Sentenza
nei  giudizi  di legittimita' costituzionale degli artt. 22, 26, 27 e
29  del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per
il   rilancio   economico   e  sociale,  per  il  contenimento  e  la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia
di  entrate  e  di  contrasto  all'evasione fiscale), convertito, con
modificazioni,  dalla  legge  4  agosto  2006,  n. 248,  promossi con
ricorsi  delle  Regione  Veneto (2 ricorsi), Toscana e Friuli-Venezia
Giulia, notificati il 31 agosto, il 26 settembre, il 5 e il 9 ottobre
2006,  depositati  in  cancelleria  l'11 e il 26 settembre, l'11 e 14
ottobre  2006  ed  iscritti  ai  nn.  96,  99, 103 e 105 del registro
ricorsi 2006.
   Visti  gli  atti  di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
   Udito nell'udienza pubblica del 24 giugno 2008 il giudice relatore
Paolo Maddalena;
   Uditi  gli avvocati Mario Bertolissi e Andrea Manzi per la Regione
Veneto,  Andrea Manzi per la Regione Toscana, Giandomenico Falcon per
la  Regione Friuli-Venezia Giulia e l'avvocato dello Stato Danilo Del
Gaizo per il Presidente del Consiglio dei ministri.
                          Ritenuto in fatto
   1.  -  Con ricorso notificato il 31 agosto 2006 e depositato nella
cancelleria  di questa Corte l'11 settembre 2006 (reg. ric. n. 96 del
2006),  la  Regione  Veneto  ha  promosso  questione  di legittimita'
costituzionale  di  numerose  disposizioni del decreto-legge 4 luglio
2006,  n. 223  (Disposizioni  urgenti  per  il  rilancio  economico e
sociale,  per  il  contenimento  e  la  razionalizzazione della spesa
pubblica,  nonche'  interventi  in  materia di entrate e di contrasto
all'evasione fiscale), e, tra esse, degli artt. 22, 26 e 29.
   L'art.  22  del  decreto-legge  4  luglio  2006,  n. 223, contiene
disposizioni   che   stabiliscono   la   riduzione   delle  spese  di
funzionamento per enti ed organismi pubblici non territoriali.
   Sancisce  il  comma  1  di tale articolo che «Gli stanziamenti per
l'anno  2006  relativi  a  spese per consumi intermedi dei bilanci di
enti   ed   organismi   pubblici   non   territoriali,  che  adottano
contabilita'  anche  finanziaria,  individuati  ai sensi dell'art. 1,
commi  5  e  6,  della legge 30 dicembre 2004, n. 311, con esclusione
delle  Aziende sanitarie ed ospedaliere, degli Istituti di ricovero e
cura  a  carattere  scientifico,  dell'Istituto superiore di sanita',
dell'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro,
dell'Agenzia  italiana  del  farmaco,  degli Istituti zooprofilattici
sperimentali  e  delle  istituzioni  scolastiche,  sono ridotti nella
misura del 10 per cento, comunque nei limiti delle disponibilita' non
impegnate  alla  data  di entrata in vigore del presente decreto. Per
gli   enti  ed  organismi  pubblici  che  adottano  una  contabilita'
esclusivamente  civilistica,  i  costi  della produzione, individuati
all'art.  2425,  primo  comma,  lett. b), nn. 6), 7) e 8), del codice
civile,  previsti  nei  rispettivi budget 2006, concernenti i beni di
consumo  e servizi ed il godimento di beni di terzi, sono ridotti del
10 per cento. Le somme provenienti dalle riduzioni di cui al presente
comma  sono  versate  da ciascun ente, entro il mese di ottobre 2006,
all'entrata  del  bilancio  dello  Stato,  con imputazione al capo X,
capitolo 2961».
   Il  comma  2 dello stesso art. 22 prevede poi che «Per le medesime
voci  di  spesa  e  di  costo  indicate  al  comma 1, per il triennio
2007-2009, le previsioni non potranno superare l'ottanta per cento di
quelle  iniziali  dell'anno  2006, fermo restando quanto previsto dal
comma  57  dell'art. 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311. Le somme
corrispondenti alla riduzione dei costi e delle spese per effetto del
presente  comma  sono appositamente accantonate per essere versate da
ciascun  ente,  entro  il  30 giugno di ciascun anno, all'entrata del
bilancio  dello  Stato,  con imputazione al capo X, capitolo 2961. E'
fatto  divieto  alle Amministrazioni vigilanti di approvare i bilanci
di  enti  ed organismi pubblici in cui gli amministratori non abbiano
espressamente  dichiarato  nella  relazione  sulla  gestione di avere
ottemperamento alle disposizioni del presente articolo».
   Ad  avviso  della  ricorrente,  tali  disposizioni  non  sarebbero
applicabili agli enti pubblici non territoriali regionali.
   Se  cosi'  non  fosse,  la  disposizione denunciata si porrebbe in
contrasto con gli artt. 117 e 119 della Costituzione.
   Ad  avviso della Regione Veneto, con la disposizione in oggetto il
decreto-legge impugnato avrebbe posto per le Regioni vincoli puntuali
ad  una singola voce di spesa, eccedendo in tal modo dai limiti della
competenza   statale   in  materia  di  coordinamento  della  finanza
pubblica,  ai sensi dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione, e
violando  l'autonomia  finanziaria  di  spesa  delle  Regioni  di cui
all'art. 119 della Costituzione.
   La  ricorrente  ricorda  che  la  Corte  in  numerose pronunce (ad
esempio,  nelle  sentenze  n. 376 del 2003, nn. 4, 36 e 390 del 2004,
nn.  417  e  449  del  2005)  ha avuto modo di precisare, dichiarando
l'illegittimita'  costituzionale  di norme statali, che lo Stato puo'
legittimamente  imporre  agli enti autonomi vincoli alle politiche di
bilancio  -  anche  se  con  cio'  si  determina  inevitabilmente una
limitazione  indiretta  dell'autonomia  di spesa degli enti - purche'
cio'  avvenga attraverso una disciplina di principio e per ragioni di
coordinamento    finanziario   connesse   ad   obiettivi   nazionali,
condizionati  anche  dagli obblighi comunitari. Piu' precisamente, se
l'imposizione  di  vincoli  alle  politiche di bilancio di Regioni ed
enti   locali   vuole   rimanere   nell'ambito   della   legittimita'
costituzionale,  essa  dovrebbe  avere  ad  oggetto  o  l'entita' del
disavanzo di parte corrente, oppure, ma solo in via transitoria ed in
vista   degli  specifici  obiettivi  di  riequilibrio  della  finanza
pubblica  perseguiti dal legislatore statale, la crescita della spesa
corrente. Alla legge statale, pertanto, viene consentito di stabilire
unicamente  un  limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia
liberta'  di  allocazione  delle  risorse  fra  i  diversi  ambiti  e
obiettivi  di  spesa.  La  previsione da parte della legge statale di
limiti  all'entita'  di  una  singola  voce  di spesa non puo' essere
considerata  un  principio  fondamentale in materia di armonizzazione
dei  bilanci  pubblici  e  coordinamento  della  finanza pubblica, in
quanto pone un precetto specifico e puntuale sull'entita' della spesa
e si risolve percio' in una indebita invasione, da parte dello Stato,
dell'area  riservata alle autonomie regionali e locali, alle quali il
legislatore nazionale puo' prescrivere criteri ed obiettivi, come, ad
esempio,  il  contenimento  della  spesa pubblica, ma non imporre nel
dettaglio gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli
obiettivi.
   Secondo  la  Regione  Veneto, l'art. 22 del decreto-legge 4 luglio
2006,  n. 223,  recando  disposizioni  che  stabiliscono la riduzione
delle  spese  di  funzionamento  per  enti  ed organismi pubblici non
territoriali,  se  ritenuto  applicabile  agli  enti non territoriali
regionali, oltrepasserebbe i limiti imposti al legislatore statale in
materia  di coordinamento della finanza pubblica, in violazione degli
artt. 117, terzo comma, e 119 della Costituzione.
   Con  l'art.  26  del  medesimo  decreto-legge  sono stati previsti
controlli  e  sanzioni  per  il  mancato  rispetto  della  regola sul
contenimento  delle  spese  da  parte  degli  enti inseriti nel conto
economico consolidato delle pubbliche amministrazioni.
   La  disposizione  prevede  che  «In  caso  di mancato rispetto del
limite  di  spesa annuale di cui all'art. 1, comma 57, della legge 30
dicembre  2004,  n. 311, da parte degli enti individuati ai sensi dei
commi 5 e 6 del medesimo articolo, fatte salve le esclusioni previste
dal  predetto  comma  57,  i trasferimenti statali a qualsiasi titolo
operati  a  favore  di  detti  enti  sono ridotti in misura pari alle
eccedenze  di  spesa  risultanti  dai  conti consuntivi relativi agli
esercizi  2005,  2006  e  2007. Gli enti interessati che non ricevono
contributi  a  carico  del bilancio dello Stato sono tenuti a versare
all'entrata  del  bilancio  dello  Stato,  con imputazione al capo X,
capitolo 2961, entro il 30 settembre rispettivamente degli anni 2006,
2007  e  2008, un importo pari alle eccedenze risultanti dai predetti
conti  consuntivi.  Le  amministrazioni vigilanti sono tenute a dare,
rispettivamente,  entro  il  31  luglio degli anni 2006, 2007 e 2008,
comunicazione   delle   predette  eccedenze  di  spesa  al  Ministero
dell'economia   e   delle  finanze -  Dipartimento  della  Ragioneria
generale dello Stato».
   Osserva  la  ricorrente  che tale norma impone anche agli enti che
non  hanno  ricevuto contributi statali il versamento delle eccedenze
di spesa risultanti dai consuntivi degli anni 2005, 2006 e 2007 entro
il  30  settembre  di  ogni  anno. Si tratterebbe di una disposizione
irragionevole,  dato  che essa stabilisce il medesimo obbligo sia per
gli  enti  che hanno ricevuto i contributi statali sia per quelli che
non  li  hanno  ricevuti.  Siffatta disciplina, sottraendo risorse al
bilancio  dell'ente  senza una base logica giustificativa, violerebbe
la  sfera  di  autonomia  finanziaria  e  contabile riconosciuta alle
Regioni  e  agli enti locali e sarebbe contraria al principio di buon
andamento dell'azione amministrativa.
   Secondo la ricorrente, la norma in oggetto conterrebbe un precetto
preciso  (il  versamento  delle  eccedenze  di  spesa,  espressamente
individuate,  entro un termine stabilito), che richiede ai fini della
propria  concreta  applicazione  soltanto  un'attivita'  di materiale
esecuzione.  Non  potrebbe  quindi  essere in alcun modo riconosciuta
alla  stessa la natura di norma di principio. Pertanto, l'art. 26 del
decreto-legge  impugnato  violerebbe  gli artt. 3, 97, 117, 118 e 119
della Costituzione.
   Ad  avviso  della Regione Veneto, si porrebbe in contrasto con gli
artt.  117,  118  e  119  della  Costituzione  anche  l'art.  29  del
decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223.
   Tale  disposizione  contiene norme di contenimento della spesa per
commissioni,  comitati  ed  organismi, che, ai sensi del comma 6, non
trovano  diretta  applicazione  alle Regioni, alle Province autonome,
agli enti locali e agli enti del Servizio sanitario nazionale, ma per
i quali costituiscono comunque «disposizioni di principio ai fini del
coordinamento della finanza pubblica».
   Secondo  la  ricorrente, la formulazione di quest'ultima norma non
sarebbe  comunque  in  grado  di  impedire  che  le  norme  contenute
nell'articolo  citato  abbiano  la  natura  di disposizioni puntuali,
capaci  di  porre  in essere vincoli precisi alla spesa di Regioni ed
enti locali.
   Il comma 1 dell'art. 29 citato stabilisce che la spesa complessiva
sostenuta   dalle  amministrazioni  per  organi  collegiali  e  altri
organismi,  anche monocratici, comunque denominati, venga ridotta del
trenta  per  cento  rispetto  a  quella  sostenuta  nell'anno  2005 e
prevede,   da   un   lato,   che   le  amministrazioni  adottino  con
immediatezza, e comunque entro trenta giorni dalla data di entrata in
vigore  del  decreto,  le  necessarie  misure di adeguamento ai nuovi
limiti  di  spesa,  dall'altro lato, che tale riduzione si aggiunga a
quella  prevista dall'art. 1, comma 58, della legge 23 dicembre 2005,
n. 266.  Nei successivi commi 2 e 3 si stabiliscono, rispettivamente,
per le amministrazioni statali e per quelle non statali, le modalita'
specifiche  di  riordino  degli organismi con la individuazione della
natura  degli atti con cui le amministrazioni dovranno procedere e la
statuizione  dei  relativi  criteri.  Si  prevede  inoltre  che  «gli
organismi  non individuati dai provvedimenti previsti dai commi 1 e 2
sono comunque soppressi» (comma 4) e che «scaduti i termini di cui ai
commi  1,  2  e  3  senza  che si sia provveduto agli adempimenti ivi
previsti  e'  fatto  divieto  alle  amministrazioni  di corrispondere
compensi ai componenti degli organismi di cui al comma 1» (comma 5).
   Ad  avviso  della  Regione Veneto, le norme in oggetto, prevedendo
riduzioni  percentuali  precise  ad  una  singola  voce  di  spesa  e
indicando le modalita' di contenimento della medesima, stabilirebbero
limiti   precisi   e   stringenti   all'autonomia  finanziaria  e  di
organizzazione  delle  Regioni  e  degli  enti locali e sarebbero del
tutto  inidonee  a  svolgere la funzione di principi di coordinamento
della finanza pubblica.
   Non  basterebbe,  per ritenere conforme a Costituzione la relativa
disciplina,  che  la  norma si definisca disposizione di principio di
coordinamento   della   finanza   pubblica.  Secondo  la  ricorrente,
autoqualificazioni  di  tal  fatta non esimono il legislatore statale
dal  rispettare  i  limiti  costituzionali  ad  esso imposti a tutela
dell'autonomia  regionale. Affermare che le norme contenute nell'art.
29   del  decreto-legge  n. 223  del  2006,  di  natura  estremamente
puntuale,  non  si applicano a Regioni ed enti locali, qualificandole
subito  dopo  come  principi di coordinamento della finanza pubblica,
significherebbe  semplicemente  - conclude la ricorrente - tentare di
superare  con  un artifizio retorico i confini del potere legislativo
statale in materia.
   1.1.  -  Nel  giudizio  dinanzi  alla  Corte  si  e' costituito il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato.
   Premette   la   difesa  erariale  che  le  disposizioni  impugnate
rispondono   ad   evidenti   finalita'   di  razionalizzazione  e  di
contenimento  della  spesa  pubblica,  anche  nella  prospettiva  del
rispetto  dei  vincoli  derivanti  dal patto di stabilita', e trovano
dunque generale fondamento nella competenza legislativa in materia di
coordinamento della finanza pubblica.
   In particolare, la questione di legittimita' costituzionale avente
ad  oggetto  l'art.  22 del decreto-legge, relativo alla riduzione di
spese  di  funzionamento  per  enti  ed  organismi  non territoriali,
sarebbe  inammissibile,  in  quanto  basata  sulla  mera eventualita'
(peraltro  negata  dalla  Regione)  che  si  tratti  di  disposizione
applicabile agli enti pubblici non territoriali regionali.
   Con riguardo alle censure mosse all'art. 26, concernente controlli
e  sanzioni  per  il  mancato  rispetto della regola sul contenimento
della  spesa, sarebbe inammissibile, ad avviso della difesa erariale,
la  questione  prospettata  in  riferimento  agli  artt. 3 e 97 della
Costituzione,   giacche'   la  dedotta  violazione  dei  principi  di
eguaglianza  e  di buon andamento non comporterebbe alcuna incisione,
neppure  indiretta,  delle  competenze  attribuite dalla Costituzione
alla Regione.
   Con  riferimento  alla  supposta  violazione  dell'art.  119 della
Costituzione,  l'Avvocatura osserva che l'art. 26 sanziona il mancato
rispetto  del  limite  di spesa annuale al fine, legittimo in sede di
coordinamento della finanza pubblica, di assicurare la compatibilita'
con   i   vincoli   di   bilancio   risultanti   dagli  strumenti  di
programmazione    annuale    e   pluriennale.   Tale   strumentalita'
escluderebbe  qualsiasi violazione del principio - che si pretende di
desumere   dall'art.  119  della  Costituzione  -  secondo  il  quale
l'autonomia   di   spesa   riconosciuta  alle  Regioni  implicherebbe
l'esclusione   di  ogni  ingerenza  statuale  anche  sotto  forma  di
procedure  e  criteri  di  controllo  della  spesa pubblica regionale
(sentenza n. 4 del 2004).
   Con  riguardo  alla  prospettata  violazione  dell'art.  118 della
Costituzione,  la  difesa  erariale  esclude  che  una norma volta al
contenimento della spesa pubblica intacchi l'autonomia amministrativa
delle   Regioni.   La   stessa   Regione   Veneto,   del  resto,  non
specificherebbe  in  quali aspetti l'art. 26 del decreto-legge n. 223
del  2006  sarebbe  lesivo  dell'art.  118 della Costituzione: il che
renderebbe la censura inammissibile, prima ancora che infondata.
   Infondata  sarebbe  la  questione  di  legittimita' costituzionale
dell'art.  29  del  decreto-legge,  perche'  il  comma 6 del medesimo
articolo,  riconducibile alla materia del coordinamento della finanza
pubblica,  riconosce  che  la  puntuale  disciplina  contenuta  nella
disposizione  non  si applica in maniera diretta alle Regioni, per le
quali  essa rappresenta al contrario una mera norma di principio, con
cio' rispettando la competenza concorrente.
   2.  -  Con  ricorso  notificato  il 28 settembre 2006 e depositato
nella cancelleria di questa Corte il 26 ottobre 2006 (reg. ric. n. 99
del  2006),  la Regione Toscana ha promosso questione di legittimita'
costituzionale  del  decreto-legge  4 luglio 2006, n. 223, convertito
dalla  legge  4 agosto 2006, n. 248, impugnandone, tra gli altri, gli
artt. 22 e 26.
   L'art.  22  si porrebbe in contrasto con gli artt. 117 e 119 della
Costituzione.
   Nella   disposizione   denunciata,   l'individuazione  degli  enti
soggetti  agli obblighi di riduzione delle spese e' effettuata con il
rinvio all'art. 1, commi 5 e 6, della legge 30 dicembre 2004, n. 311;
la  norma  esclude espressamente le Aziende sanitarie ed ospedaliere,
gli  Istituti  di ricovero e cura a carattere scientifico, l'Istituto
superiore  di  sanita',  l'Istituto  superiore  per  la prevenzione e
sicurezza  del  lavoro,  l'Agenzia italiana del farmaco, gli Istituti
zooprofilattici  sperimentali, le istituzioni scolastiche, gli enti e
gli organismi gestori delle aree naturali protette.
   Osserva  la ricorrente che l'elenco di cui al citato art. 1, comma
5,  della  legge  n. 311  del  2004  ricomprende  anche gli enti e le
agenzie  regionali  (ad  esempio: enti regionali per la ricerca e per
l'ambiente,   enti  regionali  di  sviluppo,  agenzie  regionali  del
lavoro);  pertanto,  poiche'  il campo di applicazione della norma e'
definito  mediante  il rinvio agli enti ed organismi non territoriali
di  cui  al  suddetto  elenco,  le disposizioni dell'art. 22 in esame
troverebbero  applicazione anche per gli enti e le agenzie regionali,
vale  a dire per quegli enti che sono costituiti dalla Regione per lo
svolgimento  di  propri  compiti  e funzioni. Questi enti, infatti, a
differenza   della  Regione  e  degli  enti  locali,  non  sono  enti
territoriali  -  esclusi  dall'ambito  di  operativita' della norma -
perche' il territorio non e' elemento costitutivo dei medesimi.
   Il  citato  art.  22  -  se  si  applica,  come  la  sua letterale
formulazione  lascerebbe  intendere,  anche  agli enti e alle agenzie
regionali  - sarebbe lesivo delle attribuzioni regionali. Con esso si
porrebbe  infatti  un  vincolo  puntuale e specifico all'autonomia di
spesa degli enti regionali, per i quali sono le Regioni competenti ad
intervenire in via legislativa. In base allo statuto regionale, detti
enti  ed  agenzie  regionali  sono  strumenti  per  lo svolgimento di
compiti   della   Regione   e   quindi  rientrerebbe  nella  potesta'
organizzativa   della   Regione   stessa   disciplinare  l'assetto  e
l'autonomia di spesa di tali organismi.
   Incidere  con  vincoli  puntuali di spesa sull'azione di tali enti
significherebbe  limitare  l'attivita'  della  Regione  stessa, della
quale gli enti in questione costituiscono un braccio operativo.
   L'art.   22   interferirebbe   in   primo  luogo  con  l'autonomia
organizzativa   regionale   costituzionalmente   garantita  ai  sensi
dell'art. 117 della Costituzione, il quale, al secondo comma, riserva
alla    potesta'    legislativa    esclusiva   statale   la   materia
dell'ordinamento  ed  organizzazione  amministrativa  unicamente  con
riferimento    allo   Stato   e   agli   enti   pubblici   nazionali;
conseguentemente,    competerebbe    alle    Regioni    disciplinare,
nell'esercizio   della   potesta'   legislativa  residuale  ai  sensi
dell'art.   117,   quarto  comma,  l'ordinamento  e  l'organizzazione
amministrativa della Regione e degli enti regionali.
   L'art.  22, inoltre, lederebbe anche l'autonomia finanziaria delle
Regioni  e  degli  enti  regionali. La disposizione sarebbe analoga a
quella  che prevedeva simile riduzione nel 2004 (comma 11 dell'art. 1
della   legge   n. 191   del   2004),   giudicata  costituzionalmente
illegittima  con la sentenza n. 417 del 2005. In particolare, in tale
pronuncia  e'  stata  sottolineata - conformemente ad un orientamento
gia'  in  precedenza  espresso dalla Corte (sentenze nn. 36 e 390 del
2004)  - l'illegittimita' costituzionale delle norme che stabiliscono
limiti   specifici  alle  spese  perche'  pongono  vincoli  che  «non
costituiscono  principi  fondamentali  di coordinamento della finanza
pubblica,  ma  comportano  una inammissibile ingerenza nell'autonomia
degli enti quanto alla gestione della spesa».
   Ricorda  la  ricorrente  che,  piu' di recente, la Corte (sentenza
n. 449  del 2005) ha ribadito che la previsione, da parte della legge
statale,  di  limiti  all'entita'  di una singola voce di spesa della
Regione  non  puo'  essere  considerata  un principio fondamentale in
materia  di armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della
finanza  pubblica  (ai  sensi  dell'art.  117,  terzo  comma, Cost.),
perche'  pone  un  precetto  specifico  e puntuale sull'entita' della
spesa  e  si  risolve  percio'  in  una  indebita invasione dell'area
riservata  dall'art.  119  Cost. alle autonomie delle Regioni e degli
enti  locali,  cui  la  legge  statale  puo'  prescrivere  criteri ed
obiettivi  (ad  esempio,  contenimento  della spesa pubblica), ma non
imporre  nel  dettaglio  gli  strumenti  concreti  da  utilizzare per
raggiungere quegli obiettivi.
   I  suddetti  principi  non sarebbero rispettati nel caso in esame,
perche' le impugnate disposizioni limiterebbero in modo puntuale (con
riduzioni del 10 e del 20) le spese per consumi intermedi anche degli
enti  ed  aziende  regionali.  Tale  violazione sarebbe ulteriormente
confermata  ed  aggravata  dalla  previsione  secondo  cui i risparmi
derivanti  dalle  imposte riduzioni di spesa devono essere versati al
bilancio  dello  Stato. Quindi gli enti e le agenzie regionali devono
ridurre  le  spese,  ma  non  sono autonomi neppure nel decidere come
utilizzare  le  somme accantonate, dovendo obbligatoriamente versarle
al bilancio dello Stato. La violazione del predetto obbligo determina
che  l'ente  vigilante  (cioe'  la  Regione,  in  rapporto  agli enti
regionali)  non  possa  approvare i bilanci degli enti dipendenti. Si
estenderebbe  cosi'  una  norma valevole per gli enti nazionali anche
agli   enti  regionali,  con  conseguente  violazione  dell'autonomia
finanziaria riconosciuta dall'art. 119 della Costituzione.
   Anche l'art. 26 violerebbe gli artt. 117 e 119 della Costituzione.
   In  base  a questa disposizione, gli enti che non hanno rispettato
il  limite  di  spesa di cui all'art. 1, comma 57, della legge n. 311
del  2004  devono  riversare  al  bilancio  dello  Stato  l'eccedenza
risultante dai conti consuntivi.
   L'art. 26, come il precedente art. 22, per il suo tenore letterale
verrebbe  ad  applicarsi anche agli enti regionali, giacche' gli enti
destinatari  dell'obbligo  sono individuati con il richiamo agli enti
di  cui ai commi 5 e 6 dell'art. 1 della legge n. 311 del 2004, ed il
comma 5 indica anche gli enti e le agenzie regionali.
   Secondo  la  Regione  Toscana,  l'impugnato art. 26 sarebbe lesivo
dell'autonomia  organizzativa  e  finanziaria  del sistema regionale,
perche'  - al pari dell'art. 22 del medesimo decreto-legge - porrebbe
obblighi  e  vincoli  specifici  alla  spesa  degli  enti  ed aziende
regionali  e  perche'  imporrebbe  di  versare  al bilancio statale i
risparmi  di  tali  organismi, in violazione degli articoli 117 e 119
della Costituzione.
   2.1.  -  Nel  giudizio  dinanzi  alla  Corte  si  e' costituito il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato.
   La  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 22 sarebbe
inammissibile,  in  quanto  la  disposizione  impugnata  non  sarebbe
applicabile  agli  enti  pubblici  non  territoriali  regionali,  non
contenendo  la  norma alcun riferimento espresso a questi ultimi, ne'
potendosi  ritenere  che  essa li riguardi in considerazione del loro
inserimento nell'elenco richiamato.
   In  ogni  caso  la questione sarebbe infondata, giacche' le misure
introdotte  dalla disposizione sarebbero motivate dalla necessita' di
far   fronte   alla  situazione  di  emergenza  dei  conti  pubblici,
consistente   nella  semplice  fissazione  di  limiti  generali,  sia
all'entita'  del  finanziamento  che  alla  spesa  corrente, la quale
sarebbe  perfettamente  compatibile  con i principi gia' enunciati in
casi analoghi dalla Corte (e' citata la sentenza n. 36 del 2004).
   Analoghe    considerazioni   varrebbero,   sia   in   termini   di
inammissibilita'  (essendo l'ambito soggettivo della norma identico a
quello  di  cui all'art. 22) che di infondatezza, per quanto riguarda
la   questione   di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  26  del
decreto-legge.  In  particolare,  la sanzione per il mancato rispetto
del  limite di spesa annuale sarebbe giustificata dal fine, legittimo
in  sede  di  coordinamento  della finanza pubblica, di assicurare la
compatibilita'  con  i vincoli di bilancio risultanti dagli strumenti
di   programmazione   annuale   e  pluriennale.  Tale  strumentalita'
escluderebbe  qualsiasi violazione del principio - che si pretende di
desumere   dall'art.  119  della  Costituzione  -  secondo  il  quale
l'autonomia   di   spesa   riconosciuta  alle  Regioni  implicherebbe
l'esclusione   di  ogni  ingerenza  statuale  anche  sotto  forma  di
procedure  e  criteri  di  controllo  della  spesa pubblica regionale
(sentenza n. 4 del 2004).
   3.  -  Con ricorso notificato il 5 ottobre 2006 e depositato nella
cancelleria  di  questa Corte l'11 ottobre 2006 (reg. ric. n. 103 del
2006),  la  Regione  Veneto  ha  promosso  questione  di legittimita'
costituzionale  di  numerose  disposizioni del decreto-legge 4 luglio
2006,   n. 223,   convertito  dalla  legge  4  agosto  2006,  n. 248,
impugnandone, tra gli altri, gli artt. 22, 26, 27 e 29.
   Reiterando censure gia' mosse con il ricorso iscritto al n. 96 del
registro  ricorsi  del 2006, la Regione Veneto sostiene che l'art. 22
del  decreto-legge  4  luglio  2006, n. 223, convertito dalla legge 4
agosto   2006,  n. 248,  recando  disposizioni  che  stabiliscono  la
riduzione delle spese di funzionamento per enti ed organismi pubblici
non  territoriali, se ritenuto applicabile agli enti non territoriali
regionali, oltrepasserebbe i limiti imposti al legislatore statale in
materia  di coordinamento della finanza pubblica, in violazione degli
artt. 117, terzo comma, e 119 della Costituzione.
   Ad  avviso  della ricorrente, l'art. 26 del decreto-legge 4 luglio
2006,  n. 223,  convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, con cui
sono  stati  previsti  controlli  e  sanzioni per il mancato rispetto
della  regola  sul  contenimento  delle  spese  da  parte  degli enti
inseriti    nel   conto   economico   consolidato   delle   pubbliche
amministrazioni,  sarebbe  dettato  in  violazione degli artt. 3, 97,
117, 118 e 119 Cost.
   La  norma,  imponendo  anche  agli  enti  che  non  hanno ricevuto
contributi  statali il versamento delle eccedenze di spesa risultanti
dai  consuntivi degli anni 2005, 2006 e 2007 entro il 30 settembre di
ogni  anno,  sarebbe  irragionevole,  dato che stabilisce il medesimo
obbligo  sia per gli enti che hanno ricevuto i contributi statali sia
per  quelli  che non li hanno ricevuti. Ribadendo quanto sostenuto in
sede  di  impugnativa della medesima disposizione, anteriormente alla
conversione in legge del decreto-legge, la ricorrente sostiene che un
tal  genere  di  disciplina, sottraendo risorse al bilancio dell'ente
senza  una  base  logica giustificativa, non sarebbe rispettosa della
sfera  di autonomia finanziaria e contabile riconosciuta alle Regioni
e agli enti locali e sarebbe contraria al principio di buon andamento
dell'azione amministrativa.
   L'art.  27  del  decreto-legge  4  luglio 2006, n. 223, convertito
dalla  legge  4  agosto 2006, n. 248, prevede una ulteriore riduzione
rispetto  a  quella prevista dalla finanziaria per il 2006 del limite
di  spesa  annua  per  studi e incarichi di consulenza, per relazioni
pubbliche,   convegni,   mostre,   pubblicita'  e  di  rappresentanza
sostenute dalle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2,
del  d.lgs.  30  marzo 2001, n. 165, con l'esclusione di universita',
enti di ricerca e organismi equiparati. Con la modifica dei commi 9 e
10  dell'art.  1  della  legge  23 dicembre 2005, n. 266, l'ammontare
delle spese in discorso non potra' infatti essere superiore al 40 per
cento di quelle sostenute per il 2004.
   Secondo  la  Regione  ricorrente,  questa norma, che fissa vincoli
puntuali relativi a singole voci di spesa dei bilanci delle Regioni e
degli  enti  locali,  non  costituirebbe un principio fondamentale di
coordinamento  della  finanza pubblica, ai sensi dell'art. 117, terzo
comma,   della   Costituzione,   e   lederebbe  pertanto  l'autonomia
finanziaria  di  spesa garantita dall'art. 119 della Costituzione. Al
riguardo,  la ricorrente richiama i principi espressi da questa Corte
con la sentenza n. 417 del 2005.
   La  Regione  Veneto  impugna altresi', per contrasto con gli artt.
117,  118  e  119  della  Costituzione, l'art. 29 del decreto-legge 4
luglio  2006,  n. 223,  convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248,
reiterando  le  identiche censure sollevate, con il ricorso n. 96 del
2003,  nei  confronti del testo della medesima disposizione contenuta
nel decreto-legge, anteriormente alla conversione in legge.
   3.1. - Anche in questo giudizio si e' costituito il Presidente del
Consiglio   dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale dello Stato.
   La  difesa  erariale ribadisce le considerazioni gia' formulate, a
confutazione   delle   doglianze   della   Regione,   con  l'atto  di
costituzione  nel  giudizio promosso nei confronti del decreto-legge,
anteriormente alla conversione in legge.
   Con  riguardo  alla  censura  relativa  all'art.  27, l'Avvocatura
rileva  che  nessuna  doglianza era stata rivolta nei confronti della
stessa  disposizione  contenuta nel decreto-legge, il quale sul punto
non  risulta  modificato in sede di conversione, ed esprime il dubbio
che  la  norma  abbia  inteso ridurre le spese in questione anche per
Regioni ed enti locali.
   4.  -  Con  ricorso  notificato  il 9 ottobre 2006 e depositato il
successivo  14  ottobre (reg. ric. n. 105 del 2006), anche la Regione
Friuli-Venezia Giulia ha impugnato, tra l'altro, l'art. 22, commi 1 e
2,   del   decreto-legge  4  luglio  2006,  n. 223,  convertito,  con
modificazioni,  dalla  legge  4  agosto  2006, n. 248, deducendone il
contrasto  con  gli  artt.  3,  97,  117,  terzo  comma,  e 119 della
Costituzione,  con  l'art.  10  della legge costituzionale 18 ottobre
2001,  n. 3 e con gli artt. 4, numeri 1, 1-bis, 2, 3, 9, 10, 12, 13 e
14, 5, numeri 6, 8 e 9, e 48 dello statuto speciale.
   Premette  la  Regione  che  la  legge  di  conversione ha aggiunto
nell'art. 1 del decreto-legge n. 223 del 2006 il comma 1-bis, recante
una  clausola di salvaguardia, in virtu' della quale «le disposizioni
di  cui  al  presente  decreto  si  applicano  alle Regioni a statuto
speciale  e  alle  Province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano  in
conformita'   agli   statuti   speciali  e  alle  relative  norme  di
attuazione».
   Secondo  la  ricorrente,  ove  si ritenga che, per effetto di tale
clausola,  l'impugnato  art.  22  non  debba applicarsi nella Regione
Friuli-Venezia  Giulia, vengono meno le ragioni di doglianza avanzate
con il ricorso.
   Ad   avviso  della  ricorrente,  l'art.  22,  commi  1  e  2,  del
decreto-legge  n. 223 del 2006 introduce un vincolo puntuale di spesa
ad  enti pubblici collegati alla Regione Friuli-Venezia Giulia: cosi'
per  l'Agenzia  regionale per la protezione dell'ambiente (ARPA), una
parte rilevante della cui dotazione finanziaria proviene dal bilancio
regionale;  per l'Agenzia regionale per il turismo, finanziata in via
esclusiva  con  fondi  del bilancio regionale; per gli Enti regionali
per  il  diritto allo studio universitario di Trieste e Udine, la cui
dotazione  finanziaria  comprende risorse finanziarie assegnate dalla
Regione in via ordinaria e straordinaria; per l'Agenzia regionale del
lavoro e della formazione professionale, anch'essa finanziata in gran
parte dalla Regione.
   La riduzione del 10 per cento delle spese di funzionamento di tali
enti,  per  il  2006,  e del 20 per cento, per il triennio 2007-2009,
rappresenterebbe  una  rilevante  ingerenza  nella gestione di questi
enti, sia per l'entita' della riduzione sia per il carattere puntuale
di  essa,  dato  che la norma va a colpire una specifica categoria di
spesa.
   La  ricorrente  ricorda  che la giurisprudenza costituzionale gia'
piu'  volte  ha  dichiarato  l'illegittimita'  di vincoli puntuali di
spesa, anche in relazione alle Regioni ordinarie, affermando che essi
esorbitano  dalla  funzione  di porre principi di coordinamento della
finanza  pubblica  (sentenze n. 417 del 2005, n. 390 del 2004, n. 449
del 2005 e n. 88 del 2006).
   Ad   avviso   della   ricorrente,   nei  confronti  della  Regione
Friuli-Venezia  Giulia lo Stato non puo' stabilire vincoli alla spesa
piu'  stringenti  di  quelli  che  puo'  disporre nei confronti delle
Regioni  ordinarie:  in  base all'art. 48 dello statuto, infatti, «la
Regione ha una propria finanza, coordinata con quella dello Stato, in
armonia con i principi della solidarieta' nazionale».
   Secondo  la  Regione  Friuli-Venezia  Giulia,  le norme impugnate,
comprimendo  le  spese  di  funzionamento  degli  enti collegati alla
Regione  e  agli  enti  locali,  ledono l'autonomia legislativa della
Regione,  dato  che  il  finanziamento  degli  enti  in  questione e'
regolato con leggi regionali. Le materie di riferimento sarebbero, da
un  lato,  l'«ordinamento  degli Uffici e degli Enti dipendenti dalla
Regione»  (art.  4,  numero 1, dello statuto), e l'«ordinamento degli
enti  locali»  (n.  1-bis),  dall'altro  le  «istituzioni  culturali,
ricreative  e  sportive;  musei  e  biblioteche di interesse locale e
regionale»   (art.  4,  numero  14),  le  «istituzioni  pubbliche  di
assistenza  e  beneficenza»  (art. 5, numero 6), l'«ordinamento delle
Casse  di  risparmio, delle Casse rurali; degli Enti aventi carattere
locale  o  regionale  per  i finanziamenti delle attivita' economiche
nella  Regione»  (numero 8) e l'«istituzione e ordinamento di Enti di
carattere  locale  o regionale per lo studio di programmi di sviluppo
economico»  (numero 9). Rileverebbero, poi, in relazione all'ARPA, la
competenza  primaria  in materia di ambiente (art. 4, numeri 2, 3, 9,
12  e  13);  in  relazione  all'Agenzia  regionale per il turismo, la
competenza  primaria  in  materia  di turismo (art. 4, numero 10); in
relazione  agli  Enti  per  il  diritto allo studio universitario, la
competenza  piena  nella  relativa  materia,  spettante  alla Regione
Friuli-Venezia  Giulia ex art. 10 della legge costituzionale n. 3 del
2001,  e,  in  relazione  all'Agenzia  regionale  del  lavoro e della
formazione  professionale,  la  competenza  concorrente in materia di
tutela  del  lavoro  e  la  competenza piena in materia di formazione
professionale,  spettanti  ex art. 10 della legge costituzionale n. 3
del 2001.
   Le  norme  impugnate lederebbero anche l'autonomia organizzativa e
finanziaria   della   Regione,   in  relazione  all'organizzazione  e
all'attivita'  degli  enti  collegati  ad essa e agli enti locali. Il
vincolo   puntuale  alle  spese,  infatti,  si  porrebbe  in  diretta
contraddizione con il principio di autonomia delle scelte, a base sia
dello   statuto   che   del   sistema  costituzionale  dell'autonomia
finanziaria regionale.
   Infine,  la  norma contenuta nell'art. 22, comma 2, ultimo periodo
(che  vieta «alle Amministrazioni vigilanti di approvare i bilanci di
enti  ed  organismi  pubblici  in  cui gli amministratori non abbiano
espressamente  dichiarato  nella  relazione  sulla  gestione di avere
ottemperato  alle  disposizioni  del  presente  articolo»)  lederebbe
l'autonomia   legislativa  ed  amministrativa  della  Regione,  nelle
materie  sopra  indicate,  perche'  verrebbe  a  sanzionare un dovere
introdotto in modo illegittimo.
   L'art.  22,  commi  1  e  2,  del  decreto-legge  n. 223  del 2006
recherebbe  anche  una lesione indiretta delle prerogative regionali,
in   quanto   comprimerebbe   l'autonomia  regionale  violando  norme
costituzionali  non  specificamente  poste  a garanzia dell'autonomia
regionale.
   La  compressione dell'autonomia della Regione e degli enti ad essa
collegati   sarebbe   operata   in   violazione   del   principio  di
ragionevolezza (art. 3 Cost.) e del principio di buon andamento della
pubblica  amministrazione  (art.  97  Cost.).  Infatti, il comma 1 ha
previsto  una  forte  riduzione delle spese di funzionamento previste
per  il  2006  quando  si  era gia' nella seconda meta' del 2006: con
gravi e irragionevoli ripercussioni sulla funzionalita' dell'ente. Il
comma  2  ha  disposto  una riduzione ancora piu' forte (il 20) delle
spese  di funzionamento, assumendo come unico parametro la previsione
fatta  per  il  2006  (che  potrebbe essere appena sufficiente per il
funzionamento dell'ente), senza alcun riferimento ad eventuali avanzi
o alla congruita' della quota assegnata alle spese di finanziamento o
all'andamento delle gestioni passate. Si tratta di un taglio «secco»,
per   dirottare   risorse   nelle   casse   statali,   senza   alcuna
considerazione   delle   esigenze   di   buon  andamento  degli  enti
interessati: di qui la violazione degli artt. 3 e 97 Cost.
   In  altre parole, il comma 1 ed il comma 2 sarebbero irragionevoli
in quanto richiedono la riduzione delle spese di funzionamento in una
misura  percentuale  assoluta  sull'importo  di  tale  voce, senza la
minima  considerazione  dei parametri oggettivi in base ai quali deve
essere  giudicata  la  consistenza  di  tale voce, parametri quali il
rapporto  con  le  spese non di funzionamento, la natura dell'ente, i
risparmi di spesa in tale voce da esso gia' realizzati nel passato, i
fattori di flessibilita' o rigidita' della voce stessa (se ad esempio
l'intera  voce si riferisse al pagamento degli stipendi del personale
di   ruolo   la   riduzione  sarebbe  impossibile  o  si  tradurrebbe
nell'obbligo  di  licenziare  parte  del personale, con lesione anche
dell'autonomia organizzativa).
   Infine,  le  norme  impugnate risulterebbero irragionevoli perche'
colpirebbero  una  specifica  voce  di  spesa,  mentre  sarebbe stato
legittimo  soltanto  operare  -  semmai  -  una riduzione della spesa
complessiva,  lasciando  all'ente  e  alla  Regione  la  scelta delle
specifiche  spese  da  tagliare.  Il  mezzo  scelto  dal  legislatore
statale,   cioe',   non   rispetterebbe   neppure   il   criterio  di
proporzionalita',  in  quanto  si  sarebbe potuto utilizzare un mezzo
meno restrittivo per ottenere lo stesso fine.
   4.1.  -  L'Avvocatura  generale  dello  Stato, costituitasi per il
Presidente    del   Consiglio   dei   ministri,   ha   concluso   per
l'inammissibilita'  e  l'infondatezza  della  questione. La questione
sarebbe  inammissibile  in  riferimento  agli  artt.  3  e  97  della
Costituzione,  trattandosi  di  parametri  non relativi al riparto di
competenze.   Le  disposizioni  impugnate,  ad  avviso  della  difesa
erariale,  rispondono ad evidenti finalita' di razionalizzazione e di
contenimento  della  spesa  pubblica,  anche  nella  prospettiva  del
rispetto  dei  vincoli  derivanti  dal patto di stabilita', e trovano
dunque generale fondamento nella competenza legislativa in materia di
coordinamento   della   finanza  pubblica.  L'intervento  legislativo
sarebbe  motivato  dalla  necessita' di far fronte alla situazione di
emergenza dei conti pubblici, e consiste nella semplice fissazione di
limiti  generali,  sia  all'entita'  del finanziamento sia alla spesa
corrente.
   In  ogni  caso,  l'Avvocatura  dubita  della  ammissibilita' della
censura  sotto  altro  profilo,  in  quanto  «non sembra trattarsi di
disposizioni   applicabili   agli   enti  pubblici  non  territoriali
regionali,  non  contenendo  la  norma  alcun  riferimento espresso a
questi  ultimi  e,  pertanto,  non potendosi ritenere che la norma li
riguardi  in  considerazione del loro inserimento nell'elenco in essa
contemplato».
   5.  -  In prossimita' dell'udienza pubblica, la Regione Veneto, la
Regione  Friuli-Venezia  Giulia  e  il  Presidente  del Consiglio dei
ministri hanno depositato memorie illustrative.
   La  Regione  Veneto,  nel  sottolineare che la previsione da parte
della  legge  statale  di  limiti  all'entita' di una singola voce di
spesa  non  puo'  essere  considerata  un  principio  fondamentale in
materia  di  armonizzazione  dei  bilanci pubblici e di coordinamento
della  finanza  pubblica,  ribadisce  che  l'art.  22 individua quale
oggetto  del  taglio non la crescita della spesa corrente, ma solo le
spese per consumi intermedi.
   A  sua  volta,  l'art.  26  conterrebbe un precetto specifico, che
richiede   ai  fini  della  propria  concreta  applicazione  soltanto
un'attivita' di materiale esecuzione.
   Costituzionalmente  illegittimo sarebbe altresi' l'art. 27, per le
stesse  ragioni  gia' espresse dalla Corte con la sentenza n. 417 del
2005.
   Con    riguardo    all'art.    29,    la   Regione   osserva   che
l'autoqualificazione  come norma di principio e' incompatibile con le
statuizioni  recate  dalla  disposizione  denunciata, aventi un basso
grado di astrattezza e contenenti una disciplina in se' compiuta.
   Replicando  alla difesa erariale, la Regione Friuli-Venezia Giulia
osserva  che  il nesso dell'art. 22 con il patto di stabilita' e' del
tutto  generico,  perche'  i limiti introdotti dalla norma denunciata
colpiscono   indiscriminatamente   tutti   gli   enti   pubblici  non
territoriali,    eccetto    quelli    espressamente   esclusi   dalla
disposizione.
   La  Regione  prende  atto  che  l'Avvocatura  ha  prospettato  una
interpretazione  adeguatrice  dell'art. 22, secondo la quale le norme
impugnate   non   sarebbero   applicabili   agli  enti  pubblici  non
territoriali  regionali.  Ove  tale fosse il senso da attribuire alla
disposizione, verrebbe meno la ragione della censura.
   L'Avvocatura  dello  Stato,  ribadite  le eccezioni preliminari di
inammissibilita',  osserva  che,  per  le questioni aventi ad oggetto
l'art. 22, comma 2, del decreto-legge, la materia del contendere deve
ritenersi  cessata,  perche'  la  norma  denunciata  - che per l'anno
finanziario  2007  non  ha  avuto  applicazione  -  e' stata abrogata
dall'art. 2, comma 625, della legge 24 dicembre 2007, n. 296.
   Il  comma  1  dell'art. 22 sarebbe una norma di contenimento della
spesa,  necessitata dalla situazione di emergenza dei conti pubblici,
la  cui  legittimita'  e'  gia' stata riconosciuta ed affermata dalla
giurisprudenza costituzionale.
   Quanto  all'art.  26,  la  norma  non si riferirebbe alle Regioni,
attesa  l'espressa  previsione contenuta nell'art. 1, comma 57, della
legge n. 311 del 2004.
   Secondo  l'Avvocatura, l'art. 27 non si applicherebbe alle Regioni
e  agli  enti  locali, per espressa previsione dell'art. 1, comma 12,
della  legge  n. 266 del 2005. La norma impugnata, comunque, risponde
ad  evidenti  finalita'  di razionalizzazione e di contenimento della
spesa pubblica.
   Lo  stesso  varrebbe  per  l'art. 29, che, per espressa previsione
contenuta  nel  comma 6, non trova diretta applicazione alle Regioni,
alle Province autonome e agli enti locali.
                       Considerato in diritto
   1.  -  La  Regione  Veneto  (reg.  ric. nn. 96 e 103 del 2006), la
Regione   Toscana   (reg.   ric.   n. 99   del  2006)  e  la  Regione
Friuli-Venezia  Giulia,  con quattro distinti ricorsi, hanno promosso
questioni di legittimita' costituzionale di numerose disposizioni del
decreto-legge  4  luglio  2006,  n. 223  (Disposizioni urgenti per il
rilancio   economico   e   sociale,   per   il   contenimento   e  la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia
di entrate e di contrasto all'evasione fiscale), nel testo originario
o  nel  testo  risultante  dalla  legge di conversione 4 agosto 2006,
n. 248.
   In  particolare,  la Regione Veneto ha proposto in via principale,
tra  le  altre,  questioni di legittimita' costituzionale degli artt.
22,  26  e  29  del  decreto-legge  n. 223  del  2006, denunciando la
violazione degli artt. 3, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione.
   Successivamente   alla   conversione   in   legge  del  menzionato
decreto-legge,  la  medesima  Regione  Veneto  ha  proposto  analoghe
questioni  contro  le  norme prima citate cosi' come convertite dalla
legge n. 248 del 2006 e contro l'art. 27.
   La   Regione   Toscana   ha  proposto  questioni  di  legittimita'
costituzionale degli artt. 22 e 26 del decreto-legge n. 223 del 2006,
convertito  in legge, denunciando la violazione degli artt. 117 e 119
della Costituzione.
   Infine,  la Regione Friuli-Venezia Giulia ha promosso questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 22 del decreto-legge n. 223 del
2006, nel testo risultante dalla conversione in legge, in riferimento
agli  artt.  117,  terzo comma, e 119 della Costituzione, all'art. 10
della  legge  costituzionale  18  ottobre  2001,  n. 3, agli artt. 4,
numeri  1,  1-bis, 2, 3, 9, 10, 12, 13 e 14, 5, numeri 6, 8 e 9, e 48
dello statuto speciale, e agli artt. 3 e 97 della Costituzione.
   2.  -  La  trattazione  delle  indicate  questioni di legittimita'
costituzionale viene qui separata da quella delle altre, promosse con
i  medesimi  ricorsi, per le quali e' opportuno procedere ad un esame
distinto.
   I giudizi, cosi' separati e delimitati nell'oggetto, vanno riuniti
per  essere  congiuntamente trattati e decisi in considerazione della
analogia delle questioni prospettate.
   3.  -  Gli  artt.  22, 26 e 29 del decreto-legge n. 223 del 2006 -
impugnati  dalla  Regione  Veneto  con  il primo ricorso - sono stati
soltanto  in parte modificati dalla legge di conversione, la quale ha
introdotto  innovazioni  che,  tuttavia,  non  incidono sul contenuto
precettivo  delle disposizioni, nei punti qui di interesse. Pertanto,
lo  scrutinio  di  costituzionalita'  va  condotto avendo riguardo al
testo  di  dette norme risultante dalla legge di conversione, tenendo
conto  delle  argomentazioni  svolte  in entrambi i ricorsi (sentenza
n. 430 del 2007), peraltro sostanzialmente identiche.
   4.  -  L'art.  22  del decreto-legge n. 223 del 2006, impugnato da
tutte  le  Regioni  ricorrenti,  detta  disposizioni per la riduzione
delle  spese  di  funzionamento  di  enti  ed  organismi pubblici non
territoriali.
   La disposizione si compone di due commi.
   Il comma 1 prevede che gli stanziamenti per l'anno 2006 relativi a
spese per consumi intermedi dei bilanci di enti ed organismi pubblici
non  territoriali  che  adottano  contabilita' anche finanziaria sono
ridotti  del  10  per cento, comunque nei limiti delle disponibilita'
non  impegnate  alla data di entrata in vigore del decreto-legge. Per
gli  enti  ed  organismi che adottano una contabilita' esclusivamente
civilistica  i  costi  di  produzione concernenti i beni di consumo e
servizi  ed  il  godimento  di  beni di terzi sono ridotti del 10 per
cento.  Le somme provenienti dalle suddette riduzioni sono versate da
ciascun  ente  entro il mese di ottobre 2006 all'entrata del bilancio
dello Stato.
   Il  comma  2, a sua volta, prevede, per le stesse voci di spesa di
cui  al  comma  precedente  e per il triennio 2007-2009, l'obbligo di
riduzione  del  20  per  cento delle previsioni di bilancio, rispetto
alla  spesa  stanziata  per l'anno 2006; e' altresi' stabilito che le
amministrazioni  vigilanti non possono approvare i bilanci degli enti
ed   organismi   soggetti   al   suddetto   obbligo,  se  i  relativi
amministratori  non abbiano dichiarato nella relazione sulla gestione
di aver ottemperato alle specifiche disposizioni introdotte. Anche in
tale ipotesi le somme corrispondenti alla riduzione dei costi e delle
spese  sono  accantonate  da  ciascun ente e poi versate, entro il 30
giugno di ogni anno, all'entrata del bilancio dello Stato.
   Tutte  le  ricorrenti, nel prospettare la questione in riferimento
agli  artt.  117  e  119  della  Costituzione, lamentano che la norma
denunciata  porrebbe  vincoli  puntuali ad una singola voce di spesa,
eccedendo   dai   limiti  della  competenza  statale  in  materia  di
coordinamento   della   finanza   pubblica   e  violando  l'autonomia
finanziaria  di  spesa  degli  enti  regionali,  per  i quali sono le
Regioni  competenti  ad  intervenire  in  via legislativa. La Regione
Friuli-Venezia Giulia, oltre a denunciare il contrasto con lo statuto
speciale, prospetta la questione di costituzionalita' in riferimento,
altresi',  agli  artt.  3  e  97 della Costituzione, sotto il profilo
della   ragionevolezza   e   del   buon   andamento   della  pubblica
amministrazione.
   4.1. - Ai fini dell'esame delle questioni aventi ad oggetto l'art.
22,   occorre   prendere  preliminarmente  in  esame  l'eccezione  di
inammissibilita'  formulata  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
basata  sul  rilievo  che  le  stesse  sarebbero  prospettate  in via
meramente  ipotetica,  in  ragione  della mera eventualita' (peraltro
negata  dalle Regioni) che si tratti di disposizione applicabile agli
enti pubblici non territoriali regionali.
   L'eccezione va respinta.
   Questa  Corte ha infatti gia' chiarito che, a differenza di quanto
accade  per  il  giudizio  in  via  incidentale,  il  giudizio in via
principale   puo'   concernere  questioni  sollevate  sulla  base  di
interpretazioni   prospettate   dal  ricorrente  come  possibili.  Il
principio  vale soprattutto nei casi in cui su una legge non si siano
ancora   formate  prassi  interpretative  in  grado  di  modellare  o
restringere  il raggio delle sue astratte potenzialita' applicative e
le  interpretazioni  addotte  dal ricorrente non siano implausibili e
irragionevolmente  scollegate  dalle  disposizioni impugnate cosi' da
far  ritenere  le  questioni  stesse del tutto astratte o pretestuose
(sentenze n. 228 del 2003, n. 412 del 2004 e n. 449 del 2005).
   Poiche'   nella  specie  il  testo  della  disposizione  impugnata
consente, tra le altre, l'interpretazione censurata dalle ricorrenti,
non v'e' ostacolo allo scrutinio nel merito delle questioni.
   4.2.  -  Sempre in via preliminare, con riferimento alla questione
promossa  dalla  Regione  Friuli-Venezia  Giulia,  va  escluso che la
denunciata lesione delle competenze della ricorrente sia impedita dal
comma 1-bis del decreto-legge n. 223 del 2006, introdotto dalla legge
di conversione, ai cui sensi «Le disposizioni del presente decreto si
applicano alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di
Trento e Bolzano in conformita' agli statuti speciali e alle relative
norme di attuazione». In proposito, deve ritenersi che la clausola di
salvaguardia  contenuta  nel  suddetto comma 1-bis e' troppo generica
per  giustificare  questa conclusione, tanto che in tale disposizione
del   decreto-legge   non   risulta  neppure  precisato  quali  norme
dovrebbero   considerarsi   non   applicabili   alla  ricorrente  per
incompatibilita'  con  lo statuto speciale e con le relative norme di
attuazione e quali, invece, dovrebbero ritenersi applicabili.
   4.3. - Ancora in via preliminare, va rilevato che le ragioni della
controversia  sono  venute meno in relazione al comma 2 dell'art. 22,
che  riguarda  la  riduzione delle spese di funzionamento per enti ed
organismi pubblici non territoriali nel triennio 2007-2009.
   Successivamente  alla proposizione dei ricorsi, infatti, l'art. 2,
comma  625, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la
formazione  del  bilancio  annuale  e pluriennale dello Stato - legge
finanziaria  2008),  ha  abrogato  il  citato  comma  2 dell'art. 22.
Inoltre,  la  medesima  disposizione censurata, sin dal momento della
sua  entrata in vigore e fino alla data della sua abrogazione, non ha
prodotto  alcun effetto, perche' l'art. 4, comma 2, del decreto-legge
2  luglio  2007, n. 81 (Disposizioni urgenti in materia finanziaria),
convertito,  con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2007, n. 127, ne
aveva sospeso l'applicazione per tutto il 2007.
   In  ordine  al  citato  comma 2, pertanto, deve constatarsi che e'
venuto  meno  l'interesse delle ricorrenti a coltivare l'impugnativa,
sicche', in conformita' alla giurisprudenza di questa Corte (sentenza
n. 451 del 2007), deve dichiararsi cessata la materia del contendere.
   4.4.  -  Quanto  al comma 1 dell'art. 22, concernente la riduzione
degli  stanziamenti relativi a spese per consumi intermedi per l'anno
2006,  occorre  premettere,  nel  merito,  che,  per  quanto concerne
l'ambito  soggettivo  di  applicazione, la disposizione denunciata fa
riferimento  agli  enti  e  agli  organi  pubblici  non  territoriali
individuati   ai  sensi  dell'art.  1,  commi  5  e  6,  della  legge
finanziaria  per  il  2005  (legge 30 dicembre 2004, n. 311), ai fini
dell'applicazione    della    regola    generale    di   contenimento
dell'incremento   della  spesa  della  pubblica  amministrazione  nel
triennio  2005-2007.  Si  tratta degli enti ed organismi inseriti nel
conto   economico   consolidato   delle   pubbliche  amministrazioni,
individuati,  a  decorrere  dal  2006,  da  un  elenco dell'ISTAT, da
pubblicare  nella  Gazzetta  Ufficiale non oltre il 31 luglio di ogni
anno,  con  esclusione  degli  organi  costituzionali e del Consiglio
superiore della magistratura.
   L'elenco   delle  amministrazioni  pubbliche  inserite  nel  conto
economico  consolidato compilato dall'ISTAT, da considerarsi operante
per  il 2006, e' stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 175 del
29  luglio  2005,  e  comprende espressamente anche enti ed organismi
pubblici non territoriali regionali.
   La disposizione, contenuta nel denunciato art. 22, volta a ridurre
gli  stanziamenti  di  spesa  per  consumi intermedi, deve, pertanto,
intendersi  riferita,  salve  le eccezioni tassativamente previste, a
tutti  gli  enti  ed  organismi  pubblici  non territoriali, compresi
quelli regionali.
   Cio'   posto,  nella  giurisprudenza  di  questa  Corte  e'  ormai
consolidato  l'orientamento  secondo  cui  norme  statali che fissano
limiti  alla  spesa  di  enti pubblici regionali possono qualificarsi
principi  fondamentali  di  coordinamento della finanza pubblica alla
seguente  duplice condizione: in primo luogo, che si limitino a porre
obiettivi  di  riequilibrio  della  medesima,  intesi nel senso di un
transitorio  contenimento  complessivo,  anche se non generale, della
spesa corrente; in secondo luogo, che non prevedano in modo esaustivo
strumenti  o  modalita'  per  il perseguimento dei suddetti obiettivi
(sentenze n. 120 del 2008; n. 412 e n. 169 del 2007; n. 88 del 2006).
   Contrariamente   a   quanto   sostenuto   dalle   ricorrenti,   la
disposizione denunciata risponde a entrambe dette condizioni.
   La  prima  e' soddisfatta, perche' il censurato limite fissato dal
legislatore  ha  natura transitoria, operando solo per l'anno 2006, e
riguarda  la  spesa  complessiva  per  consumi  intermedi,  cioe'  un
rilevante  aggregato  della  spesa di parte corrente, che costituisce
una delle piu' frequenti e rilevanti cause del disavanzo pubblico. Il
legislatore, dunque, ha perseguito generali obiettivi di riequilibrio
della  finanza pubblica, incidendo temporaneamente su una complessiva
e  non  minuta  voce  di spesa (per una analoga fattispecie: sentenza
n. 169 del 2007).
   La  seconda  condizione e' soddisfatta, perche' la norma censurata
non  determina  gli strumenti e le modalita' per il perseguimento del
predetto  obiettivo,  ma  lascia  liberi  gli  enti destinatari della
prescrizione   di  individuare  le  misure  necessarie  al  fine  del
contenimento della spesa per consumi intermedi.
   La  disposizione  di cui al comma 1 dell'art. 22 del decreto-legge
n. 223  del  2006 va qualificata, dunque, come principio fondamentale
di  coordinamento  della  finanza  pubblica: principio che, come piu'
volte  affermato  da  questa  Corte, deve ritenersi applicabile anche
alle  autonomie  speciali, in considerazione dell'obbligo generale di
tutte  le  Regioni,  ivi  comprese  quelle  a  statuto  speciale,  di
contribuire   all'azione   di   risanamento  della  finanza  pubblica
(sentenze n. 190 del 2008; n. 169 e n. 82 del 2007).
   Ne'  rileva  il  fatto  che  la  riduzione  degli stanziamenti sia
imposta  per  lo stesso esercizio finanziario in corso. Il necessario
concorso  degli  enti  pubblici  regionali  alla  realizzazione degli
obiettivi  di  finanza  pubblica, adottati con l'adesione al patto di
stabilita'  e  crescita  definito in sede di Unione Europea, postula,
infatti,   che   il   legislatore  statale  possa  intervenire  sugli
stanziamenti  per l'anno in corso, qualora lo richieda il complessivo
andamento  dei  conti  pubblici,  con  il  solo  limite  della palese
arbitrarieta'  o  della  manifesta irragionevolezza della variazione.
Tale   limite   nella  specie  non  e'  superato,  perche'  la  norma
denunciata,  accanto  al  tetto del 10 per cento, prevede che in ogni
caso la riduzione debba avvenire «nei limiti delle disponibilita' non
impegnate alla data di entrata in vigore» del decreto-legge.
   Conseguentemente,   vanno   dichiarate  non  fondate  le  proposte
questioni di legittimita' costituzionale.
   Deve  essere  dichiarata  inammissibile  la  questione prospettata
dalla  Regione Friuli-Venezia Giulia in riferimento agli artt. 3 e 97
della Costituzione.
   Questa  Corte  ha  piu' volte affermato che le Regioni possono far
valere  il  contrasto  con  norme  costituzionali  diverse  da quelle
attributive  di competenza solo ove esso si risolva in una lesione di
sfere  di  competenza regionali (sentenze n. 190 del 2008, n. 401 del
2007  e  n. 116  del 2006). Nella specie, le censure sono proposte in
relazione  a  parametri non attinenti al riparto di competenze, senza
che sia desunta la compressione di sfere di attribuzione regionale.
   5.  -  L'art.  26  del  decreto-legge n. 223 del 2006 introduce un
meccanismo  sanzionatorio  in  caso  di  mancato  rispetto del limite
all'incremento  delle  spese  degli  enti  pubblici  non territoriali
introdotto dall'art. 1, comma 57, della legge finanziaria per il 2005
(legge   n. 311   del  2004).  In  particolare,  si  dispone  che  le
amministrazioni    vigilanti   diano   comunicazione   al   Ministero
dell'economia   e  delle  finanze  -  Dipartimento  della  Ragioneria
generale dello Stato, entro il 31 luglio di ciascuno degli anni 2006,
2007   e   2008,  delle  eccedenze  di  spese  risultanti  dai  conti
consuntivi,  rispettivamente,  del  2005,  2006 e 2007, riferiti agli
enti  tenuti  al rispetto della indicata regola di contenimento delle
spese.  I trasferimenti erariali a qualsiasi titolo erogati in favore
dei medesimi enti sono ridotti in misura pari alle eccedenze di spesa
risultanti   dai   predetti   conti   consuntivi.  Qualora  gli  enti
interessati  non  risultino  destinatari  di trasferimenti, essi sono
tenuti  a  versare  l'importo  corrispondente  alle  eccedenze stesse
all'entrata del bilancio dello Stato (con imputazione al capo X, cap.
2961)  entro  il 30 settembre dell'anno successivo a quello in cui si
e' registrata l'eccedenza.
   Le  questioni  di  legittimita'  costituzionale  - sollevate dalla
Regione    Veneto   e   dalla   Regione   Toscana   in   riferimento,
rispettivamente,  agli  artt.  117,  118 e 119 e agli artt. 117 e 119
della Costituzione - non sono fondate.
   Infatti,  la  norma  denunciata  si limita a prevedere, al fine di
assicurare  il  rispetto  in  concreto  di  una  legittima  misura di
coordinamento  finanziario  fissata  dalla  legge  finanziaria per il
2005,  una  sanzione a carico degli enti che non rispettino il limite
all'incremento  delle spese degli enti non territoriali. Questa Corte
ha  piu'  volte affermato che costituiscono principi di coordinamento
della  finanza pubblica le previsioni di sanzioni volte ad assicurare
il  rispetto  di  limiti complessivi di spesa, operanti nei confronti
degli  enti  che  abbiano superato i predetti limiti (sentenze n. 190
del 2008 e n. 412 del 2007).
   Il  versamento,  poi,  al  bilancio  dello  Stato  di  un  importo
corrispondente  alle  maggiori  spese  effettuate  rispetto al limite
previsto,  e'  giustificato  dal fatto che gli enti in questione sono
inseriti    nel   conto   economico   consolidato   delle   pubbliche
amministrazioni.
   Inammissibile  e'  la  questione sollevata dalla Regione Veneto in
riferimento  agli  artt.  3 e 97 della Costituzione, essendo evidente
che si tratta di parametri estranei alle competenze della Regione.
   6.  -  E'  inammissibile  per difetto di interesse la questione di
legittimita'   costituzionale   avente   ad  oggetto  l'art.  27  del
decreto-legge  n. 223  del  2006,  convertito  dalla legge n. 248 del
2006,  sollevata,  in  riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 119
della Costituzione, dalla Regione Veneto.
   L'art.  27  dispone  una  riduzione  ulteriore  del  10 per cento,
rispetto  a quella prevista dalla legge finanziaria per il 2006 (art.
1, comma 9, della legge n. 266 del 2005), delle spese delle pubbliche
amministrazioni per: (a) studi ed incarichi di consulenza conferiti a
soggetti   estranei  all'amministrazione;  (b)  relazioni  pubbliche,
convegni, mostre, pubblicita' e rappresentanza.
   Ma il comma 9 dell'art. 1 della legge finanziaria per il 2006, per
previsione  normativa,  non si applica ne' alle Regioni ne' agli enti
locali, secondo quanto dispone l'art. 1, comma 12, della legge n. 266
del 2005.
   7.  -  L'art.  29  del  decreto-legge  n. 223  del 2006 prevede la
riduzione,  a  decorrere  dal  2006,  del  30  per  cento della spesa
complessiva sostenuta nel 2005 dalle amministrazioni pubbliche per il
funzionamento  degli organi collegiali. A tal fine le amministrazioni
adottano  entro  trenta  giorni  dalla  data di entrata in vigore del
decreto-legge  le necessarie misure di adeguamento ai nuovi limiti di
spesa.  Inoltre, con appositi atti regolamentari da emanare entro tre
mesi  dalla  data  medesima,  si  procede al riordino degli organismi
operanti,   anche  mediante  soppressione  od  accorpamento,  con  la
finalita'  di realizzare le economie di spesa previste dalla norma in
questione.  Decorsi  i  termini  predetti senza che si sia provveduto
agli  adempimenti  relativi, e' fatto divieto alle amministrazioni di
corrispondere compensi ai componenti degli organi in esame.
   La  questione,  promossa  dalla Regione Veneto in riferimento agli
artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, e' inammissibile per difetto
di interesse.
   Difatti, per espressa previsione normativa (comma 6 del denunciato
art.  29), «Le disposizioni del presente articolo non trovano diretta
applicazione  alle  Regioni,  alle  Province autonome e agli enti del
Servizio  sanitario nazionale, per i quali costituiscono disposizioni
di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica».
   Ne  deriva  che  i  precetti  specifici  e puntuali previsti dalla
disposizione  denunciata  non  si riferiscono alle Regioni, le quali,
mentre sono tenute a rispettare il solo obiettivo finanziario globale
da  essa  disposto, sono libere nello stabilire strumenti e modalita'
per il conseguimento dello scopo divisato dal legislatore statale.
   In quest'ambito la norma denunciata, che incide temporaneamente su
una  complessiva  e  non  minuta  voce  di spesa, va qualificata come
principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica.