Sentenza
nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 268 del codice
di procedura penale, promosso dal Giudice per le indagini preliminari
del  Tribunale  di  Catanzaro  con  ordinanza  del  22 dicembre 2005,
iscritta  al  n. 570  del  registro ordinanze 2006 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale   della  Repubblica  n. 50, 1ª  serie  speciale,
dell'anno 2006.
   Visto l'atto di costituzione di N.P.;
   Udito  nell'udienza  pubblica  del  23  settembre  2008 il giudice
relatore Gaetano Silvestri.
                          Ritenuto in fatto
   1.  -  Il  Giudice  per  le  indagini preliminari del Tribunale di
Catanzaro,  con  ordinanza del 22 dicembre 2005 (pervenuta alla Corte
costituzionale  il  30  ottobre  2006), ha sollevato - in riferimento
agli  artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo e terzo comma, della
Costituzione - questione di legittimita' costituzionale dell'art. 268
del  codice  di  procedura penale, nella parte in cui consente di non
depositare,  o comunque di non mettere a disposizione dell'indagato e
del  suo difensore, quando ne facciano richiesta, le registrazioni di
comunicazioni  telefoniche poste a fondamento di una misura cautelare
personale  gia'  eseguita,  anche  prima  della procedura di deposito
regolata dai commi 4 e seguenti dello stesso art. 268 cod. proc. pen.
   Il  giudice  a  quo e' chiamato a valutare una istanza di revoca o
sostituzione   della  misura  della  custodia  cautelare  in  carcere
disposta   nei   confronti   di   persona  accusata  dei  delitti  di
associazione di tipo mafioso (art. 416-bis del codice penale) e usura
(art. 644 cod. pen.).
   La misura era stata applicata, alcuni mesi prima, sulla base degli
elementi  desunti  da intercettazioni telefoniche e «ambientali», che
il  pubblico  ministero richiedente aveva sottoposto al giudice della
cautela  solo  per  il  mezzo  di  trascrizioni operate dalla polizia
giudiziaria.  La  difesa  dell'indagato aveva sollecitato il pubblico
ministero   a   consentire   l'ascolto   e   la   riproduzione  delle
registrazioni   originali,   contando   di  dimostrare  l'intervenuto
travisamento  della  prova raccolta. Il magistrato inquirente, pero',
aveva  respinto  l'istanza,  argomentando  sul perdurante svolgimento
delle  indagini  preliminari ed assumendo che il diritto difensivo di
accesso alle registrazioni potrebbe esercitarsi solo dopo il deposito
degli   atti   concernenti   l'intercettazione   («nella   fase   del
subprocedimento   che   andra'  ad  instaurarsi  dinanzi  al  giudice
competente»).
   La   difesa   dell'indagato   si  e'  dunque  rivolta  al  giudice
rimettente,  con  una domanda de libertate nel cui ambito assume che,
nella   specie,   le   trascrizioni  di  polizia  utilizzate  per  la
ricostruzione del quadro indiziario sarebbero inaffidabili, in quanto
segnate  da omissioni e ripetuti riferimenti a frasi incomprensibili,
cosi'   da   mutare   il   senso   delle  conversazioni  intrattenute
dall'interessato.
   Per   tale  ragione,  ed  essendo  la  cautela  fondata  su  prove
inaccessibili  per la difesa, e' stata richiesta in via principale la
revoca  della  misura in corso di esecuzione. In subordine, la difesa
dell'indagato  ha  eccepito l'illegittimita' costituzionale dell'art.
268  cod. proc. pen., per l'asserito contrasto con gli artt. 24 e 111
Cost.,  «nella parte in cui non prevede il diritto alla trasposizione
su  nastro  magnetico  delle  registrazioni  utilizzate  in richiesta
custodiale e nella conseguente ordinanza applicativa».
   Il  giudice  a  quo muove dalla premessa che il pubblico ministero
avrebbe   negato   legittimamente   l'accesso   della   difesa   alle
registrazioni   che  documentano  le  conversazioni  intercettate.  A
partire   dal   comma  4,  l'art.  268  cod.  proc.  pen.  regola  un
procedimento   che   muove   dal   deposito   dei   verbali  e  delle
registrazioni,  e  che subordina il rilascio di copie all'intervenuta
celebrazione della cosiddetta udienza di stralcio, limitandolo dunque
alle  conversazioni  indicate  dalle parti e ritenute ammissibili dal
giudice.  La  scansione dettata dalla norma, a parere del rimettente,
non  prevede  alcuna  deroga  per  la  fase  antecedente al deposito,
neppure  quando  le  conversazioni intercettate vengano utilizzate, a
fini probatori, nell'ambito di un incidente cautelare.
   Secondo  il  giudice  a  quo,  la  legge  non preclude al pubblico
ministero la trasmissione al giudice cautelare dei supporti magnetici
o  digitali  che riproducono le comunicazioni intercettate. Tuttavia,
secondo  l'unanime orientamento della giurisprudenza, la richiesta di
cautela  puo' essere valutata ed accolta anche in base a trascrizioni
informali,  curate  dalla  polizia  giudiziaria.  In  questi casi, la
difesa  resterebbe  priva  di  accesso alle registrazioni: queste non
sarebbero  infatti  comprese, non essendo state trasmesse al giudice,
tra  gli  atti  da depositare, a norma dell'art. 293 cod. proc. pen.,
immediatamente  dopo  l'esecuzione  del provvedimento restrittivo; il
deposito  ai sensi dell'art. 268 cod. proc. pen., d'altra parte, puo'
essere  posticipato  fino  alla  fine delle indagini preliminari, con
cio' ritardando anche l'esercizio della facolta' difensiva di accesso
agli  atti  ed alle registrazioni. In sostanza, al pubblico ministero
sarebbe  consentito  di  «non  depositare o comunque di non mettere a
disposizione  dell'indagato  e  del suo difensore, che ne hanno fatto
richiesta,  le  registrazioni delle conversazioni poste a base di una
misura cautelare personale».
   Il   rimettente   trova  congruo,  di  fronte  all'urgenza  tipica
dell'incidente   cautelare   ed   alla  perdurante  segretezza  delle
indagini,  che la legge non imponga il deposito delle intercettazioni
e  gli adempimenti conseguenti prima dell'uso delle risultanze a fini
cautelari.  Tuttavia  le  esigenze  descritte  vengono  meno  dopo la
contestazione  degli  elementi  indiziari  acquisiti,  e  dunque  non
possono   giustificare   la   perdurante   esclusione   della  difesa
dall'accesso  alle  registrazioni,  specie  quando  venga  negata  la
corrispondenza  fra le trascrizioni redatte dalla polizia giudiziaria
ed il contenuto effettivo dei colloqui intercettati.
   Il giudice a quo, con specifico riguardo alla garanzia del diritto
di  difesa  dopo  l'esecuzione di un provvedimento cautelare, ricorda
come la Corte costituzionale abbia dichiarato, con la sentenza n. 192
del 1997, l'illegittimita' dell'art. 293 cod. proc. pen., nella parte
in  cui  non prevedeva la facolta' per il difensore di estrarre copia
degli  atti presentati con la richiesta cautelare. Per quanto escluse
dal   novero   degli   atti  trasmessi  dal  pubblico  ministero,  le
registrazioni  dei  colloqui  intercettati  costituirebbero «la reale
fonte  di  prova»  a carico dell'indagato, e dunque dovrebbero essere
per  lui accessibili (anche attraverso il rilascio di copia) come gli
ulteriori  atti  posti  a  fondamento  della restrizione di liberta'.
Nell'attuale   contesto,   la  formula  del  diritto  di  «difendersi
provando» resterebbe invece priva di contenuto, in diretta violazione
dell'art. 24 Cost.
   Secondo  il  giudice rimettente la disciplina censurata violerebbe
anche  il  principio  di  parita'  tra accusa e difesa, e comunque il
diritto  dell'indagato  a  veder  realizzate  nel piu' breve tempo le
condizioni  necessarie  per  preparare  la  propria  difesa (art. 111
Cost.).
   L'intervenuta  «pubblicazione»  della  prova dopo l'esecuzione del
provvedimento  restrittivo,  infine, porrebbe le parti processuali su
un  piano  di  sostanziale  parita',  che  dovrebbe  implicare uguale
trattamento  anche  nella prospettiva dell'art. 3 Cost. Ed invece, in
base all'attuale disciplina, il pubblico ministero manterrebbe in via
esclusiva  la  possibilita'  di  accedere alla fonte «primaria» della
prova medesima.
   Il  rimettente  ribadisce che il diritto difensivo all'accesso non
potrebbe  considerarsi garantito dal comma 3 dell'art. 293 cod. proc.
pen.,  dato che il deposito e' prescritto solo per gli atti trasmessi
con  la  richiesta  cautelare,  atti che il pubblico ministero non e'
tenuto   ad   integrare   con   l'inserimento   dei   supporti  delle
registrazioni.  La  prescrizione  lesiva,  tuttavia,  e'  individuata
nell'art.  268  del  codice  di  rito,  perche'  proprio  tale  norma
(omettendo  la  previsione di un meccanismo di ostensione per il caso
di  incidente  cautelare)  consentirebbe di precludere l'accesso alle
registrazioni,  anche  a  fronte  di  una  richiesta difensiva in tal
senso, fino al deposito degli atti regolato dai commi 4 e seguenti.
   In  punto  di rilevanza, il giudice a quo osserva che l'istanza de
libertate  sulla  quale  e'  chiamato  a  provvedere concerne persona
ristretta  nella  liberta'  in  base  al tenore di comunicazioni che,
secondo  la  difesa  dell'interessato,  sarebbero state travisate per
effetto di una trascrizione sommaria, erronea ed incompleta.
   2.  -  L'indagato  nel procedimento principale si e' costituito in
giudizio con atto depositato il 20 dicembre 2006.
   Dopo  una  sintesi  delle scansioni procedimentali gia' illustrate
dal  rimettente,  la  memoria  di  costituzione  elenca  una serie di
comunicazioni  che  la  polizia  giudiziaria  avrebbe  trascritto,  e
talvolta solo riassunto, in modo sommario ed incompleto.
   Secondo  la parte privata le richieste cautelari dovrebbero essere
corredate,  alla  luce della giurisprudenza sul valore primario delle
registrazioni come fonti della prova, dai relativi supporti magnetici
o  digitali,  almeno nei casi in cui non possa essere tempestivamente
osservato  il disposto del comma 4 dell'art. 268 cod. proc. pen., che
prescrive  il  deposito  dei materiali concernenti l'intercettazione,
salva  appunto  la  possibilita'  di  una deroga, entro cinque giorni
dalla  fine  delle  operazioni di ascolto. In ogni caso, non dovrebbe
essere  consentito  al  pubblico  ministero  di negare l'accesso alle
registrazioni dopo l'esecuzione del provvedimento cautelare. Una tale
preclusione  frustrerebbe  il principio di parita' tra le parti ed il
diritto  al  contraddittorio  dell'accusato,  il  cui pieno esercizio
richiede  una  cognizione  delle  fonti  di  prova  analoga  a quella
dell'accusatore.
   A   «bilanciare»   il  sacrificio  delle  garanzie  difensive  non
varrebbero  esigenze  di  tutela  del  segreto  investigativo o della
riservatezza    delle    persone    coinvolte    nell'attivita'    di
intercettazione. La parte privata evidenzia infatti - in sintonia con
i  rilievi  del  giudice  rimettente  -  che la doglianza prospettata
concerne  le  sole comunicazioni poste a fondamento del provvedimento
cautelare,  dunque  gia'  «svelate»  dall'inquirente  e gia' ritenute
rilevanti  per  il  procedimento.  Il riconoscimento del diritto alla
copia, d'altro canto, non equivarrebbe ad una licenza di divulgazione
delle   registrazioni,   la  cui  circolazione  «esterna»  resterebbe
disciplinata  dalle  regole generali in materia di atti dell'indagine
preliminare.
   La  norma censurata tradirebbe la ratio della gia' citata sentenza
n. 192  del  1997,  con la quale la Corte costituzionale ha stabilito
che la privazione di liberta' determina la necessita' di un esercizio
pieno  del  diritto di difesa, assicurato dalla «piu' ampia e agevole
conoscenza degli elementi su cui e' fondata la richiesta del pubblico
ministero».   D'altro  canto,  l'autonomia  dell'incidente  cautelare
implica  una specifica garanzia del contraddittorio, che non potrebbe
essere  limitata  in  ragione di procedure (quelle scandite dall'art.
268  cod. proc. pen.) che riguardano la formazione della prova per il
procedimento    di    merito,    nella   sua   specifica   proiezione
dibattimentale.
                       Considerato in diritto
   1.  -  Il  Giudice  per  le  indagini preliminari del Tribunale di
Catanzaro dubita - con riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e
111,  secondo  e terzo comma, della Costituzione - della legittimita'
costituzionale  dell'art.  268  del codice di procedura penale, nella
parte  in cui consente di non depositare, o comunque di non mettere a
disposizione  dell'indagato  e  del suo difensore, quando ne facciano
richiesta,  le  registrazioni  di  comunicazioni  telefoniche poste a
fondamento  di  una  misura  cautelare personale gia' eseguita, anche
prima  della  procedura  di  deposito regolata dai commi 4 e seguenti
dello stesso art. 268 cod. proc. pen.
   2. - La questione e' fondata nei limiti sotto specificati.
   2.1.  - L'art. 268, comma 4, cod. proc. pen. prescrive il deposito
in  segreteria  delle registrazioni delle comunicazioni intercettate,
unitamente  ai  decreti  autorizzativi  ed  ai processi verbali delle
relative operazioni di ascolto, entro cinque giorni dalla conclusione
delle  operazioni  medesime.  Se  pero' dal deposito puo' derivare un
grave  pregiudizio  per le indagini, il giudice autorizza il pubblico
ministero   a   ritardarlo  non  oltre  la  chiusura  delle  indagini
preliminari (comma 5). Dopo il deposito, che consente ai difensori di
esaminare  gli  atti  e  ascoltare le conversazioni, si avvia la fase
della  cosiddetta  udienza  di  stralcio,  nel  corso  della quale il
giudice  acquisisce  le  comunicazioni indicate dalle parti, espunge,
anche d'ufficio, le comunicazioni di cui sia vietata l'utilizzazione,
dispone la trascrizione integrale delle sole comunicazioni acquisite,
con le forme e le garanzie della perizia (comma 6).
   Il  comma  2  dello  stesso  art.  268 cod. proc. pen. consente la
formazione  dei  cosiddetti  «brogliacci», costituiti dai verbali nei
quali   e'  trascritto,  a  cura  della  polizia  giudiziaria,  anche
sommariamente,  il  contenuto  delle  comunicazioni  intercettate. La
trascrizione  integrale,  nella  forma della perizia, e' poi disposta
dal  giudice  per  essere,  infine,  inserita  nel  fascicolo  per il
dibattimento (comma 7).
   Si  deve  rilevare  che,  in caso di autorizzazione al ritardo del
deposito  degli  atti concernenti le intercettazioni, la trascrizione
non puo' avere luogo prima che decorra il termine dilatorio accordato
dal  giudice  e  che  vengano compiuti gli adempimenti prescritti dai
commi  6  e  seguenti  dello  stesso  art. 268. Solo a questo punto i
difensori possono estrarre copia delle trascrizioni e far eseguire la
trasposizione della registrazione su nastro magnetico (comma 8).
   2.2.  -  In  caso di incidente cautelare, se il pubblico ministero
presenta  al  giudice per le indagini preliminari richiesta di misura
restrittiva  della  liberta'  personale,  puo' depositare, a supporto
della  richiesta  stessa,  solo i «brogliacci» e non le registrazioni
delle  comunicazioni  intercettate.  In  questo senso e' orientata la
costante  e uniforme giurisprudenza di legittimita' (ex plurimis, tra
le  piu'  recenti,  Cassazione  penale,  sentenza  n. 36439 del 2004,
sentenza  n. 39469  del  2004). Tuttavia, la stessa giurisprudenza di
legittimita'  e'  ugualmente costante ed uniforme nello stabilire che
la  trascrizione  (anche  quella  peritale)  non costituisce la prova
diretta   di   una   conversazione,   ma  va  considerata  solo  come
un'operazione rappresentativa in forma grafica del contenuto di prove
acquisite  mediante la registrazione fonica (ex plurimis, tra le piu'
recenti,  Cassazione  penale,  sentenza  n. 4892  del  2003, sentenza
n. 10890 del 2005).
   3.  -  Il rimettente, dopo aver osservato che le norme vigenti non
impongono  al  pubblico ministero il deposito delle registrazioni ne'
l'obbligo di metterle a disposizione dei difensori, a loro richiesta,
dubita  della  legittimita'  costituzionale  del citato art. 268 cod.
proc.  pen. perche' lo stesso, non prevedendo il diritto della difesa
ad avere diretta cognizione di registrazioni di comunicazioni poste a
base della richiesta e del successivo provvedimento restrittivo della
liberta'  personale  dell'indagato, menoma il diritto di difesa (art.
24,  secondo  comma,  Cost.),  altera,  a  sfavore  dell'indagato, la
parita'  delle  parti nel processo (art. 111, secondo comma, Cost.) e
non  consente  alla  persona  accusata  di  disporre delle condizioni
necessarie  a preparare la sua difesa (art. 111, terzo comma, Cost.).
La  disposizione  censurata  sarebbe  inoltre lesiva del principio di
uguaglianza  dei  cittadini  davanti alla legge contenuto nell'art. 3
della Costituzione.
   Ritiene  questa  Corte che l'ascolto diretto delle conversazioni o
comunicazioni   intercettate   non   possa   essere  surrogato  dalle
trascrizioni   effettuate,   senza   contraddittorio,  dalla  polizia
giudiziaria,   le   quali   possono  essere,  per  esplicito  dettato
legislativo  (art. 268, comma 2, cod. proc. pen.), anche sommarie. E'
appena  il caso di osservare che l'accesso diretto alle registrazioni
puo'  essere  ritenuto  necessario,  dalla  difesa dell'indagato, per
valutare l'effettivo significato probatorio delle stesse. La qualita'
delle  registrazioni  puo'  non essere perfetta ed imporre una vera e
propria  attivita'  di  «interpretazione»  delle parole e delle frasi
registrate,  specie  se  nelle conversazioni vengano usati dialetti o
lingue  straniere.  In  ogni  caso,  risultano  spesso  rilevanti  le
intonazioni  della voce, le pause, che, a parita' di trascrizione dei
fonemi,  possono  mutare  in  tutto  o  in  parte  il  senso  di  una
conversazione.  Non  v'e'  dubbio  che  la  trascrizione peritale dei
colloqui  costituisce  una  modalita' di valutazione della prova piu'
affidabile  di quanto non sia l'appunto dell'operatore di polizia ed,
a   maggior  ragione,  la  sintesi  che  puo'  essere  contenuta  nei
«brogliacci».  Il  perito  e'  un  esperto, dotato di apparecchiature
specifiche,  ed opera nel contraddittorio tra le parti, eventualmente
per  il  tramite  di  consulenti. Lo stesso fornisce una trascrizione
letterale,   ma   anche   indicazioni  ulteriori,  quando  necessarie
(intonazione  della  voce,  lunghezza di una pausa etc.), che possono
incidere  sul  senso  di  una comunicazione. La trascrizione peritale
puo'  contenere  anch'essa componenti interpretative, ma e' garantita
dalla estraneita' del suo autore alle indagini e dal contraddittorio.
   E'  evidente  che,  in  assenza  della trascrizione effettuata dal
perito,  l'interesse difensivo si appunta sull'accesso diretto, tutte
le  volte  in cui la difesa ritiene di dover verificare la genuinita'
delle  trascrizioni  operate  dalla polizia giudiziaria ed utilizzate
dal  pubblico ministero per formulare al giudice le sue richieste. Si
tratta  proprio  della  fattispecie  normativa  oggetto  del presente
giudizio.  La  possibilita'  per  il pubblico ministero di depositare
solo i «brogliacci» a supporto di una richiesta di custodia cautelare
dell'indagato,  se  giustificata  dall'esigenza  di  procedere  senza
indugio  alla  salvaguardia  delle  finalita'  che  il codice di rito
assegna  a  tale misura, non puo' limitare il diritto della difesa ad
accedere  alla  prova  diretta,  allo  scopo di verificare la valenza
probatoria  degli  elementi che hanno indotto il pubblico ministero a
richiedere  ed  il  giudice  ad  emanare un provvedimento restrittivo
della liberta' personale.
   Occorre  aggiungere  che,  in caso di richiesta ed applicazione di
misura cautelare personale - come nel caso oggetto del giudizio a quo
-  le esigenze di segretezza per il proseguimento delle indagini e le
eventuali  ragioni  di  riservatezza  sono  del  tutto venute meno in
riferimento   alle  comunicazioni  poste  a  base  del  provvedimento
restrittivo,  il  cui  contenuto  e'  stato  rivelato a seguito della
presentazione  da  parte  del  pubblico  ministero,  a  corredo della
richiesta, delle trascrizioni effettuate dalla polizia giudiziaria.
   La  lesione  del diritto di difesa garantito dall'art. 24, secondo
comma,  Cost.  si  presenta  quindi  nella sua interezza, giacche' la
limitazione all'accesso alle registrazioni non e' bilanciata da alcun
altro  interesse processuale riconosciuto dalla legge. Parimenti leso
deve  ritenersi  il  principio  di  parita'  delle parti nel processo
sancito dall'art. 111, secondo comma, della Costituzione.
   4.  -  La  piena  tutela  del diritto di difesa e del principio di
parita'   delle   parti   nel  processo  richiede  una  pronuncia  di
accoglimento  di questa Corte, limitatamente alla mancata previsione,
nell'art.  268 cod. proc. pen., del diritto dei difensori di accedere
direttamente  alle  registrazioni,  ottenendone  la  trasposizione su
nastro magnetico.
   La  soluzione  piu'  ampia prospettata dal rimettente, riferita ad
una procedura di deposito successiva all'esecuzione del provvedimento
coercitivo, non e' necessaria, nel particolare contesto qui in esame,
per  la  garanzia  dell'interesse  difensivo  tutelato  dall'art. 24,
secondo   comma,  Cost.,  e  dunque  non  puo'  essere  accolta.  Una
previsione   di   deposito   specificamente   riferita  all'incidente
cautelare, ed alle sole comunicazioni poste ad oggetto della relativa
richiesta,  si  risolverebbe  in  una  regola processuale nuova e per
molti  versi  anomala,  a  cominciare  dal  fatto  che  l'adempimento
riguarderebbe  atti non presentati al giudice, e sarebbe curato da un
soggetto   diverso   dal   giudice   medesimo,   il   quale  provvede
direttamente,  secondo  il  disposto  del  comma 3 dell'art. 293 cod.
proc.  pen.,  al  deposito degli atti sui quali ha fondato la propria
decisione.
   L'interesse  costituzionalmente protetto della difesa e' quello di
conoscere   le   registrazioni  poste  alla  base  del  provvedimento
eseguito,  allo  scopo  di  esperire  efficacemente  tutti  i  rimedi
previsti dalle norme processuali. Nel caso che tali registrazioni non
siano  comprese tra gli atti trasmessi con la richiesta cautelare, la
legittima  pretesa  difensiva  di  accedere  alla prova diretta della
comunicazione   intercettata   non  e'  soddisfatta  dal  diritto  di
consultare  gli  atti  depositati in cancelleria, secondo il disposto
del  terzo comma dell'art. 293 cod. proc. pen., dopo l'esecuzione del
provvedimento  restrittivo.  Dunque  l'interesse  in  questione  puo'
essere assicurato con la previsione - pure prospettata dal rimettente
in  via  subordinata  -  del  diritto  dei difensori di accedere alle
registrazioni in possesso del pubblico ministero.
   Tale  diritto  deve concretarsi nella possibilita' di ottenere una
copia  della  traccia  fonica,  secondo il principio gia' espresso da
questa  Corte con la sentenza n. 192 del 1997, a proposito degli atti
depositati  nella  cancelleria  del  giudice  dopo la notificazione o
l'esecuzione dell'ordinanza cautelare.
   L'assenza  di  una previsione legislativa in tal senso e' causa di
illegittimita'  costituzionale  della  norma  censurata.  Ne' sarebbe
sufficiente,  per  assicurare  pienamente  l'osservanza dell'art. 24,
secondo  comma,  Cost.,  il ricorso all'art. 116 cod. proc. pen., che
disciplina  il  rilascio di copie degli atti processuali. La suddetta
norma infatti, vista congiuntamente all'art. 43 delle disposizioni di
attuazione  del codice di procedura penale, non attribuisce - secondo
la  giurisprudenza  di  legittimita' - un diritto incondizionato alla
parte  interessata  ad  ottenere  copia  degli atti, ma solo una mera
possibilita',  giacche'  la  richiesta,  ai  sensi  del  comma  2 del
medesimo  articolo, deve essere valutata dal giudice. Tale previsione
non  avrebbe  senso  se  la parte avesse un diritto pieno al rilascio
della copia. Conferma di tale interpretazione viene tratta dal citato
art.  43  disp.  att.  cod.  proc.  pen., il quale, nel prevedere che
l'autorizzazione  del  giudice  non  e'  richiesta nei casi in cui e'
riconosciuto  espressamente  al  richiedente  il  diritto al rilascio
della   copia,   esclude   implicitamente   che   esista  un  diritto
generalizzato   e   incondizionato   ad  ottenere  copia  degli  atti
processuali  (in  questo  senso  le  Sezioni  unite  della  Corte  di
cassazione, sentenza n. 4 del 1995).
   Di  fronte  a  tale  orientamento  giurisprudenziale e' necessario
affermare in modo univoco che nella fattispecie normativa oggetto del
presente  giudizio,  riferentesi alla tutela del diritto di difesa in
relazione  ad  una  misura  restrittiva della liberta' personale gia'
eseguita,  i  difensori  devono  avere  il  diritto incondizionato ad
accedere,  su  loro  istanza,  alle  registrazioni poste a base della
richiesta  del  pubblico  ministero  e  non  presentate  a corredo di
quest'ultima,   in   quanto   sostituite  dalle  trascrizioni,  anche
sommarie, effettuate dalla polizia giudiziaria.
   Il  diritto all'accesso implica, come naturale conseguenza, quello
di  ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni
medesime.