IL GIUDICE PER L'UDIENZA PRELIMINARE Nel procedimento n. 12504/03 R.N.R. e 19260/03 R.G. G.i.p. Trib. Torino, a carico di Mita Ion + 6; previa separazione della posizione di quest'ultimo dal procedimento principale, definito con il rito abbreviato in udienza preliminare, in relazione al solo addebito a lui elevato al capo C della richiesta di rinvio a giudizio, ha pronunciato la seguente ordinanza ex art. 23, legge 11 marzo 1953. Ritenuto in fatto Mita Ion e' imputato di violazione in concorso dell'art. 12, comma 3, d.lgs. n. 286/1998, in concorso con il gruppo di «passeurs» Calin Gheorghe, Calin Ilie e Malacu George (alias Topriceanu Mihaita, detto Turi Mihai). Dagli atti si evince pero' unicamente un suo coinvolgimento per far espatriare clandestinamente verso l'Inghilterra (paese extra-Schengen) alcuni conoscenti, ed in tale veste avrebbe (richiedendo informazioni a persone rimaste estranee al procedimento) prima ottenuto il consiglio di rivolgersi al gruppo Neascu/Gherghisan; fallito l'esperimento, perche' i «passeurs» non si erano presentati all'appuntamento avrebbe poi ottenuto un appuntamento con il gruppo dei Calin; avrebbe quindi accompagnato i conoscenti nel luogo stabilito perche' potessero salire clandestinamente sul treno nei pressi del bivio della Pronda. Fin dalle prime battute delle indagini e' emerso il coinvolgimento del Mita in «un solo episodio» (ord. g.i.p. 24 luglio 2003, di attenuazione della misura cautelare da custodia in carcere in quella degli arresti domiciliari; in seguito e' stata poi revocata ogni misura, a differenza che per i coimputati «passeurs»). E' evidente dallo svolgersi degli accadimenti (documentati probatoriamente dalle intercettazioni telefoniche e paralleli appostamenti di p.g.) che Mita si e' attivato per agevolare la partenza di quattro persone, non identificate, che dovevano partire insieme, e solo di quelle. In atti - e tenuto conto delle puntuali spiegazioni che egli ha reiteratamente fornito in sede di interrogatorio in relazione agli elementi a suo carico (conversazioni telefoniche intercettate e concomitanti appostamenti di p.g.) - a carico del Mita non vi e' altro; in specie non vi e' alcun elemento che smentisca l'occasionalita' della condotta di favoreggiamento, legata ad una situazione specifica e in relazione alla quale egli stesso ha dovuto rivolgersi a terzi «professionisti» (che venivano pagati per questo), per agevolare parenti o persone a lui legate e senza che vi sia alcun elemento per ritenere che egli abbia percepito a propria volta denaro in cambio dell'aiuto prestato. Anche dai colloqui telefonici pare evincersi l'estraneita' di Mita all'attivita' dei «passeurs», che ha contattato da estraneo e per favorire familiari/utenti a lui vicini. Ne e' spia sintomatica gia' l'opzione dell'accusa di elevare l'addebito di cui all'art. 12, d.lgs. n. 286/1998 in concorso, al capo C con il c.d. gruppo dei Calin e non invece in concorso, al capo A, con il gruppo Neascu/Gherghisan, pure da lui contattato; e cio' perche' solo a mezzo dei Calin egli era infine riuscito nel suo unico scopo, che era di far espatriare le quattro persone che a lui avevano chiesto aiuto. Sulla rilevanza Da cio' consegue, come correttamente evidenziato dalla difesa, che: a) l'addebito anche a carico di Mita Ion di favoreggiamento dell'immigrazione («atti diretti a favorire l'ingresso in Italia») appare nel suo caso dovuto unicamente alla formulazione unitaria e indistinta del capo C, che riguarda anche i presunti correi Calin Gheorghe, Calin Ilie e Malacu George; formulazione priva di elementi individualizzanti e che in ogni caso non trova corrispondenza alcuna in atti per quanto attiene a Mita Ion, a quanto si desume dalla stessa ricostruzione che dei fatti ha evidenziato il pubblico ministero in sede di discussione del rito abbreviato; b) Mita non puo' essere ritenuto concorrente nel reato previsto dall'art. 12, comma 3, d.lgs. n. 286/1998, ma al piu' soggetto che individualmente ha commesso «atti diretti a procurare l'ingresso illegale in altro Stato del quale la persona non e' cittadina o non ha titolo di residenza permanente», condotta sanzionata autonomamente dal comma 1 dello stesso articolo. Il capo C e' contestato «da epoca non precisata posteriore all'estate del 2002»; e' pacifico che l'attivazione di Mita per agevolare l'espatrio risale al marzo 2003. Ne consegue che a Mita e' stata contestata la violazione della disciplina dell'art. 12, comma 1, ultima parte, nella sua formulazione, ex legge 30 luglio 2002, n. 189: quindi, secondo l'opinione che pare ormai prevalente - nonostante un contrario obiter iniziale in Cass., sez. III, 28 novembre 2002, ric. Hoxha, pronuncia che peraltro non affronta direttamente la questione bensi' la sufficienza e idoneita' degli «atti diretti» al fine della rilevanza penale della condotta - quale titolo di reato autonomo e non piu' quale circostanza aggravante della condotta «base» delineata al comma 1. Addirittura in relazione alla vecchia norma, richiamandosi alla ratio e alla storia normativa sottese alle norme penali incriminatrici contenute nel d.lgs. n. 286/1998, gia' si era prospettata una sostanziale autonomia tra fattispecie, in effetti del tutto diverse tra loro; prospettazione non accolta dalla Corte di cassazione a fronte dell'indubbio e primario ostacolo costituito dal tenore letterale della formulazione del vecchio art. 12 (per tutte, Cass. pen. sez. I, 4 dicembre 2000, ric. Vishe). L'incipit del vecchio terzo comma («se il fatto di cui al comma 1 e' commesso a fine di lucro o da tre o piu' persone in concorso»), letteralmente delineante una circostanza aggravante ad effetto speciale, e' stato, e non certo casualmente, abbandonato nella formulazione dell'art. 12, novellata dalla legge n. 189/2002. Cio' premesso, e' pero' indubbio che la condotta del Mita - ricerca di indicazioni su chi fossero i «passeurs», contatto con quest'ultimi per ottenere un appuntamento per gli espatriandi, non identificati, dei quali nulla. si sa se non che la prima destinazione avrebbe dovuto essere l'Inghilterra dato il mezzo di trasporto utilizzato, nonche' l'accompagnamento di questi ultimi sul luogo dell'appuntamento - integra a pieno titolo la fattispecie autonoma di cui al comma 1 dell'art. 12 del citato decreto, per avere posto in essere atti diretti a procurare l'ingresso illegale in altro Stato di persone sfornite di documenti, a titolo occasionale, individuale e senza scopo di lucro: quindi, della sola seconda parte (la cui autonomia dalla prima e' sancita dalla disgiuntiva «ovvero») del reato di cui al comma 1 dell'art. 12. Va da ultimo segnalato che le modifiche successive apportate al legislatore all'art. 12, d.lgs. n. 286/1998 non paiono in alcun modo influire sulla rilevanza della questione che viene qui proposta. A seguito dell'entrata in vigore dell'art. 1-ter del d.l. n. 241/2004, infatti, la commissione del fatto «da tre o piu' persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti» non costituisce piu' elemento integrativo della fattispecie di cui al comma 3 dell'art. 12, d.lgs. n. 286/1998 bensi' circostanza aggravante applicabile alla previsione incriminatrice sia del comma 3 che del comma 1 dello stesso articolo: quindi, sia all'ipotesi di favoreggiamento c.d. «semplice» che a quella «a scopo di profitto». La novita' rilevante apportata dalla novella legislativa del 2004 non comporta, di conseguenza, alcuna modifica nella struttura della norma incriminatrice da applicarsi nel caso concreto, ex art. 12, comma l ultima parte, d.lgs. n. 286/1998, limitandosi ad introdurre delle circostanze aggravanti (comunque non contestate nel caso di Mita Ion perche' all'epoca non ancora entrate in vigore) che hanno ad oggetto particolari modalita' di commissione degli atti integranti la condotta favoreggiamento: che quindi, in quanto tali e comunque perche' si tratta di elementi accidentali del reato, non contribuiscono ad una tipizzazione della condotta ne' la modificano quanto ad elementi integrativi della fattispecie. Vi e' stato unicamente un inasprimento della sanzione, inapplicabile nel caso concreto poiche' norma sfavorevole successiva nel tempo. Sulla non manifesta infondatezza Individuata la norma incriminatrice da applicare nel caso di specie, e cioe' il favoreggiamento c.d. «semplice» dell'«ingresso illegale in altro Stato del quale la persona non e' cittadina o non ha titolo di residenza permanente», sorgono, in ordine alla legittimita' costituzionale della stessa, perplessita' che non paiono poter essere risolte in sede interpretativa in sede di giudizio di merito. Si tratta di perplessita' che sono gia' state espresse in dottrina e che, a parere di questo giudice, debbono essere condivise alla luce delle considerazioni che seguono. Va premesso - senza entrare nel merito della articolata vicenda normativa che ha infine condotto alla formulazione dell'attuale art. 12, d.lgs. n. 286 - che l'introduzione della figura autonoma del favoreggiamento in Italia dell'ingresso illegale di migranti in altro Stato estero pare evidentemente dovuta alla volonta' di colmare un vuoto che impediva di attrarre nella sfera della rilevanza penale condotte censurabili in quanto attivita' assolutamente tipiche di chi gestisce il traffico di migranti clandestini. In altri termini, l'assenza di previsione di fattispecie punitiva del favoreggiamento dei flussi clandestini «verso l'estero» impediva che venissero sanzionate le condotte di «intermediazione di movimenti illeciti, o comunque clandestini, di lavoratori migranti, che non si risolvono nel favorire materialmente il loro ingresso o la loro permanenza nello Stato» (Cass., sez. VI, 22 novembre 2000, ric. p.m. in proc. Durante); e, soprattutto, lasciava in una sorta di zona grigia le attivita' (non autonomamente costituenti reato, quali invece, ad es., l'approvvigionamento di documenti falsificati, o altre attivita' penalmente rilevanti in via autonoma) poste in essere sul territorio nazionale comunque favorenti i flussi di migrazione clandestina «in transito» verso l'estero: attivita' aspecifiche, non tipizzate ne' tipizzabili, ritenute meritevoli di sanzione perche' comunque a) potenzialmente pericolose per l'ordine pubblico e b) parimenti espressione di sfruttamento del corposo fenomeno della migrazione clandestina. Ma proprio la verifica della ratio della formulazione post-novella del 2002 (immodificata a seguito del nuovo intervento, operato con la legge n. 271/2004) rende evidente che quest'ultima e' chiaro frutto della volonta' legislativa di colpire in tutte le sue forme la gestione del traffico di clandestini «allargando» la normativa penale in modo tale da farvi rientrare anche quelle situazioni fattuali che andavano in precedenza esenti da sanzione solo perche' non vi era prova di un aggancio della condotta posta in essere dal soggetto che favoriva il migrante nel transito e/o nuova fuoruscita con la condotta di chi ne aveva favorito l'ingresso clandestino in Italia. Situazioni fattuali, si noti, che non sono in alcun modo assimilabili a quella del Mita Ion, del quale risulta solo l'attivazione per contattare chi era in grado di far clandestinamente espatriare persone che gia' si trovavano e permanevano sul territorio italiano e che non risulta vi fossero giunti grazie ad una qualche attivazione del Mita medesimo. La norma incriminatrice di cui al comma primo, ultima parte, dell'art. 12, d.lgs. n. 286/1998 e' figura di reato a soglia di tutela anticipata e a condotta libera, connotata (sia prima che dopo la novella operata con il d.l. n. 241/2004) da un unico elemento tipizzante: quello dell'illiceita' speciale, che assurge ad elemento centrale per identificare l'antigiuridicita' di una condotta che altrimenti si risolverebbe in mera agevolazione all'esercizio di un diritto della persona, quello di emigrare dal territorio italiano verso altri Stati. E' evidente, al riguardo, che il presupposto di illiceita' speciale della «violazione delle disposizioni del presente testo unico» puo' riferirsi al favoreggiamento dell'immigrazione ma non anche a quello dell'emigrazione, che non trova (ne' si vede come potrebbe trovare) in esso alcuna regolamentazione, posto che si tratta di un corpo di norme «concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero» in Italia. Unico presupposto di illiceita' speciale con funzione di tipizzazione risulta allora essere quello della «illegalita» dell'ingresso procurato (o meglio favorito) dall'Italia nello stato estero di destinazione del migrante clandestino: dizione che non a caso, nei reati di favoreggiamento, si trova associata solo all'ipotesi di «ingresso in altro Stato del quale la persona non e' cittadina». Ma sotto tale profilo e' altrettanto evidente che il contenuto dell'«illegalita» andrebbe individuato facendo riferimento alla normativa del paese estero di destinazione, e cio', oltretutto, dando per scontato - circostanza che scontata non e' affatto - che nella fattispecie alla quale la norma debba applicarsi si possa individuare con certezza un paese estero di destinazione del migrante clandestino; compito non certo facilitato dalla struttura della norma incriminatrice, che punisce anche soltanto gli «atti diretti», indipendentemente dall'ottenimento di un qualsiasi risultato. Se, pero', l'«illegalita» va intesa (e non puo' non essere intesa, poiche' in caso contrario il favoreggiamento dell'ingresso illegale in Stato straniero non si verificherebbe mai, e la norma incriminatrice sarebbe di conseguenza del tutto priva di contenuto) nel senso della contrarieta' ad un complesso di norme regolatrici emesse da un paese straniero, ne consegue che ci si trova di fronte ad una fattispecie penale in bianco il cui precetto e' descritto attraverso il rinvio ad una legge straniera: e cio' in violazione della riserva di legge sancita dall'art. 25 della Costituzione. Risulta palese il problema del mancato rispetto del principio di tassativita' e determinatezza delle norme penali incriminatrici. La Corte di cassazione (sez. I, udienza 8 maggio 2002, depositata il 3 giugno 2002, ric. Galgano) aveva gia' motivato nel senso della aderenza dell'art. 12 al principio suddetto e quindi del rispetto dell'art. 25 della carta costituzionale. Cio' pero' avveniva: 1) ante-novella operata con la legge n. 189/2002 e in un contesto del tutto diverso, nel quale la figura del favoreggiamento dell'ingresso in Stato estero non esisteva ancora; 2) in riferimento ad un presupposto di illiceita' speciale, la «contrarieta' alle norme del testo unico», comunque inapplicabile alla fattispecie incriminatrice di cui all'attuale art. 12, comma 1 ultima parte. La verifica del requisito di illiceita' della «contrarieta' al testo unico», argomentava infatti la suprema Corte nel motivare perche' dovesse ritenersi manifestamente infondata la questione, poteva al massimo comportare «una maggiore difficolta' di individuazione e ricostruzione della fattispecie concreta ma non anche un difetto di tipicita' della fattispecie astratta, in se' compiutamente definita e comprendente, al suo interno, ogni possibile combinazione della prevista attivita' diretta a favorire l'ingresso di stranieri in Italia con la violazione di ciascuna delle specifiche disposizioni, attinenti alla materia, del decreto legislativo in esame». Per contro, in altra pronuncia la suprema Corte ha affrontato incidentalmente la medesima questione concludendo per l'aderenza del vecchio art. 12 al principio di determinatezza e tassativita' (problema che la Corte si poneva data «la genericita' della locuzione "violazione delle disposizioni del presente testo unico"...» e rilevato il concreto rischio che «...potrebbero essere incriminati comportamenti concretamente non lesivi attraverso un "modello estremo di anticipazione di tutela..."», salvo che per quei «casi marginali» che «trovano il loro limite nella necessita' della sussistenza del dolo» (cosi testualmente Cass., sez. III, 18 giugno 2002, dep. 9 agosto 2002, ric. Tolkachov). Si e' visto, pero', che gli argomenti addotti dalla Corte di cassazione nelle citate sentenze (in specie nella prima, che ha affrontato direttamente la questione) non sono in alcun modo mutuabili oggi per risolvere la questione venuta a profilarsi a seguito dell'introduzione della figura di reato del favoreggiamento dell'«ingresso illegale in altro Stato», se non altro perche - quanto a quest'ultima - il presupposto di illiceita' speciale e' oggi tutt'altro e non puo' che riferirsi alla normativa dello Stato estero di destinazione. Ne consegue che la sua compatibilita' con il principio di riserva di legge e di tassativita' della fattispecie penale risulta ben piu' problematica. Ne' varrebbe obiettare, a parere di questo giudice, che un recupero della determinatezza della fattispecie potrebbe avvenire attraverso la valorizzazione delle modalita' in concreto di attuazione della condotta incriminata: procedimento «sostitutivo» che comunque non pare corretto e il cui utilizzo in sede giurisprudenziale evidenzia ancor piu' l'ambiguita' di fondo della norma incriminatrice. Non solo: e' procedimento interpretativo che porta ad una pericolosa confusione di piani, posto che l'emigrazione in condizioni di «illegalita» (visto dall'ottica della legge italiana, e quindi l'emigrazione dall'Italia di chi si ritrova ad essere clandestino in Italia) non e' affatto di per se' significativa di clandestinita' «comunque» e in qualsiasi paese, poiche' il migrante potrebbe appartenere ad una delle categorie che nello Stato estero di destinazione gli consente l'acquisizione di un titolo di residenza permanente (i.e. minore, richiedente asilo, coniuge e parente di cittadino del paese straniero ove egli e' diretto). Si tratta di terreno, com'e' evidente, che rende ancor piu' palese la violazione del principio di determinatezza, poiche' l'agevolazione - anche con modalita' evidentemente «clandestine», quali quella evidenziatasi nel presente procedimento - a lasciare il territorio italiano e' condotta gia' di per se' sufficiente a far ricadere la fattispecie concreta in quella astratta incriminatrice, poiche', indipendentemente da che cosa accada una volta lasciato tale territorio, gia' si e' consumato il reato con l'apposizione in essere degli atti diretti a favorire l'ingresso in Stato estero, dato che e' stata riprodotta dal legislatore la struttura a consumazione anticipata gia' letteralmente contenuta nel vecchio art. 12 per il favoreggiamento all'emigrazione. Appare allora evidente che all'attivita' gia' ritenuta dal legislatore di per se' sola integrante la fattispecie criminosa - perche' a consumazione anticipata - puo' allora conseguire, a seconda di dove il migrante sia in definitiva diretto ovvero riesca ad approdare, una situazione che puo' essere di illegalita' per lo Stato estero oppure no; e cio', ad esempio, solo perche' in un determinato paese egli e' in grado di azionare determinati diritti e in altri no. Si tratta, quindi, di illegalita' eventuale e futura, ancora sottoposta a determinate condizioni sia fattuali che giuridiche nel momento in cui pero' gia' dovrebbe ritenersi perfezionata a carico del favoreggiatore la consumazione (anticipata) del reato di cui all'art. 12, comma 1, d.lgs, n. 286/1998. Vi e' poi un ulteriore profilo per cui non puo' ritenersi conforme alla Costituzione una norma che risulti «comunque» violata ogniqualvolta le caratteristiche dell'espatrio (o dei meri atti diretti a favorirlo: ed e' evidente che l'opzione legislativa della soglia avanzata di incriminazione rende ancor piu' pregnante il problema del difetto di determinatezza) siano tali da poter semplicemente affermare che tale espatrio e' avvenuto, o era programmato, «in modo clandestino». Gia' si e' detto, infatti, della difficolta' concettuale di prevedere una norma che sanzioni chi favorisce chi si muova dall'Italia (e quindi, in ipotesi, per restare in ambito dei paesi Schengen; ovvero per mutare rotta una volta fuori dall'Italia in modo imprevedibile), e quali sono i motivi che hanno indotto il legislatore a prevederla: peraltro in una chiara ottica di repressione del fenomeno della mercificazione dei flussi di migrazione clandestina. Il fatto, pero', che non vengano utilizzati - ove necessari - documenti validi per l'espatrio e' conseguenza inevitabile dello status di clandestino in Italia; per cui, cosi ragionando, qualsiasi atto diretto ad agevolare l'emigrazione di chiunque si trovi ad essere non in regola (o non piu' in regola) sul territorio italiano sarebbe passibile di sanzione penale. Si noti che la norma che qui si intende sottoporre all'attenzione della Corte comporterebbe, se applicata nel suo insuperabile dettato letterale, l'attrazione nella sfera di rilevanza penale anche delle condotte che in definitiva permettano al soggetto «favorito», senza essere costretto ad autodenunciarsi alla pubblica autorita' come clandestino, di rientrare nella propria patria di origine, in quei casi in cui il rimpatrio non potrebbe avvenire se non fisicamente attraversando Stati terzi. E' evidente che proprio per evitare tale situazione paradossale la giurisprudenza e' stata gia' costretta a singolari oscillazioni nell'applicazione della fattispecie incriminatrice del favoreggiamento dell'«ingresso illegale in altro Stato». (sottolineature di questo giudice). La giurisprudenza piu' recente ha, per contro, interpretato la norma dell'agevolazione all'ingresso illegale in altro Stato, sia quanto alla figura «semplice» di cui al primo comma sia quanto a quella qualificata di cui al terzo comma (parimenti incentrata sull'illiceita' speciale costituita dalla contrarieta' alla normativa dello Stato estero di destinazione) facendo dipendere in toto l'integrazione del reato in capo al favorente dalle «dichiarazioni di intenti» del soggetto favorito e dal tasso di affidabilita' di queste ultime. Cosi', per tutte, Cass., sez. I, 15 giugno 2007, ric. p.g. in proc. Afloarei, secondo la quale la prova dell'intenzione e' onere del soggetto favorito ma che non puo' risolversi in mera allegazione dichiarativa, necessitando di un quid pluris in termini di riscontro esterno; Cass., Sez. I, 24 gennaio 2006, ric. p.m. in proc. Bacin, per la quale ove vi sia prova positiva che il trasporto e' preordinato al rimpatrio dello straniero al proprio paese di origine, sia pure attraverso il mero transito in altri Stati, il soggetto agevolatore va esente da responsabilita' poiche' in tal caso non sussiste il reato «alla luce del principio di offensivita» (cosi' testualmente la suprema Corte); ancora - ponendosi un problema non certo marginale di legittimita' della limitazione della liberta' personale a fronte di una norma cosi' strutturata, in primis quanto a convalida dell'arresto - Cass., sez. I, 26 ottobre 2006, ric. p.m. in proc. Urzica, secondo la quale, fermo il principio che il presunto favoreggiatore va assolto per insussistenza del fatto qualora si provi che il favorito era intenzionato a rimpatriare, «se non sia individuabile con immediata evidenza lo scopo della destinazione finale, l'arresto del soggetto che sia colto in flagranza di favoreggiamento di tale condotta va considerato legittimo, essendo l'accertamento di merito riservato alla sede dibattimentale». Le operazioni interpretative di cui sopra, a parere di questo giudice, rendono ancor piu' evidente la tensione della figura di reato qui in esame con il principio di determinatezza previsto dalla Carta costituzionale: rendendo necessario, a parere di questo giudice, un intervento della Corte. Appare, cioe', palese una difficolta' di applicazione della norma che nell'incertezza rischia di indurre a pericolosi divari interpretativi, in realta' legati non alla valutazione dell'ambito nel quale si muove la condotta del soggetto agente, bensi' dell'ambito della vicenda concreta del soggetto favorito: situazione che sul piano della tassativita' e determinatezza della fattispecie risulta inaccettabile. Pare, infine, che debba essere affrontato anche il profilo della possibile non conformita' della norma di cui all'art. 12, comma 1 seconda parte rispetto al principio costituzionalmente garantito di cui all'art. 35, quarto comma Cost. E' vero che il 35, quarto comma Cost. contiene una riserva di legge, ma proprio il fatto che la Corte costituzionale la abbia in passato invocata, in materia di diritto dell'immigrazione e di disciplina della condizione dello straniero - essenzialmente, va detto, in sede di rigetto delle questioni di legittimita' costituzionale sollevate in relazione alla disciplina dell'espulsione dello straniero dal territorio italiano - parrebbe evidenziare che la stessa Corte ha inteso sottolineare con chiarezza che proprio e soltanto in presenza di condizioni eccezionali, espressamente richiamantesi a concetti quali la pericolosita' e l'ordine pubblico, puo' ritenersi legittima la compressione (di fatto tale, nel momento in cui viene sanzionata penalmente l'attivita' del soggetto agevolatore) del diritto all'emigrazione, che lo Stato «riconosce» come diritto della persona, e non «concede» in relazione a situazioni o a precondizioni.