Ordinanza
nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'art. 593 del codice
di  procedura  penale,  come  sostituito  dall'art.  1 della legge 20
febbraio  2006,  n. 46  (Modifiche  al codice di procedura penale, in
materia  di  inappellabilita'  delle  sentenze  di proscioglimento) e
dell'art.  10,  commi  1,  2  e  3,  della stessa legge, promossi con
ordinanze  del 5 aprile 2006 dalla Corte d'appello di Napoli e del 15
maggio  2006 dalla Corte d'assise d'appello di Bari, nei procedimenti
penali  a  carico  di F. R. e di B.G. ed altri, iscritte ai nn. 213 e
596 del registro ordinanze 2006 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della  Repubblica n. 28, 1ª serie speciale, dell'anno 2006 e n. 1, 1ª
serie speciale, dell'anno 2007.
   Udito  nella  Camera  di  consiglio  del  2 aprile 2008 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
   Ritenuto  che  la Corte d'appello di Napoli (r.o. n. 213 del 2006)
ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111, secondo comma, della
Costituzione,  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 593
del  codice  di  procedura  penale, come sostituito dall'art. 1 della
legge  20  febbraio  2006,  n. 46  (Modifiche  al codice di procedura
penale,   in   materia   di   inappellabilita'   delle   sentenze  di
proscioglimento),  «nella  parte  in  cui  limita  l'appello del P.M.
contro  le  sentenze  di proscioglimento alle ipotesi di cui all'art.
603,  comma 2, del codice di procedura penale», e dell'art. 10, comma
2, della medesima legge;
     che  la  Corte  rimettente premette in fatto di essere investita
dell'appello  proposto  dal pubblico ministero avverso la sentenza di
non  luogo  a  procedere  per insussistenza del fatto pronunciata dal
Giudice   per   le  indagini  preliminari,  in  funzione  di  Giudice
dell'udienza preliminare del Tribunale di Nola;
     che, nel merito, la Corte rimettente ritiene che l'art. 593 cod.
proc.   pen.  -  nel  testo  risultante  dalle  modifiche  introdotte
dall'art. 1 della sopravvenuta legge n. 46 del 2006, che ha sottratto
al  pubblico  ministero  il  potere  di  proporre  appello avverso le
sentenze  di proscioglimento - contrasti innanzitutto con l'art. 111,
secondo  comma,  Cost.,  secondo  cui  ogni  processo  si  svolge nel
contraddittorio tra le parti, in condizioni di parita';
     che  il  giudice  a  quo  ritiene irragionevole la disparita' di
trattamento  che  la  disciplina  censurata  determina  a sfavore del
pubblico  ministero;  tale  disparita', infatti, non potrebbe trovare
giustificazione  nel  fatto  che  la  proposizione  dell'appello  sia
formalmente  preclusa  anche  all'imputato,  ben  diverso  essendo il
rispettivo  interesse  sostanziale a proporre impugnazione avverso la
sentenza  di  proscioglimento;  ne'  potrebbe  trovarla nel fatto che
l'organo   dell'accusa   puo'   comunque  giovarsi  del  ricorso  per
Cassazione,  «poiche'  il  ricorso  ha minore estensione dell'atto di
appello, che attiene al merito»;
     che  viene,  altresi',  dedotto il contrasto con l'art. 3 Cost.,
sotto  il  profilo  della assoluta irragionevolezza della diminuzione
dei  poteri  processuali  del  pubblico  ministero: e cio' sia per la
«macroscopica  diversita'  di  trattamento tra le parti processuali»;
sia perche' la normativa censurata consente all'organo della pubblica
accusa la proposizione dell'appello in caso di soccombenza parziale -
vale  a  dire,  in presenza di una sentenza di condanna rispetto alla
quale  l'accusa  richieda  un aggravamento della pena - negandola per
l'ipotesi di soccombenza totale;
     che  la  Corte  rimettente  dubita,  infine,  della legittimita'
costituzionale della disciplina censurata in riferimento al principio
della  ragionevole durata del processo, sul rilievo che - per effetto
delle  modifiche  recate  dalla  legge  n. 46  del  2006 al regime di
appellabilita'  delle  sentenze  di  proscioglimento e al giudizio in
cassazione  (relativamente  sia all'estensione dei motivi del ricorso
che  al  rinvio  al  giudice  di  primo grado) - si determinerebbe un
aumento dei gradi di giudizio, con conseguente allungamento dei tempi
processuali e rischio di prescrizione dei reati;
     che  cio'  sarebbe  particolarmente  evidente  in relazione alla
disciplina  transitoria  contenuta nell'art. 10 della legge n. 46 del
2006   -  relativamente  agli  appelli  gia'  proposti  dal  pubblico
ministero avverso le sentenze di proscioglimento - considerando anche
il  tempo  intercorrente  tra  la  sentenza  di  proscioglimento e la
successiva ordinanza dichiarativa dell'inammissibilita' dell'appello;
     che  anche  la Corte d'assise d'appello di Bari (r.o. n. 596 del
2006)  ha  sollevato, in relazione agli artt. 3 e 111, secondo comma,
Cost., analoga questione di legittimita' costituzionale dell'art. 593
cod.  proc.  pen.,  come sostituito dall'art. 1 della citata legge 20
febbraio  2006, n. 46, e dell'art. 10, commi 1, 2 e 3, della medesima
legge;
     che  la  Corte rimettente e' investita dell'appello proposto dal
pubblico  ministero  avverso  una  sentenza  di assoluzione di alcuni
imputati emessa, a seguito di giudizio abbreviato, dal Giudice per le
indagini  preliminari  presso  il  Tribunale  di Bari, in funzione di
Giudice dell'udienza preliminare;
     che,  ai  fini della rilevanza, la Corte rimettente precisa che,
sopravvenuta nelle more del giudizio la legge n. 46 del 2006 - il cui
art.  1  ha  sostituito  l'art.  593  cod.  proc. pen., sottraendo al
pubblico   ministero   il   potere   di   appellare  le  sentenze  di
proscioglimento  -  l'appello  proposto  dovrebbe  essere  dichiarato
inammissibile in forza di quanto previsto dall'art. 10 di essa;
     che,   nel  merito,  la  disciplina  censurata  si  porrebbe  in
contrasto con gli artt. 3 e 111, secondo comma, Cost.;
     che, al riguardo, la Corte rimettente evidenzia che il principio
del contraddittorio si configura come regola avente valenza oggettiva
e  quale  metodo che deve presiedere allo svolgimento del processo in
ogni  fase:  con  la  conseguenza  che ciascuna parte dovrebbe essere
posta  nella  condizione  di promuovere una rivisitazione critica nel
merito della decisione;
     che,  per  contro,  la  novella censurata «si configura come una
vera e propria alterazione» della regola costituzionale;
     che  la  Corte  rimettente  e'  consapevole della giurisprudenza
della Corte costituzionale secondo cui il principio di parita' tra le
parti non comporta necessariamente l'identita' dei poteri processuali
del  pubblico  ministero  e dell'imputato, ben potendo ipotizzarsi un
diverso trattamento riservato al pubblico ministero;
     che,  tuttavia,  il  diverso  trattamento, per essere conforme a
Costituzione,  dovrebbe trovare una ragionevole giustificazione nella
peculiare  posizione  istituzionale  del  pubblico  ministero,  nella
funzione  allo  stesso  affidata,  ovvero  in  esigenze connesse alla
corretta  amministrazione  della  giustizia;  invece, nessuna di tali
ragioni  sarebbe rintracciabile alla base della scelta legislativa di
limitare  l'appello  del  pubblico  ministero, precludendo all'organo
della    pubblica    accusa    l'impugnazione   delle   sentenze   di
proscioglimento;
     che  non potrebbe essere ritenuta idonea ragione giustificatrice
quella,  indicata  nei  lavori  parlamentari,  di  dare attuazione al
principio  sancito  dall'art. 2 del Protocollo addizionale n. 7 della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta'  fondamentali,  adottato  a  Strasburgo il 22 novembre 1984,
ratificato e reso esecutivo con legge 9 aprile 1990, n. 98; infatti -
come  la  Corte costituzionale ha ripetutamente ribadito - il «doppio
grado  di  giurisdizione  di  merito  non  forma  oggetto di garanzia
costituzionale»  e  «la  formulazione  dell'art.  2, nel demandare al
legislatore  interno  ampi spazi per la disciplina dell'esercizio del
diritto  all'impugnazione,  non  esclude  [...]  che  il principio si
sostanzi nella previsione del ricorso in Cassazione»;
     che  sarebbe  dunque evidente, ad avviso della Corte rimettente,
la  violazione  degli  artt.  3  e  111,  secondo  comma,  Cost., per
l'irragionevole disparita' di trattamento che la disciplina censurata
determinerebbe  a sfavore del pubblico ministero; disparita', questa,
che  non potrebbe trovare giustificazione nelle ulteriori motivazioni
evocate  durante  i  lavori  preparatori, fra le quali, l'esigenza di
escludere  che  l'imputato,  assolto,  sia  nuovamente  sottoposto  a
processo;   ne',   tanto   meno,   potrebbe  trovare  giustificazione
nell'esigenza  di  una  durata  ragionevole  del processo, che, anzi,
verrebbe ulteriormente frustrata dalla riforma
.
   Considerato  che,  con  le  ordinanze  in  epigrafe,  i rimettenti
dubitano,  in  riferimento  agli  artt. 3 e 111, secondo comma, della
Costituzione,  della  legittimita'  costituzionale  dell'art. 593 del
codice  di  procedura penale, come sostituito dall'art. 1 della legge
20  febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in
materia di inappellabilita' delle sentenze di proscioglimento), nella
parte  in  cui non consente al pubblico ministero di proporre appello
avverso  le sentenze di proscioglimento, e dell'art. 10, commi 1, 2 e
3, della medesima legge, recante la relativa disciplina transitoria;
     che,  stante  l'identita'  delle  questioni proposte, i relativi
giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica pronuncia;
     che l'art. 593 cod. proc. pen. censurato disciplina, al comma 2,
l'appello  del pubblico ministero e dell'imputato avverso le sentenze
dibattimentali  di  proscioglimento,  stabilendo  - per effetto delle
modifiche  introdotte  dall'art.  1  della  legge  n. 46  del 2006 ed
immediatamente applicabili in forza dell'art. 10 della medesima legge
-  che l'appello e' consentito solo nell'ipotesi di cui all'art. 603,
comma 2, cod. proc. pen., se la nuova prova e' decisiva;
     che  dalle  stesse  ordinanze di rimessione risulta che le Corti
rimettenti   sono  investite  degli  appelli  proposti  dal  pubblico
ministero  avverso  sentenze  pronunciate dal giudice per le indagini
preliminari,   in   funzione  di  giudice  dell'udienza  preliminare:
sentenza  di  non luogo a procedere ex art. 425 cod. proc. pen. (r.o.
n. 213  del  2006)  e  sentenza  di  assoluzione  emessa a seguito di
giudizio abbreviato (r.o. n. 596 del 2006);
     che il regime di impugnazione delle sentenze emesse a seguito di
giudizio  abbreviato  e  delle  sentenze  di non luogo a procedere e'
disciplinato  dagli  artt.  443  e  428  cod.  proc. pen. (modificati
rispettivamente  dagli  artt.  2 e 4 della legge n. 46 del 2006), non
impugnati;
     che,  dunque,  le  Corti  rimettenti sottopongono a scrutinio di
costituzionalita' una norma (l'art. 593 cod. proc. pen.) - unitamente
alla  relativa  disciplina  transitoria  -  di  cui  non  devono fare
applicazione nei giudizi a quibus
;
     che  l'inesatta  indicazione  della  norma  oggetto  di  censura
(aberratio ictus
)  implica, per costante giurisprudenza di questa Corte, la manifesta
inammissibilita'  della  questione  (ex plurimis, ordinanze n. 79 del
2008 e n. 461 del 2007).
   Visti  gli  artt.  26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.