ha pronunciato la seguente
                              Ordinanza
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 2, del
decreto   legislativo   15   novembre   1993,  n. 507  (Revisione  ed
armonizzazione  dell'imposta comunale sulla pubblicita' e del diritto
sulle pubbliche affissioni, della tassa per l'occupazione di spazi ed
aree pubbliche dei comuni e delle province nonche' della tassa per lo
smaltimento dei rifiuti solidi urbani a norma dell'art. 4 della legge
23  ottobre  1992,  n. 421,  concernente  il  riordino  della finanza
territoriale),  promosso  con  ordinanza  del  15  maggio  2007 dalla
Commissione  tributaria provinciale di Piacenza nel giudizio vertente
tra  la  s.c.  a  r.l. per azioni Banca di Piacenza e l'I.C.A. s.r.l.
iscritta  al  n. 835  del  registro ordinanze 2007 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale   della   Repubblica  n. 3, 1ª  serie  speciale,
dell'anno 2008.
   Visti l'atto di costituzione della s.c. a r.l. per azioni Banca di
Piacenza  e  l'atto  di  intervento  del Presidente del Consiglio dei
ministri;
   Udito nell'udienza pubblica del 20 maggio 2008 il giudice relatore
Franco Gallo;
   Uditi  l'avvocato Vittorio Angiolini per la s.c. a r.l. per azioni
Banca  di Piacenza e l'avvocato dello Stato Gianna Maria De Socio per
il Presidente del Consiglio dei ministri.
   Ritenuto che, nel corso di un giudizio riguardante l'impugnazione,
da parte della s.c. a r.l. per azioni Banca di Piacenza, di un avviso
di  accertamento relativo all'omessa denuncia e all'omesso versamento
dell'imposta  sulla  pubblicita'  per  l'anno  2006,  la  Commissione
tributaria  provinciale  di  Piacenza, con ordinanza depositata il 15
maggio  2007, ha sollevato - in riferimento agli artt. 3, 24, 27, 53,
76   e   111   della   Costituzione -   questioni   di   legittimita'
costituzionale  dell'art.  6,  comma  2,  del  decreto legislativo 15
novembre  1993,  n. 507  (Revisione  ed  armonizzazione  dell'imposta
comunale  sulla pubblicita' e del diritto sulle pubbliche affissioni,
della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche dei comuni e
delle  province  nonche'  della  tassa per lo smaltimento dei rifiuti
solidi  urbani  a  norma  dell'art.  4  della  legge 23 ottobre 1992,
n. 421, concernente il riordino della finanza territoriale), il quale
dispone  che  «e'  solidalmente  obbligato  al pagamento dell'imposta
colui che produce o vende la merce o fornisce i servizi oggetto della
pubblicita»;
     che  il  giudice rimettente premette che la suddetta s.c. a r.l.
per  azioni  ha  proposto  ricorso contro l'avviso notificatole il 18
novembre   2006   dalla   s.r.l.   I.C.A.  Imposte  Comunali  Affini,
concessionaria  del  servizio  pubblicita' del Comune di Piacenza, la
quale  aveva  accertato «l'omessa denuncia e versamento della imposta
sulla pubblicita' per l'anno 2006 per n. 5 cartelli bifacciali di mq.
10 complessivi»;
     che,   secondo  quanto  riferito  dallo  stesso  rimettente,  la
ricorrente  afferma: a) di avere stipulato con la s.r.l. Pubblitop un
contratto  per  l'utilizzo degli spazi pubblicitari per un solo anno,
dal  10  giugno  2003  al 10 giugno 2004, senza tacita proroga; b) di
essere  venuta  a  conoscenza,  all'inizio  del 2006, del fatto che i
detti  spazi  erano  ancora utilizzati e di avere, percio', diffidato
formalmente  la  S.r.l.  Pubblitop a rimuovere la pubblicita'; c) che
quest'ultima  non  aveva  provveduto  e, il 13 luglio 2006, era stata
dichiarata fallita; d) di avere diffidato, quindi, la s.r.l. I.C.A. a
provvedere  alla  copertura  degli  spazi  pubblicitari;  e) di avere
provveduto  in  proprio,  il 30 gennaio 2007, alla copertura di detti
spazi;  f)  di  non  essere tenuta al pagamento dell'imposta «per una
pubblicita'  mai  voluta  e  per  la  quale  l'obbligo  del pagamento
incombeva  alla Pubblitop quale titolare del mezzo pubblicitario»; g)
di  essere  totalmente estranea al rapporto tributario, «cosi' che la
applicazione  di  sanzioni  [lede]  i  suoi  diritti di contribuente,
mentre  la  mancata preventiva escussione della Pubblitop [determina]
una soggezione alla imposta per mera responsabilita' oggettiva»;
     che  la  medesima  Commissione tributaria riferisce, poi, che la
S.r.l.  I.C.A.  ha  resistito  in  giudizio,  sostenendo che la banca
ricorrente era solidalmente tenuta al pagamento dell'imposta ai sensi
dell'art.  6, comma 2, del d.lgs. n. 507 del 1993 e che l'esposizione
pubblicitaria  doveva  considerarsi  abusiva  dopo che la S.p.a. OPS,
subentrata  alla  s.r.l.  Pubblitop  nel  novembre  2005, «aveva dato
disdetta degli impianti appartenuti alla Pubblitop con lettera del 31
gennaio 2006»;
     che  il  giudice  a  quo  censura  l'art. 6, comma 2, del d.lgs.
n. 507  del 1993, «nella parte in cui prevede che colui che produce o
vende  la  merce o fornisce i servizi oggetto della pubblicita' resti
obbligato  in solido con il soggetto passivo di imposta, anche quando
sia  accertato  che  egli  abbia  voluto  e fatto tutto quanto poteva
affinche'   il   soggetto  passivo  di  imposta  non  realizzasse  il
presupposto   della   imposizione  tributaria»,  in  riferimento:  a)
all'art.  3  Cost.,  per  lesione  del  principio  di ragionevolezza,
essendo  «il contribuente costretto a pagare una imposta senza essere
a  conoscenza del presupposto di fatto»; b) allo stesso art. 3 Cost.,
per  «disparita'  di  trattamento  [...]  fra  debitore e coobbligato
solidale,  chiamato a pagare senza avere realizzato il presupposto di
fatto»;   c)   all'art.   53   Cost.,  «per  essere  il  contribuente
assoggettato  alla  obbligazione  tributaria senza correlazione della
sua  capacita' contributiva al presupposto di imposta»; d) agli artt.
3  e  76  Cost.,  per  eccesso  di delega, «in quanto la legge delega
attribuisce  la  soggettivita'  passiva  solo a colui che dispone dei
mezzi  pubblicitari»;  e)  agli artt. 24 e 111 Cost., per «violazione
del diritto di difesa e del principio dell'equo processo»;
     che, ad avviso dello stesso rimettente, la norma censurata viola
anche:  a)  gli  artt.  3  e  27  Cost.,  perche' «non prevede che le
sanzioni di tipo afflittivo o punitivo debbano colpire esclusivamente
il  soggetto  passivo  di  imposta  e non debbano colpire il soggetto
pubblicizzato»,  il  quale non puo' fare alcunche' «per far cessare e
prevenire  la  propria  responsabilita' solidale»; b) l'art. 3 Cost.,
perche'  e' irragionevole che il soggetto pubblicizzato sia obbligato
in  solido  «con  un  soggetto  fallito,  senza  potersi  rivalere in
regresso sul medesimo»;
     che,   per   il   giudice   a   quo,  la  sentenza  della  Corte
costituzionale  n. 557  del  2000,  che  ha  ritenuto  legittima - in
riferimento agli artt. 3, 53 e 76 Cost. - la responsabilita' solidale
del  soggetto  pubblicizzato  per  il  pagamento  dell'imposta  sulla
pubblicita' prevista dal censurato art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 507
del  1993,  non  osta  all'accoglimento  delle  questioni, perche' si
riferisce  ad  una fattispecie diversa da quella oggetto del giudizio
principale;
     che  nel  caso  di specie, infatti, secondo il rimettente, «solo
alcune  delle  somme  richieste alla banca, come obbligata in solido,
sono  richieste a titolo di imposta; [...] altre somme sono richieste
a  titolo di sanzione pecuniaria per l'omessa denuncia, per ritardato
pagamento  e  per  interessi  di  mora (del 7%), ossia per titoli che
appaiono sanzioni prettamente afflittive»;
     che,  in  punto  di  rilevanza, il giudice a quo afferma che: a)
«dagli atti e documenti di causa risulta che la banca ha stipulato un
contratto  di  pubblicita'  per  un  solo anno (e per tale periodo il
soggetto  titolare  del  mezzo  pubblicitario - Pubblitop - ha pagato
alla  ICA  la  relativa  tassa), ma la pubblicita' e' rimasta esposta
anche  successivamente  a  tale  periodo  annuale, per inerzia di chi
disponeva del mezzo pubblicitario (la Pubblitop ha dapprima ceduto ad
altri  il  ramo di azienda e poi e' fallita) ed a totale insaputa del
soggetto  pubblicizzato  che,  non  appena  informato, si e' attivato
(invano) chiedendo la copertura della pubblicita' rimasta esposta sui
tabelloni»; b) «la banca - che non voleva assolutamente avvalersi del
mezzo  pubblicitario oltre il termine contrattualmente convenuto - e'
stata   raggiunta   dall'accertamento   e   colpita  dalle  sanzioni,
nonostante  abbia  posto in essere tutto quanto poteva per evitare le
conseguenze della altrui omissione»;
     che si e' costituita in giudizio la s.c. a r.l. per azioni Banca
di  Piacenza,  ricorrente  nel  giudizio  principale, concludendo per
l'accoglimento    delle    proposte    questioni    di   legittimita'
costituzionale;
     che  il  Presidente  del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  in
giudizio,  chiedendo  dichiararsi l'inammissibilita' o, in subordine,
la manifesta infondatezza delle sollevate questioni;
     che    la    difesa    erariale,    a   sostegno   dell'eccepita
inammissibilita',  osserva  che:  a)  il  giudice  rimettente avrebbe
dovuto  ricostruire  adeguatamente  il quadro normativo, valutando il
rilievo  del  comma  172  dell'art.  1  della legge 27 dicembre 2006,
n. 296, che ha abrogato l'art. 23 del d.lgs. n. 507 del 1993, recante
la  disciplina  degli  interessi  di  mora  sulle  somme  dovute  per
l'imposta   sulla   pubblicita';  b)  il  rimettente  avrebbe  dovuto
descrivere  sufficientemente la fattispecie, precisando «gli obblighi
formali  e/o  sostanziali  il  cui  inadempimento  avrebbe costituito
presupposto    delle   contestate   sanzioni   (l'ordinanza   accenna
genericamente  ad un'omessa denuncia, senza precisarne l'oggetto)» ed
avrebbe  dovuto  tenere  conto  del  fatto  che  la  disciplina delle
sanzioni  «e'  recata  per  detta  imposta  dagli  artt. 23 e 24 (non
censurati)   dello  stesso  d.lgs.»;  c)  il  giudizio  di  rilevanza
effettuato  dal  rimettente  e'  carente  per contraddittorieta' e la
questione  risulta,  conseguentemente,  posta in astratto, perche' e'
sollevata  per  l'ipotesi  che  l'obbligato  solidale «abbia voluto e
fatto  tutto  quanto  poteva affinche' il soggetto passivo di imposta
non  realizzasse il presupposto della imposizione tributaria», mentre
«nella fattispecie concreta la contestazione concerne l'imposta sulla
pubblicita'  per  l'anno  2006» e la banca aveva proceduto in proprio
alla copertura degli spazi pubblicitari solo il 30 gennaio 2007;
     che   nel   merito,   con   riguardo   alla   dedotta  manifesta
infondatezza, la medesima difesa erariale afferma che la disposizione
denunciata  non  viola gli evocati parametri costituzionali, perche':
a)  valgono,  in  riferimento  agli artt. 3, 53 e 76 Cost., le stesse
ragioni indicate nella sentenza della Corte costituzionale n. 557 del
2000, concernente una fattispecie analoga; b) i parametri degli artt.
24  e  111  Cost.  non  sono  conferenti, perche' «attengono al piano
processuale  delle  garanzie  di tutela giurisdizionale dei diritti e
del  giusto  processo, mentre la norma censurata si colloca sul piano
della disciplina sostanziale del rapporto»; c) il parametro dell'art.
27  Cost.  e'  inconferente,  perche' attiene alla personalita' della
responsabilita' penale e alla presunzione di innocenza;
     che, con memoria depositata in prossimita' dell'udienza, la s.c.
a r.l. per azioni Banca di Piacenza ha confermato le conclusioni gia'
formulate   nell'atto   di  costituzione,  precisando,  in  punto  di
rilevanza  delle sollevate questioni, che: a) non puo' invocarsi, «al
fine  di  revocare  in  dubbio  la  rilevanza  della  questione  come
prospettata dal giudice a quo, il fatto che la materia delle sanzioni
amministrative sia oggetto di due ulteriori e specifiche disposizioni
dello  stesso  d.lgs.  n. 507  del  1993,  non censurate nel presente
giudizio,   e  precisamente  degli  artt.  23  e  24»,  perche'  tali
disposizioni   «si  limitano  a  prevedere  entita'  e  natura  delle
sanzioni»,  nulla  disponendo  sul  destinatario  delle  medesime  e,
dunque,  «la  disposizione  che individua la responsabilita' solidale
del  soggetto  pubblicizzato  [...],  sia  per  l'imposta  sia per le
relative  sanzioni»,  e'  proprio  la  disposizione  censurata; b) il
soggetto  pubblicizzato  obbligato  in  solido ha fatto quanto in suo
potere  per impedire che il soggetto passivo dell'imposta realizzasse
il  presupposto  dell'imposizione,  perche',  prima  del  decorso del
periodo  cui  si  applica  l'imposta  oggetto  di  contestazione,  ha
manifestato,  tramite  ripetuti  inviti  formali  alla  rimozione dei
messaggi  pubblicitari,  una volonta' contraria alla loro permanenza;
c)  il  fatto  che  «solo  nel  gennaio  del  2007, dopo che i propri
ripetuti  solleciti  erano  rimasti senza esito, la Banca di Piacenza
abbia  provveduto, di sua iniziativa e a proprie spese, a rimuovere i
messaggi  pubblicitari»  deve essere considerato «un rimedio adottato
in  via  di fatto e del tutto sprovvisto di qualsiasi base giuridica,
dal  momento  che  gli  spazi  pubblicitari  su  cui i messaggi erano
esposti  non  erano in alcun modo nella disponibilita' della Banca» e
«solo per una circostanza del tutto fortuita il soggetto passivo (che
nel  frattempo  era  fallito)  non  ha  avuto  modo di opporsi a tale
iniziativa della Banca»;
     che  la  stessa s.c. a r.l. per azioni premette, in punto di non
manifesta  infondatezza  delle  sollevate  questioni, che il problema
della  costituzionalita' della disposizione censurata si pone in modo
nuovo   e   diverso   rispetto  alle  questioni  decise  dalla  Corte
costituzionale  con  la  sentenza  n. 557  del  2000,  perche', nella
specie:  a) «non solo non si rinviene alcun rapporto giuridico tra il
soggetto  passivo  e  l'obbligato  in  solido,  essendo  il contratto
pubblicitario  tra questi stipulato ormai scaduto da tempo, ma, oltre
a  cio', e' dimostrato che l'originario committente della pubblicita'
ha  inequivocabilmente  espresso  la  propria volonta' contraria alla
permanenza  dei messaggi pubblicitari»; b) «le somme richieste» [...]
con  l'avviso impugnato sono solo per una parte minoritaria richieste
a  titolo  di  imposta,  mentre  per  la  maggior parte corrispondono
all'applicazione di sanzioni amministrative tributarie: precisamente,
su   una   somma   complessiva   di  euro  1.084,98,  solo  465  euro
corrispondono all'imposta accertata; e la restante somma corrisponde,
per  la  maggior parte (altri 465 euro), alla sanzione amministrativa
per  l'omessa  denuncia,  e  per  la  parte  rimanente  all'ulteriore
sanzione  per  il  ritardo  nel pagamento (139,50 euro), ed infine ad
interessi di mora e spese di notifica»;
     che  la  medesima  parte  privata deduce, altresi', che la norma
censurata,  «entra  in  piena  ed irragionevole contraddizione con la
stessa  definizione del presupposto di imposta dell'art. 5», definito
come «la diffusione di messaggi pubblicitari», perche' «la diffusione
del  messaggio  svolta non solo all'insaputa ma addirittura contro la
precisa  volonta'  contraria  di chi dovrebbe trarne vantaggio, [...]
non   e'   piu'   un'attivita'  pubblicitaria,  ma  e',  invece,  «un
trattamento  di  dati  inerenti  a chi esercita impresa, da reputarsi
come  tale sicuramente illecito» in base agli artt. 11 e seguenti del
d.lgs.  30  giugno  2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei
dati personali);
     che  cio'  che  viene,  allora,  in rilievo, nel caso in esame -
secondo  la  parte  privata -  e' il fatto che la norma censurata non
ammette  che  il soggetto pubblicizzato possa fornire prova del fatto
di  non  avere  ricevuto  vantaggio  dalla diffusione di un messaggio
pubblicitario  che  reclamizza  i  propri prodotti o servizi, ponendo
cosi' una presunzione assoluta;
     che l'impossibilita' di fornire una tale prova contraria sarebbe
confermata «dal disposto dell'art. 8 del medesimo d.lgs. n. 507, che,
nell'imporre  al solo soggetto passivo di cui all'art. 6 l'obbligo di
presentare  tutte  le  dichiarazioni  circa  l'inizio  dell'attivita'
pubblicitaria  (comma  1),  le  relative  variazioni  (comma  2) e la
cessazione  dell'attivita'  (comma  3),  individua in questo soggetto
l'unico  interlocutore  del  Comune  per  tutto cio' che attiene alle
comunicazioni  sull'utilizzo  degli  spazi pubblicitari e ai relativi
adempimenti»;
     che secondo la parte privata, infatti, il d.lgs. n. 507 del 1993
«non  individua  alcun  meccanismo  che  consenta  al  committente di
comunicare  al  Comune  una  sua  eventuale  volonta'  contraria alla
permanenza  del messaggio, e cio' perche', semplicemente, ad una tale
volonta' contraria non viene attribuito alcun giuridico rilievo»;
     che,  per  la  stessa  s.c. a r.l. per azioni, inoltre, la norma
censurata  viola  il  combinato  disposto  degli  artt. 3 e 27 Cost.,
perche'  configura  un'ipotesi  di  responsabilita'  per fatto altrui
dell'obbligato  in  solido  in  relazione  alle sanzioni irrogate per
violazioni delle norme tributarie commesse dall'obbligato principale,
«il  quale  solo  ha  la  disponibilita' dei mezzi per la pubblicita'
medesima  ed  ha [...] l'esclusiva nell'intrattenere le relazioni con
l'amministrazione  al  riguardo dell'uso e della cessazione di questi
mezzi»;
     che la parte privata sottolinea, infine, che, nel caso in esame,
«le  sanzioni  riguardano  la  violazione di obblighi di denuncia (la
denuncia  di inizio e la denuncia di cessazione dell'attivita), che a
norma  dell'art.  8  del  d.lgs.  n. 507  del  1993 incombono solo ed
unicamente  sul soggetto passivo dell'imposizione (cioe' su colui che
dispone  del  mezzo  attraverso  cui il messaggio e' veicolato) e non
possono ritenersi estesi all'obbligato solidale».
   Considerato  che la Commissione tributaria provinciale di Piacenza
dubita  -  in  riferimento  agli  artt. 3, 24, 27, 53, 76 e 111 della
Costituzione  -  della legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma
2,  del  decreto  legislativo  15 novembre 1993, n. 507 (Revisione ed
armonizzazione  dell'imposta comunale sulla pubblicita' e del diritto
sulle pubbliche affissioni, della tassa per l'occupazione di spazi ed
aree pubbliche dei comuni e delle province nonche' della tassa per lo
smaltimento dei rifiuti solidi urbani a norma dell'art. 4 della legge
23  ottobre  1992,  n. 421,  concernente  il  riordino  della finanza
territoriale),  il  quale  dispone  che «e' solidalmente obbligato al
pagamento  dell'imposta colui che produce o vende la merce o fornisce
i servizi oggetto della pubblicita»;
     che,  in  particolare,  il  giudice  a  quo  censura la suddetta
disposizione  «nella  parte  in  cui  prevede che colui che produce o
vende  la  merce o fornisce i servizi oggetto della pubblicita' resti
obbligato  in solido con il soggetto passivo di imposta, anche quando
sia  accertato  che  egli  abbia  voluto  e fatto tutto quanto poteva
affinche'   il   soggetto  passivo  di  imposta  non  realizzasse  il
presupposto   della   imposizione  tributaria»,  per  violazione:  a)
dell'art.  3  Cost.,  per  lesione  del  principio di ragionevolezza,
essendo  «il contribuente costretto a pagare una imposta senza essere
a conoscenza del presupposto di fatto»; b) dello stesso art. 3 Cost.,
per  «disparita'  di  trattamento  [...]  fra  debitore e coobbligato
solidale,  chiamato a pagare senza avere realizzato il presupposto di
fatto»;   c)   dell'art.   53  Cost.,  «per  essere  il  contribuente
assoggettato  alla  obbligazione  tributaria senza correlazione della
sua capacita' contributiva al presupposto di imposta»; d) degli artt.
3  e  76  Cost.,  per  eccesso  di delega, «in quanto la legge delega
attribuisce  la  soggettivita'  passiva  solo a colui che dispone dei
mezzi  pubblicitari»;  e) degli artt. 24 e 111 Cost., per «violazione
del diritto di difesa e del principio dell'equo processo»;
     che  lo  stesso  giudice a quo censura la disposizione anche per
violazione:  a) degli artt. 3 e 27 Cost. congiuntamente, perche' «non
prevede che le sanzioni di tipo afflittivo o punitivo debbano colpire
esclusivamente  il  soggetto passivo di imposta e non debbano colpire
il soggetto pubblicizzato», il quale non puo' fare alcunche' «per far
cessare   e   prevenire  la  propria  responsabilita'  solidale»;  b)
dell'art.   3   Cost.,  perche'  e'  irragionevole  che  il  soggetto
pubblicizzato sia obbligato in solido «con un soggetto fallito, senza
potersi rivalere in regresso sul medesimo»;
     che   la   difesa  erariale  eccepisce  che  le  questioni  sono
manifestamente  inammissibili,  perche'  poste  in  astratto, essendo
state  sollevate  sul  presupposto  di fatto che l'obbligato solidale
«abbia  voluto  e  fatto  tutto  quanto  poteva affinche' il soggetto
passivo  di  imposta non realizzasse il presupposto della imposizione
tributaria»,  ipotesi che non ricorrerebbe nel caso di specie, in cui
«la  contestazione  concerne  l'imposta  sulla pubblicita' per l'anno
2006»  e  l'obbligato  in  solido  aveva  proceduto  in  proprio alla
copertura degli spazi pubblicitari solo il 30 gennaio 2007;
     che tale eccezione deve essere rigettata, perche' dall'ordinanza
di  rimessione non emerge che il presupposto di fatto delle sollevate
questioni sia manifestamente insussistente;
     che,  infatti,  da  quanto  riferito  dal rimettente risulta che
l'obbligato  in  solido  per  il pagamento dell'imposta non ha potuto
procedere  tempestivamente  alla rimozione della pubblicita', perche'
non  ha mai avuto la disponibilita' degli spazi sui quali erano stati
installati i cartelli pubblicitari;
     che  le  questioni  sollevate  in  riferimento agli artt. 3 e 53
Cost., per lesione del principio di ragionevolezza, per disparita' di
trattamento  fra  il  coobbligato solidale e il debitore principale e
per  violazione  del  principio  della  capacita'  contributiva, sono
manifestamente  infondate,  in  forza  di  quanto affermato da questa
Corte  con  la  sentenza  n. 557  del  2000,  la  quale ha dichiarato
l'infondatezza  di  analoghe  questioni,  aventi ad oggetto la stessa
norma e proposte in base agli stessi parametri;
     che  l'analogia  tra  le  questioni  decise  con tale sentenza e
quelle poste dal rimettente all'odierno esame della Corte risulta dal
fatto  che  sia  le une che le altre hanno ad oggetto la legittimita'
costituzionale   del   denunciato   art.  6,  comma  2,  del  decreto
legislativo n. 507 del 1993, secondo cui il soggetto pubblicizzato e'
obbligato   in   solido   con   il   soggetto  passivo  al  pagamento
dell'imposta,  per il solo fatto di essere «colui che produce o vende
la  merce o fornisce i servizi oggetto della pubblicita»; con la sola
differenza  che  quelle  esaminate  dalla  sentenza  n. 557  del 2000
riguardano  l'ipotesi,  piu' generale, in cui l'obbligazione solidale
sussiste  in  capo al soggetto pubblicizzato «anche in mancanza di un
effettivo  rapporto  giuridico-economico  [pubblicitario]  tra  i due
soggetti», mentre quelle sollevate dall'ordinanza di rimessione della
Commissione   tributaria   provinciale   di  Piacenza  riguardano  la
specifica  ipotesi -  pur  sempre  riconducibile  all'ipotesi oggetto
della  sentenza n. 557 del 2000 - in cui il soggetto pubblicizzato e'
obbligato  in  solido  con  il soggetto passivo di imposta quando sia
accertata, oltre alla cessazione del rapporto pubblicitario, anche la
circostanza  che  egli  «abbia  voluto  e  fatto  tutto quanto poteva
affinche'   il   soggetto  passivo  di  imposta  non  realizzasse  il
presupposto della imposizione tributaria»;
     che  valgono  in  proposito,  in  difetto  di  nuovi  profili di
illegittimita'  prospettati  dal rimettente, le stesse considerazioni
svolte  dalla  Corte  con la citata sentenza n. 557 del 2000, secondo
cui:  a)  «il  principio di capacita' contributiva non esclude che la
legge  possa stabilire prestazioni tributarie a carico, oltreche' del
debitore principale, anche di altri soggetti, purche' non estranei al
presupposto d'imposta, costituendo unico limite alla discrezionalita'
del  legislatore la non irragionevolezza del criterio di collegamento
utilizzato  per  l'individuazione dei predetti responsabili d'imposta
(sentenza  n. 184  del  1989,  ordinanze n. 301 del 1988 e n. 316 del
1987)»;  b)  «nella  fattispecie in esame non puo' certo considerarsi
estraneo  al  presupposto  di  imposta» colui che svolge «l'attivita'
economica  oggetto  della  pubblicita»  e, quindi, ben puo' assumersi
quale  idoneo  elemento  di  collegamento il fatto stesso di svolgere
detta  attivita';  c)  pertanto, «la solidarieta' passiva a carico di
tale   soggetto»   non   e'   lesiva   «del  principio  di  capacita'
contributiva»;  d) cio' e' vero anche in considerazione del fatto che
«alla  solidarieta'  passiva nel senso sopra precisato si ricollegano
quali  necessari  corollari  il  diritto  di  rivalsa  dell'obbligato
solidale  nei  confronti  del  debitore  principale  e  il diritto al
risarcimento  del  danno  nel caso in cui la diffusione del messaggio
pubblicitario  avvenga  in difformita' o, come di fatto possibile, in
difetto di un sottostante rapporto giuridico»;
     che anche la questione con la quale, in riferimento agli artt. 3
e  76  Cost.,  si  denuncia  l'eccesso di delega, sul rilievo che «la
legge  delega  attribuisce  la soggettivita' passiva solo a colui che
dispone  dei mezzi pubblicitari», e' manifestamente infondata, sempre
in  forza  di quanto affermato da questa Corte con la citata sentenza
n. 557 del 2000;
     che tale pronuncia ha, infatti, chiarito che «La norma delegante
di  cui  all'art.  4,  comma  4, lettera a), numero 2, della legge 23
ottobre   1992,  n. 421,  indica  [...]  tra  i  principi  e  criteri
direttivi,  la  regolamentazione  della responsabilita' tributaria di
colui  che produce, vende la merce o fornisce i servizi oggetto della
pubblicita»  e che «e' evidente come uno dei modi di attuazione della
responsabilita'  tributaria  sia  proprio quella solidarieta' passiva
che   viene,   invece,  infondatamente  censurata  sotto  il  profilo
dell'eccesso di delega»;
     che  la  questione  sollevata in riferimento agli artt. 24 e 111
Cost.,  per  «violazione  del  diritto  di  difesa  e  del  principio
dell'equo processo», e' del pari manifestamente infondata, perche' la
norma  censurata  non  ha  natura processuale ed e', quindi, estranea
all'ambito  di applicazione dei suddetti parametri costituzionali (ex
plurimis, ordinanze n. 13 del 2008 e n. 180 del 2007);
     che,  inoltre,  la questione sollevata in riferimento all'art. 3
Cost. -  per  cui sarebbe irragionevole che il soggetto pubblicizzato
sia  obbligato  in  solido  «con  un  soggetto fallito, senza potersi
rivalere  in  regresso  sul  medesimo» - e' manifestamente infondata,
perche',  contrariamente  a  quanto  affermato dal rimettente, non e'
escluso  il  regresso  nei  confronti di soggetti falliti, essendo il
fallimento  e  l'eventuale  incapienza  del  patrimonio del fallito a
soddisfare il credito circostanze di mero fatto, rientranti nell'alea
connessa alla scelta del contraente e irrilevanti, come tali, ai fini
dello scrutinio di costituzionalita';
     che  la questione proposta in riferimento congiunto agli artt. 3
e 27 Cost. - basata sulla considerazione che la norma denunciata «non
prevede che le sanzioni di tipo afflittivo o punitivo debbano colpire
esclusivamente  il  soggetto passivo di imposta e non debbano colpire
il soggetto pubblicizzato», il quale non puo' fare alcunche' «per far
cessare  e  prevenire  la  propria  responsabilita' solidale» - e' in
parte   manifestamente   inammissibile   e  in  parte  manifestamente
infondata;
     che  nell'ordinanza  di  rimessione  si afferma che, nel caso di
specie,  al  soggetto  pubblicizzato,  obbligato  in  solido  per  il
pagamento  dell'imposta sulla pubblicita', sono state richieste somme
«a titolo di sanzione pecuniaria per l'omessa denuncia, per ritardato
pagamento  e  per  interessi  di  mora (del 7%), ossia per titoli che
appaiono sanzioni prettamente afflittive», per fatto altrui;
     che,  quanto  alla  sanzione per l'omessa denuncia [rectius: per
l'omessa  presentazione  della  dichiarazione  di  cui all'art. 8 del
d.lgs.  n. 507 del 1993 da parte del soggetto passivo di imposta], il
giudice  a  quo  muove  da  un'incompleta  ricostruzione  del  quadro
normativo, perche' non tiene conto dei principi stabiliti, in materia
di  sanzioni  amministrative  tributarie,  dagli artt. 2, comma 2, 5,
comma  1,  primo periodo, e 11, comma 1, del d.lgs. 18 dicembre 1997,
n. 472  (Disposizioni  generali in materia di sanzioni amministrative
per  le  violazioni  di  norme tributarie, a norma dell'art. 3, comma
133,  della  legge  23  dicembre  1996, n. 662), nonche' dall'art. 7,
comma  1,  del  decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni
urgenti  per  favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento
dei  conti  pubblici),  convertito,  con  modificazioni, dall'art. 1,
comma 1, della legge 24 novembre 2003, n. 326;
     che,    in    particolare,    dette    disposizioni   prevedono,
rispettivamente,  che:  a)  «la  sanzione  e' riferibile alla persona
fisica  che  ha  commesso  o concorso a commettere la violazione»; b)
«Nelle   violazioni   punite  con  sanzioni  amministrative  ciascuno
risponde  della  propria azione od omissione, cosciente e volontaria,
sia  essa  dolosa  o colposa», c) «Nei casi in cui una violazione che
abbia  inciso  sulla  determinazione  o  sul pagamento del tributo e'
commessa  dal  dipendente  o dal rappresentante legale o negoziale di
una persona fisica nell'adempimento del suo ufficio o del suo mandato
ovvero  dal  dipendente  o  dal rappresentante o dall'amministratore,
anche  di  fatto,  di  societa',  associazione  od  ente, con o senza
personalita'   giuridica,   nell'esercizio   delle   sue  funzioni  o
incombenze,  la  persona fisica, la societa', l'associazione o l'ente
nell'interesse  dei  quali  ha  agito  l'autore della violazione sono
obbligati  solidalmente  al pagamento di una somma pari alla sanzione
irrogata,  salvo  il  diritto  di  regresso  secondo  le disposizioni
vigenti»; d) «Le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale
proprio   di   societa'   o  enti  con  personalita'  giuridica  sono
esclusivamente a carico della persona giuridica»;
     che,  omettendo  del  tutto  di  considerare  il suddetto quadro
normativo,   il   rimettente   si   e'   limitato   ad   interpretare
estensivamente  la disposizione censurata facendo derivare da essa la
responsabilita'  del  soggetto  pubblicizzato  anche per il pagamento
della  menzionata  sanzione  pecuniaria  e  non -  come  testualmente
previsto da detta disposizione - per il solo pagamento dell'imposta;
     che  tale  lacuna  argomentativa,  risolvendosi in un difetto di
motivazione  sulla  rilevanza, comporta la manifesta inammissibilita'
della questione in parte qua;
     che,   quanto   alla   sanzione   per   il  ritardato  pagamento
dell'imposta,  il  giudice  a  quo erroneamente assume che essa trova
applicazione, nei confronti del soggetto pubblicizzato, non per fatto
proprio, ma per fatto commesso dal soggetto passivo d'imposta;
     che,  al  contrario,  detta sanzione - prevista dall'art. 13 del
d.lgs.  18  dicembre  1997, n. 471 (Riforma delle sanzioni tributarie
non  penali  in  materia  di  imposte  dirette, di imposta sul valore
aggiunto  e  di  riscossione  dei tributi, a norma dell'art. 3, comma
133,  lettera  q,  della legge 23 dicembre 1996, n. 662) - punisce il
ritardato  pagamento del soggetto tenuto al versamento del tributo e,
quindi,  anche  dell'obbligato  in  solido a tale pagamento, il quale
risponde, pertanto, per fatto proprio e non per fatto altrui;
     che  la  questione  relativa a tale sanzione si risolve, dunque,
nella  mera denuncia di illegittimita' della norma che prevede che il
soggetto   pubblicizzato   e'   anch'esso   obbligato   al  pagamento
dell'imposta  e,  pertanto,  si  identifica  con  le  questioni  gia'
dichiarate manifestamente infondate, per le ragioni di cui sopra;
     che,   quanto   agli   interessi  di  mora,  il  giudice  a  quo
erroneamente  assume  che  essi  siano  una  sanzione  e  che trovino
applicazione,  nei  confronti  del  soggetto pubblicizzato, per fatto
commesso dal soggetto passivo d'imposta;
     che,  invece,  l'art.  23,  comma 4, del d.lgs. n. 507 del 1993,
applicabile  ratione  temporis  alla fattispecie oggetto del giudizio
principale,  distingue espressamente tra sanzioni e interessi di mora
e  prevede  che  questi  ultimi,  i quali hanno natura essenzialmente
risarcitoria,   sono   dovuti   in  caso  di  ritardo  nel  pagamento
dell'imposta   da   parte   del  soggetto  obbligato,  senza  che  la
disposizione  differenzi,  nell'ambito dei soggetti obbligati, tra la
posizione  del  debitore principale d'imposta e quella dell'obbligato
solidale;
     che, pertanto, anche tale questione e' manifestamente infondata.