LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE
   Ha   emesso   la   seguente ordinanza   sul  ricorso  n. 14099/06,
depositato l'11 dicembre 2006:
     avverso  silenzio  rifiuto  istanza  rimb.  IRPEG  1982,  contro
Agenzia  Entrate  -  Ufficio  Milano  1,  proposto  dalla  ricorrente
Castagno  S.r.l., via della Signora n. 2/A - 20122 Milano, difesa da:
prof.  dott.  Marco Piazza, dott. Guido Luigi Elefante, avv. Patrizia
Castellano, Studio associato, piazza Galleria Passerella n. 1 - 20122
Milano;
     avverso  silenzio  rifiuto  istanza  rimb.  IRPEG  1985,  contro
Agenzia  Entrate  -  Ufficio  Milano  1,  proposto  dalla  ricorrente
Castagno  S.r.l., via della Signora n. 2/A - 20122 Milano, difeso da:
prof.  dott.  Marco Piazza, dott. Guido Luigi Elefante, avv. Patrizia
Castellano, Studio associato, piazza Galleria Passerella n. 1 - 20122
Milano.
                      Svolgimento del processo
   Con  il  ricorso  indicato in epigrafe la societa' Castagno S.r.l.
impugna  il  silenzio  rifiuto dell'Agenzia delle Entrate, Ufficio di
Milano  1,  in  relazione  all'istanza  di  rimborso di crediti IRPEG
relativa agli anni 1982 e 1985, spedita a mezzo di raccomandata il 22
luglio 2005.
   La  ricorrente  afferma che nella dichiarazione dei redditi del 29
dicembre  1982,  relativa  al periodo d'imposta 1981 aveva chiesto il
rimborso  dell'IRPEG  risultante a credito per lire 30.559.000. Anche
nella  dichiarazione  presentata  il  28  febbraio  1986, relativa al
periodo  di  imposta 1984-1985 (esercizio a cavallo delle due annate)
era  risultato  un  credito  di IRPEG di lire 71.615.000, credito del
quale aveva chiesto contestualmente il rimborso.
   Rilevata  l'inottemperanza dell'amministrazione finanziaria, il 25
novembre   2004   aveva  chiesto  informazioni  e  aveva  sollecitato
l'esecuzione   dei   rimborsi.   Non  avendo  ricevuto  risposta,  la
ricorrente  aveva  inviato  altra raccomandata in data 22 luglio 2005
con  nuova  richiesta  di  informazioni  e  sollecito  di  pagamento,
raccomandata a cui l'Amministrazione non aveva dato alcuna risposta.
   Considerato che i crediti di cui si chiedeva il rimborso non erano
stati  mai  contestati  e  pertanto  erano  diventati  certi,  e che,
nonostante  i  solleciti  inviati  dalla ricorrente l'amministrazione
finanziaria  non  ha  ancora  provveduto  ai rimborsi, contravvenendo
all'obbligo di dare informazioni (previsto dagli articoli 5 e 8 della
legge  n. 241/1990)  e  di  restituire  le somme versate in eccedenza
(previsto  dall'articolo  38  del  d.P.R. n. 602/1973), la ricorrente
chiede  che  l'Agenzia  delle  Entrate sia condannata al pagamento di
Euro  15.782,41  (pari a lire 30.559.000) per Irpeg del 1982; di Euro
36.986,06  (pari  a lire 71.615.000) per Irpeg del periodo di imposta
1984-1985;  oltre che degli interessi dovuti per legge sulle predette
somme.
   Si  e'  costituito  in giudizio l'Ufficio di Milano 1 dell'Agenzia
delle  Entrate chiedendo semplicemente che il ricorso sia respinto in
quanto  improponibile.  inammissibile  e  comunque  infondato  e  non
provato sia in fatto che in diritto.
   Con  memoria  di  replica depositata il giorno 11 dicembre 2006 la
societa'  ricorrente  fa  rilevare  che  non  spetta  a  lei  provare
l'esistenza  dei  crediti  poiche'  essi emergono dalle dichiarazioni
presentate  a  suo tempo all'amministrazione, crediti dei quali aveva
chiesto il rimborso, inviando poi solleciti sia scritti che verbali.
   Si   tratta   di  crediti  diventati  certi  proprio  perche'  mai
contestati    dall'amministrazione    finanziaria    nonostante    la
possibilita'   di   farlo   sia   in   sede   di  liquidazione  della
dichiarazione,  sia in occasione dei solleciti verbali e scritti gia'
documentati.  L'ufficio aveva il dovere di controllare e liquidare le
dichiarazioni  entro  il 31 dicembre dell'anno successivo a quello di
presentazione.
   «Il  fatto  che  l'ufficio non abbia effettuato il rimborso non e'
dimostrazione  dell'inesistenza  dei  crediti,  ma anzi e' proprio il
fatto  di  non  avere  mai  messo  in  discussione la loro spettanza,
nonostante  i  numerosi  solleciti della contribuente, che ne attesta
l'esistenza».  A  questo  riguardo  la ricorrente richiama i principi
stabiliti  dalla  Corte  di cassazione con le sentenza n. 6245 del 16
marzo  2007  e n. 5066 dell'11 marzo 2004, dove si afferma che quando
il  contribuente  nella  dichiarazione  dei redditi ha evidenziato un
credito  d'imposta, al fine di ottenere il rimborso non deve compiere
altro  adempimento  ma  deve soltanto attendere che l'amministrazione
finanziaria   eserciti  il  potere-dovere  di  controllo  secondo  la
procedura di liquidazione delle imposte prevista dall'articolo 36-bis
del d.P.R. n. 600/1973, ovvero con lo strumento della rettifica.
   Infine  la  ricorrente  fa  rilevare che «i crediti ai quali si fa
riferimento   risalgono  a  ben  venti  anni  fa,  cosicche'  sarebbe
contrario alle norme civilistiche (art. 2220 c.c.) e fiscali (art. 22
del    d.P.R.   n. 600/1973)   richiedere   alla   ricorrente   detta
documentazione.  Peraltro  trattasi  di documentazione a disposizione
dell'amministrazione  finanziaria  e  prodotta  a  suo  tempo  con la
presentazione delle dichiarazioni».
   Pur  ritenendo  di  avere gia' maturato il diritto al rimborso dei
crediti  richiesti  con le dichiarazioni (crediti mai contestati, ne'
rettificati,  ne'  compensati,  ne'  ceduti  a  terzi), tuttavia, per
scrupolo  difensivo  la  ricorrente produce copia delle dichiarazioni
dei  redditi, dei bilanci, dei certificati della societa' partecipata
SIDAS  s.r.l.  concernenti  il versamento dei dividendi e le ritenute
d'acconto  (da  cui  derivano in buona parte i crediti di imposta), e
copia  delle  raccomandate  inviate al Centro di servizio in risposta
alle richieste di documenti ex articolo 36-bis d.P.R. n. 600/1973.
                       Motivi della decisione
   Preliminarmente  va  precisato  che  non e' fondata l'eccezione di
inammissibilita' del ricorso, sollevata dall'ufficio.
   La questione e' stata esaminata dalla Corte di cassazione, sezione
tributaria,  con  la  sentenza  n. 11830  del  12  marzo 2002, che ha
enunciato il seguente principio di diritto:
     «In  tema  di imposte sui redditi, qualora il contribuente abbia
evidenziato nella dichiarazione un credito d'imposta, non occorre, da
parte  sua,  al fine di ottenere il rimborso, alcun altro adempimento
(quale,  in  particolare,  l'istanza  ex  articolo  38, del d.P.R. 29
settembre  1973 n. 602, estranea alla fattispecie anzidetta), ma deve
solo  attendere  che l'amministrazione finanziaria eserciti, sui dati
in dichiarazione, il potere-dovere di controllo, secondo la procedura
di liquidazione delle imposte prevista dall'art. 36-bis del d.P.R. 29
settembre  1973,  n. 600, ovvero, ricorrendone i presupposti, secondo
lo  strumento  della  rettifica della dichiarazione. Una volta che il
credito  si  sia consolidato - attraverso un riconoscimento esplicito
in  sede  di  liquidazione,  ovvero  per effetto di un riconoscimento
implicito  derivante  dal mancato esercizio nei termini del potere di
rettifica -, l'amministrazione e' tenuta ad eseguire il rimborso e il
relativo   credito   del  contribuente  e'  soggetto  alla  ordinaria
prescrizione  decennale,  decorrente  dal  riconoscimento del credito
stesso».  Questo  orientamento  e' stato confermato da altra sentenza
della  stessa  sezione della Corte di cassazione, numero 3718 in data
14   gennaio   2005.  Entrambe  sono  menzionate  anche  dall'ufficio
nell'atto  di  costituzione in giudizio, sebbene esse siano contrarie
alla eccezione di inammissibilita'.
   Nella  motivazione  della  prima sentenza e' detto chiaramente che
l'articolo  38  del d.P.R. n. 602/1973 non e' applicabile all'ipotesi
di  credito  di  imposta  risultante dalla dichiarazione dei redditi,
perche'  essa  riguarda  situazioni di fatto totalmente differenti, e
«cioe'  quando si sono verificati fatti che impongono al contribuente
di   attivarsi  entro  un  determinato  termine  per  fare  conoscere
all'amministrazione  sia la fonte del preteso diritto al rimborso che
la  volonta'  di  ottenere  il  rimborso.  Tali fatti, per previsione
espressa   e  tassativa  dell'articolo  38  d.P.R.  n. 602/1973  (che
sancendo  una  decadenza  e'  norma  di stretta interpretazione) sono
l'errore  materiale, la duplicazione, l'inesistenza totale o parziale
dell'obbligo  di versamento. Nessuno di questi fatti si e' verificato
nel  caso  sottoposto  ad  esame,  sicche'  la norma invocata risulta
totalmente estranea ed indifferente».
   Dunque  non e' necessaria l'istanza di rimborso per determinare il
silenzio rifiuto della amministrazione quando siano decorsi i termini
per  la liquidazione, ex articolo 36-bis d.P.R. n. 600/1973, e quello
per l'accertamento ex articolo 43 del medesimo decreto.
   Questo  non significa pero' che il contribuente non possa proporre
il ricorso previsto dagli articoli 18 e 19 del d.lgs. n. 546/1992, al
fine   di   ottenere   il   rimborso   del   credito  indicato  nella
dichiarazione.  Se si fosse di contrario avviso si dovrebbe ravvisare
un conflitto di tali norme con l'articolo 113 della Costituzione, che
garantisce  la  tutela  giurisdizionale dei diritti e degli interessi
legittimi   dinanzi   agli   organi   della   giustizia  ordinaria  o
amministrativa.  Dunque,  il  fatto  che  il credito risultante dalla
dichiarazione  dei  redditi  non  possa  rientrare  nelle  ipotesi di
silenzio-rifiuto  previste dall'articolo 38 primo e secondo comma del
d.P.R. n. 602/1973, non significa affatto che il silenzio-rifiuto non
possa  risultare  in  altro  modo  ed  in  particolare, dalla mancata
liquidazione   del   credito   di   imposta   nei   termini  previsti
dall'articolo  36-bis  del d.P.R. n. 600/1973. Infatti l'articolo 19,
lettera  g)  del d.lgs. n. 546/1992 considera impugnabile «il rifiuto
espresso  o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie
ed  interessi o altri accessori non dovuti», concetto ben ampio e non
strettamente correlato al procedimento descritto nell'articolo 38 del
d.P.R.  n. 602/1973 che, peraltro, assoggetta l'istanza di rimborso a
termini  di  decadenza  non suscettibili di estensione all'ipotesi di
rimborso di credito risultante dalla dichiarazione. Infatti in questo
caso   l'istanza   di   rimborso   viene   formulata  con  la  stessa
dichiarazione dei redditi da cui risulta il credito d'imposta.
   Va  da  se che, come precisato nelle medesime sentenze della Corte
di  cassazione, il credito risultante dalla dichiarazione e' soggetto
alla  ordinaria prescrizione decennale, decorrente dal riconoscimento
anche implicito del credito stesso, ovvero dalla scadenza dei termini
per  la  comunicazione  di  una  liquidazione della dichiarazione con
esito  diverso  da quello prospettato dal contribuente o, in mancanza
di  questa, dalla scadenza del termine per la notifica dell'avviso di
accertamento.
   Dunque  il  ricorso  e'  ammissibile.  Tuttavia  resta  aperta  la
questione  preliminare  della  eventuale  prescrizione del diritto al
rimborso  che, nel caso in esame, si e' verificata perche', sia dalla
scadenza  del  termine  fissato per la liquidazione ex 36-bis, d.P.R.
n. 600/1973,  sia  da  quella  per  l'accertamento ex articolo 43 del
medesimo  decreto,  (per  la  dichiarazione  del  1986  detto termine
scadeva,  secondo  la legislazione allora vigente, il 31 dicembre del
quinto anno successivo a quello della dichiarazione stessa, ovvero il
31  dicembre  del 1991) sono trascorsi piu' di dieci anni prima della
presentazione  del  ricorso.  E'  pur  vero  che  la ricorrente aveva
inviato  in precedenza ben due richieste di chiarimenti e sollecitato
la  liquidazione  e  il rimborso di quanto dovuto, ma entrambe queste
richieste  (astrattamente  idonee  ad  interrompere  il  corso  della
prescrizione),  sono  intervenute  il 25 novembre 2004 e il 21 luglio
2005,  ovvero  quando  erano gia' trascorsi (alla data del 1° gennaio
2002)  piu'  di  dieci  anni  dall'inizio del termine di prescrizione
sopra indicato.
   L'eventuale  estinzione  del diritto per prescrizione e' rilevante
nel  presente  giudizio  perche',  a  causa  del  tempo trascorso dal
periodo  di  imposta  in  questione l'ufficio non e' piu' in grado di
verificare   l'esito  delle  attivita'  di  liquidazione,  posto  che
all'epoca  non  era  stato  ancora  introdotto il Sistema informatico
dell'amministrazione  tributaria;  solo in alcuni casi e' in grado di
rilevare  l'esistenza  di rimborsi effettuati molti anni dopo, ma non
ha  la impossibilita' di stabilire con certezza che altri crediti non
siano  stati rimborsati; in ogni caso non e' in grado di verificare e
riferire l'esito delle attivita' di liquidazione perche' si tratta di
pratiche  amministrative i cui fascicoli sono stati gia' destinati al
macero.   Peraltro   l'obbligo   della pubblica  amministrazione,  di
custodire  la  documentazione  delle pratiche fiscali, fuori dai casi
della  esistenza  di  controversie  in  corso,  non puo' certo essere
prolungato  oltre il termine ordinario di prescrizione, cosi' come e'
stabilito  per i privati dall'articolo 2220 del codice civile, con la
deroga   prevista   dall'articolo   22,   secondo  comma  del  d.P.R.
n. 600/1973.
   Dunque  questa  oggettiva  impossibilita',  per  l'amministrazione
finanziaria,  di  contrastare  nel  merito  la pretesa del ricorrente
dovrebbe  comportare,  qualora  non  fosse  eccepita la prescrizione,
l'accoglimento  del  ricorso  e  la condanna dell'Agenzia al rimborso
delle cospicue somme risultanti, come crediti di imposta, dalle copie
delle   dichiarazioni  prodotte  dalla  ricorrente.  Copie  che  sono
indubbiamente   utilizzabili   come  prova,  salvo  che  non  ne  sia
esplicitamente  contestata  la  conformita' agli originali (art. 2719
del  codice  civile).  Questa  contestazione non e' stata prospettata
dall'ufficio  (che  deduce  soltanto  la  loro inutilizzabilita' come
mezzo  di  prova) e non potrebbe in alcun modo essere dedotta proprio
perche'  manca  la  disponibilita'  degli originali (presentati a suo
tempo al Centro di servizio) e la possibilita' di un confronto.
   Dunque  la  questione relativa alla prescrizione del diritto e' di
importanza risolutiva per la definizione del giudizio.
   L'estinzione del diritto per prescrizione non puo' essere rilevata
di  ufficio  dal  giudice  (art.  2938  del  codice  civile),  ma  e'
necessario  che  sia  eccepita  dalla  parte  che  vi  ha  interesse.
L'ufficio  si  e' astenuto dal sollevare l'eccezione di prescrizione,
in  ossequio  al  disposto  contenuto nell'articolo 3, comma 58 della
legge  24  dicembre  2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del
bilanci  annuale  e  pluriennale dello Stato) che cosi' dispone: «Nel
quadro   delle   iniziative  volte  a  definire  le  pendenze  con  i
contribuenti,  e  di  rimborso delle imposte, l'Agenzia delle Entrate
provvede  alla ero-gazione delle eccedenze di IRPEF e IRPEG dovute in
base  alle  dichiarazioni  dei  redditi  presentate fino al 30 giugno
1997,  senza  far  valere  la  eventuale prescrizione del diritto dei
contribuenti».
   Questa norma e' palesemente contraria a principi costituzionali di
uguaglianza,  di  ragionevolezza,  di  tutela  giurisdizionale  e  di
organizzazione dei pubblici uffici secondo criteri di buon andamento,
di  imparzialita'  e  di  efficienza  della pubblica amministrazione.
(Articoli 3, 113 e 97 della Costituzione).
   E' contraria al principio di eguaglianza perche' discrimina tra le
parti   del   processo  e  tra  diverse  categorie  di  contribuenti.
Certamente  non  trova altro esempio in tutta la legislazione vigente
in  caso  di  un  norma  (come quella in esame) che vieta solo ad una
delle  parti  il  potere  di  dedurre ed eccepire fatti e circostanze
rilevanti  ai  fini  della  decisione.  La  struttura  della norma e'
singolare   e   irragionevole  perche',  pur  incidendo  sui  diritti
soggettivi  ed  in particolare sull'obbligo della p.a. di eseguire un
rimborso,  perviene  a  questo  risultato non modificando le norme di
diritto  sostanziale sulla prescrizione (eventualmente prolungando la
durata  del  termine), ma alterando i poteri processuali di una delle
parti  in  causa. L'anomalia e' ancora piu' evidente ove si consideri
che essa non modifica la disciplina del processo in modo indifferente
per  le  parti  ma  si  rivolge  soltanto  ad un organo interno della
pubblica  amministrazione  vietandogli  di  esercitare  una  facolta'
prevista  in  generale  dall'ordinamento  processuale,  che  resta in
apparenza inalterato.
   Con    questo    singolare    meccanismo   normativo   si   incide
sostanzialmente   sull'istituto   della  prescrizione  con  efficacia
retroattiva   e   in   violazione   dei  principi  generale,  sanciti
dall'articolo  3  della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in
materia di statuto dei diritti del contribuente), il quale stabilisce
che  le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo e che i
termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti d'imposta
non possono essere prorogati.
   La  norma  e'  in contrasto con il secondo comma dell'articolo 113
della  Costituzione  perche'  esclude la tutela giurisdizionale della
stessa  pubblica  amministrazione  per determinate categorie di atti.
Infatti  essa  vieta  all'Agenzia  delle  Entrate  di  far  valere la
prescrizione  soltanto  per  «le eccedenze di IRPEF e IRPEG dovute in
base  alle  dichiarazioni  dei  redditi  presentate fino al 30 giugno
1997».
   La  norma  e'  contraria  al  principio  di ragionevolezza perche'
estendendo il divieto ai rapporti derivanti da tutte le dichiarazioni
anteriori  al  30  giugno  1997 senza alcun limite iniziale, offre ai
contribuenti   la   possibilita'  di  riaprire  ad  libitum  rapporti
giuridici di credito anche risalenti al passato remoto.
   E'   contraria   al  principio  di  ragionevolezza  anche  perche'
l'espressione,  «Nel  quadro  delle  iniziative  volte  a definire le
pendenze  con  i  contribuenti»,  e'  priva  di  senso e di contenuto
precettivo,  e  si  presenta come una giustificazione incongrua della
speciale   deroga   alla  generale  applicazione  delle  norme  sulla
prescrizione.  Infatti  l'espressione  suddetta  non  puo'  che' fare
riferimento  o  a  rapporti  sub iudice, e quindi non suscettibili di
prescrizione  (giacche'  il  termine  di  prescrizione  resta sospeso
durante  tutto il corso della lite e fino alla conclusione definitiva
del  processo, articolo 2945 secondo comma del codice civile), oppure
a  rapporti  tributari  per  i quali siano ancora aperti i termini di
accertamento,  per  i  quali  ovviamente  non puo' essersi verificata
alcuna prescrizione.
   Ugualmente   privo   di  senso  e'  l'inciso,  «Nel  quadro  delle
iniziative...  di  rimborso  delle  imposte»,  perche'  l'espressione
«iniziative  di rimborso delle imposte» non puo' fare riferimento che
al  rimborso  di  ufficio,  previsto  dall'articolo 42-bis del d.P.R.
n. 602/1973,  e, in virtu' del rinvio contenuto nella suddetta norma,
al  potere  dovere  dell'ufficio di procedere alla liquidazione delle
dichiarazioni dei redditi ex art. 36-bis, d.P.R. n. 600/1973.
   Ma, nel senso suddetto, il riferimento all'iniziativa dell'ufficio
non  ha  alcun  significato  normativo, anche perche' la liquidazione
deve  avvenire  entro  un  termine  piu' breve e percio' non puo' mai
essersi  verificata  una  prescrizione del diritto del ricorrente. Se
poi, per assurdo, si volesse estendere la classe delle «iniziative» a
tutte le richieste di rimborso provenienti dai contribuenti, la norma
dovrebbe significare che di fronte a qualunque rivendicazione tardiva
e  remota,  l'Agenzia  delle Entrate non potrebbe piu' opporre alcuna
difesa. Questo confermerebbe la censura di totale irragionevolezza.
   Dunque   il   divieto  rivolto  agli  uffici,  di  far  valere  la
prescrizione,  puo'  fare  riferimento  soltanto  al  rimborso  delle
imposte  il  cui  diritto sia stato gia' definitivamente riconosciuto
dalla  amministrazione in uno dei modi sopra specificati dalle citate
sentenze della Corte di cassazione.
   Ma  sotto  questo  profilo  non si comprende quale possa essere la
ragione  di  politica  legislativa  per  cui  lo  Stato  abbia voluto
rinunciare  ad  una  eccezione  fondata sulle norme di diritto comune
(valevoli  per  tutte le situazioni di prolungata inerzia dell'avente
diritto),   peraltro   favorendo   soltanto   alcune   categorie   di
contribuenti  a  discapito  di  altri,  a cominciare da quelli le cui
dichiarazioni  fossero state presentate dopo il 30 giugno 1997. Ed e'
questo   il   secondo  profilo  della  violazione  del  principio  di
uguaglianza, sancito dall'articolo 3 della Costituzione.
   Inoltre  la  norma  rivela  la  sua assoluta irragionevolezza e il
contrasto  inconciliabile con l'articolo 97 della Costituzione ove si
considerino  gli effetti perversi che essa produce, perche' da' adito
a vere e proprie frodi in danno dell'erario.
   Infatti   occorre   tenere  presente  che  la  liquidazione  della
dichiarazione,  prevista  dall'articolo  36-bis del d.P.R. n. 600 del
1973,  non prevedeva e non prevede tuttora che il disconoscimento del
credito  di  imposta,  esposto nella dichiarazione dei redditi, debba
essere  formalmente  comunicato  al  dichiarante.  Infatti, mentre il
primo  comma  stabilisce  che  all'esito della liquidazione l'ufficio
deve  provvedere  ad effettuare i rimborsi eventualmente spettanti in
base  alle dichiarazioni, il comma terzo stabilisce soltanto che, «ai
fini  delle  correzioni,  esclusioni  e  riduzioni previste dal comma
secondo»,  l'ufficio  deve  invitare  il contribuente, «anche a mezzo
telefono  o  a  mezzo  posta, a fornire chiarimenti in ordine ai dati
contenuti  nella dichiarazione e ad esibire o trasmettere ricevute di
versamento  e altri documenti indicati nella dichiarazione ma ad essa
non allegati o difformi dai dati forniti da terzi».
   Vero  e'  che  la  legge  n. 212/2000  (statuto  dei  diritti  del
contribuente)  all'articolo 6, comma 2 stabilisce: «L'amministrazione
deve  informare  il  contribuente  di  ogni fatto o circostanza a sua
conoscenza  dai  quali possa derivare il mancato riconoscimento di un
credito  ovvero  l'irrogazione  di  una  sanzione,  richiedendogli di
integrare   o   correggere  gli  atti  prodotti  che  impediscono  il
riconoscimento,  seppure parziale, di un credito». Anche questa norma
pero'  non  prevede  l'emanazione, dopo la richiesta di chiarimenti e
della  esibizione di documenti, di un vero e proprio provvedimento di
rigetto  della  richiesta  di  rimborso.  Ma  quand'anche  si volesse
affermare  che  da  essa scaturisce l'obbligo dell'amministrazione di
comunicare   il  rifiuto  del  rimborso  del  credito  esposto  nella
dichiarazione,  si  deve rilevare che essa non puo' esplicare effetti
sul  passato e sui procedimenti definiti prima dell'entrata in vigore
della citata legge n. 212/2000.
   Dunque,  in  precedenza,  e  specificamente  all'epoca  in  cui si
procedeva alla liquidazione delle dichiarazioni presentate negli anni
1982   e   1986,   il   dichiarante   poteva   essere  informato  del
disconoscimento  del  credito solo indirettamente, quando riceveva un
rimborso  inferiore  alla  somma  da  lui esposta nella dichiarazione
oppure  quando  la liquidazione metteva in evidenza non un credito ma
un  debito  di imposta. Viceversa, quando l'ufficio, anche dopo avere
chiesto  chiarimenti  e  documenti,  si  limitava  a  disconoscere il
credito  di  imposta, non era tenuto ad eseguire alcuna comunicazione
al  dichiarante. Si tratta certamente di una carenza normativa, a cui
tuttavia  non  e' possibile porre rimedio con la legge n. 212 entrata
in vigore nel 2000.
   Questa  deficienza  va  poi  messa  in relazione con la situazione
determinatasi  con  il  riordino  degli  uffici  dell'amministrazione
finanziaria  e  con  la  soppressione  dei centri di servizio, che in
passato   erano   deputati   alle  attivita'  di  liquidazione  delle
dichiarazioni  dei  redditi  e  di  rimborso e recupero delle imposte
liquidate.  Ma  soprattutto  si  deve  tenere conto delle esigenze di
buona  organizzazione  e  di  economicita'  nel  funzionamento  degli
uffici,  esigenze  che impongono la eliminazione della documentazione
cartacea  risalente  ad annualita' remote e a rapporti ormai definiti
ovvero non fatte oggetto di controversie pendenti. A cio' si aggiunga
che   anche   i   dati   informatici   relativi   alle  dichiarazioni
ultradecennali  talvolta  non  sono  stati mai archiviate su supporto
informatico,  talaltra  sono  stati  eliminati  quando si trattava di
dichiarazioni  non  assoggettate ad accertamento e/o a contestazione.
Sta  di  fatto  che  le  interrogazioni  al  SIAT  non  consentono di
conoscere l'esito di dichiarazioni relative ad annualita' antecedenti
al decennio.
   Queste  circostanze  hanno  determinato la concreta impossibilita'
dell'Ufficio  di  risalire agli atti di liquidazione compiuti in anni
remoti  e  di  giustificare  la non spettanza del rimborso per quelle
dichiarazioni risalenti agli anni 80. Infatti in altro caso analogo a
quello  qui  in  esame  (vedi  nota  1)   l'Ufficio  ha semplicemente
replicato   che   «trattandosi   di   annualita'   pregresse,   dalle
interrogazioni  al  SIAT non e' possibile verificare ne' i dati delle
dichiarazioni   dei  redditi  modello  760,  ne'  i  risultati  delle
liquidazioni effettuate dal Centro di servizi di Milano».
   Risulta   percio'  evidente  come  taluni  contribuenti,  malgrado
l'inerzia  serbata  ben oltre il decennio della prescrizione, possano
approfittare  di questa situazione di impotenza della controparte per
rispolverare  vecchie  dichiarazioni che si chiudevano con un credito
di imposta a suo tempo non riconosciuto e, malgrado la consapevolezza
dell'insussistenza  del  diritto,  pretendere ora il rimborso, quando
l'amministrazione  finanziaria non e' piu' in grado di contrastare la
pretesa  a  causa  della sicura distruzione delle pratiche cartacee e
dell'improvvida  preclusione  dell'eccezione di prescrizione, imposta
dall'articolo 3, comma 58 della legge 24 dicembre 2003, n. 350.
   Percio',  sotto  questo aspetto deve ravvisarsi un conflitto della
predetta   norma  con  i  principi  sanciti  dall'articolo  97  della
Costituzione,  secondo  cui  gli  uffici  pubblici  sono  organizzati
secondo  disposizioni  di legge, in modo che siano assicurati il buon
andamento e l'imparzialita' dell'amministrazione.
   Che  l'ipotesi, di una capziosa reviviscenza di crediti di imposta
a  suo  tempo non riconosciuti, non sia del tutto teorica, e' provato
dal  fatto  che  in  taluni  casi, secondo le deduzioni dell'ufficio,
dalle  interrogazioni  al SIAT risulta riconosciuto (e talvolta anche
eseguito)  il  rimborso di una somma inferiore a quella richiesta dal
ricorrente,  con  specifica  indicazione  della  data  e  del  numero
dell'ordinativo  di  pagamento  (vedi  nota  2)  . Cio' nonostante il
ricorrente  ha  chiesto  ugualmente  il  rimborso dell'intero credito
risultante   dalla  dichiarazione.  I  dati  menzionati  dall'ufficio
resistente risultano soltanto dal sistema informativo, ma il silenzio
del  ricorrente  su  queste  specifiche deduzioni fa ritenere ammesso
l'effettivo   rimborso   parziale   del   credito   e,   dunque,   la
consapevolezza del disconoscimento del credito residuo e la pregressa
tacita accondiscendenza al rifiuto del rimborso per la parte residua.
   Tuttavia,  dopo  la  promulgazione  della  legge 24 dicembre 2003,
n. 350,   che   inibisce   agli  uffici  di  opporre  l'eccezione  di
prescrizione,  questi  contribuenti si sono d'improvviso ricordati di
questi  remoti crediti di imposta derivanti da dichiarazioni non piu'
soggette  ad accertamento (e dunque del tutto estranee a qualsivoglia
contenzioso), per rivendicare dalla Stato somme che a suo tempo erano
state  disconosciute,  secondo  gli  ordinari  canoni di liquidazione
delle  dichiarazioni.  L'inerzia  serbata  per oltre dieci anni prima
della novella deI dicembre 2003 dimostra che essi si erano rassegnati
a   non   esigere   piu'   il   rimborso  essendo  consapevoli  della
insussistenza del credito residuo.
   Dunque,  l'improvvido divieto di eccepire la prescrizione, rivolto
soltanto  agli  uffici  finanziari e contenuto nel citato articolo 2,
comma  58, della legge n. 350/2003, da un lato non ha una ragionevole
spiegazione normativa, dall'altro finisce soltanto con il favorire la
soddisfazione di ingiuste richieste di rimborso.
   Pertanto   e'   necessario   sollevare  di  ufficio  questione  di
legittimita'  costituzionale  della predetta norma, in relazione agli
articoli  3, 97 e 113, secondo comma della Costituzione, posto che la
norma   impedisce   all'Agenzia   delle   Entrate   di   eccepire  la
prescrizione.


(1)  Si  veda il ricorso n. 14104/2006, ricorrente Lambro S.r.l., per
il  quale  e'  stata  sollevata la stessa questione di illegittimita'
costituzionale.
(2)  La  predetta  circostanza  non  e' in contrasto con quanto prima
specificato    circa    la   cancellazione   dei   dati   informatici
pluridecennali,  perche' i database relativi ai rimborsi, ovvero alle
erogazioni  di denaro da parte dell'Erario, seguono regole diverse da
quelle sui dati generali attinenti alle dichiarazioni dei redditi.