Sentenza
nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 3, comma 6,
della  legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico
obbligatorio  e  complementare),  promosso  dalla  Corte d'appello di
Torino,  sezione lavoro, nel procedimento civile vertente tra G. C. e
l'Istituto  nazionale  della previdenza sociale (INPS), con ordinanza
del 6 dicembre 2006, iscritta al n. 528 del registro ordinanze 2007 e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, 1a serie
speciale, dell'anno 2007.
   Visti   l'atto   di   costituzione  dell'INPS  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
   Udito nell'udienza pubblica del 20 maggio 2008 il giudice relatore
Francesco Amirante:
   Uditi  l'avvocato  Nicola  Valente  per  l'INPS e l'Avvocato dello
Stato Paolo Gentili per il Presidente del Consiglio dei ministri.
                          Ritenuto in fatto
   1.  - La  Corte d'appello di Torino, sezione lavoro, con ordinanza
del  6  dicembre 2006, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 38
della   Costituzione,   questione   di   legittimita'  costituzionale
dell'art.  3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del
sistema  pensionistico  obbligatorio e complementare), nella parte in
cui  stabilisce  che,  per  la  determinazione  del limite di reddito
rilevante  ai  fini  della  concessione dell'assegno sociale, si deve
tenere conto anche della rendita INAIL del coniuge del beneficiario.
   La  questione e' sorta nell'ambito del giudizio di appello avverso
la  sentenza  del Tribunale di Ivrea che aveva respinto il ricorso di
G.C.  volto  ad  ottenere  l'accertamento  del  proprio  diritto alla
percezione  dell'assegno sociale, la condanna dell'INPS al ripristino
della  corresponsione  della provvidenza - sospesa in conseguenza del
superamento del prescritto limite di reddito, dovuto al computo della
rendita   INAIL  percepita  dal  coniuge  della  ricorrente  -  e  la
declaratoria   di   infondatezza   della   pretesa  dell'Istituto  di
restituzione di quanto, al suddetto titolo, percepito.
   La  Corte  remittente  riferisce  che il giudice di primo grado e'
pervenuto  alla suddetta decisione sul rilievo per cui, dalla lettura
della  disposizione  in  oggetto,  si  desume  che  il legislatore ha
accolto  una  nozione  di  reddito rilevante molto ampia (comprensiva
anche  dei  redditi  esenti  da  imposte)  ed ha specificato, in modo
tassativo,  le entrate escluse dal computo, sicche' la rendita INAIL,
non  essendo  stata  esclusa,  non  puo'  non  essere  conteggiata ai
suddetti fini.
   Tale  interpretazione,  che trova riscontro anche nella successiva
sentenza  della  Corte  di  cassazione  2  febbraio 2006, n. 2312, e'
condivisa  dal  giudice  a  quo  che,  sulla base di essa, solleva la
questione,  precisando,  quanto  alla  rilevanza,  che l'accoglimento
dell'appello  dipende  esclusivamente dall'eventuale esclusione della
rendita  INAIL  del coniuge dell'appellante dai redditi rilevanti per
la  concessione  della  provvidenza di cui si discute, non essendo in
contestazione il fatto che, senza considerare tale entrata, il limite
reddituale stabilito dalla legge non sia stato superato.
   Quanto al merito della questione, la Corte remittente sostiene che
la  disposizione  censurata  si  pone in contrasto con l'art. 3 Cost.
poiche',  a parita' di risorse patrimoniali e di grado di inabilita',
riserva  un  trattamento  deteriore  al titolare di rendita INAIL con
moglie  a  carico  rispetto  al titolare della suddetta rendita senza
moglie   a   carico,  essendo  il  primo  obbligato  a  destinare  al
mantenimento  del  coniuge  risorse  che  il  secondo  puo',  invece,
riservare  alla  funzione,  prevista  dalla  legge,  di compensare il
proprio stato di inabilita' al lavoro.
   Cio'  comporterebbe  anche  la violazione dell'art. 38 Cost., dato
che,  conseguentemente,  la  rendita  in  argomento  non sarebbe piu'
utilizzata,  almeno  in  parte,  per  fornire  al soggetto inabile al
lavoro i mezzi necessari per vivere.
   Gli invocati parametri sarebbero anche violati sotto altro profilo
e,  cioe',  perche' verrebbe riservato al soggetto che si trova nelle
condizioni  di aspirare ad ottenere l'assegno sociale, il cui coniuge
sia  titolare  di rendita INAIL in quanto inabile al lavoro (quale e'
l'attuale   appellante),   un   trattamento   penalizzante   rispetto
all'aspirante  all'assegno sociale con il medesimo livello di reddito
il  cui  coniuge  non  percepisca  la  suddetta  rendita, non essendo
invalido.
   2.  -  Nel  giudizio  davanti  alla  Corte  si e' costituito INPS,
concludendo per l'inammissibilita' e l'infondatezza della questione.
   L'Istituto  osserva  che il legislatore, nel fissare per l'assegno
sociale   un   presupposto   reddituale   di   carattere  generale  e
tendenzialmente  comprensivo  di  ogni  entrata, ha inteso attribuire
alla  suddetta  provvidenza una specifica funzione di contrasto della
situazione   di   indigenza   dei  cittadini  ultrasessantacinquenni,
accentuando  l'analoga connotazione della pensione sociale. Anche per
l'attribuzione  di  tale pensione era prevista, ai fini del requisito
reddituale, la computabilita' delle «rendite o prestazioni economiche
previdenziali   ed  assistenziali  [...]  erogate  con  carattere  di
continuita'  dallo Stato o da altri enti pubblici o da Stati esteri».
Tra  queste  prestazioni erano comprese anche le pensioni di guerra e
questa Corte ha dichiarato l'infondatezza della relativa questione di
legittimita'   costituzionale.   E'  stata,  inoltre,  dichiarata  la
manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale
della  disposizione  che vietava il cumulo della pensione sociale con
la  rendita INAIL. In tutte queste occasioni e' stato posto l'accento
soprattutto   sulla  natura  assistenziale  della  pensione  sociale,
evidenziata  dal fatto di essere posta a carico dello Stato, e si e',
inoltre,  sottolineato  che compete al legislatore, nell'ambito della
propria  discrezionalita',  l'individuazione  del  relativo requisito
reddituale  e  che,  comunque, la percezione di rendite o prestazioni
economiche  previdenziali  ed  assistenziali  rappresenta un elemento
valido  a  differenziare,  non  irragionevolmente,  chi  ne beneficia
rispetto  a  chi  non  puo'  giovarsene e, quindi, a parita' di altre
condizioni,    risulta    maggiormente   meritevole   dell'intervento
assistenziale.  Questi  stessi  argomenti, validi anche per l'assegno
sociale, inducono a ritenere la presente questione - secondo l'INPS -
inammissibile o infondata, in considerazione del fatto che le censure
della  Corte  di  appello  remittente,  sia  pure  formulate  in modo
originale  e  suggestivo,  non prospettano argomenti nuovi rispetto a
quelli gia' esaminati.
   3.  -  E'  intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,    che,   ugualmente,   ha   chiesto   la   dichiarazione   di
inammissibilita' e/o di non fondatezza della questione.
   L'interveniente  sostiene,  anzitutto,  che  la questione e' stata
formulata  in  termini  generici,  in  quanto  il  remittente  non ha
specificato  se  ha  inteso  invocare  il  primo  o  il secondo comma
dell'art.  38  Cost.  e  le  due  suddette  norme costituzionali sono
«totalmente diverse e autonome tra loro».
   Comunque, anche qualora il riferimento si intendesse effettuato al
secondo  comma  dell'art.  38  Cost.,  la  questione  dovrebbe essere
dichiarata  infondata sulla base della giurisprudenza di questa Corte
che  ha esaminato la normativa secondo la quale la pensione di guerra
e' da computare ai fini della pensione sociale.
   Anche  i  profili  di censura riferiti al principio di uguaglianza
sarebbero  da  considerare  privi  di  fondamento, data la diversita'
delle situazioni poste a confronto.
   Ne',   infine,   si   dovrebbe  omettere  di  considerare  che  la
disposizione  di  cui  si discute e' contenuta nella legge n. 335 del
1995 di riforma del sistema pensionistico la quale, come sottolineato
anche   dalla   giurisprudenza   costituzionale,   si   caratterizza,
innanzitutto,  per i dichiarati obiettivi di contenimento della spesa
previdenziale.
                       Considerato in diritto
   1.  - La Corte e' a chiamata scrutinare, in riferimento agli artt.
3   e   38   della   Costituzione,   la   questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art.  3,  comma  6,  della  legge 8 agosto 1995,
n. 335    (Riforma   del   sistema   pensionistico   obbligatorio   e
complementare).
   Secondo  la  Corte di appello di Torino - davanti alla quale pende
un giudizio per l'accertamento del diritto all'assegno sociale di una
ultrasessantacinquenne  la  cui  domanda  in  primo  grado  e'  stata
rigettata  per difetto del requisito reddituale in quanto, computando
la  rendita  INAIL  percepita  dal  marito  della  ricorrente, veniva
superato il limite di legge - la disposizione impugnata contrasta con
i parametri costituzionali evocati per diverse ragioni.
   Il  giudice  a  quo  premette  che  la  disposizione  impugnata e'
suscettibile  soltanto  dell'interpretazione  fornita  dal giudice di
primo  grado, di recente condivisa dalla Corte di cassazione, secondo
la  quale la rendita INAIL, non essendo compresa nel tassativo elenco
dei  redditi  esclusi  dal  computo,  deve  essere  considerata nella
determinazione del reddito.
   La  rilevanza  della  questione  e' motivata dalla circostanza che
soltanto  quello reddituale e' il requisito mancante e cio' e' dovuto
all'inclusione della rendita INAIL del coniuge della ricorrente.
   Secondo la Corte remittente la suddetta inclusione comporta che la
rendita  INAIL,  almeno  in  parte,  sia  distolta  dalla  funzione -
conforme  ai  precetti dell'art. 38 Cost. - di compensare lo stato di
inabilita'  al lavoro del soggetto che abbia subito un infortunio sul
lavoro  o  abbia  contratto  una  malattia professionale e, pertanto,
contrasta  con  i  suddetti  precetti.  Inoltre,  la  disposizione in
oggetto  viene  censurata  anche per violazione dell'art. 3 Cost., in
ragione  della  discriminazione  che  determina ai danni dei fruitori
della  rendita  INAIL con coniuge a carico rispetto ai titolari della
suddetta  prestazione  che  non  si  trovano in tale situazione e, di
converso,  tra  gli  aspiranti  all'assegno sociale, a seconda che il
coniuge sia o meno titolare della prestazione medesima.
   2.  - La motivazione sulla interpretazione della norma censurata e
sulla rilevanza non e' implausibile.
   Si  deve,  inoltre,  osservare, sempre ai fini dell'ammissibilita'
della  questione,  che,  valutando  l'ordinanza  nel suo complesso di
motivazione   e   dispositivo,   il   prospettato  dubbio,  sia  pure
formalmente  e  letteralmente  diretto all'intero comma 6 dell'art. 3
della  legge n. 335 del 1995, in realta' va circoscritto ad una delle
norme  da esso desumibili, e, cioe', a quella concernente i requisiti
reddituali  e,  specificamente,  la ricomprensione, tra le entrate da
computare, anche della rendita INAIL del coniuge dell'interessato.
   In   particolare,   nessuna  doglianza  viene  mossa  alla  regola
generale,  la  quale,  ai  fini  della  determinazione  del requisito
reddituale  per  l'attribuzione  della  prestazione  assistenziale in
argomento,  stabilisce  che,  in  caso  di  soggetto coniugato, e' al
reddito coniugale che occorre far riferimento.
   3.  - Individuati, in tal modo, i termini della questione, essa va
dichiarata non fondata.
   E'  opportuno premettere che la disposizione attualmente censurata
e'  stata  gia'  oggetto  di  scrutinio  alla  stregua  degli  stessi
parametri,  anche  se in riferimento al limite di reddito individuale
dei    soggetti    divenuti   invalidi   dopo   il   compimento   del
sessantacinquesimo anno di eta'.
   La  questione  fu  ritenuta non fondata con la sentenza n. 400 del
1999.
   In  quell'occasione  la  Corte  rilevo',  anzitutto,  che  non era
pertinente  il  richiamo  alla sentenza n. 88 del 1992 - con la quale
era  stata  dichiarata  l'illegittimita' costituzionale «dell'art. 26
della legge 30 aprile 1969, n. 153, [...] come modificato dall'art. 3
del  decreto-legge  2  marzo  1974,  n. 30, convertito nella legge 16
aprile  1974, n. 114 e dall'art. 3 della legge 3 giugno 1975, n. 160,
nella  parte  in cui, nell'indicare il limite di reddito cumulato con
quello del coniuge, ostativo al conseguimento della pensione sociale,
non  prevede  un  meccanismo  differenziato di determinazione per gli
ultrasessantacinquenni   divenuti   invalidi»   -   in  quanto  nella
fattispecie   all'origine   del   giudizio   e   della  questione  di
costituzionalita' venivano in rilievo considerazioni non attinenti al
reddito  cumulato,  ma  altre  pertinenti ed ancor valide nel caso in
esame.
   In  particolare,  si  sottolineo'  che,  ad  impedire di estendere
all'assegno sociale le valutazioni della sentenza n. 88 del 1992, era
-  piu'  ancora  che  l'attinenza  delle  stesse al limite di reddito
cumulato  -  il quadro complessivo della riforma in cui s'inseriva la
nuova prestazione assistenziale, prevista dall'ordinamento per coloro
che versano in situazione di indigenza. Riforma, operata con la legge
n. 335  del  1995  in  attuazione dell'art. 38 Cost., caratterizzata,
innanzitutto,  dai  dichiarati  obiettivi di contenimento della spesa
previdenziale, oggetto di un bilanciamento in parte discrezionalmente
effettuato   dal   legislatore  del  1995  e  in  parte  demandato  a
provvedimenti  delegati  (si  veda  il  punto  5  del  Considerato in
diritto).
   A siffatte considerazioni si puo' aggiungere che le argomentazioni
dell'attuale remittente si fondano sull'implicito presupposto per cui
la  rendita  INAIL  non  puo'  che  essere integralmente destinata ai
bisogni  personali  dell'inabile e, piu' in particolare, a quelli che
l'inabilita' provoca, e che tale specifica destinazione e' oggetto di
garanzia costituzionale.
   Ma tale assunto non puo' essere condiviso.
   La  rendita  INAIL  trova  il  proprio  fondamento  in particolari
fattispecie  e nei bisogni da queste sorti per l'inabilita' al lavoro
derivatane  (si  veda,  per  tutte,  la sentenza n. 297 del 1999); in
seguito,  pero',  come le altre prestazioni previdenziali, puo' avere
la  destinazione  che  il  titolare  vuole  o  deve  darle,  anche in
adempimento  di doveri familiari, a seconda della concreta situazione
che,  in  presenza  di  una  condizione  di non inabilita', sarebbero
soddisfatti con i corrispettivi dell'attivita' lavorativa.
   Del  resto,  in  piu'  occasioni  questa Corte ha affermato che il
legislatore  - sul presupposto che «a determinati e comuni bisogni di
vita  possa essere data soddisfazione con le risorse del coniuge, nel
contesto   della   solidarieta'  familiare»  -  puo',  nel  prevedere
interventi  di tipo previdenziale o assistenziale, far riferimento ai
redditi  del  coniuge dell'interessato, purche' l'importo dei redditi
cumulati   preso   in  considerazione  ai  fini  dell'esclusione  sia
adeguatamente  superiore  a  quello  dei  redditi propri del soggetto
(sentenze n. 127 del 1997 e n. 395 del 1999, nonche' ordinanza n. 204
del  1998).  E  cio'  accade  nel caso di specie, visto che l'art. 3,
comma  6,  di cui si discute, stabilisce che «se il soggetto possiede
redditi  propri  l'assegno  e' attribuito in misura ridotta fino alla
concorrenza» dell'importo stabilito, se il soggetto non e' coniugato,
«ovvero  fino  al  doppio del predetto importo», nel caso di soggetto
coniugato.
   Va,  inoltre,  ribadito  che  compete  al legislatore, nell'ambito
della  propria  discrezionalita',  determinare i requisiti reddituali
che    condizionano   l'erogazione   della   prestazioni   economiche
assistenziali  e  previdenziali e che, soprattutto sul versante delle
misure   assistenziali,   e'   auspicabile  «il  miglioramento  e  la
razionalizzazione  del  sistema,  al fine di rendere piu' efficace la
tutela  dei  diritti  di  cui all'art. 38 Cost.» (ordinanza n. 98 del
2002).