Ordinanza
nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'art. 593 del codice
di  procedura  penale,  come  sostituito  dall'art.  1 della legge 20
febbraio  2006,  n. 46  (Modifiche  al codice di procedura penale, in
materia  di  inappellabilita'  delle  sentenze di proscioglimento), e
dell'art.  10  della  stessa  legge,  promossi nell'ambito di diversi
procedimenti  penali,  con  ordinanze  del  20  giugno  2006 e del 23
gennaio  (nn.  2  ordd.)  2007  dalla  Corte  d'appello  di  Perugia,
rispettivamente  iscritte ai nn. 16, 751 e 752 del registro ordinanze
2007  e  pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 7 e
45 1ª serie speciale, dell'anno 2007.
   Udito  nella  Camera  di  consiglio  del 21 maggio 2008 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
   Ritenuto  che, con tre ordinanze sostanzialmente coincidenti nella
parte motiva (r.o. nn. 16, 751 e 752 del 2007), la Corte d'appello di
Perugia  ha  sollevato,  in  riferimento  agli artt. 3, 97, 111 e 112
della   Costituzione,   questione   di   legittimita'  costituzionale
dell'art.  593  del  codice  di  procedura  penale,  come  sostituito
dall'art.  1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice
di procedura penale, in materia di inappellabilita' delle sentenze di
proscioglimento), e dell'art. 10 della medesima legge;
     che   la  Corte  d'appello  rimettente  premette  che  in  forza
dell'art.  10 della legge n. 46 del 2006 - il cui art. 1, sostituendo
l'art.  593  cod.  proc.  pen., ha sottratto al pubblico ministero il
potere  di  appellare  le  sentenze  di proscioglimento - i giudizi a
quibus  dovrebbero  essere  definiti con ordinanze non impugnabili di
inammissibilita',  trattandosi  di impugnazioni proposte, dall'organo
dell'accusa,  avverso  sentenze dibattimentali di proscioglimento (in
particolare,  nei  giudizi  di cui alle r.o. n. 16 e 751 del 2007, di
sentenze  di  non  doversi  procedere  per  difetto  e  remissione di
querela);
     che,  nel  merito,  la  Corte  d'appello  di  Perugia dubita, in
riferimento  a  plurimi  parametri costituzionali, della legittimita'
costituzionale  dell'art.  593  cod.  proc. pen., nel testo novellato
dalla  legge  n. 46  del  2006,  nella  parte  in cui non consente al
pubblico  ministero  di  proporre  appello  avverso  le  sentenze  di
proscioglimento,  se  non  nel  caso previsto dall'art. 603, comma 2,
dello  stesso  codice, ossia quando sopravvengano o si scoprano nuove
prove  dopo  il  giudizio  di  primo  grado  e  sempre che tali prove
risultino decisive;
     che  il  giudice  a  quo - escluso che le modifiche ai poteri di
impugnazione  del pubblico ministero introdotte dalla legge n. 46 del
2006   siano   imposte   da  norme  internazionali  (fra  queste,  in
particolare,   dall'art.  2  del  Protocollo  addizionale  n. 7  alla
Convenzione  europea per la salvaguardia dei diritti e delle liberta'
fondamentali,  adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984 ratificato e
reso  esecutivo  con  legge  9  aprile  1990, n. 98) - ritiene che la
disciplina  censurata sacrifichi «in maniera del tutto ingiustificata
ed  irrazionale  la  parita' delle parti nel processo e la stessa sua
funzione  di  pervenire  comunque  (o di avvicinarsi tendenzialmente)
alla  verita'  storica,  inibendo  un  controllo  giurisdizionale  su
eventuali errori di merito», con conseguente violazione degli artt. 3
e 111 Cost.;
     che,  infatti,  il  «radicale  sacrificio»  dei poteri d'appello
dell'organo  dell'accusa non sarebbe «compensato da alcuna previsione
di  favore  per  la  parte  pubblica,  ne'  altrimenti giustificato»:
l'incisiva   limitazione   dei  poteri  del  pubblico  ministero  non
troverebbe  invero giustificazione ne' nell'esigenza di salvaguardare
il  principio  della  ragionevole durata del processo di cui all'art.
111  Cost.  âˆ'  al contrario seriamente compromesso dall'aumento dei
gradi   di   giudizio   e  dall'allungamento  inevitabile  dei  tempi
processuali âˆ' ne' in quella di garantire il principio di oralita' e
immediatezza nel giudizio di secondo grado;
     che  del tutto «teorica e marginale» si profilerebbe, del resto,
la   residua   possibilita'   di   impugnazione   delle  sentenze  di
proscioglimento nell'ipotesi in cui sopravvengano o si scoprano nuove
prove dopo il giudizio di primo grado;
     che   l'irragionevolezza   della  disciplina  censurata  sarebbe
evidente  anche  sotto  un diverso profilo: e, precisamente, sotto il
profilo  della «contemporanea pendenza dello stesso processo in gradi
diversi»,  nel  caso,  tutt'altro  che  teorico,  in  cui  avverso la
medesima sentenza siano proposti mezzi di impugnazione diversi;
     che,   nel   lamentare   la  «manifesta  irragionevolezza  delle
soluzioni  normative adottate, tanto nella disciplina a regime quanto
in quella transitoria», la Corte rimettente evidenzia, altresi', come
il  potere di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento
sia stato invece conservato in capo alla parte civile;
     che,  inoltre,  la  normativa censurata si porrebbe in contrasto
con  l'art.  97 Cost., «per la concreta ingestibilita' del processo»,
soprattutto  con  riferimento al regime transitorio, nonche', proprio
in  relazione  a  quest'ultimo,  con  l'art.  112 Cost., in quanto la
«dilatazione  dei  tempi  dovuta  al decorso del termine per proporre
appello  e  all'intervallo  tra  la sua presentazione e la fissazione
dell'udienza»,  comporta «una sostanziale vanificazione della pretesa
punitiva   dello   Stato»,  considerati  anche  i  nuovi  termini  di
prescrizione dei reati.
   Considerato che il dubbio di costituzionalita' sottoposto a questa
Corte  ha  per oggetto la preclusione - conseguente alla sostituzione
dell'art.  593  del  codice  di procedura penale ad opera dell'art. 1
della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura
penale,   in   materia   di   inappellabilita'   delle   sentenze  di
proscioglimento)  -  dell'appello  delle  sentenze  dibattimentali di
proscioglimento   da  parte  del  pubblico  ministero  e  l'immediata
applicabilita'  di tale regime, in forza dell'art. 10 della legge, ai
procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della medesima;
     che,  stante  l'identita'  delle  questioni proposte, i relativi
giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica pronuncia;
     che, successivamente alle ordinanze di rimessione, questa Corte,
con  la  sentenza  n. 26  del  2007,  ha  dichiarato l'illegittimita'
costituzionale  dell'art. 1 della citata legge n. 46 del 2006, «nella
parte  in cui, sostituendo l'art. 593 del codice di procedura penale,
esclude  che il pubblico ministero possa appellare contro le sentenze
di proscioglimento, fatta eccezione per le ipotesi previste dall'art.
603,  comma 2, del medesimo codice, se la nuova prova e' decisiva», e
dell'art.  10,  comma  2,  della  stessa  legge,  «nella parte in cui
prevede che l'appello proposto contro una sentenza di proscioglimento
dal  pubblico  ministero  prima della data di entrata in vigore della
medesima legge e' dichiarato inammissibile»;
     che,  alla  stregua  della richiamata pronuncia di questa Corte,
gli  atti devono pertanto essere restituiti ai giudici rimettenti per
un nuovo esame della rilevanza delle questioni.