  del
procuratore    produca    l'interruzione    del   processo   perche',
ricollegandosi  ad  un  fatto volontario, e' assimilabile alla revoca
della  procura  e  alla  rinuncia  ad  essa,  ma non alla morte, alla
radiazione o alla sospensione dall'albo.
   La  mancata  interruzione,  ad  avviso del remittente, priva della
difesa   tecnica   la   parte  il  cui  procuratore  ha  ottenuto  la
cancellazione dall'albo e il fatto che la norma censurata non preveda
tale ultima evenienza quale causa d'interruzione la pone in contrasto
con   il   precetto   di   cui   all'art.   24  Cost.,  che  sancisce
l'inviolabilita' del diritto di difesa.
   2. - La questione non e' ammissibile.
   Il   ragionamento   del   remittente  non  puo'  essere,  infatti,
condiviso.
   Egli  non  soltanto individua come diritto vivente un orientamento
che    pur   riferisce   essere   contraddetto,   nell'ambito   della
giurisprudenza  ordinaria di legittimita' e di quella amministrativa,
da  un indirizzo contrario, ma erra, altresi', nella ricostruzione di
quest'ultimo,  facendo  riferimento ad una sola pronuncia della Corte
di  cassazione  e  trascurandone  altre, in particolare quella emessa
dalle   sezioni   unite   in   sede   di  composizione  di  contrasto
giurisprudenziale  (Cass.  S.U., sentenza 21 novembre 1996, n. 10284)
ed ulteriori decisioni a questa successive.
   In  tal  modo  il  giudice a quo trascura il principio, piu' volte
affermato da questa Corte, secondo il quale una disposizione non puo'
essere  ritenuta  costituzionalmente  illegittima perche' puo' essere
interpretata  in  un  senso  che  la ponga in contrasto con parametri
costituzionali,  ma soltanto se ne e' impossibile una interpretazione
conforme  alla Costituzione (si vedano, da ultimo, la sentenza n. 379
del 2007 e le ordinanze n. 448 e n. 464 del 2007).
   Tenuto conto della reale situazione giurisprudenziale, l'ordinanza
di  remissione  si  risolve nella irrituale richiesta di avallo di un
indirizzo   ermeneutico   effettuata,  oltretutto,  in  base  ad  una
incompleta ricostruzione del quadro giurisprudenziale di riferimento