Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato e presso la medesima domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12, avente ad oggetto conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Tribunale di Milano - sez. IV penale - giudice monocratico dott. Oscar Magi, in relazione alle ordinanze 19 marzo 2008 e 14 maggio 2008 con cui, rispettivamente, veniva accolta la richiesta della Procura della Repubblica di Milano di revocare l'ordinanza di sospensione del processo per il sequestro di Abu Omar pendente nei confronti di funzionari del SISMi (tra cui il suo direttore), di agenti di un Servizio straniero (CIA) e di altri, e veniva disposta l'integrale ammissione dei capitoli di prova indicati dal p.m. e relativi ai testi da 45 a 65 della sua lista. Il decreto di rinvio a giudizio e la relativa richiesta erano stati adottati, infatti, sulla base (anche) di fonti di prova che si assumevano acquisite in violazione del segreto di Stato e cio' aveva dato vita a due conflitti di attribuzione - tuttora pendenti - promossi dal Presidente del Consiglio contro il Procuratore della Repubblica ed il g.i.p.-g.u.p. di Milano, in considerazione dei quali il Tribunle di Milano aveva ordinato la sospensione del dibattimento. La disposta revoca di tale sospensione, con conseguente prosecuzione del dibattimento dinanzi al Tribunale di Milano in pendenza di tali giudizi di conflitto fra poteri costituisce, quindi, in generale, esercizio di funzione giurisdizionale in materia in cui sono sub iudice i poteri della autorita' giudiziaria e costituisce, in particolare, contestazione menomatrice dei poteri del Presidente del Consiglio in materia di segreto di Stato laddove - nell'ordinanza 14 maggio 2008 - si afferma la prevalenza del potere giudiziario all'accertamento del reato rispetto al potere presidenziale di segretare fonti di prova. F a t t o 1. - La vicenda e' ben nota a codesta Corte, ma converra' brevemente riassumerla. La Procura della Repubblica di Milano, procedendo nelle indagini sul sequestro di persona di Nasr Osama Mustafa Hassan, alias Abu Omar, avverti' ben presto che la sua attivita' sarebbe necessariamente entrata in contatto con aree coperte dal segreto di Stato e di questo ebbe, anzi, preciso avvertimento da parte del Presidente del Consiglio pro tempore, il quale, informato dal Direttore del SISMi delle richieste di notizie indirizzategli dalla Procura milanese, con nota 11 novembre 2005 n. USG/2.SP/1318/50/347 (doc. 1), nell'affermare energicamente l'assoluta estraneita' del Governo e del SISMi al sequestro in danno di Abu Omar, confermo' le disposizioni precedentemente impartite dai suoi predecessori in materia di segreto di Stato, in particolare per quanto attiene alle «relazioni dei Servizi ... con organi informativi di altri Stati». E' chiaro l'implicito richiamo alla direttiva 30 luglio 1985 n. 2001.5/707 (doc. 2), nella quale veniva stabilita, in estrema sintesi, la assoluta oggettiva segretezza dell'organizzazione dei servizi e dei rapporti fra servizi italiani e servizi stranieri. Direttiva, d'altronde, ben nota agli operatori nel campo della giustizia penale (cfr. Assise Roma, sentenza n. 21/97 del 12 giugno 1997 e Cass., sez. I pen., sentenza n. 3348 del 29 gennaio 2002). L'apposizione del segreto di Stato fu ancora reiterata dal Presidente del Consiglio pro tempore, con nota 26 luglio 2006 n. USG/2.SP/813/50/347 (doc. 3) contenente risposta al Procuratore della Repubblica di Milano, il quale aveva chiesto «la trasmissione di ogni comunicazione o documento ... concernenti il sequestro in oggetto indicato (Abu Omar: n.d.r.) o le vicende sopra descritte che lo hanno preceduto o, in generale, tutti i documenti informativi e atti relativi alle pratiche delle c.d. «renditions». «Tanto Premesso - continuava il Procuratore della Repubblica di Milano - rivolgo richiesta alla S.V. competente ai sensi dell'art. 1, legge 24 ottbre 1977, n. 801, nella ipotesi in cui su tali atti, documenti o informative, ove effettivamente esistenti, gravasse il segreto di Stato, di valutare l'opportunita' di revocarlo». La risposta del Presidente del Consiglio pro tempore fu la seguente: «... rilevo che su detta documentazione risulta effettivamente apposto il segreto di Stato da parte del precedente Presidente del Consiglio dei ministri; il segreto e' stato successivamente confermato dallo scrivente. Ne' sussistono, nell'attuale contesto, le condizioni per rimuovere il segreto di Stato da detta documentazione ...». Fu, inoltre, prima sequestrata in forma integrale, poi ottenuta, su ordine di esibizione, in forma parzialmente oscurata per tutela del segreto, documentazione SISMi utilizzata dal p.m. in un primo momento nella versione integrale (e poi sostituita con quella «omissata» come meglio si precisera). La iniziale utilizzazione integrale aveva formato oggetto di un primo mezzo di censura in entrambi i conflitti. 2. - Un particolare strumento di indagine utilizzato dalla Procura milanese fu, poi, quello delle intercettazioni telefoniche effettuate «a tappeto» su utenze «di servizio» del SISMi, in ordine alle quali e' stata dedotta una oggettiva violazione del segreto di Stato, coessenziale con la segretezza dell'organizzazione del servizio, nei giudizi di conflitto pendenti. 3. - Un'ulteriore profilo dei conflitti sub iudice era, poi, quello della contestazione da parte del Presidente del Consiglio di una linea di condotta degli inquirenti volta ad acquisire dagli indagati e dai testimoni notizie coperte da segreto di Stato, segnatamente per quanto attiene ai rapporti fra SISMi e CIA. Oltre ai due conflitti sopra menzionati, promossi dalla Presidenza del Consiglio dei ministri (che hanno assunto i nn. R.G. 2 e 3/2007), veniva promosso un terzo conflitto dalla Procura milanese contro il Presidente del Consiglio, avente ad oggetto l'apposizione del segreto di Stato su fatti eversivi dell'ordine costituzionale, con ulteriore denuncia dei vizi di eccesso di potere, violazione di legge e violazione altresi' del principio di obbligatorieta' dell'azione penale (conflitto n. 6/2007). In pendenza di tali conflitti il Tribunale di Milano - sez. IV penale - giudice monocratico dott. Oscar Magi, dinanzi a cui pendeva il processo «Abu Omar», sospendeva il dibattimento con ordinanza 18 giugno 2007, ribadita il 31 ottobre successivo, in attesa dell'esito dei giudizi di costituzionalita' pregiudiziali rispetto al presente, la cui udienza di discussione era stata fissata per il 29 gennaio 2008. Nella immediata prossimita' di tale udienza, peraltro, i processi costituzionali venivano rinviati a nuovo ruolo per la ventilata possibilita' di una soluzione concordata dei conflitti. I relativi contatti - strumentali al fine - tra i poteri, intermediati dai rispettivi legali, subivano, peraltro, una interruzione a seguito della crisi di governo intervenuta alla fine dello scorso mese di gennaio. L'Ufficio del p.m. chiedeva, quindi, la revoca dell'ordinanza di sospensione del procedimento nonche' la sostituzione, nel fascicolo del dibattimento, dei documenti non omissati con quelli omissati (sostituzione che costituiva uno degli elementi della ventilata soluzione concordata dei conflitti). Con ordinanza 19 marzo 2008 (doc. 4) il Tribunale di Milano accoglieva entrambe le richieste del p.m., disponendo la riapertura del procedimento e, con successiva ordinanza 14 maggio 2008 (doc. 5), respingendo una eccezione difensiva, ammetteva integralmente i capitoli di prova indicati dal p.m. e relativi ai testi da n. 45 a 65 della lista (doc. 4-bis), chiamati a deporre anche od esclusivamente sui rapporti fra SISMi e CIA in relazione al caso Abu Omar. Nella seduta del 21 maggio 2008 il Consiglio dei ministri deliberava di elevare conflitto contro il Tribunale di Milano - sez. IV penale - giudice monocratico dott. Oscar Magi con provvedimento che si produce per estratto (doc. 6). Il Presidente del Consiglio, come in epigrafe rappresentato e difeso, propone quindi il presente ricorso per le seguenti ragioni di D i r i t t o 1. - Sull'ammissibilita' del ricorso. Sia consentito al riguardo limitarsi a richiamare gli ultimi precedenti specifici in termini di codesta Corte (ordinanze 124 e 125/2007). 2. - Nel merito: violazione degli artt. 1, 5, 52, 87, 95, 102, 126 Costituzione in relazione agli artt. 12 e 16, legge 24 ottobre 1977, n. 801 e 202, 256 e 362 c.p.p. (vigenti al tempo) e 39, 40 e 41, legge 3 agosto 2007, n. 124. 2.1. - La violazione da parte del Tribunale delle prerogative del Presidente del Consiglio in materia di segreto di Stato e', in parte, automatica conseguenza della pregressa violazione, operata a monte dal p.m.e dal g.i.p.-g.u.p. La sottoscritta difesa non potra' quindi - in parte qua - che richiamare le stesse censure gia' formulate nel precedente conflitto contro il Procuratore della Repubblica di Milano e contro il g.i.p.-g.u.p. Si osserva in proposito che, se e' vero che nelle democrazie avanzate il governo della cosa pubblica ha per regola la trasparenza, vero e' anche che non esiste ordinamento al mondo che non conosca, sia pure in via di eccezione e con varie denominazioni, l'istituto del segreto di Stato. Un segreto da opporsi per la tutela di valori fondamentali e tanto forte da resistere ad altri valori pur essi di fondo. Nel nostro ordinamento costituzionale, codesta Corte, con la storica sentenza 24 maggio 1977 n. 86, attraverso l'esame del combinato disposto degli artt. 1, 5, 52, 87 e 126 Costituzione ha ritenuto di individuare tali valori, posti al vertice di quelli su cui poggia la salus rei publicae, nella esistenza, nella integrita' e nella essenza democratica dello Stato. In proposito e' necessario far riferimento ad una scala di valori perche', come e' noto, l'istituto della «segregazione» impone una comparazione fra valori, fra funzioni e fra interessi: quelli che attraverso la segretazione si vogliono tutelare e quelli che attraverso la segretazione si debbono sacrificare. Nella specie, il livello «supremo» dei valori tutelabili con il presidio del segreto di Stato, postula la resistenza di tale presidio anche rispetto ad altri valori, funzioni ed interessi, pur tutelati dalla Costituzione, quali il valore della giustizia e la funzione giurisdizionale. Sempre con la sentenza sopra citata codesta Corte ha individuato nel Presidente del Consiglio dei ministri, quale responsabile della «suprema» attivita' politica (art. 95 Cost.) il necessario titolare del potere di segretazione. Un potere da esercitare, ovviamente, nell'esercizio di una discrezionalita' puramente politica con l'adozione di un atto che di quella natura politica partecipa e di fronte al quale, quindi, necessariamente deve arrestarsi il potere giurisdizionale. Naturalmente - ha soggiunto codesta Corte - l'atto politico di segretazione non puo' ritenersi sottratto a qualunque controllo: soggiacera' invece all'istituzionale controllo del Parlamento (art. 94 Cost.), dinanzi al quale il Governo (ed il suo Capo) e' responsabile politicamente. Sara' appena il caso, da ultimo, di rammentare in proposito la non segretabilita' di fatti eversivi dell'ordine costituzionale pure affermato da codesta Corte. La relativa segretazione si porrebbe infatti come rottura dell'ordinamento costituzionale in contraddizione con il valore da proteggere: l'integrita' dello Stato democratico. In puntuale applicazione dell'insegnamento cosi' riassunto, il legislatore ha riformato i «Servizi» con la nota legge 24 ottobre 1977, n. 801, poi in parte (ma solo in parte) trasfusa negli artt. 202, 204, 256 e 362 del nuovo c.p.p. Legge poi novellata con la legge 3 agosto 2007, n. 124. In virtu' di tale normativa, quando su determinate notizie viene ritualmente apposto il segreto di Stato e tali notizie siano essenziali per la definizione del processo penale, detto processo non puo' che concludersi con sentenza di non luogo a procedere o di non doversi procedere per l'esistenza di un segreto di Stato. La normativa, espressamente dettata solo per il processo penale (probabilmente perche' detto processo rappresenta da un lato la forma di giurisdizione piu' esposta ad imbattersi nel limite del segreto di Stato, dall'altro quella meno suscettibile di limitazioni di fronte all'accertamento della verita), deve estendersi anche al giudice civile e amministrativo. Giudice che, pero', a differenza del giudice penale, in caso di opposizione del segreto non potra' rendere una pronuncia di non liquet ma dovra' pronunciarsi, invece, sulla domanda in base alle proprie regole di giudizio applicate agli elementi di cui dispone, anche a costo di rendere una sentenza sostanzialmente ingiusta (come d'altronde accade quando il giudice e' altrimenti vincolato dalla regola probatoria) ma rinunciando comunque alla conoscenza delle notizie coperte da segreto in quanto «essenziale e' che non sia divulgato nemmeno nell'ambito del processo un segreto di Stato» (Cass., s.s.u.u., 26 gennaio 1989-17 novembre 1989 n. 4905). Se quanto sopra e' esatto - e non sembra lecito dubitarne - la apposizione del segreto di Stato da parte del Presidente del Consiglio su determinate notizie integra l'esercizio di una potesta' che costituisce «sbarramento al potere giurisdizionale stesso» (Corte cost., sentt. 86/1977 e 110/1998 cit.). Recentemente e' poi intervenuta la riforma contenuta nella legge n. 124/2007, che peraltro - anche a prescindere dalle regole relative alla successione delle leggi nel tempo - non sembra avere sostanzialmente innovato in parte qua, enunciando, invece, principi gia' contenuti nel sistema ed in larga parte adottati nella prassi giudiziaria previgente. 2.2. - Nella specie, come risulta dalla narrativa in fatto e dalla documentazione elencata, il Presidente del Consiglio aveva a due riprese affermato e confermato l'esistenza di un segreto di Stato. Una prima volta precisando che il segreto copriva i rapporti del SISMi con i Servizi stranieri, una seconda volta che detto segreto copriva «tutti gli atti, documenti e informative relativi alle pratiche delle c.d. renditions». Nei due conflitti nn. 2 e 3/2007 sopra citati si assumeva che Procura milanese, prima, e g.i.p.-g.u.p., poi, avrebbero a vario titolo violato tale segreto offrendo al dibattimento - ed alla relativa ulteriore pubblicita' - materiale probatorio coperto dal segreto di Stato, in particolare, tra l'altro, procedendo ad intercettazione telefonica di un rilevante numero di utenze di servizio SISMi e cercando di ottenere da indagati e testimoni notizie sui rapporti fra SISMi e CIA. Il procedere oltre nel dibattimento senza attendere l'esito del giudizio sul conflitto di attribuzioni lede, quindi, di per se', le attribuzioni del Presidente del Consiglio dei ministri in materia di segreto di Stato, in quanto il principio di leale collaborazione sembrerebbe imporre al giudice del dibattimento il dovere di attendere l'esito del conflitto prima di utilizzare fonti di prova potenzialmente inutilizzabili perche' coperte da segreto di Stato. Ne' sembra legittimare tale scelta una motivazione di matrice esclusivamente processualpenalistica, facente riferimento a spunti analogici tratti dagli artt. 47 e 479 c.p.p. o un richiamo al valore costituzionalmente garantito della ragionevole durata del processo, attesoche' il dettato costituzionale in materia non solo fa pacificamente premio su quello del legislatore ordinario, ma, come ha insegnato codesta Corte costituzionale (sentt. 86/1977 e 110/1998), quando ha ad oggetto il segreto, poiche' attiene alla sicurezza dello Stato democratico - che e' «interesse essenziale» - ha «assoluta preminenza su ogni altro, in quanto tocca ... l'esistenza stessa dello Stato». Uno Stato del quale la giurisdizione (e quindi anche il principio del giusto processo) e' solo «un aspetto». Vero e' che, nella ordinanza de qua, il Tribunale ha avuto cura di precisare che la ventilata possibilita' di una soluzione concordata varrebbe da sola a depotenziare il processo costituzionale pregiudicante (il che per la verita' appare assai discutibile). Vero e' anche che il tribunale ha adottato una cautela, precisando che in caso di emergenza probatoria su cui sorgesse un dubbio di segretezza si adotterebbero i provvedimenti opportuni per la sua tutela. Deve, pero', osservarsi in proposito che trattasi di cautela senz'altro apprezzabile ma che non vale a superare l'obbiezione di fondo di una oggettiva violazione del segreto, come sopra precisato, e che viene, comunque, vanificata da successivo provvedimento. 2.3. - Con ordinanza 14 maggio 2008, infatti, il Tribunale di Milano ha ammesso, tra l'altro, le prove testimoniali articolate dal p.m. con l'elenco dei relativi testi, respingendo la richiesta di limitazione avanzata dalla difesa di uno degli imputati. Tale richiesta aveva ad oggetto «le testimonianze dei testi indicati dal p.m. ai nn. da 45 a 65, testi tutti appartenenti al SISMi o ex appartenenti al medesimo servizio» con riguardo «ad ogni domanda ... relativa ai rapporti CIA/SISMi, rapporti ... coperti da segreto di Stato». L'esistenza del segreto di Stato su tali rapporti, derivante dalla lettera della legge n. 801/1977 e dalla direttiva della P.C.m. 30 luglio 1985 n. 2001.5/707 era stata, come gia' detto, specificamente riaffermata dal Presidente del Consiglio pro tempore con nota 11 novembre 2005 n. USG/2.SP/1318/50/347 indirizzata al Procuratore della Repubblica di Milano e nuovamente confermata dal Presidente del Consiglio pro tempore con nota 26 luglio 2006 n. USG/2.SP/8 13/50/347 (sempre indirizzata al Procuratore milanese) e contenente specifico riferimento ai rapporti SISMi-CIA. L'esistenza pacifica di tale segretazione e' stata, d'altronde, espressamente riconosciuta dalla Procura della Repubblica di Brescia, che, nella memoria 9 ottobre 2007 (all. 7) alle pagg. 35 e 36, afferma categoricamente l'esistenza del segreto di Stato sui «rapporti fra i Servizi italiani e la CIA». Il giudice milanese ha ritenuto di poter rigettare tale eccezione sulla scorta della considerazione che non sarebbero state consentite «domande ... tese a ricostruire la tela dei piu' ampi rapporti CIA/SISMi; » (come tali coperti da segreto di Stato) ma sarebbero state, invece, consentite domande relative a specifici rapporti fra soggetti appartenenti a detti organismi se ed in quanto volte ad individuare «ambiti di responsabilita' personali collegati alla dinamica dei fatti di causa», in quanto per i gravi reati per i quali si procede «non era e non e' prevista alcuna immunita». Cosi' argomentando, il giudice penale milanese ha leso le prerogative del Presidente del Consiglio dei ministri in materia di segreto di Stato, affermando il principio che il segreto di Stato non puo' mai coprire una fonte di prova nell'accertamento di un reato, principio che e' esattamente l'opposto di quello affermato dalla legge e chiarito da codesta Corte costituzionale (in particolare sent. 86/1977, 110/1998, 410/1998). Se e' vero, infatti, che il segreto di Stato non conferisce (rectius: non conferiva) specifiche immunita' agli agenti dei servizi, vero e' anche che ben puo' essere apposto il segreto di Stato su una fonte di prova ancorche' necessaria o addirittura indispensabile per l'accertamento di un reato. Tanto vero che se quella fonte di prova e' indispensabile per l'accertamento del reato «il giudice dichiara di non doversi procedere per l'esistenza di un segreto di Stato» (art. 202 c.p.c.). Nella specie il Presidente del Consiglio dei ministri, nell'affermare la assoluta estraneita' del Governo al sequestro di Abu-Omar, aveva, pero', apposto il segreto sulle fonti di prova atte a rivelare rapporti fra SISMi e CIA, come era nei suoi poteri-doveri, fermo il potere dei magistrati di ricercare altrove ogni altra prova lecita e possibile (vedasi in proposito la lucida esposizione della Procura della Repubblica di Brescia sopra citata). Il giudice di Milano, nel ritenere superabile tale apposizione nella misura in cui il superamento e' funzionale all'accertamento di un reato, nega con cio' stesso la prerogativa del Presidente del Consiglio, vanificando in toto l'istituto del segreto di Stato. Semplificando al massimo potrebbe dirsi, infatti, che il magistrato milanese ha capovolto il principio di bilanciamento fra i poteri sancito in parte qua dall'ordinamento: principio che e': «il segreto di Stato costituisce limite alla funzione giurisdizionale», affermando, invece, che «l'esercizio delle funzioni giurisdizionali costituisce limite al segreto di Stato». Affermazione che sembra rappresentare una istintiva rivendicazione del Giudiziario a fronte di un malsofferto privilegio dell'Esecutivo e che si ritrova nel conflitto n. 6/2007, laddove la Procura assume che l'apposizione del segreto di Stato sia viziata da violazione del principio di obbligatorieta' dell'azione penale e nel decreto di archiviazione del G.i.p. di Brescia (all. 8) laddove si afferma (pag. 3) «non e' prevista, nel nostro ordinamento, la possibilita' di paralizzare l'attivita' di indagine nei confronti di un fatto reato mediante l'opposizione del segreto di Stato». Proposizione che altro non e' che una negazione contra legem dell'istituto del segreto di Stato.