Ordinanza
nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto  a seguito dell'ordinanza 19 marzo 2008 del Tribunale ordinario
di  Milano  -  Sezione  IV  penale  - giudice monocratico, che revoca
l'ordinanza  di  sospensione del procedimento penale nei confronti di
funzionari  del  SISMi,  di agenti della CIA e di altri (emessa il 18
giugno  2007  e  confermata  il  31 ottobre 2007) e che ne dispone la
riapertura,  nonche'  dell'ordinanza  14  maggio  2008  della  stessa
autorita' giudiziaria, che dispone l'ammissione dei capitoli di prova
indicati  dal pubblico ministero, promosso con ricorso del Presidente
del  Consiglio  dei  ministri, depositato in cancelleria il 30 maggio
2008  ed  iscritto  al  n. 14 del registro conflitti tra poteri dello
Stato 2008, fase di ammissibilita';
   Udito  nella  Camera  di  consiglio  del 25 giugno 2008 il giudice
relatore Alfonso Quaranta;
   Ritenuto   che   il   Presidente   del   Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello Stato, con
ricorso  depositato  in  cancelleria  il  30 maggio 2008, ha promosso
conflitto  di  attribuzione tra poteri dello Stato «nei confronti del
Tribunale   di   Milano -  sez.  IV  penale -  giudice  monocratico»,
finalizzato all'annullamento delle ordinanze istruttorie dallo stesso
emesse  il  19  marzo  ed il 14 maggio 2008, nell'ambito del processo
avente  ad  oggetto  l'accertamento  della  responsabilita' penale di
numerosi  «funzionari del SISMi (tra cui il suo direttore), di agenti
di  un  Servizio  straniero  (CIA)  e  di  altri»,  relativamente  al
sequestro  di  persona di Nasr Osama Mustafa Hassan, meglio noto come
Abu Omar;
     che, in limine
,  il  ricorrente  rammenta  come in relazione alla descritta vicenda
giudiziaria  la  Corte costituzionale risulti gia' investita di altri
tre  ricorsi  per  conflitto  di  attribuzione tra poteri dello Stato
(rispettivamente  iscritti  ai  numeri  2, 3, 6 del relativo registro
generale per l'anno 2007);
     che,  pertanto,  reputa  necessario  riassumere tale vicenda nei
suoi passaggi essenziali;
     che,  quindi,  evidenzia come la Procura della Repubblica presso
il  Tribunale ordinario di Milano, procedendo nelle indagini relative
all'ipotesi  di  reato  ex  art.  605 del codice penale perpetrato in
danno  del citato Abu Omar, fosse divenuta ben presto consapevole che
la  propria  attivita' investigativa «sarebbe necessariamente entrata
in contatto con aree coperte dal segreto di Stato»;
     che,  difatti,  con  nota emessa l'11 maggio 2005 dal Presidente
del  Consiglio  dei ministri pro tempore (nota nella quale, peraltro,
si  sottolineava  «energicamente l'assoluta estraneita' del Governo e
del  SISMi  al  sequestro  in  danno  di  Abu  Omar») sarebbero state
confermate,   si   legge   nel   presente  ricorso,  le  disposizioni
tradizionalmente  impartite  in  materia  di  segreto  di  Stato, «in
particolare  per quanto attiene alle "relazioni dei Servizi (...) con
organi informativi di altri Stati"»;
     che  l'apposizione  del  segreto  di  Stato, gia' implicita - si
sottolinea  ancora nell'odierno ricorso - nel richiamo alla direttiva
del  30  luglio  1985  n. 2001.5/707, contenuto in quella prima nota,
sarebbe   stata,   inoltre,  «ancora  reiterata  dal  Presidente  del
Consiglio dei ministri»;
     che,  con  nuova  nota  del  26  luglio  2006,  in risposta alla
richiesta  del  Procuratore della Repubblica di Milano di trasmettere
«ogni  comunicazione o documento» concernenti il sequestro di persona
oggetto  di indagine, si ribadiva «che su detta comunicazione risulta
effettivamente apposto il segreto di Stato»;
     che  nondimeno, evidenzia sempre l'odierno ricorrente, avendo la
Procura   milanese   provveduto   sia   al   sequestro  integrale  di
documentazione  del  SISMi  (solo  in  seguito  sostituita con altra,
recante taluni omissis
,  giacche'  «parzialmente  oscurata per la tutela del segreto»), che
allo   svolgimento  di  «intercettazioni  telefoniche  effettuate  "a
tappeto"  su utenze "di servizio" del SISMi» stesso, nonche', infine,
all'acquisizione,  «dagli  indagati  e  dai  testimoni»,  di «notizie
coperte  dal  segreto di Stato», si sarebbe reso necessario, da parte
del  medesimo  Presidente  del Consiglio dei ministri, promuovere due
distinti ricorsi per conflitto di attribuzione;
     che   gli   stessi   risultano   finalizzati   all'annullamento,
rispettivamente,  della  richiesta  e  del  corrispondente decreto di
rinvio  a  giudizio,  emessi  dalla  Procura  milanese  e dal Giudice
dell'udienza  preliminare  sulla scorta di quegli elementi acquisiti,
asseritamente, in violazione della disciplina sul segreto di Stato;
     che  a  tale  iniziativa - ricorda sempre l'odierno ricorrente -
corrispondeva,   simmetricamente,   quella   assunta   dalla  Procura
milanese,  la quale, oltre a censurare il fatto che l'apposizione del
segreto  investirebbe «fatti eversivi dell'ordine costituzionale», ha
anche   denunciato  l'esistenza  «dei  vizi  di  eccesso  di  potere,
violazione   di   legge   e  violazione  altresi'  del  principio  di
obbligatorieta'   dell'azione  penale»,  che  inficerebbero  le  gia'
menzionate note emesse dal Presidente del Consiglio dei ministri;
     che,   tuttavia,   nelle  more  dei  giudizi  per  conflitto  di
attribuzione,  il giudice monocratico del Tribunale milanese, innanzi
al quale risulta pendente il dibattimento relativo alla vicenda sopra
riassunta,  dopo  aver  inizialmente  disposto - con ordinanza del 18
giugno  2007 - la sospensione del processo ai sensi dell'art. 479 del
codice   di   procedura   penale   (avendo   ravvisato  un  nesso  di
pregiudizialita'  tra  la  decisione  dei  ricorsi  per  conflitto di
attribuzione  e la definizione del giudizio sottoposto al suo esame),
adottava i due provvedimenti oggetto del presente conflitto;
     che   il  predetto  giudice  monocratico,  infatti,  preso  atto
dell'esistenza  di trattative finalizzate ad una soluzione concordata
dei  conflitti,  disponeva,  in accoglimento di altrettante richieste
del   pubblico   ministero,  dapprima  la  revoca  dell'ordinanza  di
sospensione  del  giudizio  e  la  sostituzione,  nel  fascicolo  del
dibattimento,  «dei  documenti  omissati  con  quelli  non  omissati»
(ordinanza  del 19 marzo 2008) e, successivamente, l'ammissione della
prova   testimoniale   cosi'   come   richiesta   dal  rappresentante
dell'accusa,  autorizzando  l'escussione  di  tutti  i  testi da esso
citati  anche  sulle  circostanze indicate ai numeri da 45 a 65 della
lista depositata a norma dell'art. 468 cod. proc. pen. (ordinanza del
14 maggio 2008);
     che,   ritenute   entrambe  tali  ordinanze  lesive  di  proprie
prerogative  costituzionali, il Presidente del Consiglio dei ministri
ha  promosso  il  presente conflitto di attribuzione tra poteri dello
Stato;
     che   il   ricorrente,   previamente   richiamati   a   sostegno
dell'ammissibilita' del conflitto i «precedenti specifici» costituiti
dalle ordinanze numeri 124 e 125 del 2007 della Corte costituzionale,
deduce,  quale  primo  motivo  di  doglianza,  che, anche nel caso in
esame,  la  lesione  delle  proprie  attribuzioni  costituirebbe  una
«automatica  conseguenza  della pregressa violazione operata a monte»
dai  provvedimenti  adottati  dal  pubblico  ministero  e dal Giudice
dell'udienza  preliminare a norma, rispettivamente, degli artt. 416 e
429 cod. proc. pen.;
     che ripropone, pertanto, sul punto, le considerazioni svolte nei
gia' promossi conflitti di attribuzione;
     che,  cosi',  il Presidente del Consiglio dei ministri torna, in
primo  luogo,  a  sottolineare  come l'istituto del segreto di Stato,
malgrado   si   ponga   come  eccezione  al  principio  tipico  delle
«democrazie  avanzate» secondo cui «il governo della cosa pubblica ha
per  regola  la  trasparenza»,  risulta,  nondimeno,  giustificato  -
secondo  la  giurisprudenza  costituzionale  -  dalla  necessita'  di
garantire «la salus rei publicae
» (e' richiamata la sentenza n. 86 del 1977);
     che,  inoltre,  in  quanto  espressione «di una discrezionalita'
puramente  politica»,  l'atto di apposizione del segreto non puo' che
spettare al Presidente del Consiglio dei ministri «quale responsabile
della  "suprema"  attivita'  politica  (art.  95 Cost.)»; ovviamente,
l'esercizio  di  tale  potere  -  si  sottolinea nel ricorso - non e'
sottratto  a  qualsiasi  limite,  giacche', da un lato, esso soggiace
«all'istituzionale controllo del Parlamento (art. 94 Cost.), dinnanzi
al  quale il Governo (ed il suo Capo) e' responsabile politicamente»,
e,  dall'altro, non puo' avvenire «in contraddizione con il valore da
proteggere», vale a dire «l'integrita' dello Stato democratico», cio'
che  comporta  la  «non segretabilita' dei fatti eversivi dell'ordine
costituzionale»;
     che  a  questi  principi  si  e'  attenuta  la stessa disciplina
legislativa  come  risultante, dapprima, dalla legge 24 ottobre 1977,
n. 801  (Istituzione  e ordinamento dei servizi per le informazioni e
la sicurezza e disciplina del segreto di Stato), nonche', di seguito,
dalla  legge  3  agosto  2007, n. 124 (Sistema di informazione per la
sicurezza   della   Repubblica   e  nuova  disciplina  del  segreto),
disciplina  che  confermerebbe  come «il livello "supremo" dei valori
tutelabili  con  il  presidio  del  segreto  di  Stato»  implichi «la
resistenza  di tale presidio anche rispetto ad altri valori, funzioni
ed  interessi, pur tutelati dalla Costituzione, quali il valore della
giustizia e la funzione giurisdizionale»;
     che, invero, si sottolinea sempre nel presente ricorso, entrambi
i  menzionati  testi  legislativi stabiliscono, non casualmente, che,
nell'ipotesi  di rituale apposizione del segreto di Stato, sebbene le
notizie  coperte  da segreto «siano essenziali per la definizione del
processo  penale,  detto  processo  non  puo' che concludersi che con
sentenza di non luogo a procedere o di non doversi procedere»;
     che   l'apposizione   del   segreto   fungerebbe,   dunque,   da
«sbarramento  al  potere  giurisdizionale  stesso»  (sono  citate  le
sentenze  della  Corte  costituzionale  n. 110  del  1998 e n. 86 del
1977);
     che  tanto  premesso  in termini generali, si evidenzia che, nel
caso  in  esame,  il Presidente del Consiglio dei ministri avrebbe «a
due  riprese  affermato  e  confermato  l'esistenza  di un segreto di
Stato»,  precisando,  la  prima  volta,  «che  il  segreto  copriva i
rapporti del SISMi con i Servizi stranieri», nonche', la seconda, che
esso investiva «tutti gli atti, documenti e informative relativi alle
pratiche delle c.d. renditions
»;
     che  promossi  dal  Presidente  del Consiglio dei ministri i due
ricorsi  gia'  illustrati  (ric.  n. 2  e  3 del 2007), la scelta del
giudice  monocratico  del Tribunale ordinario di Milano di «procedere
oltre  nel  dibattimento  senza  attendere  l'esito  del giudizio sul
conflitto  di  attribuzione» gia' incardinato lederebbe, «di per se»,
le attribuzioni costituzionali del ricorrente «in quanto il principio
di   leale   collaborazione   sembrerebbe   imporre  al  giudice  del
dibattimento  il  dovere  di attendere l'esito del conflitto prima di
utilizzare  fonti  di  prova  potenzialmente  inutilizzabili  perche'
coperte da segreto di Stato»;
     che,  d'altra  parte, in senso contrario, non potrebbe addursi -
come, invece, avrebbe fatto il giudice monocratico, nella prima delle
sue   ordinanze  -  quella  che  il  ricorrente  definisce  come  una
«motivazione   di   matrice   esclusivamente   processualpenalistica»
(giacche'  basata  unicamente  sugli  artt. 47 e 479 cod. proc. pen.)
enunciata a sostegno della revoca del provvedimento di sospensione in
precedenza adottato;
     che  il contegno del giudicante milanese nemmeno potrebbe essere
giustificato  attraverso  il  «richiamo  al valore costituzionalmente
garantito della ragionevole durata del processo», posto che la tutela
del   segreto  di  Stato  -  come  emergerebbe  dalla  giurisprudenza
costituzionale  (sono citate, nuovamente, le sentenze n. 110 del 1998
e  n. 86 del 1977) - costituisce un «interesse essenziale», dotato di
«assoluta   preminenza   su   ogni   altro»,  in  quanto  concernente
«l'esistenza stessa dello Stato»;
     che   irrilevante,   infine,   sarebbe   anche   «la   ventilata
possibilita' di una soluzione concordata», essendo difficile ritenere
-  secondo  il ricorrente - che essa valga «da sola a depotenziare il
processo costituzionale pregiudicante»;
     che  per quanto concerne poi, in particolare, l'ordinanza del 14
maggio 2008, la scelta del giudicante di ammettere l'assunzione della
prova  testimoniale  richiesta  dal  pubblico  ministero,  secondo le
modalita'  dal  medesimo  indicate,  si  presenterebbe  lesiva  delle
attribuzioni  costituzionali  del  ricorrente, in quanto nella specie
non  sussisterebbe, a dire del Presidente del Consiglio dei ministri,
idonea  garanzia per la salvaguardia del segreto di Stato, segreto da
ritenersi   sicuramente   apposto  sulle  circostanze  oggetto  della
deposizione;
     che  la scelta compiuta dal giudicante di ammettere l'escussione
dei  testi  su  tutte  le  circostanze  indicate  dal  rappresentante
dell'accusa,  salvo  riservarsi  -  ma  solo  nel  corso dell'esame -
l'esclusione  di  quelle  domande  che  dovessero  risultare  «tese a
ricostruire  la  tela dei piu' ampi rapporti CIA/SISMi» (consentendo,
invece,   quelle   relative   «a   specifici  rapporti  tra  soggetti
appartenenti  a  detti organismi se ed in quanto volte ad individuare
"ambiti  di  responsabilita'  personali  collegati  alla dinamica dei
fatti  di  causa", in quanto per i gravi reati per i quali si procede
"non  era  e  non  e'  prevista  alcuna  immunita'"»), equivarrebbe a
sancire - si legge ancora nel ricorso - un principio non in linea con
gli  enunciati della giurisprudenza costituzionale in tema di segreto
di Stato;
     che,  difatti,  l'ordinanza  del  14  maggio  2008 finirebbe per
affermare  -  secondo  il Presidente del Consiglio dei ministri - che
«il  segreto  di  Stato  non  puo'  mai  coprire  una  fonte di prova
nell'accertamento   di  un  reato»,  principio  che  «e'  esattamente
l'opposto» di quello enunciato dalla legge (art. 202 cod. proc. pen.)
e  ribadito  dalla  giurisprudenza  costituzionale  (sono  citate  le
sentenze nn. 410 e 110 del 1998 e la sentenza n. 86 del 1977);
     che in forza di tali rilievi il ricorrente ha concluso affinche'
la   Corte   costituzionale   -   previo   accoglimento  dei  ricorsi
precedentemente  proposti,  e rigetto di quello del Procuratore della
Repubblica presso il Tribunale di Milano - dichiari che non spetta al
Tribunale  di  Milano - Sezione IV penale - giudice monocratico, «ne'
ammettere,  ne'  acquisire, ne' utilizzare atti, documenti e fonti di
prova  coperti  da  segreto  di  Stato  e  su  tale base procedere ad
istruttoria  dibattimentale, cosi' offrendo tali documenti e fonti di
prova ad ulteriore pubblicita»;
     che  il  ricorrente,  inoltre, ha chiesto che la Corte, «in ogni
caso», dichiari che non spetta al predetto Tribunale «procedere oltre
nel   dibattimento»,   nella  perdurante  pendenza  dei  giudizi  per
conflitto di attribuzione nei quali «si discuta della utilizzabilita'
di  atti  istruttori  e/o  documenti perche' compiuti od acquisiti in
violazione del segreto di Stato»;
     che, infine, il Presidente del Consiglio dei ministri ha chiesto
che  venga  «comunque»  dichiarato  che  «non  spetta al Tribunale di
Milano  procedere  oltre  nell'istruttoria  dibattimentale enunciando
come regola di cautela per rispetto del segreto di Stato sui rapporti
tra  SISMi e CIA il principio che tale segreto avrebbe ad oggetto "la
tela  dei  piu'  ampi rapporti CIA/SISMi" ma mai "specifici rapporti"
idonei  ad individuare "ambiti di responsabilita' personale" con cio'
capovolgendo  la regola del rapporto esistente tra segreto di Stato e
funzione  giurisdizionale  ed  affermando  la  prevalenza  del potere
giudiziario   all'accertamento   del   reato   rispetto   al   potere
presidenziale di segretare fonti di prova».
   Considerato  che  in  questa  fase  la  Corte e' chiamata, a norma
dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87,
a  delibare,  senza contraddittorio, se il ricorso sia ammissibile in
quanto  esista  «la materia di un conflitto la cui risoluzione spetti
alla   sua  competenza»,  sussistendone  i  requisiti  soggettivo  ed
oggettivo,  fermo  restando  il  potere  della  Corte,  a seguito del
giudizio, di pronunciarsi su ogni aspetto del conflitto, ivi compresa
la sua ammissibilita';
     che  il  Presidente  del Consiglio dei ministri e' legittimato a
promuovere  il  presente  conflitto,  in  quanto  organo competente a
dichiarare  definitivamente  la volonta' del potere cui appartiene in
ordine  alla  tutela, apposizione, opposizione e conferma del segreto
di Stato, non solo in base a quanto previsto, dapprima dalla legge 24
ottobre  1977,  n. 801  e  poi  dalla legge 3 agosto 2007, n. 124, ma
anche  alla  stregua delle norme costituzionali che ne definiscono le
attribuzioni  (in  tal senso, da ultimo, le ordinanze n. 125 e n. 124
del 2007);
     che  la  legittimazione  a  resistere  nel conflitto del giudice
monocratico  presso  il  Tribunale  ordinario di Milano, titolare del
dibattimento   relativo   alla   vicenda   giudiziaria  sopra  meglio
riassunta,  deve essere affermata, avuto riguardo alla giurisprudenza
di  questa  Corte  che riconosce ai singoli organi giurisdizionali la
legittimazione  ad  essere  parti  di  conflitti  di attribuzione tra
poteri  dello  Stato,  in  quanto  in posizione di piena indipendenza
garantita     dalla    Costituzione,    competenti    a    dichiarare
definitivamente,  nell'esercizio delle relative funzioni, la volonta'
del potere cui appartengono;
     che, quanto al profilo oggettivo del conflitto, e' lamentata dal
ricorrente  la  lesione di attribuzioni costituzionalmente garantite,
essendo  devoluta  alla  responsabilita' del Presidente del Consiglio
dei  ministri,  sotto  il  controllo  del  Parlamento,  la tutela del
segreto  di  Stato  quale strumento destinato alla salvaguardia della
sicurezza  dello  Stato medesimo (cosi', da ultimo, e con riferimento
alla stessa vicenda anche oggi in esame, le citate ordinanze n. 125 e
n. 124 del 2007);
     che,  pertanto,  il conflitto promosso col presente ricorso deve
ritenersi  ammissibile,  ai  sensi  dell'art. 37, quarto comma, della
legge n. 87 del 1953.