Sentenza
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 2, primo comma,
del regio decreto legge 19 gennaio 1939, n. 295 (Ricupero dei crediti
verso  impiegati  e  pensionati, e prescrizione biennale di stipendi,
pensioni ed altri emolumenti) - convertito nella legge 2 giugno 1939,
n. 739 -, nel testo sostituito dall'art. 2, quarto comma, della legge
7  agosto 1985, n. 428 (Semplificazione e snellimento delle procedure
in  materia  di stipendi, pensioni ed altri assegni; riorganizzazione
delle  direzioni provinciali del tesoro e istituzione della Direzione
generale   dei  servizi  periferici  del  tesoro;  adeguamento  degli
organici  del personale dell'amministrazione centrale e del Ministero
del  tesoro  e  del  personale amministrativo della Corte dei conti),
promosso  con  ordinanza  del  28  marzo  2007 dalla Corte dei conti,
Sezione  terza  centrale  d'appello  sul  ricorso  proposto da Ghezzi
Armando  contro  il Ministero dell'Economia e delle Finanze, iscritta
al  n. 652  del  registro  ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica, n. 38, 1a serie speciale, dell'anno 2007.
   Visti  l'atto  di costituzione di Ghezzi Armando nonche' l'atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
   Udito nell'udienza pubblica del 20 maggio 2008 il giudice relatore
Paolo Maddalena;
   Uditi  l'avvocato  Dario Alessandro Ricciardi per Ghezzi Armando e
l'Avvocato   dello  Stato  Giuseppe  Nucaro  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri.
                          Ritenuto in fatto
   1. -  Con ordinanza del 28 marzo 2007, la Corte dei conti, Sezione
terza centrale d'appello, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e
38  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art.  2,  primo  comma, del regio decreto legge 19 gennaio 1939,
n. 295   (Ricupero  dei  crediti  verso  impiegati  e  pensionati,  e
prescrizione  biennale  di  stipendi, pensioni ed altri emolumenti) -
convertito  nella legge 2 giugno 1939, n. 739 -, nel testo sostituito
dall'art.  2,  quarto  comma,  della  legge  7  agosto  1985,  n. 428
(Semplificazione   e   snellimento  delle  procedure  in  materia  di
stipendi, pensioni ed altri assegni; riorganizzazione delle direzioni
provinciali  del  tesoro  e  istituzione della Direzione generale dei
servizi   periferici  del  tesoro;  adeguamento  degli  organici  del
personale  dell'amministrazione centrale e del Ministero del tesoro e
del  personale amministrativo della Corte dei conti), «nella parte in
cui  assoggetta  a  prescrizione  quinquennale  non  solo  i ratei di
pensione liquidi ed esigibili ma anche i ratei di pensione non ancora
liquidi ed esigibili e, quindi, non ancora ammessi a pagamento».
   Nel  giudizio  a  quo  si  controverte sull'appello proposto da un
pensionato  avverso  la  sentenza del Giudice unico presso la sezione
giurisdizionale  per la Regione Campania n. 1703 del 6 dicembre 2004,
la  quale,  «pur  affermando  e riconoscendo in capo al ricorrente il
diritto  alla  13ª  mensilita' e alla indennita' integrativa speciale
riscossa  in costanza del rapporto di servizio prestato (dal 3 luglio
1967  al  28  agosto  1998)  alle  dipendenze  di un datore di lavoro
privato,  ha  pero'  dichiarato  prescritti  i  ratei aventi scadenza
anteriore  ai  cinque anni computati a ritroso dell'atto interruttivo
della prescrizione».
   Il rimettente osserva, in punto di rilevanza della questione, che,
«ove  la  norma denunciata fosse dichiarata incostituzionale, i ratei
di  pensione  non  ancora  liquidi  ed  esigibili  sfuggirebbero alla
prescrizione    quinquennale   e   resterebbero   assoggettati   alla
prescrizione  ordinaria  decennale»,  con  conseguente  necessita' di
accogliere  l'appello in tutto (se il termine prescrizionale «dovesse
essere   collocato,   come   vorrebbe   l'appellante,  alla  data  di
pubblicazione delle sentenze della Corte costituzionale nn. 204 e 232
del  1992»)  o  in  parte  («con  una  dichiarazione  di prescrizione
limitata  ai  ratei aventi scadenza anteriore al decennio, invece che
al  quinquennio,  computato  a  ritroso  dell'atto interruttivo della
prescrizione posto in essere dall'interessato il 10 ottobre 2001, ove
l'exordium  praescriptionis  dovesse  essere collocato, come ritenuto
dal  giudice  di  primo  grado,  alla  data  di  scadenza dei singoli
ratei»).
   Quanto  alla  non manifesta infondatezza, il giudice a quo rileva,
anzitutto,   «nell'ottica  di  una  necessaria  comparazione  tra  le
normative   dei   vari  settori  previdenziali  regolanti  la  stessa
materia»,  che, in riferimento alle rate delle pensioni gia' a carico
dalle  Casse amministrate dai soppressi Istituti di previdenza presso
il  Ministero del tesoro e «oggi erogate anch'esse dall'I.N.P.D.A.P»,
la prescrizione breve «si applica soltanto per le rate gia' ammesse a
pagamento»,   secondo   quanto   stabilito  dall'art.  61  del  regio
decreto-legge  3  marzo  1938,  n. 680  (Ordinamento  della  Cassa di
previdenza  per  le  pensioni  agli  impiegati  degli  enti  locali),
convertito  nella  legge  9  gennaio  1941, n. 41, dall'art. 55 della
legge  6  luglio  1939,  n. 1035 (Approvazione dell'ordinamento della
Cassa di previdenza per le pensioni dei sanitari), dall'art. 64 della
legge 6 febbraio 1941, n. 176 (Ordinamento del Monte-pensioni per gli
insegnanti  elementari),  e  dall'art. 53 del regio decreto 12 luglio
1934,  n. 2312  (Approvazione  del  testo  unico  delle  disposizioni
legislative   sull'ordinamento  della  Cassa  di  previdenza  per  le
pensioni  degli  ufficiali giudiziari), e cio' «in virtu' della norma
di  interpretazione  autentica»  di  cui  all'art.  23  della legge 4
febbraio  1958,  n. 87  (Riforma  del trattamento di quiescenza della
Cassa  per le pensioni ai sanitari e modifiche agli ordinamenti degli
Istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro). Analogamente,
l'art.   129   del   regio  decreto-legge  4  ottobre  1935,  n. 1827
(Perfezionamento   e   coordinamento   legislativo  della  previdenza
sociale),  convertito,  con modificazioni, nella legge 6 aprile 1936,
n. 1155,  concernente  i  ratei delle pensioni erogate dall'I.N.P.S.,
prevede  la prescrizione quinquennale solo per i ratei gia' liquidati
e posti in pagamento.
   A  tal  riguardo,  argomenta  ancora  la  Corte rimettente, «vi e'
stato,  invero,  con la norma anch'essa di interpretazione autentica»
di cui all'art. 11 della legge 11 marzo 1988, n. 67 (Disposizioni per
la  formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge
finanziaria   1988),   «il  tentativo  di  estendere  il  termine  di
prescrizione breve anche alle "rate di pensione comunque non poste in
pagamento"»,  la' dove pero' la Corte costituzionale, con la sentenza
n. 283 del 1989, ne ha dichiarato l'incostituzionalita' per contrasto
con   gli   articoli   3   e  38  della  Costituzione,  rilevando  la
irrazionalita'  dell'intervento  normativo  dopo  un cinquantennio di
«incontroversa  applicazione della norma circoscritta alle somme gia'
in riscossione».
   Il  giudice  a  quo sostiene, quindi, che anche il censurato primo
comma dell'art. 2 del r.d.l. n. 295 del 1939, riguardante «le rate di
stipendio  e  di  assegni  equivalenti»  e «le rate di pensione e gli
assegni  [...] dovuti dallo Stato» siccome indicati nel decreto legge
luogotenenziale 2 agosto 1917, n. 1278 (che comprende tra gli assegni
personali  soggetti  a prescrizione biennale alcune indennita' per il
Regio  esercito  e  la  Regia  marina  ed in genere tutti gli assegni
fissi),  sarebbe stato «inizialmente interpretato, in prevalenza, nel
senso   che   la   prescrizione  quinquennale  trovasse  applicazione
esclusivamente   nell'ipotesi   di  crediti  liquidi  ed  esigibili»,
laddove,  nel caso di crediti illiquidi o non agevolmente liquidabili
o  contestati dall'amministrazione, «si riteneva ricorressero, [Â1/4]
infatti,  gli  estremi per l'applicazione dell'ordinaria prescrizione
decennale di cui all'art. 2946 c.c.».
   A  seguito pero' dell'art. 2, quarto comma, della legge n. 428 del
1985,  il  quale  «ha  esteso  la  prescrizione  anche  alle  rate  e
differenze  arretrate»,  la  giurisprudenza  (del Consiglio di Stato,
della Corte dei conti e, infine, anche della Corte di cassazione) «si
e' stabilizzata, [...] infatti, sull'orientamento che la prescrizione
quinquennale  si applica anche ai ratei di stipendio [...] e ai ratei
di  pensione  [...] non ancora liquidi ed esigibili», sicche' «appare
difficilmente   praticabile,  in  fattispecie,  una  diversa  opzione
interpretativa».
   Secondo la rimettente, anche il denunciato primo comma dell'art. 2
del  r.d.l. n. 295 del 1939, nel testo sostituito dall'art. 2, quarto
comma,  della legge n. 428 del 1985, al pari dell'art. 11 della legge
n. 67 del 1988, dichiarato incostituzionale dalla sentenza n. 283 del
1989,   avrebbe   «reso   omogenee,   identicamente  disciplinandole,
posizioni   soggettive  difformi  e  cioe'  i  crediti  pensionistici
esigibili  e liquidi da una parte e i crediti pensionistici illiquidi
ed  inesigibili  dall'altra»,  e  cio'  «ancora  una volta in stretta
connessione  (almeno  sotto  il profilo cronologico: cfr. Cass. civ.,
sez.  lavoro, 22 maggio 1999, n. 5003; Cons. Stato, sez. IV, 12 marzo
2001,  n. 1411)  all'entrata  in  vigore  di  una norma di gran lunga
successiva  (anche  se  non  di  interpretazione autentica)». Di qui,
appunto,  l'ipotizzato  vulnus  all'art.  3 Cost., «con ovvi riflessi
[...]  sulle  garanzie  introdotte  dal  successivo  art. 38, essendo
evidenti, nei confronti dei soggetti interessati, il venir meno delle
connotazioni di adeguatezza alle esigenze di vita, ivi tutelate».
   2. -  Si  e'  costituito in giudizio l'appellante del procedimento
principale  chiedendo  una  declaratoria  di  incostituzionalita' del
denunciato art. 2, primo comma, del r.d.l. n. 295 del 1939, nel testo
sostituito  dall'art.  2,  quarto comma, della legge n. 428 del 1985,
ovvero,  in  subordine,  di  manifesta  infondatezza  della sollevata
questione   «sussistendo   tutti  gli  spazi  per  un'interpretazione
conforme a Costituzione della norma censurata».
   La  difesa  della  parte  privata, dopo aver rammentato i passaggi
salienti   della   vicenda  che  ha  dato  origine  all'incidente  di
costituzionalita',  aderisce  alle  argomentazione  sviluppate  dalla
rimettente in punto di incostituzionalita' della suddetta disciplina,
richiamando  anch'essa  la  portata  della citata sentenza n. 283 del
1989,   che   afferma   essere   relativa   ad   ipotesi  di  «palese
sovrapponibilita» con quella attualmente oggetto di scrutinio.
   In  subordine,  la parte costituita sostiene che la rimettente non
avrebbe  «sperimentato  la  possibilita'  di un'interpretazione della
norma  conforme  a  Costituzione»,  con  conseguente inammissibilita'
manifesta  della proposta questione, che sarebbe volta, piuttosto, ad
«ottenere  un  avallo  a  favore di una diversa interpretazione della
norma   rispetto   a   quella   seguita   dal   prevalente  indirizzo
giurisprudenziale».  Peraltro,  nella  memoria  si  assume che, nella
specifica  materia, non sussisterebbe un «diritto vivente», essendosi
formato anche un orientamento giurisprudenziale, conforme alla stessa
ratio  ispiratrice  della  norma  denunciata,  secondo cui questa «si
riferisce  espressamente  alla  prescrizione  dei ratei gia' posti in
liquidazione»,  cosi'  «giungendo a negare la decorrenza stessa della
prescrizione  almeno  fino  a  quando  il credito non sia stato messo
nella concreta disponibilita' del percipiente».
   3. -  E'  intervenuto  il  Presidente  del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale
ha  concluso  per  l'inammissibilita' o, comunque, per l'infondatezza
della questione.
   Secondo    la   difesa   erariale,   la   norma   censurata,   sia
nell'originaria  che  nella vigente formulazione, non farebbe «alcuna
differenza  tra  ratei  liquidi ed esigibili e ratei che non lo sono,
dovendosi    far   risalire   questa   distinzione   all'elaborazione
giurisprudenziale   in  merito»;  sicche',  piu'  che  un  dubbio  di
legittimita' costituzionale, la rimettente, prospettando il dubbio di
costituzionalita'  per la «presenza di un indirizzo giurisprudenziale
che  non si ritiene conforme a Costituzione», cercherebbe di ottenere
un   «improprio   [...]   avallo   a   favore   di   una  determinata
interpretazione  della  norma  censurata»,  con conseguente manifesta
inammissibilita' della proposta questione.
   Nel  merito,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato, nel rammentare
quanto  affermato  dalla  Corte costituzionale con l'ordinanza n. 166
del  2006,  sostiene  che  la  questione sarebbe infondata, avendo il
legislatore,  in  materia  di  fissazione del termine prescrizionale,
ampi  margini  di  discrezionalita'  che, nella specie, non sarebbero
stati  esercitati irragionevolmente, non avendo neppure la rimettente
censurato la disposizione oggetto di scrutinio sotto il profilo della
congruita' del termine di prescrizione dalla medesima fissato.
   4. -  La  parte  privata costituita e l'intervenuto Presidente del
Consiglio dei ministri hanno depositato, in prossimita' dell'udienza,
memorie   illustrative,  con  le  quali  ribadiscono  le  conclusioni
rispettivamente formulate in precedenza.
   4.1. -  La  parte  privata  -  oltre  a  sostenere  nuovamente  la
manifesta  inammissibilita'  della  questione  per  essere  la stessa
prospettata   al   solo   fine   di  ottenere  un  autorevole  avallo
interpretativo  - insiste, in particolare, sulla «manifesta iniquita»
della  norma  denunciata,  che, con «effetti assolutamente ingiusti e
paradossali»,  disciplinerebbe  in  modo  uguale  situazioni tra loro
distinte  e  cioe' quella di un credito liquido ed esigibile e quella
di  un  diritto  che «ha potuto essere reclamato solo dopo espresso e
specifico   intervento»  della  Corte  costituzionale.  Peraltro,  in
siffatta  ipotesi,  sussisterebbe  un  contrato  anche  con la regola
generale,  desumibile  dall'art.  2935 del codice civile, per cui «il
termine  di  prescrizione  non puo' decorrere nel caso di impedimento
legale all'esercizio del diritto».
   4.2. -  La  difesa  erariale  evidenzia,  in  particolare,  che il
diritto   all'indennita'   integrativa  speciale,  come  quello  alla
tredicesima  mensilita',  non  nascerebbe da un provvedimento formale
della  amministrazione  competente,  bensi' direttamente dalla legge,
«ed  e'  proprio  per  questa ragione che il dies a quo di decorrenza
della  relativa  prescrizione  non  e' ancorato alla comunicazione di
alcun  apposito  provvedimento,  salvo  quello  pensionistico a norma
dell'art.  143,  ultimo  comma, del d.P.R. n. 1092/1973», sicche' «il
mancato  pagamento  della  stessa determina l'immediata azionabilita'
del diritto che si pretende leso».
   Nella   memoria   si   argomenta,   infine,  sull'incidenza  della
declaratoria  di  incostituzionalita'  di  una  norma  rispetto  alla
decorrenza  della  prescrizione  del  diritto  dalla  medesima  norma
riconosciuto.
                       Considerato in diritto
   1. -  La Corte dei conti, Sezione terza centrale d'appello, dubita
della legittimita' costituzionale dell'art. 2, primo comma, del regio
decreto-legge  19  gennaio  1939,  n. 295 (Ricupero dei crediti verso
impiegati e pensionati, e prescrizione biennale di stipendi, pensioni
ed  altri  emolumenti) - convertito nella legge 2 giugno 1939, n. 739
-,  nel  testo  sostituito  dall'art.  2, quarto comma, della legge 7
agosto 1985, n. 428 (Semplificazione e snellimento delle procedure in
materia  di  stipendi,  pensioni  ed  altri assegni; riorganizzazione
delle  direzioni provinciali del tesoro e istituzione della Direzione
generale   dei  servizi  periferici  del  tesoro;  adeguamento  degli
organici  del personale dell'amministrazione centrale e del Ministero
del  tesoro  e  del  personale amministrativo della Corte dei conti),
«nella parte in cui assoggetta a prescrizione quinquennale non solo i
ratei  di  pensione liquidi ed esigibili ma anche i ratei di pensione
non  ancora  liquidi  ed  esigibili  e,  quindi, non ancora ammessi a
pagamento».
   Ad  avviso della rimettente, la disposizione denunciata violerebbe
gli   artt.   3  e  38  Cost.,  in  quanto  avrebbe  «reso  omogenee,
identicamente  disciplinandole, posizioni soggettive difformi e cioe'
i  crediti pensionistici esigibili e liquidi da una parte e i crediti
pensionistici  illiquidi  ed  inesigibili dall'altra», e cio' «ancora
una  volta in stretta connessione [Â1/4] all'entrata in vigore di una
norma  di  gran  lunga  successiva  (anche  se non di interpretazione
autentica)»,   comportando   «ovvi   riflessi  [...]  sulle  garanzie
introdotte  dal  successivo  art. 38, essendo evidenti, nei confronti
dei  soggetti  interessati,  il  venir  meno  delle  connotazioni  di
adeguatezza alle esigenze di vita, ivi tutelate».
   2. -  E' opportuno rammentare, ancor prima di esaminare le censure
mosse dal giudice a quo alla norma sospettata di incostituzionalita',
che,  ad  eccezione  delle  pensioni di guerra, in ragione della loro
specifica  natura  (risarcitoria  e  non previdenziale), il diritto a
pensione  dei pubblici dipendenti e' imprescrittibile e, quindi, puo'
essere  fatto  valere  in  ogni  tempo (art. 5 del d.P.R. 29 dicembre
1973,  n. 1092, recante «Approvazione del testo unico delle norme sul
trattamento  di  quiescenza  dei  dipendenti  civili e militari dello
Stato»).  Sono  soggetti, invece, a prescrizione quinquennale i ratei
di  pensione e le differenze arretrate degli emolumenti pensionistici
dovuti dallo Stato, e cio' in base al denunciato art. 2, primo comma,
del  r.d.l.  19  gennaio  1939,  n. 295, come sostituito dall'art. 2,
quarto comma, della legge n. 428 del 1985.
   La  norma  citata, infatti, cosi' dispone: «Le rate di stipendio e
di  assegni  equivalenti,  le rate di pensione e gli assegni indicati
nel  decreto-legge  luogotenenziale  2  agosto  1917, n. 1278, dovuti
dallo Stato, si prescrivono con il decorso di cinque anni».
   Inoltre,  la  stessa  norma,  al  secondo  comma, precisa che: «Il
termine  di  prescrizione  quinquennale  si applica anche alle rate e
differenze  arretrate  degli emolumenti indicati nel comma precedente
spettanti  ai destinatari o loro aventi causa e decorre dal giorno in
cui  il  diritto  puo'  essere  fatto  valere». Seguono poi altri tre
commi,  di  originaria  formulazione  e  non  fatti  oggetto di alcun
intervento  di  modifica,  i  quali  dispongono  rispettivamente: «Le
indennita'  una  volta  tanto  che  tengono  luogo  di  pensione e le
indennita'  di  licenziamento  si  prescrivono col decorso di 10 anni
[terzo  comma].  La  prescrizione  decorre  dal giorno della scadenza
della  rata  o  assegno dovuti quando il diritto alla rata od assegno
sorga  direttamente  da disposizioni di legge o di regolamento, anche
se la Amministrazione debba provvedere di ufficio alla liquidazione e
al  pagamento.  Nel caso invece che il diritto sorga in seguito e per
effetto di un provvedimento amministrativo di nomina, di promozione e
simili    o    comunque    dopo    una    valutazione   discrezionale
dell'Amministrazione,  la  prescrizione  decorre dal giorno in cui il
provvedimento  sia  portato,  a norma delle disposizioni in vigore, a
conoscenza   dell'interessato  [quarto  comma].  La  prescrizione  e'
interrotta  soltanto  da  istanza  o  ricorso in via amministrativa o
contenziosa  o  da  atto  giudiziale  valevole  a  costituire in mora
[quinto comma].».
   Quanto  al  momento  di decorrenza della prescrizione occorre fare
riferimento  anche  all'art.  143,  ultimo comma, del d.P.R. 1092 del
1973,   il   quale   stabilisce   che,   in  ogni  caso,  il  termine
prescrizionale  non  decorre prima del giorno in cui il provvedimento
di   liquidazione   della   pensione   sia   portato   a   conoscenza
dell'interessato.
   3. - L'orientamento consolidato della giurisprudenza pensionistica
della  Corte  dei conti sulla portata della norma censurata e' quello
per  cui  la  prescrizione  quinquennale si applica a tutti i tipi di
pensione  riguardanti  i  dipendenti  statali  e  riguarda non solo i
ratei,  ma  anche  gli accessori degli stessi, nonche' l'attribuzione
dell'indennita'  integrativa speciale e della tredicesima mensilita'.
Non  rileva, dunque, la distinzione, posta dall'art. 129 del r.d.l. 4
ottobre  1935,  n. 1827  (Perfezionamento e coordinamento legislativo
della  previdenza sociale), circa la prescrizione delle sole rate non
riscosse  e  cioe' delle somme gia' poste in riscossione, giacche' in
forza  dell'art. 2 censurato, secondo l'interpretazione assolutamente
prevalente,  la prescrizione dispiega i suoi effetti su tutte le fasi
del  procedimento di liquidazione ed attiene percio' anche al mancato
pagamento  delle  rate,  pur  restando  fermo  che  essa inizialmente
decorre  dalla  data  di conoscenza del provvedimento di liquidazione
della  pensione (e non gia', quindi, dalla data di messa in pagamento
delle rate o degli arretrati). Ed e' consolidato anche l'orientamento
secondo  cui  la  prescrizione  quinquennale  dei ratei pensionistici
(relativi   anche   all'indennita'   integrativa   speciale  ed  alla
tredicesima  mensilita)  decorre  dalla  data di scadenza di ciascuna
rata  (e  cioe'  dalla data di inadempimento della prestazione) anche
nel  caso  in  cui  la  mancata  prestazione  trovi fondamento in una
disposizione di legge successivamente dichiarata incostituzionale.
   Le posizioni innanzi evidenziate trovano supporto, altresi', nella
giurisprudenza  del  Consiglio  di  Stato  e  della Corte cassazione,
sebbene  in  questi  casi  si  sia affrontato piuttosto il tema della
prescrizione   degli   stipendi   dei   dipendenti  statali,  la  cui
disciplina,  tuttavia, e' la stessa di quella delle pensioni, in base
proprio alla norma denunciata.
   Con  cio',  e' di tutta evidenza che non puo' trovare accoglimento
l'eccezione  di inammissibilita' della questione, sollevata sia dalla
parte  privata  che  dalla  difesa  erariale,  per il presunto avallo
interpretativo   che   il   rimettente   cercherebbe   attraverso  la
prospettazione  del  dubbio di costituzionalita', in asserita assenza
di un "diritto vivente".
   4. - Nel merito, la questione non e' fondata.
   La   ingiustificata  disparita'  di  trattamento  prospettata  dal
rimettente,  in  correlazione  con  il  dedotto  vulnus alla garanzia
prevista  dall'art.  38  Cost., come derivante dalla norma censurata,
non trova conforto, anzitutto, nella comparazione con le disposizioni
sul termine prescrizionale delle rate di pensioni gia' a carico dalle
Casse  amministrate  dai  soppressi  Istituti di previdenza presso il
Ministero  del tesoro (tra queste, l'art. 61 del r.d.l. 3 marzo 1938,
n. 680,  recante  «Ordinamento  della  Cassa  di  previdenza  per  le
pensioni  agli  impiegati degli enti locali»; l'art. 55 della legge 6
luglio  1939,  n. 1035,  recante «Approvazione dell'ordinamento della
Cassa  di  previdenza  per  le  pensioni dei sanitari»; art. 64 della
legge   6   febbraio   1941,   n. 176,   recante   «Ordinamento   del
monte-pensioni  per gli insegnanti elementari»; l'art. 53 del r.d. 12
luglio  1934,  n. 2312,  recante  «Approvazione del testo unico delle
disposizioni  legislative  sull'ordinamento della Cassa di previdenza
per  le  pensioni degli ufficiali giudiziari») ed attualmente erogate
dall'I.N.P.D.A.P,  giacche',  sebbene  per esse la prescrizione breve
«si  applica  soltanto per le rate gia' ammesse a pagamento», secondo
quanto  previsto  dalla  norma  di  interpretazione  autentica di cui
all'art.   23  della  legge  4  febbraio  1958,  n. 87  (Riforma  del
trattamento  di  quiescenza della cassa per le pensioni ai sanitari e
modifiche  agli  ordinamenti  degli  Istituti di previdenza presso il
Ministero  del  tesoro),  tuttavia  il  termine  di  prescrizione ivi
contemplato e' di 2 anni. Si tratta, dunque, di un termine differente
da  quello  quinquennale  stabilito  dalla norma denunciata, cosi' da
rendere disomogenee le situazioni poste a raffronto.
   Peraltro, non puo' considerarsi un omogeneo termine di paragone la
disciplina  della  prescrizione  delle  pensioni  erogate  dall'INPS,
perche'  si  tratta di regimi previdenziali diversi ed in particolare
il regime pensionistico dei dipendenti statali prevede regole proprie
in  riferimento  non  solo alla liquidazione della pensione, ma anche
alla  stessa  decorrenza della prescrizione della pensione, la quale,
in  ogni  caso,  non  opera  mai  prima del giorno in cui il relativo
provvedimento    di    liquidazione    sia   portato   a   conoscenza
dell'interessato  (art.  143  del  d.P.R.  1092  del 1973). Non puo',
dunque,  il raffronto tra regimi previdenziali diversi valere, di per
se',   a   dimostrare   la  lesione  del  principio  di  eguaglianza,
soprattutto  se  la  prospettazione medesima si limiti ad evidenziare
isolati elementi di disparita' di trattamento e non operi una globale
comparazione tra i regimi previdenziali stessi (ex plurimis, sentenza
n. 345 del 1999; ordinanza n. 133 del 2001).
   Ne' risulta decisivo l'argomento che il rimettente vorrebbe trarre
dalla  dichiarata  incostituzionalita'  dell'art.  11  della legge 11
marzo  1988,  n. 67  (Disposizioni  per  la  formazione  del bilancio
annuale  e  pluriennale  dello  Stato  - legge finanziaria 1988), che
aveva  interpretato l'art. 129, primo comma, r.d.l. n. 1827 del 1935,
in  forza  del  quale  le  rate  di  pensione  dovute dall'INPS e non
riscosse  entro cinque anni dalla loro scadenza sono prescritte, «nel
senso  che  la  prescrizione  prevista  si applica anche alle rate di
pensione  comunque  non  poste  in  pagamento». In quell'occasione la
sentenza   n. 283   del  1989  ebbe  ad  affermare  che  l'intervento
legislativo, affetto da «concreta irrazionalita», era stato «disposto
peraltro  a  distanza  d'oltre  un cinquantennio da una incontroversa
applicazione   della   norma   circoscritta   alle   somme   gia'  in
riscossione».
   Nel  caso  attualmente  oggetto  di scrutinio, la legge n. 428 del
1985,  che  ha  introdotto  la  prescrizione  quinquennale  a seguito
dell'intervento  innanzi ricordato della sent. n. 50 del 1981, non e'
di  interpretazione  autentica  (con  effetti retroattivi), bensi' di
espressa  modificazione della disciplina previgente con effetti dalla
sua entrata in vigore. Pertanto, e' su tale modificazione legislativa
che  si  e'  venuto  a  consolidare un orientamento giurisprudenziale
coeso,  nei  termini  innanzi  evidenziati,  il  quale ha, da sempre,
accomunato,   nei  sensi  sopra  ricordati,  le  ipotesi  di  crediti
pensionistici  (o  anche  stipendiali)  da  riscuotere, con quelle di
crediti non posti ancora in riscossione.
   Del  resto,  va ribadito che, in materia di fissazione del termine
di  prescrizione  dei  singoli  diritti, il legislatore gode di ampia
discrezionalita', con l'unico limite dell'eventuale irragionevolezza,
qualora  «esso  venga determinato in modo da non rendere effettiva la
possibilita'  di  esercizio  del  diritto  cui  si  riferisce,  e  di
conseguenza  inoperante la tutela voluta accordare al cittadino leso»
(ex plurimis, ordinanze n. 16 del 2006 e n. 153 del 2000); limite che
non  risulta  violato  dalla  norma  di  cui al denunciato art. 2, in
quanto essa prevede un termine prescrizionale di 5 anni, che non puo'
reputarsi incongruo rispetto ai suddetti fini.