ha pronunciato la seguente
                              Sentenza
nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 143 del regio
decreto  16  marzo  1942,  n. 267  (Disciplina  del  fallimento,  del
concordato  preventivo  e  della liquidazione coatta amministrativa),
nel  testo  introdotto  a seguito della entrata in vigore del decreto
legislativo  9  gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina
delle procedure concorsuali a norma dell'art. 1, comma 5, della legge
14  maggio  2005,  n. 80),  promosso con ordinanza del 13 luglio 2007
dalla  Corte  di  appello  di  Venezia sul reclamo proposto da P. A.,
iscritta  al  n. 760  del  registro ordinanze 2007 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale   della  Repubblica  n. 45,  1ª serie  speciale,
dell'anno 2007.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
ministri;
   Udito  nella  Camera  di  consiglio  del 16 aprile 2008 il giudice
relatore Paolo Maria Napolitano.
                          Ritenuto in fatto
   1. -  Con  ordinanza  depositata  il  13  luglio  2007 la Corte di
appello  di  Venezia  ha  sollevato, in riferimento all'art. 24 della
Costituzione,  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 143
del  regio  decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento,
del    concordato    preventivo    e    della   liquidazione   coatta
amministrativa),  nel  testo  introdotto  a  seguito della entrata in
vigore del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica
della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell'articolo 1,
comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80).
   1.1.  -  Riferisce  la  Corte  rimettente  di  essere  chiamata  a
giudicare  in merito al reclamo interposto da A.P. avverso il decreto
col   quale   il   Tribunale   ordinario  di  Vicenza  ha  dichiarato
inammissibile  la istanza dalla medesima presentata al fine di essere
ammessa  al  beneficio della esdebitazione. Tale decreto interpretava
l'art.  150  del  d.lgs. n. 5 del 2006 nel senso che l'art. 142 della
legge  fallimentare,  il  quale,  appunto,  ha  introdotto nel nostro
ordinamento  l'istituto  della esdebitazione, non sarebbe applicabile
in  caso  di  procedura  fallimentare che, pur conclusa nella vigenza
della riforma, sia sorta anteriormente a questa.
   La  Corte  rimettente  ritiene,  invece,  che,  stante  la  natura
sostanziale  della  predetta  previsione  legislativa,  l'istituto in
questione   sia  applicabile  alle  procedure  che,  anche  se  sorte
anteriormente,  siano dichiarate chiuse nella vigenza della normativa
riformata.
   1.2.  -  Cio'  premesso  il giudice a quo, brevemente illustrati i
profili  della  nuova  figura giuridica, preordinata alla liberazione
del   fallito   persona  fisica  dai  debiti  fallimentari  residuati
parzialmente  insoddisfatti  alla  chiusura  del fallimento, potendo,
peraltro, essa spiegare effetti, sia pure minori, anche nei confronti
dei  creditori  anteriori  al  fallimento che non abbiano partecipato
alla  procedura,  osserva  che,  ai  sensi  dell'art. 143 della legge
fallimentare,    la   esdebitazione   puo'   essere   pronunciata   o
contestualmente  alla  chiusura  del fallimento, ovvero, con separato
provvedimento  -  emesso  previa  verifica  delle condizioni previste
dall'art.  142  della legge fallimentare e «sentito il curatore ed il
comitato  dei  creditori»  -  ove  il  debitore  abbia, a tale scopo,
presentato ricorso entro un anno dalla chiusura del fallimento.
   Rileva  a questo punto il rimettente come la previsione normativa,
la  quale non contempla come necessaria la partecipazione al predetto
procedimento   dei   creditori   concorsuali,  mentre  non  creerebbe
problemi,  a  suo  avviso,  nel  caso  di  esdebitazione  pronunziata
contestualmente  alla chiusura del fallimento, essendo in tal caso il
provvedimento  emesso  a  conclusione  di  una procedura alla quale i
creditori  hanno  partecipato  con potere di interlocuzione, sarebbe,
viceversa,  pregiudizievole  del  diritto  dei  medesimi creditori se
pronunziata  successivamente alla chiusura del fallimento, su istanza
del  debitore; cio' in quanto non e' previsto alcuno strumento idoneo
a  informare  i  creditori concorsuali dell'inizio di un procedimento
destinato,  in  caso di accoglimento dell'istanza, a produrre effetti
sostanziali nei loro confronti.
   Ritiene,  pertanto,  il  rimettente  che,  in  relazione  alla non
necessarieta'  della  partecipazione al procedimento di esdebitazione
dei  creditori  concorsuali  o,  quantomeno,  alla mancata previsione
della  loro  messa a conoscenza, con idoneo mezzo, dell'instaurazione
del  procedimento,  si' da consentire loro la partecipazione ad esso,
si  pongano  dubbi  sulla compatibilita' costituzionale dell'art. 143
della  legge  fallimentare con il diritto di agire in giudizio per la
tutela   dei   propri   diritti,   presidiato   dall'art.   24  della
Costituzione,  in  quanto non e' garantita al titolare del diritto di
credito,  inciso  dal provvedimento che viene richiesto dal debitore,
la   possibilita'   di  partecipare  al  giudizio,  con  facolta'  di
interlocuzione.
   Ne'  il  vulnus e' eliso dalla attribuzione riservata ai creditori
insoddisfatti   della  facolta'  di  interporre  reclamo  avverso  il
provvedimento  di esdebitazione. Infatti, il rimettente osserva che -
superate  «le  pur  legittime  riserve  sia  sulla  doverosita',  per
l'ipotesi   di   procedimento  instaurato  su  istanza  del  debitore
successivamente   alla   chiusura  del  fallimento,  degli  strumenti
predisposti  dalla  legge  per  rendere  conoscibile  il  decreto  di
chiusura  del  fallimento  [recte:  il  decreto di accoglimento della
domanda   di  esdebitazione],  che  dell'idoneita'  degli  stessi  ad
assicurare  un'utile  (considerati  i ristrettissimi termini concessi
per  l'impugnazione) conoscenza del provvedimento, rimane comunque il
fatto  che  la piena esplicazione del diritto di difesa dei creditori
e' preclusa per il procedimento di primo grado».
   2.  - E'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dalla  Avvocatura generale dello
Stato,  il quale ha concluso per l'inammissibilita' o la infondatezza
della questione.
   2.1. - Preliminarmente la difesa erariale ritiene che la questione
non sia rilevante nel giudizio a quo in quanto, non risultando che ci
sia  stata  alcuna  richiesta  di  intervento di creditori ammessi al
passivo  o, comunque, non risultando eccezioni da parte di costoro in
ordine   alla  presunta  lesione  del  loro  diritto  di  difesa,  il
rimettente  non  e'  chiamato  a  «decidere  in ordine alle questioni
rispetto alle quali ha sospettato di illegittimita' costituzionale la
norma   censurata».   Da   cio'   deriva  che  la  questione  sarebbe
inammissibile.
   Essa  sarebbe,  peraltro, anche infondata nel merito. L'Avvocatura
osserva  che,  in  primo luogo, il rimettente non avrebbe considerato
l'esistenza  o meno di un diritto vivente il quale consenta, o vieti,
l'intervento  del terzo nel procedimento di esdebitazione, intervento
che,  ritiene sempre l'Avvocatura, involgendo la tutela di un diritto
soggettivo, se ci fosse, sarebbe ammissibile.
   Ma  dalla  detta  tutela  non puo' farsi derivare la necessarieta'
della   partecipazione   dei   creditori   al  procedimento,  essendo
sufficiente, per il rispetto dell'art. 24 della Costituzione, che sia
attribuita loro la facolta' di intervento.
   Neppure  significativo sarebbe il profilo relativo alla assenza di
forme   di   pubblicita'   della   pendenza   del   procedimento   di
esdebitazione;   infatti,  posto  che  il  procedimento  deve  essere
introdotto  presso  una  sede  specifica  ed entro ben precisi limiti
temporali,  non  sarebbe  eccessivamente gravoso l'onere gravante sui
creditori  non  integralmente  soddisfatti  di verificare l'eventuale
presentazione  di una istanza di esdebitazione da parte del debitore.
In  tali  casi,  utilizzando  la  normale diligenza, il creditore, se
l'istanza  risultasse  presentata, sarebbe in grado di intervenire in
giudizio e tutelare il suo diritto.
                       Considerato in diritto
   1.  -  La  Corte  di  appello  di  Venezia dubita, con riferimento
all'art.  24  della  Costituzione,  della legittimita' costituzionale
dell'art. 143 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del
fallimento,  del  concordato  preventivo  e della liquidazione coatta
amministrativa),  nel  testo  introdotto  a  seguito della entrata in
vigore del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica
della  disciplina  delle  procedure  concorsuali a norma dell'art. 1,
comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80), nella parte in cui esso,
in  caso  di  procedimento  di  esdebitazione attivato ad istanza del
debitore  nell'anno successivo al decreto di chiusura del fallimento,
non preveda, secondo quanto e' riportato testualmente nella ordinanza
di  rimessione,  se  non  la  necessita'  «della  partecipazione  dei
creditori  concorsuali  al  procedimento  di  liberazione dei debiti,
quantomeno  [...  la]  messa  a  conoscenza  degli stessi, con idoneo
mezzo, dell'instaurazione del procedimento».
   Tale  mancata  previsione,  ad avviso del rimettente, comporta una
lesione   del   diritto   di  difesa  giudiziale,  costituzionalmente
tutelato,   non  tanto  poiche'  non  e'  previsto  che  i  creditori
concorsuali,  non  integralmente  soddisfatti  in  sede fallimentare,
debbano necessariamente partecipare al procedimento di esdebitazione,
quanto  perche',  a  causa  della  mancata tempestiva informazione ai
medesimi  della  pendenza  della  procedura, non sarebbe consentito a
questi  di tutelare in giudizio il loro diritto alla esigibilita' del
residuo credito vantato.
   2.    -    Preliminarmente,   va   disattesa   la   eccezione   di
inammissibilita' dedotta dalla intervenuta difesa pubblica.
   2.1. - Essa e' argomentata sulla base della circostanza che non vi
siano  state richieste di intervento nella procedura di esdebitazione
de  qua  agitur  da  parte  di  creditori  ammessi  al  passivo e non
integralmente  soddisfatti,  ovvero  che  non  siano  state sollevate
esplicite  eccezioni  da  parte di costoro relativamente alla lesione
del  loro  diritto  di  difesa  derivante  dalla  assenza di forme di
pubblicita' che rendessero loro nota la pendenza della procedura.
   Da cio' l'interveniente difesa farebbe derivare la irrilevanza nel
giudizio   a   quo   della   sollevata   questione   di  legittimita'
costituzionale,  non  dovendo  il rimettente applicare la norma nella
parte censurata.
   2.2. - La eccezione e' priva di pregio: in realta', il rimettente,
dubitando  della  legittimita'  costituzionale  della norma censurata
proprio  nella  parte  in cui non prevede che i creditori concorsuali
non  integralmente  soddisfatti  in sede fallimentare siano informati
della  intervenuta  pendenza  della procedura di esdebitazione, volta
alla  dichiarazione  di inesigibilita' della parte di credito rimasta
insoluta  all'esito  della ripartizione dell'attivo fallimentare, da'
per  presupposto  che  tali  creditori,  in  quanto  ignari  di  tale
pendenza, non abbiano partecipato alla procedura stessa. Diversamente
da   quanto   ritenuto  dalla  Avvocatura  dello  Stato,  l'eventuale
intervento  dei  creditori  nella  procedura  in  discorso, lungi dal
fondare   la  rilevanza  della  presente  questione  di  legittimita'
costituzionale,  viceversa  la  escluderebbe, non emergendo da quella
fattispecie  concreta,  diversa  dall'ipotesi esaminata dal giudice a
quo, una reale violazione del diritto di difesa.
   3. - Nel merito, la questione e' parzialmente fondata.
   3.1.   -   Giova   premettere   che  attraverso  l'istituto  della
esdebitazione, del tutto nuovo nel nostro ordinamento, il legislatore
ha  inteso  dettare  una disciplina applicabile, successivamente alla
chiusura   del  fallimento,  alle  eventuali  parti  di  debito  che,
all'esito   della  procedura  concorsuale,  a  causa  dell'incompleto
adempimento  delle  obbligazioni del fallito, continuino a gravare su
di lui.
   Ricorrendo  determinate  condizioni  -  che non essendo oggetto di
alcuna  contestazione da parte del rimettente non si ritiene di dover
esaminare  -  ed avendo il debitore presentato al riguardo ricorso al
tribunale  competente  per  il  fallimento  (ricorso  che puo' essere
introdotto  in  pendenza  della  procedura  concorsuale  ovvero entro
l'anno  successivo  alla  pubblicazione  del  decreto di chiusura del
fallimento),   il   tribunale   medesimo,  sentito  il  curatore  del
fallimento e il comitato dei creditori, secondo la vigente previsione
dell'art.  143  della  legge  fallimentare,  e' chiamato a dichiarare
inesigibili   nei   confronti   del   ricorrente   i  residui  debiti
concorsuali.
   Il  tenore  letterale  della  disposizione da ultimo citata non fa
sorgere  dubbi  che  l'effetto  della  esdebitazione  sia  quello  di
escludere  la  possibilita'  per i creditori concorsuali rimasti solo
parzialmente   soddisfatti   di  pretendere,  dopo  la  chiusura  del
fallimento,  il  pagamento  del  loro  residuo  credito  da parte del
«debitore gia' dichiarato fallito».
   Evidente   e',  pertanto,  l'effetto  pregiudizievole  che,  sotto
l'aspetto   sostanziale,   l'applicazione   dell'istituto   ha  sulla
posizione  soggettiva  dei  creditori  concorsuali  non integralmente
soddisfatti.
   Il  rimettente  lamenta  che,  nell'ipotesi  in cui il ricorso sia
presentato  nell'anno  successivo  alla chiusura del fallimento, tale
effetto negativo possa determinarsi anche in assenza di qualsivoglia,
sia  pur  potenziale,  coinvolgimento  dei  soggetti  incisi  da tale
decisione  (cioe'  i creditori) nella procedura giurisdizionale volta
alla dichiarazione di esdebitazione.
   Il   legislatore  della  riforma  del  diritto  fallimentare,  nel
disciplinare,  al  censurato nuovo art. 143 della legge fallimentare,
la  struttura  del  procedimento  di  esdebitazione,  non  ha infatti
previsto  che  il  ricorso  introduttivo  del  giudizio  debba essere
portato  a  conoscenza  dei  creditori  concorsuali non integralmente
soddisfatti,  onde  consentire  loro,  se credono, di intervenire nel
giudizio   stesso  al  fine  di  tutelare,  avversando  l'istanza  di
esdebitazione, la loro posizione.
   3.2.  -  Tale omissione, per cio' che riguarda i creditori ammessi
al  passivo,  che  hanno cioe' manifestato un interesse a partecipare
alla  procedura  concorsuale  ritenuto  meritevole di tutela da parte
degli  Organi  preposti  al  suo  corretto  andamento, e di cui sono,
quindi,  note le generalita' e il domicilio, si pone in contrasto con
l'art. 24 della Costituzione.
   Piu' volte, infatti, questa Corte ha affermato che la legittimita'
costituzionale  di  un  procedimento  avente  natura giurisdizionale,
quale  certamente  e'  quello relativo alla esdebitazione, si misura,
fra  l'altro,  sull'indefettibile  rispetto delle garanzie minime del
contraddittorio,  la  prima e fondamentale delle quali consiste nella
necessita'  che tanto l'attore quanto il contraddittore partecipino o
siano  messi in condizione di partecipare al procedimento (si veda in
modo specifico l'ordinanza n. 183 del 1999).
   La  possibilita'  di  tale  partecipazione  e', in linea generale,
garantita,   riguardo   al   contraddittore,   attraverso   forme  di
pubblicita'   dell'atto   col  quale  il  procedimento  stesso  viene
introdotto;   forme   di  pubblicita'  che,  ogniqualvolta  cio'  sia
possibile,  sia per la identificabilita' dei possibili contraddittori
che per il loro numero ragionevolmente contenuto, si ritengono idonee
allo  scopo  ove esse siano portate direttamente a conoscenza di ogni
singolo  contraddittore,  o quanto meno siano portate nella sua sfera
di conoscibilita'.
   Di tutta evidenza e' che la disciplina censurata non prevede alcun
adempimento  volto ad assicurare, attraverso la conoscenza, ovvero la
conoscibilita', della pendenza della procedura, detta partecipazione,
ponendosi in tal modo in contrasto con l'art. 24 della Costituzione.
   3.3.  -  Ne'  tale  omissione  puo'  considerarsi  giustificata  -
rientrando   la  scelta  di  essa  nella  sfera  di  discrezionalita'
riservata   al   legislatore   nella   conformazione  degli  istituti
processuali  -  in ragione delle pur presenti esigenze di celerita' e
speditezza  che,  sotto  piu'  profili,  caratterizzano  le procedure
concorsuali.  Al  riguardo  e'  sufficiente  osservare  che l'ipotesi
normativa  oggetto  di  esame  da  parte  di  questa  Corte  riguarda
espressamente  fattispecie  nelle quali la procedura concorsuale gia'
si  e'  esaurita  con  la  dichiarazione  di chiusura del fallimento,
sicche' sarebbe il frutto di una scelta manifestamente arbitraria far
perdurare oltre misura gli effetti delle ricordate esigenze.
   Ne' puo' convenirsi con la difesa pubblica nella affermazione che,
stante  il  relativamente  breve termine - si tratta di un anno dalla
chiusura  del  fallimento - entro il quale puo' essere presentata dal
debitore  gia'  fallito  la  istanza  di esdebitazione, non vi e' una
reale  lesione del diritto di difesa dei creditori di costui, potendo
i  medesimi,  utilizzando  l'ordinaria  diligenza e tramite periodici
accessi  agli  uffici  giudiziari  ove  il  ricorso  dovrebbe  essere
presentato, avere contezza della pendenza o meno della procedura.
   Un siffatto onere di informazione, infatti, travalica ampiamente i
margini   della  diligenza  ordinariamente  esigibile,  solo  che  si
consideri  la  possibilita',  che  -  attesa l'ampia platea del «ceto
creditorio»  -  non  e'  infrequente  che, nei fallimenti, la sede di
taluno   dei   creditori   fallimentari  non  coincida  con  la  sede
dell'organo  giudiziario, corrispondente a quella ove si e' svolta la
procedura  concorsuale,  competente  per la esdebitazione; situazione
questa  che  imporrebbe,  in  maniera ingiustificatamente vessatoria,
periodici  accessi  del creditore del fallito in una sede giudiziaria
eventualmente estranea a quella di ordinaria pertinenza.
   3.4.  - Non puo', altresi', ritenersi soddisfacente, ai fini della
tutela  costituzionale  del  diritto di difesa, il fatto che l'ultimo
comma  dell'art. 143 della legge fallimentare preveda la possibilita'
per  i creditori non integralmente soddisfatti di presentare reclamo,
ai  sensi  dell'art. 26 della medesima legge fallimentare, avverso il
decreto  col  quale  e'  stata  disposta la esdebitazione. Infatti, a
prescindere  sia  dai brevissimi termini normativi entro i quali essa
e'  legittimamente esercitabile sia dalla problematica compatibilita'
costituzionale  di  una  forma  di  tutela  giurisdizionale  di  tipo
esclusivamente   impugnatorio  (in  cui,  cioe',  l'onere  probatorio
graverebbe  sul reclamante) - e non gia', come altrove, oppositorio -
tale   facolta'   puo'   essere  resa  concretamente  possibile  solo
nell'ipotesi  in  cui  coloro che hanno interesse a farne uso siano a
conoscenza  della  esistenza  di un provvedimento soggetto a reclamo;
ipotesi  questa  che, stante la mancata previsione della informazione
relativa  alla instaurazione del procedimento, non trova nei fatti un
adeguato fondamento.
   4. - Va, a questo punto, considerato che il riferimento, contenuto
nel   gia'   menzionato   ultimo  comma  dell'art.  143  della  legge
fallimentare,  al  reclamo  - strumento tipico delle procedure svolte
secondo  il  rito  camerale  -  quale  mezzo  di  reazione avverso il
provvedimento  di  esdebitazione,  conduce  alla  conclusione  che e'
questo   il  modello  attraverso  il  quale  si  svolge  il  relativo
procedimento.  Applicando  a  tale  modello  la  specifica disciplina
dettata  dal citato art. 143 della legge fallimentare, che prevede la
formalita'   istruttoria   della   audizione  sia  del  curatore  del
fallimento  che  del comitato dei creditori (organi questi, peraltro,
ormai  cessati  a  seguito della chiusura del fallimento), deriva che
debba  essere  dal  giudice  fissata  almeno  un'udienza  nella quale
svolgere siffatta attivita'.
   L'esame  della disciplina delle procedure camerali consente dunque
di ravvisare, come necessario strumento di pubblicita' della pendenza
della procedura nei confronti dei controinteressati, la notificazione
ad  essi  del ricorso introduttivo e del pedissequo decreto col quale
l'organo  giudiziario  fissa  l'udienza in Camera di consiglio per la
discussione del ricorso stesso.
   Tenuto  conto  del petitum contenuto nella ordinanza di rimessione
della   Corte  di  appello  di  Venezia,  relativo  alla  ipotesi  di
procedimento  di  esdebitazione  introdotto  con ricorso entro l'anno
dall'avvenuta   dichiarazione   di  chiusura  del  fallimento,  deve,
pertanto,   conformemente   al   descritto   modello  procedimentale,
affermarsi la illegittimita' costituzionale dell'art. 143 della legge
fallimentare   limitatamente   alla  parte  in  cui  non  prevede  la
notificazione,  a  cura  del  ricorrente e nelle forme previste dagli
artt.  137  e  seguenti del codice di procedura civile (ivi compresa,
ricorrendone i requisiti, anche quella di cui all'art. 150 cod. proc.
civ.),  ai  creditori  concorrenti non integralmente soddisfatti, del
ricorso  col  quale  il  debitore,  gia'  dichiarato fallito, chiede,
nell'anno  successivo  alla dichiarazione di chiusura del fallimento,
di  essere  ammesso al beneficio della liberazione dai debiti residui
nei  confronti  dei medesimi creditori, nonche' del decreto col quale
il giudice fissa l'udienza in Camera di consiglio.