IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 3283 del 2008
proposto  da  Comporti  Mario,  rappresentato  e difeso dagli avv. E.
Picozza  e  A.  Di  Giovanni,  con  domicilio  eletto in Roma, via S.
Basilio n. 61;
   Contro  Universita'  degli  Studi  di  Siena,  non  costituita nel
presente   giudizio;  Ministero  dell'Universita'  e  della  ricerca,
Ministero  dell'economia  e  Presidenza  del  Consiglio dei ministri,
rappresentati  e  difesi  dall'Avvocatura  generale  dello Stato, con
domicilio   eletto   in   Roma,   via   dei  Portoghesi,  n. 12;  per
l'annullamento   previa   sospensione,   del   decreto   del  rettore
dell'Universita' di Siena del 28 febbraio 2008, n. 11203 con il quale
si  stabilisce  di  collocarlo  a  riposo a decorrere dal 1° novembre
2009;
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Visti gli atti tutti della causa;
   Vista  l'ordinanza  di questa Sezione n. 3411 del 2 luglio 2008 di
accoglimento   dell'istanza   cautelare  di  sospensione  degli  atti
impugnati avanzata dal ricorrente.
   Alla Camera di consiglio del 2 luglio 2008, relatore il primo ref.
Cecilia  Altavista,  uditi i difensori delle parti come da verbale di
udienza;
                              F a t t o
   Il ricorrente, professore ordinario gia' collocato fuori ruolo dal
1°  novembre  2007  al  1° novembre 2010 con decreto rettorale del 23
aprile  2007,  ha  impugnato  con  il  presente  ricorso  il  decreto
rettorale del 28 febbraio 2008, con cui, in applicazione dell'art. 2,
comma   434   della  legge  n. 244  del  24  dicembre  2007,  il  suo
collocamento  a  riposo  per limiti di eta' e' stato anticipato al 1°
novembre 2009, formulando le seguenti censure:
     violazione  e falsa applicazione degli artt. 19 e 110 del d.P.R.
n. 382  del  1980;  violazione  dell'art. 11 delle disposizioni sulla
legge in generale; violazione e falsa applicazione dell'art. 1, comma
30  della  legge  n. 549  del  28  dicembre  1985; violazione e falsa
applicazione  dell'art.  16,  d.lgs.  n. 502  del  30  dicembre 1992;
irragionevolezza;  violazione  e  falsa applicazione degli artt. 19 e
110 del d.P.R. n. 382 dell'11 luglio 1980;
     violazione  e  falsa  applicazione  dell'art. 2, comma 434 della
legge  n. 244  del  2007; contraddittorieta'; carenza di motivazione;
eccesso di potere;
     violazione  e  falsa applicazione dell'art. 7 della legge n. 241
del 7 agosto 1990;
     violazione  e  falsa  applicazione dell'art. 202 del d.P.R. n. 3
del  1957;  dell'art.  3, commi 57 e 58 della legge n. 537 del 1993 e
dell'art.  1,  comma  226 della legge n. 266 del 2005; violazione del
divieto di reformatio in pejus;
     illegittimita'  costituzionale;  violazione  dell'art. 117 della
Costituzione  in  relazione  alla Convenzione sui diritti dell'uomo e
delle liberta' fondamentali; ai principi del Trattato Cee;
     violazione degli artt. 3, 4, 9, 11, 38, 117 della Costituzione.
   Si   e'   costituita   l'Avvocatura  dello  Stato  contestando  la
fondatezza del ricorso.
   Alla  udienza  pubblica  del  2  luglio  2008  il ricorso e' stato
trattenuto in decisione.
                            D i r i t t o
   Ritiene  il  Collegio  la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 2, comma 434 della legge n. 244 del 28 dicembre 2007 (legge
finanziaria 2008) rilevante e non manifestamente infondata.
   La questione e' rilevante, in quanto il provvedimento impugnato si
basa  esclusivamente  sulla  riduzione  del  periodo  di  fuori ruolo
operata  da  tale  norma. L'Universita' infatti ha adottato, ai sensi
dell'art.   2,   comma   434   della   legge  finanziaria,  un  nuovo
provvedimento,  impugnato  con  il  presente ricorso, con il quale ha
modificato  il  precedente  decreto  di  collocamento fuori ruolo del
prof. Comporti.
   Inoltre  la  disposizione  non  puo'  essere  interpretata in modo
conforme    ai   principi   costituzionali,   avendo   un   contenuto
assolutamente  stringente  ed  una disciplina espressa per i rapporti
pendenti.
   Ai sensi dell'art. 2, comma 434 della legge n. 244 del 24 dicembre
2007,  a decorrere dal 1° gennaio 2008, il periodo di fuori ruolo dei
professori  universitari  precedente  la  quiescenza e' ridotto a due
anni accademici e coloro che alla medesima data sono in servizio come
professori  nel  terzo  anno  accademico  fuori  ruolo  sono posti in
quiescenza  al  termine  dell'anno  accademico.  A  decorrere  dal 1°
gennaio  2009,  il periodo di fuori ruolo dei professori universitari
precedente la quiescenza e' ridotto a un anno accademico e coloro che
alla  medesima data sono in servizio come professori nel secondo anno
accademico  fuori ruolo sono posti in quiescenza al termine dell'anno
accademico.  A  decorrere  dal  l°  gennaio 2010, il periodo di fuori
ruolo   dei  professori  universitari  precedente  la  quiescenza  e'
definitivamente  abolito  e  coloro  che  alla  medesima data sono in
servizio  come  professori nel primo anno accademico fuori ruolo sono
posti in quiescenza al termine dell'anno accademico.
   Il  professor Comporti  e'  stato  collocato  fuori  ruolo  dal 1°
novembre  2007;  pertanto,  alla data del 1° gennaio 2008, si trovava
nel  primo  anno  accademico fuori ruolo. Ne consegue la applicazione
della norma nella parte in cui prevede, per una riduzione progressiva
del  fuori  ruolo,  il  periodo  di  fuori  ruolo  di  due anni, come
correttamente    ha   fatto   l'amministrazione   universitaria.   In
particolare, infatti, e' applicabile al prof. Comporti la parte della
disposizione  che  si  riferisce ai professori universitari che al 1°
gennaio  2009  siano  nel secondo anno accademico fuori ruolo; questi
completano l'anno accademico.
   Tale  interpretazione e' assolutamente obbligata non solo dal dato
testuale  di  questa  parte delle diposizione, ma anche dal complesso
del  comma 434 che non puo' avere altro significato di far salve solo
in via graduale le posizioni in corso.
   L'unica  interpretazione  della  norma  che  possa dare un senso a
tutte  le  disposizioni  porta  a  ritenere che solo per i professori
collocati fuori ruolo nel novembre 2005 e' stato mantenuto il periodo
triennale  fino  alla  fine dell'anno accademico nel novembre 2008, i
quali altrimenti, avendo compiuto gia' i due anni al 1° gennaio 2008,
sarebbero  dovuti andare in quiescenza con la entrata in vigore della
nuova disciplina.
   Per  i  professori  fuori  ruolo  dal novembre 2006, non essendovi
alcuna disposizione derogatoria che faccia salvo l'intero periodo, si
deve  ritenere  immediatamente  applicabile  la riduzione del periodo
fuori  ruolo  a  due  anni accademici, con conseguente collocamento a
riposo nel novembre 2008.
   Progressivamente  il periodo di fuori ruolo e' ridotto e destinato
ad essere soppresso del tutto nel 2010.
   Infatti  dal  1°  gennaio  2009 esso e' ridotto ad un anno facendo
salva  la posizione solo di coloro che, come il ricorrente, collocati
fuori  ruolo dal 1° novembre 2007, il 1° gennaio 2009 si troverebbero
ad  avere gia' compiuto tale anno; pertanto e' espressamente previsto
il  completamento  del secondo anno accademico fuori ruolo fino al 1°
novembre  2009.  Analogo  regime  riguarda il 1° gennaio 2010 quando,
venendo  meno  il  periodo  di  fuori  ruolo,  tutti  coloro che sono
collocati fuori ruolo dovrebbero essere posti in quiescenza. La norma
fa  salve  le  posizioni  dei  professori che essendo stati collocati
fuori  ruolo dal novembre 2009, dovrebbero cessare dal servizio al 1°
gennaio 2009, permettendo loro il completamento dell'anno accademico.
   Tale  interpretazione  assolutamente  obbligata  del  comma 434 e'
l'unica in grado di attribuire alla norma un significato in relazione
alla  indubbia  volonta'  del  legislatore  di prevedere la riduzione
progressiva del fuori ruolo dei professori universitari.
   La  questione  di  legittimita' costituzionale e' quindi rilevante
rispetto  al  presente giudizio. Infatti, al professore ricorrente e'
applicabile  tale  norma  con  conseguente  riduzione  di un anno del
periodo di fuori ruolo e collocamento a riposo al 1° novembre 2009.
   La  questione  di  legittimita'  costituzionale  e'  altresi'  non
manifestamente infondata sotto diversi profili.
   Ritiene  il Collegio che la disposizione in esame sia sospettabile
di  violazione  dell'art.  3 della Costituzione per la retroattivita'
dei suoi contenuti precettivi.
   La   Corte   costituzionale   ha   affermato  piu'  volte  che  la
irretroattivita'   della   legge   e'   un   principio  di  carattere
costituzionale  solo per le norme penali, in quanto sancito dall'art.
25 della Costituzione.
   Per  le  norme non penali la retroattivita' della legge e' ammessa
ma  nel  rispetto  dei  principi  di  ragionevolezza  ed uguaglianza.
Pertanto, sono costituzionalmente legittime le norme retroattive, che
trovino adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non
contrastino con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti
(Corte cost. 26 giugno 2007, n. 234).
   In  questo  quadro  sono,  in  primo  luogo,  ammissibili le norme
retroattive di carattere interpretativo che danno una delle possibili
letture  che  gia'  emergevano dalla norma interpretata; in tal caso,
infatti,  non  sussiste  la  lesione  dei  canoni  costituzionali  di
ragionevolezza,  di  tutela  del  legittimo affidamento e di certezza
delle  situazioni  giuridiche  (Corte  costituzionale, 7 luglio 2006,
n. 274).
   Poiche'  il divieto di retroattivita' della legge, pur costituendo
fondamentale  valore  di  civilta'  giuridica  e  principio  generale
dell'ordinamento,  cui  il  legislatore  ordinario  deve in principio
attenersi,  non  ha dignita' costituzionale, salvo che per la materia
penale,  il  legislatore  ordinario  puo' emanare sia disposizioni di
interpretazione  autentica,  che  determinano  chiarendola la portata
precettiva  della  norma  interpretata  fissandola  in  un  contenuto
plausibilmente  gia'  espresso dalla stessa, sia norme innovative con
efficacia  retroattiva,  purche'  la  retroattivita'  trovi  adeguata
giustificazione  sul  piano  della ragionevolezza e non contrasti con
altri valori ed interessi costituzionalmente protetti, tra i quali il
rispetto  del principio generale di ragionevolezza e di eguaglianza e
la  tutela  dell'affidamento  legittimamente sorto nei soggetti quale
principio connaturato allo Stato di diritto (Corte costituzionale, 15
luglio 2005, n. 282).
   Nel caso di specie, la norma contenuta nella legge finanziaria per
il  2008  ha  introdotto  una nuova disciplina del collocamento fuori
ruolo  dei  professori universitari. Si tratta dunque di una norma di
carattere  innovativo  per  la  quale  ritiene il Collegio che vi sia
motivo  di sospettare una violazione dei principi di ragionevolezza e
di affidamento che le norme retroattive devono rispettare.
   Non  si  puo',  infatti, dubitare della retroattivita' della norma
che  incide  su  posizioni giuridiche in atto. Il ricorrente e' stato
collocato fuori ruolo con il decreto rettorale del 4 maggio 2007, che
indicava espressamente il periodo triennale fino al 31 ottobre 2010.
   L'art.  2,  comma 434 della legge n. 244 ha inciso, riducendolo di
un anno, su tale periodo gia' in corso.
   La  retroattivita'  infatti  non  puo'  essere  giustificata, come
sostiene l'Avvocatura dello Stato, in relazione al fatto che la norma
ha  inciso  sul futuro svolgimento del periodo fuori ruolo, in quanto
tale  periodo  deve  ritenersi  unitario  e  quindi  si deve guardare
rispetto  alla  disciplina  al  momento  in  cui  e'  stato disposto.
Rispetto  alla materia previdenziale, viene identificato come momento
per  individuare  la retroattivita' della nuova disciplina quello del
pensionamento.  Se  prima  dell'ingresso  della legge il diritto alla
pensione  di  anzianita'  sia  maturato ed il rapporto lavorativo sia
cessato  e sia stata presentata la domanda di pensione, la situazione
giuridica  resta  sottratta alla nuova disciplina (Cassazione civile,
sez. lav., 24 agosto 2007, n. 18041, rispetto al comma 29 dell'art. 1
della  legge  n. 335  del  1995 che incidendo su situazioni che, alla
data  di  ingresso della regolamentazione, riguardante la pensione di
anzianita'  -  1°  gennaio  1996  -,  non avevano ancora raggiunto la
consistenza  del  diritto,  quali appunto quelle di coloro che, sotto
l'impero  dell'art.  11,  comma  8,  legge  24 dicembre 1993, n. 537,
avevano  maturato  i  prescritti requisiti di contribuzione e di eta'
anagrafica,  ma  non il collocamento in quiescenza, non rappresentava
un  intervento  legislativo lesivo del principio dell'affidamento sui
cd. «diritti quesiti»).
   Rispetto alla materia previdenziale, anche la Corte costituzionale
ha   affermato   che  l'affidamento  del  cittadino  nella  sicurezza
giuridica non impedisce al legislatore di emanare norme modificatrici
della  disciplina  dei  rapporti di durata in senso sfavorevole per i
beneficiari,   quando   tali   disposizioni   non  trasmodino  in  un
regolamento  irragionevole di situazioni sostanziali fondate su leggi
precedenti;   in   particolare  salvaguardando  solo  le  fattispecie
pensionistiche  gia'  giunte  a  compimento  con  il  collocamento in
quiescenza (sent. n. 393 del 2000).
   Il  collocamento  fuori  ruolo  determina  una posizione giuridica
autonoma che comprende il diritto al completamento di tale periodo.
   La  riduzione  di  un  anno della durata del fuori ruolo incide in
maniera  irragionevole,  quindi,  su  un  affidamento qualificato del
ricorrente.
   Tale affidamento si esplica in vari aspetti della attivita' che il
professore compie nel periodo di fuori ruolo.
   In  primo  luogo,  in  relazione  allo  svolgimento dell'attivita'
scientifica.
   In  particolare  l'attivita' di ricerca, prevalente nel periodo di
fuori  ruolo  ha  necessita' di programmazione e di un tempo lungo di
svolgimento.  Tali  attivita'  possono restare incomplete a causa del
collocamento a riposo entro breve termine.
   Ne'  la  retroattivita'  puo'  essere  giustificata  dalla riforma
complessiva  della disciplina dei professori universitari operata con
la  legge  n. 230  del  4  novembre 2005 che ha abolito il periodo di
collocamento  fuori  ruolo  e  previsto il limite di eta' di settanta
anni  per  il  collocamento  a riposo. L'art. 1, comma 17 della legge
n. 230  si applica, infatti, solo ai professori universitari nominati
ai sensi della nuova legge.
   Irragionevole  e',  altresi',  la  stessa  previsione  di  diritto
transitorio.
   Se  da  una  parte  tale  previsione  denota la consapevolezza del
legislatore  di  non  potere  incidere  in  maniera  immediata  sulle
situazioni  in  corso,  facendo  decorrere la completa abolizione del
fuori  ruolo dal 1° gennaio 2010, dall'altra prevede la riduzione del
fuori  ruolo  sia per coloro che sono gia' in tale posizione da uno o
due  anni  (prevedendo  per  entrambe le categorie la riduzione a due
anni), sia per coloro che al momento di entrata in vigore della legge
sono  ancora  in  servizio  di  ruolo, essendo previsto il periodo di
fuori  ruolo  di un anno per coloro che saranno collocati fuori ruolo
nel  novembre  2008  e nel novembre 2009. Per i professori non ancora
collocati  fuori  ruolo  al momento di entrata in vigore della legge,
non  destinatari  dunque di un affidamento qualificato, il periodo di
fuori  ruolo  avrebbe  potuto  anche essere disciplinato diversamente
senza  alcuna  salvaguardia di posizioni giuridiche. La disciplina di
diritto transitorio, prevista nell'art. 2, comma 434, tratta, quindi,
in  maniera simile, con la sola differenza della riduzione di un anno
o di due anni, situazioni radicalmente diverse: posizioni di stato in
atto le une, mere aspettative le altre.
   La  norma  introdotta  dalla legge finanziaria appare in contrasto
altresi'  con il principio di buon andamento della Amministrazione di
cui all'art. 97 della Costituzione.
   Infatti,  anche  in  relazione alla efficienza organizzativa della
universita'  la  previsione della immediata riduzione del fuori ruolo
per  tutti  i  professori  ordinari  che sono gia' in tale posizione,
comporta   la   immediata   perdita   di  risorse  intellettuali,  la
interruzione  di  programmi di ricerca, la dispersione dell'attivita'
scientifica.
   La  programmazione della attivita' universitaria trova un espresso
riscontro  normativo  nell'art.  1-ter del d.-.l. n. 7 del 31 gennaio
2005,  che  prevede  che  a  decorrere dall'anno 2006 le universita',
anche  al  fine  di  perseguire obiettivi di efficacia e qualita' dei
servizi  offerti, entro il 30 giugno di ogni anno, adottino programmi
triennali  coerenti  con  le linee generali di indirizzo definite con
decreto   del  Ministro  dell'istruzione,  dell'universita'  e  della
ricerca,   sentiti   la  Conferenza  dei  rettori  delle  universita'
italiane,   il  Consiglio  universitario  nazionale  e  il  Consiglio
nazionale  degli  studenti  universitari, tenuto altresi' conto delle
risorse   acquisibili   autonomamente.  I  predetti  programmi  delle
universita'  individuano  in  particolare tra gli altri obiettivi, il
programma di sviluppo della ricerca scientifica.
   I  programmi  delle  universita'  di  cui  al comma 1, fatta salva
l'autonoma   determinazione  degli  atenei  per  quanto  riguarda  il
fabbisogno      di     personale     in     ordine     ai     settori
scientifico-disciplinari,     sono     valutati     dal     Ministero
dell'istruzione,  dell'universita'  e  della ricerca e periodicamente
monitorati sulla base di parametri e criteri individuati dal Ministro
dell'istruzione,  dell'universita'  e  della ricerca, avvalendosi del
Comitato  nazionale  per  la  valutazione  del sistema universitario,
sentita  la  Conferenza  dei  rettori delle universita' italiane. Sui
risultati    della    valutazione    il   Ministro   dell'istruzione,
dell'universita'  e  della  ricerca  riferisce  al termine di ciascun
triennio,  con apposita relazione, al Parlamento. Dei programmi delle
universita'  si  tiene  conto  nella  ripartizione  del  fondo per il
finanziamento ordinario delle universita'.
   A  tale  attivita'  di  programmazione  fa riferimento altresi' la
legge  n. 230  del 4 novembre 2005, per cui l'universita', sede della
formazione  e  della trasmissione critica del sapere, coniuga in modo
organico  ricerca  e didattica, garantendone la completa liberta'. La
gestione  delle  universita'  si ispira ai principi di autonomia e di
responsabilita'  nel  quadro  degli indirizzi fissati con decreto del
Ministro   dell'istruzione,   dell'universita'  e  della  ricerca.  I
professori  universitari  hanno  il  diritto  e il dovere di svolgere
attivita' di ricerca e di didattica, con piena liberta' di scelta dei
temi  e  dei  metodi  delle  ricerche  nonche',  nel  rispetto  della
programmazione   universitaria   di   cui   all'articolo   1-ter  del
decreto-legge    31    gennaio    2005,   n. 7,   dei   contenuti   e
dell'impostazione culturale dei propri corsi di insegnamento.
   La  cessazione  dal  servizio  fuori  ruolo di numerosi professori
ordinari  sembra  comportare  una  grave inefficienza del sistema con
inutile dispendio di risorse gia' destinate a progetti di ricerca. Il
collocamento  fuori  ruolo  determina  per  il  docente universitario
soltanto   la  perdita  della  titolarita'  dell'insegnamento  e  una
proporzionata  riduzione  dei connessi compiti didattico-scientifici,
ma  gli conserva il compimento di rilevanti attivita' scientifiche di
ricerca ed il contributo al dibattito accademico.
   In  conclusione,  il Collegio ritiene che il giudizio debba essere
sospeso  e  che  gli atti vadano trasmessi alla Corte costituzionale,
attesa  la  rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione
di costituzionalita' dell'art. 2, comma 434 della legge n. 244 del 24
dicembre 2007 (legge finanziaria per il 2008).