IL TRIBUNALE

   A  scioglimento  della riserva che precede assunta in data 4 marzo
2008,  visti  gli  atti  del  procedimento  R.G.  LAV.  n. 729/A/2007
promosso  da  G.M..  (avv. Massimo Piccone Casa) contro INPS Istituto
Nazionale  della  Previdenza  Sociale  (avv.  Giuseppe  Iovino e Rita
Pisanu).
                          Rilevato in fatto

   G.  M.  ha  sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 33, comma 3 della legge n. 104/1992 in relazione agli artt.
2,  3  e  32 della Costituzione rilevando quanto segue: e' dipendente
della  Cooperativa  corrente  in  Savona; con istanza datata 6 aprile
2007  ha  richiesto  all'INPS sede di Savona, di potere usufruire per
l'anno  2007  dei  premessi mensili di cui all'art. 33, comma 3 della
legge  n. 104/1992  e  succ. mod. in relazione allo stato di handicap
grave da cui e' affetto il signor P.C., nato in Savona il ..........,
con  il quale convive da anni e da cui ha avuto il figlio N., nato in
Savona  il  ..............  l'INPS ha respinto l'istanza di cui sopra
indicando  che  il signor P. non era ne' parente, ne' affine entro il
terzo grado della G., ma soltanto convivente;
   L'art.  33  comma  3 della legge n. 104/1992 prevede, tra l'altro,
che «(. . .) colui che assiste una persona con handicap in situazione
di  gravita',  parente  o affine entro il terzo grado, convivente» ha
«diritto  a  tre  giorni di permesso mensile coperti da contribuzione
figurativa,  fruibili  anche in maniera continuativa a condizione che
la  persona con handicap in situazione di gravita' non sia ricoverata
a tempo pieno»;
   L'art.  2  del d.l. 27 agosto 1993, n. 324, convertito dalla legge
27 ottobre 1993, n. 423, ha chiarito poi che le parole «hanno diritto
a  tre giorni di permesso mensile» devono interpretarsi nel senso che
il permesso mensile deve essere comunque retribuito;
   Ha  sostenuto  la  G.  che  pur  avendo  l'Istituto fatto corretta
applicazione  della  norma, si debba ritenere che essa violi la Carta
costituzionale in quanto: la parola handicap esprime la situazione di
oggettiva  difficolta'  in  cui  viene  a  trovarsi  (in  un rapporto
spazio/temporale)  il  portatore  di  deficit  (fisico o mentale) nel
processo  di integrazione nella comunita' (organizzata per sua natura
secondo standard di potenzialita' o di prestazioni «normali»);
   La  funzione  della  legge  n. 104/1992 e' stata proprio quella di
tutelare i  diritti  (anche)  dei portatori di handicap promuovendone
l'integrazione  e  l'inserimento  sociale,  in attuazione di principi
fissati   nella   Carta   costituzionale   (e   interpretati  secondo
l'evoluzione   della  sensibilita'  nel  tempo)  conferendo  concreta
attuazione   a  quei  diritti  inviolabili  dell'uomo  sanciti  nella
Costituzione  italiana (all'art. 2, con riferimento al diritto/dovere
inderogabile   di  solidarieta'  sociale;  all'art.  3,  ove  vengono
riconosciute  pari  opportunita'  a tutti; all'art. 32, che tutela la
salute;   all'art.   38   che   sancisce   il   diritto  dell'inabile
all'assistenza  sociale),  ma  anche nell'art. 25 della Dichiarazione
Universale  dei  Diritti  dell'Uomo  (New  York,  10 dicembre 1948) e
nell'art.  12 del Patto Internazionale dei Diritti economici, sociali
e  culturali (approvato dall'Assemblea Generale della Nazioni Unite e
ratificato dall'italia in forza della l. n. 881/1977);
   La legge n. 104/1992 (nel rafforzare le azioni tese a sostenere il
disabile  e  il suo nucleo familiare, a migliorarne le condizioni, ad
evitarne  il  ricovero  in istituto) ha individuato nella famiglia il
luogo  primario  delle  relazioni quotidiane che regolano la vita del
disabile;
   La  famiglia svolge, invero, un ruolo essenziale nei confronti del
disabile,  ricoprendo  una  molteplicita'  di  funzioni  e  quella di
riferimento  della legge n. 104/1992 non e' la famiglia nucleare (che
trova  specifici  riconoscimento  e  tutela  nell'art. 29 Cost.), ne'
quella   parentale,  ma  la  convivenza  di  un  aggregato  esteso  a
comprendervi finanche gli affini;
   Risulterebbe,  pertanto,  evidente  la volonta' del Legislatore di
permettere  l'attuazione  di quei diritti richiamati, ivi compreso il
dovere di solidarieta' sociale di cui all'art. 2 Cost., attraverso il
piu'  esteso  numero  di  figure  soggettive, anche al di fuori della
cerchia   della   famiglia   legittima,   purche'   con  il  disabile
abitualmente  conviventi  (cosi'  riconducendo  l'attuazione  di quei
diritti  nell'ambito della protezione, offerta anch'essa dall'art. 2,
dei  diritti  inviolabili  dell'uomo  nelle  formazioni sociali nelle
quali si svolge la sua personalita);
   Se   tale  e'  la  ratio  legis,  risulterebbe  irragionevole  che
nell'elencazione  dei  soggetti aventi diritto ai permessi mensili di
cui  all'art.  33  della legge n. 104/1992 non compaia chi sia legato
more  uxorio  nella  stabile convivenza con una persona portatrice di
handicap grave;
   Costituitosi   in   giudizio,   l'INPS   non   ha  contestato  ne'
l'effettivita'  della situazione di convivenza tra la Guglielmi ed il
Prette,  ne' l'esistenza della grave situazione di handicap di cui il
Prette  risulta  essere  portatore e si e' rimesso sulla richiesta di
remissione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale, evidenziando di
essersi  limitato,  nel  caso  specifico,  all'applicazione letterale
dell'art. 33, comma 3 della legge n. 104/1992.
                         Rilevato in diritto

   Ritiene   il   giudice  del  lavoro  che  la  sollevata  questione
risulti rilevante ai fini del decidere poiche' l'oggetto del presente
giudizio  consiste nella richiesta della ricorrente dell'accertamento
del  proprio  diritto  ad usufruire dei permessi mensili retribuiti e
coperti  da  contribuzione figurativa, permessi di cui al citato art.
33,  comma  3  della  legge  n. 104/1992  in  relazione allo stato di
handicap  del  convivente,  ora,  secondo 1'INPS, non concedibili, in
base ad un'ineccepibile interpretazione letterale della norma.
   Inoltre  la  questione  appare  non  manifestamente  infondata  in
riferimento agli artt. 2, 3, e 32 della Costituzione.
   In  particolare pare condivisibile l'impostazione della ricorrente
secondo  cui  l'art.  33,  comma 3 della legge n. 104/1992 violerebbe
l'art.  3  della  Costituzione per la contraddittorieta' logica della
esclusione proprio di un convivente dalla previsione di una norma che
intende  tutelare  le persone con handicap (in situazione di gravita)
abitualmente  conviventi:  quando  il legislatore, nel contesto della
legge   n. 104/1992   rubricata   «Legge-quadro   per   l'assistenza,
l'integrazione  sociale  e  i  diritti  delle  persone handicappate»,
all'art.  33 detta le «agevolazioni» che spettano a colui che assiste
una persona in stato di handicap grave (ovvero, in ultima analisi, le
agevolazioni  che  spettano  alla  persona  handicappata)  esprime il
dovere collettivo di consentire l'adempimento del dovere inderogabile
di  solidarieta'  sociale,  dovere  che  connota da un canto la forma
costituzionale  di  Stato sociale e, dall'altro, riconosce un diritto
collocabile fra quelli inviolabili dell'uomo.
   Mentre  altrove il Legislatore ha discriminato la famiglia fondata
sul  matrimonio  da  forme  di  convivenza more uxorio poiche' queste
ultime   sono  fondate  esclusivamente  sulla  affectio  quotidiana -
liberamente  e in ogni istante revocabile - di ciascuna delle parti e
si  caratterizzano per l'inesistenza di quella stabilita' e certezza,
nonche'  di  quei  diritti  e  doveri  reciproci,  sia  personali che
patrimoniali,  che  nascono  dal matrimonio, tale discriminazione non
pare potere essere nel presente caso giustificata.
   La  mancata  inclusione  del convivente more uxorio fra i soggetti
beneficiari   dell'assistenza  (cui  e'  subordinato  il  diritto  ai
permessi  per  cui  e'  causa)  non  sembra  trovare  allora  una sua
ragionevole  giustificazione, poiche' i permessi previsti dalla legge
non   si   ricollegano  geneticamente  ad  un  preesistente  rapporto
giuridicamente  rilevante:  rispetto  al  bene  primario della salute
(l'assistenza  e'  una  forma  di  tutela  della salute della persona
gravemente  handicappata)  che  la ratio legis salvaguarda, il titolo
della  convivenza,  in forza di rapporto parentale (indipendentemente
dal grado) o di affinita', oppure di convivenza more uxorio, non puo'
avere  effetto  discriminatorio  senza vulnerare ancora una volta sia
l'art.  32  Cost.,  sia il combinato disposto degli artt. 2 e 3 della
Costituzione nella configurazione in precedenza richiamata.
   D'altra  parte  agli  argomenti  sopra  esposti  non  pare potersi
obiettare  che  l'elencazione normativa delle categorie aventi titolo
ai permessi dovrebbe essere ispirata al criterio della certezza delle
situazioni  giuridiche,  mentre  attribuire  tali  permessi  anche in
ipotesi  di  assistenza  al mero convivente more uxorio richiederebbe
una  verifica  di  fatto  in  ordine al requisito della convivenza, e
comporterebbe  la  rinuncia  al  citato  principio  di certezza delle
situazioni giuridiche che, al contrario, dovrebbe trovare nel diritto
previdenziale la piu' rigorosa attuazione data anche la sua incidenza
sugli  equilibri  della  spesa pubblica: detta obiezione che e' stata
proposta  in  ipotesi  in cui, sempre con riferimento alla convivenza
more uxorio, si era sostenuta la legittimita' costituzionale di altre
norme (in tal senso, da ultimo, sentenza n. 461/2000 con cui la Corte
costituzionale   ha   dichiarato   non   fondata   la   questione  di
legittimita',  sollevata con ordinanza 27 dicembre 1999 del Tribunale
di  Taranto,  dell'art. 13 del r.d. n. 636/1939 - Modificazioni delle
disposizioni  sulle assicurazioni obbligatorie per l'invalidita' e la
vecchiaia,  per la tubercolosi e per la disoccupazione involontaria e
sostituzione dell'assicurazione per la maternita' con l'assicurazione
obbligatoria  per  la  nuzialita' e la natalita' - nella parte in cui
non  include il convivente more uxorio tra i soggetti beneficiati del
trattamento  pensionistico  di reversibilita) non si attaglia al caso
esaminato  in  quanto  l'art.  33, comma 3 della legge n. 104/1992 e'
volto  ad  assicurare  al  Convivente  more uxorio non un trattamento
pensionistico e/o comunque di natura patrimoniale che viene in essere
una  volta  cessata  la  situazione  di convivenza, ma un permesso di
assentarsi  dal  lavoro  che,  sebbene retribuito, ha la finalita' di
garantire,  anche  e soprattutto, la tutela del soggetto portatore di
handicap, per favorirne l'assistenza.
   In ogni caso, abundantiam, va rilevato come nell'ipotesi esaminata
il  rapporto  di convivenza (fra l'altro rafforzato dalla circostanza
che  da  esso sia stato generato un figlio) risulti per tabulas sulla
base  della  documentazione prodotta e non sia stato neppure posto in
contestazione.
   In   conclusione   nel  presente  caso  il  principio  piu'  volte
richiamato dalla Corte costituzionale per il quale la convivenza more
uxorio  rappresenta  l'effetto  di  una  libera scelta a fronte delle
regole  costruite dal Legislatore per il matrimonio e da cui consegue
l'impossibilita'  di estendere alla famiglia di fatto anche le regole
processuali o sostanziali proprie dell'istituto matrimoniale o che ad
esso,  direttamente od indirettamente, si ricollegano, sembra trovare
attenuazione   per   i  motivi  sopra  esposti  nel  caso  sottoposto
all'attenzione  di  questo Giudicante ed appare necessario sottoporre
la questione all'esame della Corte.