Ricorso  ai sensi dell'art. 127 Cost. del Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, nei cui uffici domicilia in Roma, via dei Portoghesi, 12;
   Contro la Regione Marche, in persona del Presidente in carica, per
l'impugnazione  della  legge  regionale n.  11  del  27  maggio 2008,
pubblicata  nel Bollettino ufficiale della Regione Marche n. 53 del 5
giugno  2008,  recante  «Interpretazione  autentica dell'art. 2 della
legge  regionale 29  ottobre 2004, n. 28 "Norme sulla sanatoria degli
abusi edilizi"».
   La  legge  regionale delle Marche 27 maggio 2008, n. 11, provvede,
nel  suo articolo unico, a dare una interpretazione dell'art. 2 della
legge  regionale  n. 29  ottobre  2004,  n. 23,  recante «Norme sulla
sanatoria degli abusi edilizi», stabilendo quanto segue:
     «La  lettera  a)  del  comma 1 dell'art. 2 della legge regionale
n. 29   ottobre  2004,  n. 23  (Norme  sulla  sanatoria  degli  abusi
edilizi),  deve  essere  interpretata  nel senso che i vincoli di cui
all'art.  33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di
controllo  dell'attivita'  urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e
sanatoria delle opere edilizie) ed all'art. 32, comma 27, lettera d),
della  legge  24  novembre  2003,  n. 326  (Disposizioni  urgenti per
favorire  lo  sviluppo  e  per la correzione dell'andamento dei conti
pubblici)  impediscono  la sanatoria delle opere abusive solo qualora
comportino  inedificabilita'  assoluta  e  siano  stati imposti prima
della esecuzione delle opere».
   L'art. 2 delle legge regionale 29 ottobre 2004, n. 23, stabilisce:
     «1.  Non  possono  formare oggetto di sanatoria le opere abusive
rientranti  tra  le  tipologie  di  cui  all'allegato  1  della legge
statale,  qualora  le  stesse  ricadano  in almeno una delle seguenti
fattispecie:
      a)    siano    in   contrasto   con   i   vincoli   comportanti
inedificabilita'  di  cui  all'art.  33 della legge 28 febbraio 1985,
n. 47    (Norme    in    materia    di    controllo    dell'attivita'
urbanistico-edilizia,  sanzioni,  recupero  e  sanatoria  delle opere
edilizie), ed all'art. 32, comma 27, lettera d), della legge statale,
imposti prima della realizzazione delle opere;
      b - g) ... Omissis...
     2. ... Omissis ...».
   L'art.  33  delle  legge 28 febbraio 1985, n. 47, rubricato «Opere
non suscettibili di sanatoria», prevede:
     «Le  opere di cui all'art. 31 non sono suscettibili di sanatoria
quando  siano  in  contrasto  con  i seguenti vincoli, qualora questi
comportino   inedificabilita'  e  siano  stati  imposti  prima  della
esecuzione delle opere stesse:
      a)  vincoli  imposti da leggi statali e regionali nonche' dagli
strumenti  urbanistici  a  tutela  di  interessi  storici, artistici,
architettonici, archeologici, paesistici, ambientali, idrogeologici;
      b)  vincoli imposti da norme statali e regionali a difesa delle
coste marine, lacuali e fluviali;
      c)  vincoli imposti a tutela di interessi della difesa militare
e della sicurezza interna;
      d)  ogni  altro  vincolo che comporti la inedificabilita' delle
aree.
   Sono  altresi'  escluse  dalla  sanatoria  le  opere realizzate su
edifici  ed  immobili  assoggettati alla tutela della legge 1° giugno
1939, n. 1089, e che non siano compatibili con la tutela medesima».
   La   legge   24   novembre   2003,   n. 326,  ha  convertito,  con
modificazioni,  il  decreto-legge  30  settembre 2003, n. 269. Questo
decreto-legge,  all'art.  32,  comma  27,  nel testo modificato dalla
legge di conversione, dispone:
     «Fermo  restando  quanto  previsto  dagli articoli 32 e 33 della
legge  28  febbraio  1985,  n. 47, le opere abusive non sono comunque
suscettibili di sanatoria, qualora:
      a) - c) ... Omissis ...
      d)  siano  state  realizzate  su  immobili  soggetti  a vincoli
imposti  sulla  base  di  leggi  statali  e  regionali a tutela degli
interessi  idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali
e  paesistici,  nonche'  dei  parchi e delle aree protette nazionali,
regionali  e  provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di
dette  opere,  in  assenza  o  in  difformita' del titolo abilitativo
edilizio  e  non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni
degli strumenti urbanistici;
      e - g) ... Omissis ...».
   Si vede, quindi, che la legge regionale qui impugnata ha l'effetto
di impedire la sanatoria di opere abusive ricadenti in aree vincolate
nei soli casi in cui esista un vincolo comportante l'inedificabilita'
assoluta, con esclusione di ogni altra limitazione.
   La legge regionale e' illegittima per i seguenti
                             M o t i v i
1)  In  relazione all'art. 117, primo comma, e secondo comma, lettera
l)   della   Costituzione, violazione   della   potesta'  legislativa
esclusiva dello Stato.
   La  legge  regionale  impugnata  si  autoqualifica  come  norma di
interpretazione  autentica  di altra legge regionale, ma e' del tutto
evidente  che  le  disposizioni che si interpretano non riguardano la
legge  regionale delle Marche n. 23/2004, bensi' la normativa statale
ed  in  particolare  l'art.  32,  comma  27,  lettera  d),  del  d.l.
n. 269/2003,  convertito  nella  legge n. 326/2003 nella parte in cui
esso  -  cosi'  integrando  la  previsione  dell'art.  33 della legge
n. 47/1985  - pone limiti non derogabili alla sanatoria.
   Infatti,  mentre  la norma regionale che si assume interpretata si
limitava  a  dichiarare  la  vigenza dei divieti previsti dalla norma
statale  (divieti  assunti  come presupposto e riprodotti dalla norma
regionale),  la  norma  di  «interpretazione»  enuclea all'interno di
quell'insieme i soli divieti derivanti da vincoli di inedificabilita'
assoluta,  dando  vigore  ad  una opzione ermeneutica sulla effettiva
estensione delle norme statali - qui non importa se corretta o meno -
con esclusione di tutte le altre.
   La  questione  che  anzi tutto si pone, pertanto, e' se sia lecito
per  il Legislatore regionale fornire un'interpretazione autentica di
una  norma statale, indipendentemente dalla giustezza della soluzione
interpretativa.
   A  tale  quesito  occorre  evidentemente  dare  risposta negativa.
Perche'  possa  aversi  interpretazione  autentica occorre che vi sia
coincidenza tra il soggetto cui risale la disposizione interpretata e
quello  cui risale la disposizione interpretante: cosi' come lo Stato
non  puo'  interpretare autenticamente una legge regionale, a maggior
ragione  non  puo'  la  regione interpretare autenticamente una legge
statale.
   Quella  di  interpretazione  autentica,  infatti,  «e'  una  legge
espressione   della   potesta'   legislativa -  e  non  gia'  di  una
"soggettiva"  volonta'  "chiarificatrice"  del  suo  autore»,  il che
implica  che  «l'emanazione di una legge di interpretazione autentica
presuppone   la  sussistenza  della  potesta'  legislativa  da  parte
dell'organo legiferante» (cfr. sent. n. 232 del 2006).
   Questo  elementare  principio  deve, come detto, a fortiori essere
fatto  valere  allorquando  sia  la  regione  a pretendere di fornire
l'interpretazione  di  una  norma  statale,  perche'  ne risulterebbe
violato  anche  il limite territoriale. E' evidente, infatti, come la
regione che prospetti una «propria» interpretazione finisca, sia pure
implicitamente,  per  prendere  le  mosse  da un principio secondo il
quale  l'interpretazione  possa  essere diversa da regione a regione.
Principio  che  si  porrebbe  manifestamente  in contrasto con quello
secondo il quale l'efficacia della legge statale e' estesa a tutto il
territorio nazionale.
   Inoltre,    essendo    l'efficacia    retroattiva   caratteristica
indefettibile  delle  leggi  di  interpretazione  autentica, la legge
regionale  pretenderebbe  di  determinare  effetti retroattivi su una
norma di legge statale.
   Per tali ragioni, codesta ecc.ma Corte ha, sin da epoca risalente,
chiarito  che  «non e'  ammissibile che la regione regoli con una sua
norma,  avente efficacia retroattiva, situazioni gia' disciplinate da
una  legge  statale. Il potere che, entro limiti piu' o meno ampi, ha
la regione di dettare nuove e diverse norme nella stessa materia gia'
regolata  da  leggi statali non puo' riflettersi sul passato, essendo
ovvio  che la regione non puo' annullare o togliere efficacia ad atti
che  si  sono compiuti nell'ambito del suo territorio in base a leggi
statali.  Una  diversa opinione contrasterebbe con il principio ormai
pacifico,  secondo  cui  la  legge  statale entra in vigore e produce
tutti i suoi effetti nell'intero territorio dello Stato. Tali effetti
non  possono essere paralizzati da una legge regionale, senza violare
il  principio  fondamentale  dell'unita'  dell'ordinamento  giuridico
dello  Stato:  unita'  la  quale,  se  consente  che  una nuova legge
regionale  deroghi,  sempre  nei limiti consentiti, per l'avvenire ad
una  precedente  legge statale, non tollera che la legge regionale si
sovrapponga  con effetti ex tunc ad una legge statale» (cfr. sentenza
n. 44 del 1957).
   In   conclusione,  e'  chiaro  che  l'interpretazione  dell'ambito
applicativo  dell'art.  32,  comma 27, lettera d) del d.l. n. 269 del
2003  (conv. con mod. dalla legge n. 326 del 2003) spetta agli organi
giurisdizionali  e,  al limite, alla legge statale, ma non certo alla
legge regionale.
2)   In  relazione  all'art.117,  secondo  comma,  lettera  s)  della
Costituzione,  violazione  della potesta' legislativa esclusiva dello
Stato  nella  materia  della «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e
dei beni culturali».
   La  ripartizione degli ambiti di competenza legislativa tra Stato,
regioni  ed  enti  locali  nella materia del condono edilizio di tipo
straordinario  e'  stata,  da tempo, chiarita dalla giurisprudenza di
codesta  ecc.ma Corte, che ha rilevato come, a seguito della sentenza
n. 196   del   2004,   la   disciplina  contenuta  nell'art.  32  del
decreto-legge  n. 269  del 2003 ha subito una radicale modificazione,
soprattutto  attraverso  il riconoscimento alle regioni del potere di
modulare  l'ampiezza del condono edilizio in relazione alla quantita'
e alla tipologia degli abusi sanabili, ferma restando la spettanza al
legislatore  statale  di  individuare  la portata massima del condono
edilizio  straordinario,  attraverso  la  definizione sia delle opere
abusive  non  suscettibili  di  sanatoria,  sia  del limite temporale
massimo   di   realizzazione   delle  opere  condonabili,  sia  delle
volumetrie massime sanabili (cfr. sentt. n. 70, 71 e 304 del 2005).
   Esula  quindi  dalla  potesta'  delle regioni, come ha chiaramente
ribadito la citata sentenza n. 70 del 2005, il «potere di rimuovere i
limiti  massimi  di  ampiezza del condono individuati dal legislatore
statale».   Limiti   che,   alla  luce  della  giurisprudenza  teste'
richiamata,   non   sono   da   intendersi  esclusivamente  in  senso
volumetrico.
   Alla  stregua  di questi pacifici principi si dimostra illegittima
la  legge  regionale  delle  Marche  in  esame, perche' essa tende ad
attribuire  una  portata limitata alle previsioni dell'art. 32, comma
27,  lettera  d) del d.l. n. 269 del 2003 ed a rendere inapplicabili,
nel   territorio   della   regione,   disposizioni   che,   limitando
consapevolmente  la  possibilita'  di  condono  nelle aree vincolate,
incidono sulla tutela dei beni culturali e paesaggistici, vale a dire
su  materia  riservata  alla potesta' esclusiva dello Stato, ai sensi
dell'art. 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione e nel cui
ambito  si  sogliono inscrivere i vincoli di inedificabilita' diversi
da  quelli  «assoluti»  (questi  ultimi  essendo  in genere riferiti,
secondo  una  distinzione dalla portata applicativa peraltro dubbia e
controversa, ad interessi propri della materia urbanistica).
   E'  pertanto  evidente,  oltre  la  violazione di norme statali di
principio,  l'invasione della sfera di potesta' legislativa esclusiva
statale.
   La  situazione,  benche' apparentemente analoga, e' ben diversa da
quella  sulla  quale  codesta  ecc.ma  Corte  si  e'  pronunciata con
sentenza n. 49 del 2006.
   In  tale  circostanza,  la  Corte  si  e',  tra  l'altro, occupata
dell'art.  3,  comma 1, della legge della Regione Lombardia n. 31 del
2004, secondo il quale «(n)elle aree soggette a vincoli imposti sulla
base   di   leggi  statali  e  regionali  a  tutela  degli  interessi
idrogeologici  e delle falde acquifere, nonche' dei beni ambientali e
paesaggistici,  le  opere  abusive  non sono comunque suscettibili di
sanatoria,  qualora  il  vincolo comporti inedificabilita' assoluta e
sia   stato   imposto  prima  dell'esecuzione  delle  opere»  (enfasi
aggiunta).
   Come  si  evince  dalla  lettura della sentenza, secondo la difesa
della  Regione  Lombardia  la  norma  voleva  limitarsi a «ribadire e
consacrare,  anche in un testo legislativo regionale, quanto previsto
dalla legislazione statale».
   Questa  lettura  e' stata accolta dalla Corte, che ha chiarito che
la  disposizione  «si limita, effettivamente, a recepire la normativa
statale  concernente  la  sanatoria degli abusi realizzati nelle aree
vincolate, senza introdurre ipotesi di sanatoria ulteriori rispetto a
quelle previste dal decreto-legge n. 269 del 2003».
   In  buona  sostanza,  la  legge regionale lombarda si risolveva in
una,  forse inutile, ripetizione della previsione statale, secondo la
quale l'esistenza di un vincolo di identificabilita' assoluta esclude
certamente  il condono, ma l'assenza di un vincolo di questo tipo non
e' condizione sufficiente per affermare il diritto alla sanatoria.
   Per  questo  motivo  la  legge  della  Regione  Lombardia e' stata
giudicata  non incostituzionale da codesta ecc.ma Corte, peraltro con
il  risultato  utile,  proprio  dell'interpretazione  adeguatrice, di
avere  escluso per cio' stesso l'ammissibilita' di altre e fuorvianti
interpretazioni ampliative della norma.
   Una  simile  conclusione  non  sembra  pero' percorribile nel caso
della   legge   regionale  delle  Marche  qui  impugnata,  in  quanto
l'utilizzo    dell'avverbio    «solo»,   riferito   ai   vincoli   di
inedificabilita'  assoluta  (in  luogo dell'avverbio «comunque» usato
dalla   legge   lombarda),   attribuisce   alla   norma  l'inequivoco
significato di ammettere il condono in tutti gli altri casi, cioe' in
tutti   i  casi  in  cui  non  si  versi  nell'ipotesi  dell'assoluta
inedificabilita' ex art. 33 della legge n. 47 del 1985 (il che non e'
quanto   afferma  la  normativa  statale,  secondo  l'interpretazione
fornita della prevalente giurisprudenza, penale e amministrativa).