Ricorso  per  la  Regione  Veneto,  in  persona del Presidente pro
tempore  della  Giunta  regionale, autorizzato mediante deliberazione
della  Giunta stessa 7 ottobre 2008, n. 2883, rappresentata e difesa,
come  da  procura  speciale  a  margine del presente atto, dagli avv.
prof. Mario Bertolissi del Foro di Padova, Ezio Zanon dell'Avvocatura
regionale  e  Luigi  Manzi  del  Foro  di  Roma,  presso quest'ultimo
domiciliata in Roma, via F. Confalonieri, n. 5;
   Contro  il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  pro tempore
rappresentato  e  difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso
la  quale  e' domiciliato ex lege, in Roma, via dei Portoghesi n. 12,
per la declaratoria di illegittimita' costituzionale - per violazione
degli   artt.  3,  97,  117,  118,  119  e  del  principio  di  leale
collaborazione  di cui agli artt. 5 e 120 Cost. - degli artt. 11, 13,
23,  commi  l, 2, 3 e 4, 43, comma 1, 58, 61, commi 8, 9,14, 19, 20 e
21;  62,  commi  01,  1,  2  e  3,  179,  commi  1-bis  e  1-ter  del
decreto-legge  25  giugno  2008, n. 112 recante «Disposizioni urgenti
per  lo  sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita' la
stabilizzazione  della finanza pubblica e la perequazione tributaria»
cosi' come risultante a seguito della conversione, con modificazioni,
operata  dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale n. 195 del 21 agosto 2008 - Supplemento ordinario, n. 196.
                     F a t t o  e  D i r i t t o

   1.  -  Con il ricorso che segue la Regione Veneto lamenta avanti a
codesta   ecc.ma   Corte  l'incostituzionalita',  per  lesione  delle
competenze   ad   essa   costituzionalmente   attribuite,  di  alcune
disposizioni  normative  contenute  nel decreto-legge 25 giugno 2008,
n. 112,  cosi'  come risultante dalla sua conversione, con modifiche,
operata dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.
   Come  noto, il suddetto provvedimento normativo reca «Disposizioni
urgenti   per   lo   sviluppo   economico,   la  semplificazione,  la
competitivita',  la  stabilizzazione  della  finanza  pubblica  e  la
perequazione  tributaria» e costituisce, seppur in forma insolita, la
legge finanziaria per il 2009.
   Anche  quest'anno  in  essa non mancano previsioni normative che -
talora  con  strumenti  nuovi  e,  talora,  con  mezzi  gia'  usati e
addirittura  gia'  censurati  da codesta Corte - tentano di porre nel
nulla la volonta' del costituente e di ignorare la riforma del Titolo
V,  avvenuta  ad  opera  della  legge costituzionale 18 ottobre 200l,
n. 3.
   Seguono le specifiche doglianze avanzate dalla regione ricorrente.
   2.  - Si vengono di seguito a considerare le censure relative alla
disciplina  posta  dal  legislatore  statale  agli  artt. 11 e 13 del
suddetto provvedimento normativo.
   Trattandosi   di   due   disposizioni   in   materia  di  edilizia
residenziale  pubblica,  sembra  opportuno premettere alle specifiche
doglianze  un  breve  richiamo alla giurisprudenza costituzionale sul
punto.
   2.1   -   Codesta  ecc.ma  Corte  ha  chiarito  (da  ultimo  molto
limpidamente  con  la  sentenza  21 marzo 2007, n. 94) che la materia
«edilizia   residenziale   pubblica»,   pur  non  essendo  ricompresa
nell'elenco  di  materie di cui al secondo e al terzo comma dell'art.
117  Cost.,  non  puo'  essere  ricondotta  alla potesta' legislativa
residuale delle regioni, ai sensi dell'art. 117, quarto comma.
   La  materia,  infatti, possiede quel carattere di «trasversalita'»
individuato  dalla  giurisprudenza  a  proposito di altre materie non
interamente classificabili all'interno di una denominazione contenuta
nell'art.  117  Cost. e ad oggi (in seguito alla riforma del Titolo V
della Costituzione) si estende su tre livelli normativi.
   «Il  primo  riguarda  la  determinazione  dell'offerta  minima  di
alloggi destinati a soddisfare le esigenze dei ceti meno abbienti. In
tale   determinazione   -   che,  qualora  esercitata  rientra  nella
competenza  esclusiva  dello  Stato  ai  sensi dell'art. 117, secondo
comma, lettera m), Cost. - si inserisce la fissazione di principi che
valgano  a  garantire  l'uniformita'  dei  criteri di assegnazione su
tutto  il  territorio  nazionale  (...)  Il secondo livello normativo
riguarda   la   programmazione   degli   insediamenti   di   edilizia
residenziale   pubblica,  che  ricade  nella  materia  ''governo  del
territorio'',  ai  sensi del terzo comma dell'art. 117 Cost. (...) Il
terzo  livello  normativo,  rientrante nel quarto comma dell'art. 117
Cost.,  riguarda  la  gestione del patrimonio immobiliare di edilizia
residenziale  pubblica  di  proprieta' degli Istituti autonomi per le
case  popolari  o  degli  enti  che a questi sono stati sostituiti ad
opera  della legislazione regionale» (cosi' in Corte cost., sent., 21
marzo 2007, n. 94).
   2.2  -  Seguono  le censure relative all'art. 11 del decreto-legge
n. 112/2008  cosi'  come  risultante  a seguito della conversione con
legge n. 133/2008, non prima, pero', di averne richiamato il dettato.
   L'art.  11,  rubricato  «Piano  casa»,  recita:  «l.  Al  fine  di
garantire   su   tutto  il  territorio  nazionale  i  livelli  minimi
essenziali  di  fabbisogno  abitativo  per  il  pieno  sviluppo della
persona  umana, e' approvato con decreto del Presidente del Consiglio
dei  ministri,  previa delibera del Comitato interministeriale per la
programmazione   economica   (CIPE)  e  d'intesa  con  la  Conferenza
unificata  di  cui  all'articolo  8 del decreto legislativo 28 agosto
1997,  n. 281,  e  successive modificazioni, su proposta del Ministro
delle  infrastrutture  e  dei  trasporti, entro sessanta giorni dalla
data  di  entrata  in  vigore della legge di conversione del presente
decreto, un piano nazionale di edilizia abitativa.
   2.  Il  piano e' rivolto all'incremento del patrimonio immobiliare
ad  uso  abitativo  attraverso  l'offerta  di  abitazioni di edilizia
residenziale,  da  realizzare  nel rispetto dei criteri di efficienza
energetica   e  di  riduzione  delle  emissioni  inquinanti,  con  il
coinvolgimento    di   capitali   pubblici   e   privati,   destinate
prioritariamente  a  prima  casa  per:  a)  nuclei  familiari a basso
reddito, anche monoparentali o monoreddito; b) giovani coppie a basso
reddito;  c) anziani in condizioni sociali o economiche svantaggiate;
d)  studenti fuori sede; e) soggetti sottoposti a procedure esecutive
di  rilascio;  f)  altri  soggetti  in  possesso dei requisiti di cui
all'articolo  1  della  legge  8  febbraio  2007,  n. 9; g) immigrati
regolari  a  basso  reddito,  residenti  da  almeno  dieci  anni  nel
territorio  nazionale  ovvero  da  almeno  cinque anni nella medesima
regione.
   3.  Il  Piano  nazionale  di  edilizia  abitativa ha ad oggetto la
costruzione  di  nuove  abitazioni  e  la  realizzazione di misure di
recupero  del  patrimonio abitativo esistente ed e' articolato, sulla
base  di  criteri  oggettivi che tengano conto dell'effettivo bisogno
abitativo  presente  nelle diverse realta' territoriali, attraverso i
seguenti  interventi:  a) costituzione di fondi immobiliari destinati
alla  valorizzazione  e all'incremento dell'offerta abitativa, ovvero
alla  promozione di strumenti finanziari immobiliari innovativi e con
la  partecipazione  di  altri soggetti pubblici o privati, articolati
anche  in un sistema integrato nazionale e locale, per l'acquisizione
e  la  realizzazione  di  immobili  per  l'edilizia  residenziale; b)
incremento  del patrimonio abitativo di edilizia con le risorse anche
derivanti  dall'alienazione di alloggi di edilizia pubblica in favore
degli occupanti muniti di titolo legittimo, con le modalita' previste
dall'articolo  13;  c)  promozione  da parte di privati di interventi
anche  ai  sensi  della parte II, titolo III, Capo III del codice dei
contratti  pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al
decreto  legislativo  12  aprile 2006, n. 163; d) agevolazioni, anche
amministrative,  in  favore  di cooperative edilizie costituite tra i
soggetti  destinatari  degli  interventi,  potendosi  anche prevedere
termini  di  durata  predeterminati  per la partecipazione di ciascun
socio, in considerazione del carattere solo transitorio dell'esigenza
abitativa;  e)  realizzazione di programmi integrati di promozione di
edilizia residenziale anche sociale.
   4.  Il  Ministero delle infrastrutture e dei trasporti promuove la
stipulazione  di appositi accordi di programma, approvati con decreto
del  Presidente del Consiglio dei ministri, previa delibera del CIPE,
d'intesa  con  la  Conferenza  unificata  di  cui  all'articolo 8 del
decreto   legislativo   28   agosto   1997,   n. 281,   e  successive
modificazioni,  al fine di concentrare gli interventi sulla effettiva
richiesta  abitativa nei singoli contesti, rapportati alla dimensione
fisica  e  demografica  del  territorio di riferimento, attraverso la
realizzazione  di  programmi  integrati  di  promozione  di  edilizia
residenziale  e di riqualificazione urbana, caratterizzati da elevati
livelli  di qualita' in termini di vivibilita', salubrita', sicurezza
e  sostenibilita'  ambientale  ed  energetica,  anche  attraverso  la
risoluzione  dei problemi di mobilita', promuovendo e valorizzando la
partecipazione di soggetti pubblici e privati. Decorsi novanta giorni
senza  che  sia  stata  raggiunta  la predetta intesa, gli accordi di
programma possono essere comunque approvati.
   5.  Gli interventi di cui al comma 4 sono attuati anche attraverso
le  disposizioni  di  cui  alla  parte  II, titolo III, Capo III, del
citato  codice  di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163,
mediante:  a)  il  trasferimento di diritti edificatori in favore dei
promotori degli interventi di incremento del patrimonio abitativo; b)
incrementi premiali di diritti edificatori finalizzati alla dotazione
di  servizi, spazi pubblici e di miglioramento della qualita' urbana,
nel  rispetto  delle aree necessarie per le superfici minime di spazi
pubblici  o riservati alle attivita' collettive, a verde pubblico o a
parcheggi di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile
1968,  n. 1444;  c)  provvedimenti mirati alla riduzione del prelievo
fiscale  di  pertinenza  comunale o degli oneri di costruzione; d) la
costituzione  di  fondi immobiliari di cui al comma 3, lettera a) con
la  possibilita'  di  prevedere altresi' il conferimento al fondo dei
canoni di locazione, al netto delle spese di gestione degli immobili;
e)  la  cessione,  in  tutto o in parte, dei diritti edificatori come
corrispettivo  per  la  realizzazione  anche  di  unita' abitative di
proprieta'  pubblica  da destinare alla locazione a canone agevolato,
ovvero  da  destinare  alla  alienazione  in  favore  delle categorie
sociali svantaggiate di cui al comma 2.
   6. I programmi di cui al comma 4 sono finalizzati a migliorare e a
diversificare,  anche  tramite  interventi  di sostituzione edilizia,
l'abitabilita',  in  particolare,  nelle  zone  caratterizzate  da un
diffuso degrado delle costruzioni e dell'ambiente urbano.
   7. Ai fini della realizzazione degli interventi di cui al comma 3,
lettera e) l'alloggio sociale, in quanto servizio economico generale,
ed  identificato,  ai fini dell'esenzione dall'obbligo della notifica
degli  aiuti  di Stato, di cui agli articoli 87 e 88 del Trattato che
istituisce  la  Comunita' europea, come parte essenziale e integrante
della  piu' complessiva offerta di edilizia residenziale sociale, che
costituisce   nel  suo  insieme  servizio  abitativo  finalizzato  al
soddisfacimento di esigenze primarie.
   8.  In  sede  di  attuazione dei programmi di cui al comma 4, sono
appositamente  disciplinati  le modalita' e i termini per la verifica
periodica   delle  fasi  di  realizzazione  del  piano,  in  base  al
cronoprogramma  approvato  e  alle  esigenze  finanziarie,  potendosi
conseguentemente   disporre,  in  caso  di  scostamenti,  la  diversa
allocazione  delle  risorse  finanziarie pubbliche verso modalita' di
attuazione  piu'  efficienti.  Le  abitazioni  realizzate  o alienate
nell'ambito  delle  procedure  di  cui  al  presente articolo possono
essere   oggetto   di   successiva  alienazione  decorsi  dieci  anni
dall'acquisto originario.
   9.  L'attuazione  del  piano  nazionale puo' essere realizzata, in
alternativa  alle  previsioni  di  cui  al  comma 4, con le modalita'
approvative  di  cui  alla  parte II, titolo III, capo IV, del citato
codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.
   10.  Una  quota del patrimonio immobiliare del demanio, costituita
da  aree  ed  edifici non piu' utilizzati, puo' essere destinata alla
realizzazione  degli interventi previsti dal presente articolo, sulla
base  di  accordi  tra  l'Agenzia  del  demanio,  il  Ministero delle
infrastrutture  e dei trasporti, il Ministero della difesa in caso di
aree ed edifici non piu' utilizzati a fini militari, le regioni e gli
enti locali.
   11.  Per  la  migliore  realizzazione dei programmi, i comuni e le
province  possono  associarsi  ai  sensi di quanto previsto dal testo
unico  delle  leggi  sull'ordinamento  degli  enti  locali, di cui al
decreto   legislativo   18   agosto   2000,   n. 267,   e  successive
modificazioni.   I  programmi  integrati  di  cui  al  comma  4  sono
dichiarati di interesse strategico nazionale. Alla loro attuazione si
provvede   con   l'applicazione  dell'articolo  81  del  decreto  del
Presidente  della  Repubblica  24  luglio  1977, n. 616, e successive
modificazioni.
   12.  Per  l'attuazione  degli  interventi  previsti  dal  presente
articolo  e'  istituito  un  fondo  nello  stato  di  previsione  del
Ministero   delle   infrastrutture   e   dei   trasporti,  nel  quale
confluiscono  le  risorse  finanziarie  di  cui all'articolo 1, comma
1154,  della  legge  27  dicembre  2006,  n. 296, nonche' di cui agli
articoli 21, 2l-bis, ad eccezione di quelle gia' iscritte nei bilanci
degli enti destinatari e impegnate, e 41 del decreto-legge l° ottobre
2007,  n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre
2007, n. 222, e successive modificazioni. Gli eventuali provvedimenti
adottati in attuazione delle disposizioni legislative citate al primo
periodo  del  presente comma, incompatibili con il presente articolo,
restano  privi  di  effetti.  A  tale  scopo  le  risorse di cui agli
articoli 21, 21-bis e 41 del citato decretolegge n. 159 del 2007 sono
versate  all'entrata del bilancio dello Stato per essere iscritte sul
fondo  di  cui  al  presente comma, negli importi corrispondenti agli
effetti  in  termini di indebitamento netto previsti per ciascun anno
in  sede  di  iscrizione in bilancio delle risorse finanziarie di cui
alle indicate autorizzazioni di spesa.
   13.  Ai  fini  del  riparto  del  Fondo  nazionale per il sostegno
all'accesso  alle  abitazioni  in  locazione,  di cui all'articolo 11
della legge 9 dicembre 1998, n. 431, i requisiti minimi necessari per
beneficiare  dei  contributi  integrativi  come definiti ai sensi del
comma  4  del medesimo articolo devono prevedere per gli immigrati il
possesso  del  certificato  storico di residenza da almeno dieci anni
nel  territorio nazionale ovvero da almeno cinque anni nella medesima
regione».
   L'articolo,  in  sostanza,  prevede l'approvazione con decreto del
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  previa delibera del CIPE,
d'intesa con la Conferenza Unificata, su proposta del Ministero delle
infrastrutture, di un piano nazionale di edilizia abitativa destinato
ad  incrementare  il patrimonio immobiliare attraverso la costruzione
di  nuove  abitazioni  e  la  realizzazione di misure di recupero del
patrimonio abitativo esistente.
   Al  suddetto  piano  si  aggiungeranno  degli accordi di programma
promossi  dal Ministero delle infrastrutture e programmi integrati di
promozione di edilizia residenziale e di riqualificazione urbana.
   Al  comma  12 e' prevista, inoltre, l'istituzione di uno specifico
fondo  destinato  a  finanziare l'attuazione del Piano e dei suddetti
accordi.
   Tanto  premesso,  risulta  evidente  che la disposizione normativa
sottoposta  al  sindacato  di  codesto  ecc.mo  Collegio  si  occupa,
innanzitutto, di programmazione di edilizia residenziale, ossia di un
profilo  della  materia  «edilizia  residenziale  pubblica» che, come
chiarito   dalla  giurisprudenza  citata  di  codesta  Corte,  ricade
nell'ambito  del  «governo del territorio» di cui all'art. 117, terzo
comma, Cost.
   Trattandosi  di  materia  di  legislazione concorrente, allo Stato
spetterebbe solo di dettare i principi fondamentali, lasciando che su
ogni  altro  aspetto  sia  la  Regione  a normare. Cosi' non e' certo
avvenuto  nel  caso  di  specie:  il legislatore statale ha, infatti,
previsto  che dell'intera programmazione si occupi lo Stato, mediante
decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri. E non sembra
inutile  evidenziare  che  la  previsione  di  un'intesa  in  sede di
Conferenza  unificata, per quanto posta come condizione indefettibile
per l'approvazione del suddetto d.P.C.m., non soddisfa minimamente il
dettato   costituzionale  che  attribuisce  alla  regione  il  potere
legislativo, ad esclusione dei principi fondamentali, in materia.
   Sembra,  poi,  opportuno,  considerare che, avendo la disposizione
impugnata  gia'  elencato compiutamente le finalita' specifiche e gli
interventi  concreti  che  il  piano  potra'  adottare,  l'intesa che
comunque  dovesse  ottenersi  in  sede  di  Conferenza  Unificata non
potrebbe  considerarsi  il  frutto di una ponderazione davvero libera
delle regioni.
   Sempre  con  riguardo  alla  previsione di approvazione di un c.d.
piano  casa,  deve, infine, rilevarsi che la scelta di un decreto del
Primo  Ministro  risulta  contraria  a  Costituzione  anche  sotto un
ulteriore  profilo:  la  suddetta  fonte  regolamentare  e', infatti,
destinata  a  disciplinare un settore che, per quanto gia' ampiamente
ricordato,  non  e'  di  competenza legislativa esclusiva statale, in
aperto contrasto con l'art. 117, sesto comma, Cost.
   In  subordine,  poi,  ammesso  e  non concesso che si ritenesse di
poter  giustificare la lesione delle competenze legislative regionali
utilizzando  l'istituto  della  c.d.  attrazione  in  sussidiarieta',
sembra opportuno svolgere fin da ora alcune considerazioni difensive.
   Codesta  ecc.ma  Corte  ha,  infatti, individuato quali condizioni
devono  necessariamente  sussistere  perche' la suddetta «chiamata in
sussidiarieta'»  da parte dello Stato della competenza legislativa in
materia  di  «programmi  di  edilizia  residenziale  pubblica»  possa
legittimamente avvenire.
   Accanto  alla  sussistenza  di  un  interesse  unitario  - neppure
evocato  nel provvedimento impugnato e comunque piuttosto discutibile
nel  caso  di  specie - e alla previsione di una previa intesa con la
Conferenza   unificata,   la   deroga  al  riparto  delle  competenze
legislative deve risultare proporzionata. Con specifico riguardo alla
materia   «edilizia   residenziale  pubblica»,  codesto  Collegio  ha
affermato   sussistere  la  proporzionalita'  quando  «lo  Stato  non
interferisce  nella  predisposizione  dei  programmi regionali, ma si
limita    a    fissare   le   linee   generali   indispensabili   per
l'armonizzazione  dei  programmi  su  scala  nazionale» (Corte cost.,
sent., 23 maggio 2008, n. 166).
   Dal momento che nel caso sottoposto al sindacato del Giudice delle
leggi  lo Stato pretende, invece, proprio di sostituirsi in toto alle
regioni nella pianificazione, il requisito della proporzionalita' non
e'  rispettato,  con  conseguente  violazione  dell'art. 120 Cost. ed
evidente spregio del principio di leale collaborazione.
   L'inosservanza   del   dettato  costituzionale  e',  sotto  questo
profilo, ancora piu' grave nel comma 4 dell'art. 11 impugnato, ove si
prevede  che,  in caso di mancato raggiungimento di un'intesa in sede
di Conferenza unificata entro il breve termine di novanta giorni, gli
accordi  di  programma finalizzati a concentrare gli interventi sulla
effettiva  richiesta  abitativa  nei singoli contesti del territorio,
siano approvati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri
«bypassando» del tutto l'accordo con le regioni.
   La  suddetta  previsione, infatti, attribuisce al Governo un ruolo
preminente,  incompatibile con il regime dell'intesa, caratterizzata,
invece,  dalla  «paritaria  codeterminazione  dell'atto»  (cfr. Corte
cost.,   sent.,   6   febbraio   2007,   n. 24,   ove   si   dichiara
l'illegittimita'  costituzionale  di  un'analoga previsione normativa
della Regione Puglia).
   Sempre con riguardo alla disposizione normativa di cui all'art. 11
impugnato,  la  regione ricorrente lamenta, infine, la violazione del
principio  di  autonomia  finanziaria derivante dall'istituzione, nel
comma 12, di un fondo destinato all'attuazione del c.d. piano casa.
   Il legislatore centrale, infatti, non puo' prevedere finanziamenti
a   destinazione   vincolata   in  materie  di  potesta'  legislativa
concorrente,  quale certamente e' l'«edilizia residenziale pubblica»,
senza con cio' opporsi al dettato dell'art. 119 Cost.
   Come  codesto ecc.mo Collegio ha chiarito, lo Stato puo' istituire
e  disciplinare  fondi a destinazione vincolata solo nelle materie di
sua  competenza  legislativa esclusiva (in questo senso, Corte cost.,
sent.,  16  gennaio 2004, n. 16; Corte cost., sent., 29 gennaio 2004,
n. 49.  Il  medesimo  principio  si  ricava, tuttavia, anche da Corte
cost.,  sent.,  23  dicembre  2003,  n. 370;  Corte  cost., sent., 29
dicembre  2004,  n. 423; Corte cost., sent., 18 febbraio 2005, n. 77;
Corte  cost.,  sent.,  18  marzo 2005, n. 107; Corte cost., sent., 24
marzo 2006, n. 118).
   In  linea  generale,  invece,  solamente  due  tipologie  di fondi
possono  essere  considerate  rispettose  del  dettato  dell'art. 119
Cost.: (i) un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i
territori  con minore capacita' fiscale per abitante (art. 119, terzo
comma,   Cost.),   che,   insieme  ad  entrate  e  tributi  propri  e
compartecipazione  al  gettito  di  tributi  erariali  riferibile  al
proprio   territorio  (art.  119,  secondo  comma,  Cost.),  serve  a
finanziare  integralmente  le funzioni pubbliche attribuite a regioni
ed enti locali (art. 119, comma 4, Cost.) e (ii) «risorse aggiuntive»
ed  «interventi speciali» in favore di determinate regioni, province,
citta'  metropolitane  e  comuni,  al fine di «promuovere lo sviluppo
economico, la coesione e la solidarieta' sociale, (...) rimuovere gli
squilibri  economici  e sociali, (...) favorire l'effettivo esercizio
dei  diritti  della  persona,  (...)  provvedere  a scopi diversi dal
normale esercizio delle loro funzioni» (art. 119, comma 5, Cost.).
   Dal  momento  che  si  potrebbe  esser  tentati  di  sussumere  la
fattispecie  in esame nella seconda ipotesi di fondo, si ricorda che,
proprio  in  relazione  a questi ultimi, codesto ecc.mo Giudice delle
leggi  ha  precisato  che  essi  «non  solo debbono essere aggiuntivi
rispetto al finanziamento integrale (...) delle funzioni spettanti ai
Comuni  o agli altri enti, e riferirsi alle finalita' di perequazione
e  di  garanzia  enunciate  nella  norma costituzionale, o comunque a
scopi diversi dal normale esercizio delle funzioni, ma debbono essere
indirizzati  a  determinati comuni o categorie di comuni (o province,
citta'  metropolitane,  regioni)»  e che «l'esigenza di rispettare il
riparto  costituzionale  delle  competenze  legislative  fra  Stato e
Regioni  comporta  altresi' che, quando tali finanziamenti riguardino
ambiti   di  competenza  delle  regioni,  queste  siano  chiamate  ad
esercitare   compiti   di  programmazione  e  di  riparto  dei  fondi
all'interno  del  proprio  territorio»  (cosi' Corte cost., sent., 16
gennaio 2004, n. 16; Corte cost., sent., 8 giugno 2005, n. 222), cosa
che evidentemente non e' stata prevista dalla disposizione impugnata.
   Alla  luce  di  quanto  esposto,  si chiede, pertanto, che codesto
ecc.mo  Collegio  voglia  dichiarare  l'illegittimita' costituzionale
dell'articolo  11 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 cosi' come
risultante  a  seguito  della  conversione  con  legge 6 agosto 2008,
n. 133,  per  contrasto  con  gli  articoli  117  e  119  Cost. e, in
subordine,   con   l'art.   120   Cost.,   il   principio   di  leale
collaborazione, nonche' con l'art. 119 Cost.
   2.3  - Si viene ora a trattare dell'art. 13. Rubricato «Misure per
valorizzare  il patrimonio residenziale pubblico», in esso si prevede
testualmente   che:   «l.   Al   fine  di  valorizzare  gli  immobili
residenziali costituenti il patrimonio degli Istituti autonomi per le
case  popolari, comunque denominati, e di favorire il soddisfacimento
dei  fabbisogni  abitativi,  entro  sei mesi dalla data di entrata in
vigore  del  presente  decreto il Ministro delle infrastrutture e dei
trasporti ed il Ministro per i rapporti con le regioni promuovono, in
sede  di  Conferenza  unificata,  di  cui  all'articolo 8 del decreto
legislativo  28  agosto  1997,  n. 281, la conclusione di accordi con
regioni  ed  enti  locali  aventi ad oggetto la semplificazione delle
procedure  di  alienazione  degli immobili di proprieta' dei predetti
Istituti.
   2.  Ai  fini della conclusione degli accordi di cui al comma l, si
tiene  conto  dei  seguenti  criteri: a) determinazione del prezzo di
vendita   delle  unita'  immobiliari  in  proporzione  al  canone  di
locazione;  b)  riconoscimento  del  diritto di opzione all'acquisto,
purche'  i  soggetti  interessati  non  siano proprietari di un'altra
abitazione,  in favore dell'assegnatario non moroso nel pagamento del
canone  di  locazione  o  degli oneri accessori unitamente al proprio
coniuge,  qualora risulti in regime di comunione dei beni, ovvero, in
caso di rinunzia da parte dell'assegnatario, in favore del coniuge in
regime  di separazione dei beni, o, gradatamente, del convivente more
uxorio,  purche'  la convivenza duri da almeno cinque anni, dei figli
conviventi,  dei  figli  non conviventi; c) destinazione dei proventi
delle alienazioni alla realizzazione di interventi volti ad alleviare
il disagio abitativo.
   3.  Nei  medesimi  accordi, fermo quanto disposto dall'articolo 1,
comma 6, del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito, con
modificazioni,  dalla  legge  23  novembre  2001, n. 410, puo' essere
prevista  la  facolta'  per  le amministrazioni regionali e locali di
stipulare  convenzioni  con  societa'  di  settore per lo svolgimento
delle attivita' strumentali alla vendita dei singoli beni immobili.
   3-bis.  Al  fine  di  consentire alle giovani coppie di accedere a
finanziamenti  agevolati per sostenere le spese connesse all'acquisto
della  prima  casa,  a  partire  dal  l° settembre 2008 e' istituito,
presso  la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della
gioventu',  un  Fondo speciale di garanzia per l'acquisto della prima
casa da parte delle coppie o dei nuclei familiari monogenitoriali con
figli minori, con priorita' per quelli i cui componenti non risultano
occupati con rapporto di lavoro a tempo indeterminato. La complessiva
dotazione  del  Fondo  di cui al primo periodo e' pari a 4 milioni di
euro  per  l'anno  2008  e 10 milioni di euro per ciascuno degli anni
2009  e  20l0.  Con decreto del Ministro della gioventu', di concerto
con  il  Ministro dell'economia e delle finanze, sono disciplinate le
modalita'  operative  di  funzionamento  del  Fondo  di  cui al primo
periodo.
   3-ter.  Gli alloggi realizzati ai sensi della legge 9 agosto 1954,
n. 640, non trasferiti ai comuni alla data di entrata in vigore della
legge  di  conversione  del presente decreto, ai sensi della legge 23
dicembre  2000,  n. 388,  possono  essere  ceduti  in proprieta' agli
aventi  diritto secondo le disposizioni di cui alla legge 24 dicembre
1993,  n. 560,  a  prescindere  dai criteri e requisiti imposti dalla
predetta legge n. 640 del 1954.
   3-quater.  Presso  il  Ministero  dell'economia e delle finanze e'
istituito  il Fondo per la tutela dell'ambiente e la promozione dello
sviluppo  del  territorio.  La dotazione del fondo e' stabilita in 60
milioni di euro per l'anno 2009, 30 milioni di euro per l'anno 2010 e
30  milioni di euro per l'anno 2011. A valere sulle risorse del fondo
sono concessi contributi statali per interventi realizzati dagli enti
destinatari nei rispettivi territori per il risanamento e il recupero
dell'ambiente  e  lo  sviluppo  economico  dei territori stessi. Alla
ripartizione   delle   risorse   e   all'individuazione   degli  enti
beneficiari  si  provvede  con  decreto  del Ministro dell'economia e
delle  finanze  in  coerenza  con  apposito  atto  di indirizzo delle
Commissioni  parlamentari  competenti  per  i  profili finanziari. Al
relativo  onere  si  provvede, quanto a 30 milioni di euro per l'anno
2009,  mediante  corrispondente  riduzione  delle  proiezioni, per il
medesimo  anno,  dello  stanziamento  del  fondo  speciale  di  conto
capitale   iscritto,   ai  fini  del  bilancio  triennale  2008-2010,
nell'ambito  del  programma  «Fondi  di  riserva  e  speciali»  della
missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero
dell'economia   e   delle   finanze   per  l'anno  2008,  allo  scopo
parzialmente   utilizzando   l'accantonamento  relativo  al  medesimo
Ministero  e,  quanto  a  30  milioni di euro per ciascuno degli anni
2009,  2010 e 2011, mediante corrispondente riduzione della dotazione
del  fondo  per  interventi strutturali di politica economica, di cui
all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282,
convertito,   con   modificazioni,  dalla  legge  27  dicembre  2004,
n. 307.».
   L'art.  13  in esame, quindi, dispone innanzitutto che il Ministro
delle infrastrutture e dei trasporti e il Ministro per i rapporti con
le  regioni  promuovano la conclusione di accordi con regioni ed enti
locali  aventi  ad  oggetto  la  semplificazione  delle  procedure di
alienazione  degli immobili di proprieta' degli Istituti autonomi per
le   case  popolari,  dettando,  tra  l'altro,  criteri  specifici  e
dettagliati da seguire nella predisposizione degli stessi.
   La disposizione normativa impugnata ripropone, sul punto, anche se
con  formulazione  parzialmente  diversa, i contenuti di cui ai commi
597,  598,  599  e  600  dell'art.  1  della legge n. 266/2005 (Legge
finanziaria per il 2006) gia' impugnati dalla Regione Veneto avanti a
codesta   ecc.ma   Corte  e  da  Essa  dichiarati  costituzionalmente
illegittimi  (il  riferimento e' a Corte cost., sent., 21 marzo 2007,
n. 94).
   Ancora  una  volta, infatti, lo Stato - seppur, ora, prevedendo la
stipulazione  di  un  accordo  con  gli  enti territoriali - tenta di
intervenire   nella   disciplina   della   gestione   del  patrimonio
immobiliare  di  edilizia  residenziale  pubblica di proprieta' degli
IACP,   ignorando   il  fatto  che  si  tratta  di  ambito  materiale
«sicuramente  ricompreso  nella  potesta' legislativa residuale delle
regioni,  ai  sensi del quarto comma dell'art. 117 Cost.» (cfr. Corte
cost., sent., 21 marzo 2007, n. 94).
   Nelle  materie  di  cui  al quarto comma dell'art. 117 Cost. - sia
consentito  di  ricordarlo  -  la competenza legislativa regionale e'
esclusiva.  Cio'  significa che essa e' tenuta a rispettare, ai sensi
del  primo  comma  del  medesimo  articolo,  solo  la Costituzione, i
vincoli   derivanti   dall'ordinamento  comunitario  e  gli  obblighi
internazionali, mentre non necessita di essere preceduta o altrimenti
vincolata da alcuna intesa con lo Stato.
   In  ogni  caso,  sembra  opportuno  rilevare che gli accordi che i
Ministri  dovranno  promuovere  ben  difficilmente potranno essere il
frutto  dell'incontro  di  due  volonta'  egualmente  libere  e  pari
ordinate  giacche'  i  fondamentali  contenuti degli stessi sono gia'
stati dettagliatamente predeterminati dal legislatore statale.
   Il  secondo  comma  prescrive, infatti, che l'accordo tra Governo,
regioni  ed  enti  locali  contenga: la proporzionalita' tra canone e
prezzo  di  vendita  (lett.  a),  l'esercizio  del diritto di opzione
all'acquisto   per  l'assegnatario  e  altri  soggetti,  puntualmente
individuati   (lett.  b),  la  destinazione  specifica  dei  proventi
dell'alienazione,   che   dovranno  esser  reinvestiti  a  favore  di
interventi volti ad alleviare il disagio abitativo (lett. c).
   In  questo  modo  la  legge dello Stato ha individuato non solo le
scelte   politiche  di  fondo,  bensi'  gli  indirizzi  e  la  stessa
disciplina   specifica   che   dovra'  essere  adottata  in  tema  di
alienazione  e  reinvestimento degli immobili degli Istituti autonomi
per le case popolari.
   Non   basta:  la  normativa  in  esame  viene  ad  incidere  anche
sull'autonomia   finanziaria   e   patrimoniale   delle  regioni,  in
conseguente  spregio dell'art. 119 Cost. Gli Istituti autonomi per le
case  popolari, infatti, sono enti strumentali della regione: ponendo
vincoli   alla   disposizione   del  loro  patrimonio  immobiliare  e
all'utilizzo dei proventi che derivano dall'alienazione dello stesso,
si condiziona sensibilmente lo spazio di autonomia che il legislatore
costituzionale ha, invece, espressamente attribuito alla regione.
   Ugualmente  lesiva  dell'autonomia finanziaria di cui all'art. 119
Cost. e' la previsione di cui al comma 3-bis.
   Si  tratta  dell'istituzione  di  un fondo speciale a destinazione
vincolata  finalizzato  a  garantire  l'acquisto  della prima casa da
parte  delle  coppie o dei nuclei familiari monogenitoriali con figli
minori.
   Richiamando le argomentazioni svolte con riguardo ai finanziamenti
a destinazione vincolata di cui al punto 2.2 del presente ricorso, si
evidenzia,  infatti, che il suddetto fondo e' destinato ad operare in
un  ambito materiale sul quale lo Stato non ha competenza esclusiva e
che  esso  non risulta sussumibile nella categoria di quelle «risorse
aggiuntive» e destinate a determinati e specifici enti che soddisfano
il  disposto  di  cui  all'art.  119,  quinto  comma,  Cost.  Non  si
dimentichi,   poi,   che,   «l'esigenza   di  rispettare  il  riparto
costituzionale  delle  competenze  legislative  fra  Stato  e regioni
comporta altresi' che, quando tali finanziamenti riguardino ambiti di
competenza delle regioni, queste siano chiamate ad esercitare compiti
di  programmazione  e  di  riparto  dei fondi all'interno del proprio
territorio»  (cosi' Corte cost., sent., 16 gennaio 2004, n. 16; Corte
cost.,  sent.,  8 giugno 2005, n. 222), cosa che evidentemente non e'
stata  prevista  dalla  disposizione  impugnata,  la quale rimette al
Ministro  della  gioventu',  di concerto col Ministro dell'economia e
delle   finanze,  la  determinazione  delle  modalita'  operative  di
funzionamento di detto fondo.
   Alla  luce  di  quanto  esposto,  si chiede, pertanto, che codesto
ecc.mo  Collegio  voglia  dichiarare  l'illegittimita' costituzionale
dell'articolo  13 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 cosi' come
risultante  a  seguito  della  conversione  con  legge 6 agosto 2008,
n. 133, per contrasto con gli articoli 117 e 119 Cost.
   3.  -  Si  tratta  ora di esporre le censure che la Regione Veneto
solleva con riguardo all'art. 23, commi l, 2, 3 e 4 del decreto-legge
25  giugno 2008, n. 112, cosi' come risultante dalla sua conversione,
con modifiche, operata con legge 6 agosto 2008, n. 133.
   La  disposizione  normativa,  rubricata «Modifiche alla disciplina
del   contratto  di  apprendistato»,  nei  commi  impugnati,  prevede
testualmente   che:   «1.  All'articolo  49,  comma  3,  del  decreto
legislativo  10  settembre 2003, n. 276 le parole da «inferiore a due
anni e superiore a sei» sono sostituite con «superiore a sei anni».
   2.  All'articolo  49  del  decreto  legislativo 10 settembre 2003,
n. 276  e'  aggiunto  il seguente comma: «5-ter In caso di formazione
esclusivamente  aziendale  non  opera quanto previsto dal comma 5. In
questa     ipotesi    i    profili    formativi    dell'apprendistato
professionalizzante   sono   rimessi   integralmente   ai   contratti
collettivi  di  lavoro  stipulati a livello nazionale, territoriale o
aziendale   da   associazioni  dei  datori  e  prestatori  di  lavoro
comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale ovvero agli
enti  bilaterali.  I  contratti  collettivi  e  gli  enti  bilaterali
definiscono  la  nozione  di  formazione aziendale e determinano, per
ciascun  profilo  formativo,  la  durata e le modalita' di erogazione
della  formazione,  le  modalita'  di  riconoscimento della qualifica
professionale  al  fini  contrattuali e la registrazione nel libretto
formativo».
   3.  Al  comma  1  dell'articolo  50  del  decreto  legislativo  10
settembre 2003, n. 276 dopo le parole «alta formazione» sono inserite
le seguenti: «compresi i dottorati di ricerca».
   4.  Al  comma  3  dell'articolo  50  del  decreto  legislativo  10
settembre  2003,  n. 276  dopo  le  parole  «e  le  altre istituzioni
formative»   sono   aggiunti  i  seguenti  periodi:  «In  assenza  di
regolamentazioni  regionali  l'attivazione dell'apprendistato di alta
formazione e' rimessa ad apposite convenzioni stipulate dai datori di
lavoro  con  le Universita' e le altre istituzioni formative. Trovano
applicazione,   per   quanto   compatibili,   i   principi  stabiliti
all'articolo 49, comma 4, nonche' le disposizioni di cui all'articolo
53.».
   Le  disposizioni impugnate apportano delle modifiche agli artt. 49
e  50  del  decreto  legislativo n. 267/03, rispettivamente afferenti
l'«apprendistato    professionalizzante»   e   l'«apprendistato   per
l'acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione».
   Con particolare riguardo all'apprendistato professionalizzante, le
modifiche  introdotte  riguardano,  da  una parte, l'eliminazione del
termine  di durata minimo del contratto e, dall'altra, l'attribuzione
del  potere  di  disciplinare  la  formazione  aziendale ai contratti
collettivi  di  lavoro  stipulati a livello nazionale, territoriale o
aziendale  da  associazioni  dei  datori  e prestatori di lavoro, con
esclusione di una qualunque potesta' di intervento regionale.
   Quanto    alle    modifiche    apportate   all'apprendistato   per
l'acquisizione  di  un  diploma  o  per  percorsi di alta formazione,
invece,  esse  si risolvono nell'inserimento del dottorato di ricerca
tra  i  titoli  di  studio  che  possono  essere  acquisiti  con tale
tipologia  di  contratto  e  nella  previsione che, in assenza di una
disciplina  regionale  che regolamenti l'apprendistato e ne definisca
la  durata,  l'attivazione dell'apprendistato sia rimessa ad apposite
convenzioni  tra  datori  di lavoro e Universita' o altre istituzioni
formative.
   3.1  -  Alla  descrizione  dei  diversi  profili di illegittimita'
rilevati  dalla ricorrente, sembra opportuno premettere qualche breve
cenno    sulla    giurisprudenza   costituzionale   in   materia   di
«apprendistato».
   Codesta  ecc.ma  Corte  ha,  anche  di  recente,  chiarito che «la
disciplina  dell'apprendistato e' costituita da norme che attengono a
materie per le quali sono stabilite competenze legislative di diversa
attribuzione  (esclusiva  dello  Stato,  ripartita,  residuale  delle
regioni)   e   che  alla  composizione  delle  relative  interferenze
provvedono    strumenti    attuativi    del    principio   di   leale
collaborazione».  Il  Giudice delle leggi ha osservato, infatti, che,
«mentre  la formazione da impartire all'interno delle aziende attiene
precipuamente all'ordinamento civile, la disciplina di quella esterna
rientra   nella   competenza   regionale  in  materia  di  formazione
professionale,   con   interferenze   pero'  con  altre  materie,  in
particolare  con  l'istruzione,  per  la  quale  lo  Stato  ha  varie
attribuzioni:   norn1e   generali   e   determinazione  dei  principi
fondamentali»  (il  riferimento  e' a Corte cost., sent., 19 dicembre
2006,  n. 425;  ma,  nel medesimo senso, anche: Corte cost., sent., 7
dicembre 2006, n. 406; Corte cost., sent., 15 luglio 2005, n. 279).
   Sulla  scorta  di  queste  osservazioni,  codesta  ecc.ma Corte ha
dichiarato  non  fondate  le  censure mosse da alcune regioni e dalla
Provincia  di Trento proprio contro alcune disposizioni normative del
decreto  legislativo n. 267/2003 sopra richiamato, tra le quali anche
gli  artt. 49 e 50 (cfr. Corte cost., sent., 28 gennaio 2005, n. 50).
La  loro conformita' a Costituzione doveva, infatti, - cosi' la Corte
ha  affermato  -  ritenersi garantita, con riguardo all'apprendistato
professionalizzante,   dalla   previsione  del  coinvolgimento  delle
regioni (chiamate a stipulare un'intesa con le associazioni di datori
e prestatori di lavoro) nella regolamentazione dei profili formativi;
e,  in materia di apprendistato per l'acquisizione di un diploma o in
un  percorso  di  alta  formazione,  dall'attribuzione  del potere di
intervenire  sulla regolamentazione e sulla durata dell'apprendistato
stesso  alle  regioni,  per i soli profili attenenti alla formazione,
d'accordo  con  le associazioni di datori e prestatori di lavoro (sul
punto si veda Corte cost., sent., 19 dicembre 2006, n. 425).
   3.2  - Ma  se codesta ecc.ma Corte ha ritenuto di poter dichiarare
la legittimita' costituzionale della disciplina statale in materia di
apprendistato  sulla  base  di questi presupposti e' evidente che ove
questi mancassero la soluzione dovrebbe essere di segno contrario.
   E'  compito  della regione ricorrente allora rilevare che la nuova
disciplina in materia di apprendistato si caratterizza, diversamente,
proprio  per  aver  negato  all'ente  regionale  la  possibilita'  di
concorrere,   nel  rispetto  delle  competenze  legislative  ad  esso
attribuite  dalla  Costituzione  all'art. 117, alla definizione della
disciplina dell'apprendistato.
   Dall'art.  23  impugnato viene, infatti, escluso il coinvolgimento
regionale  nella  regolamentazione  dell'apprendistato aziendale (ora
attribuita  ai  contratti  collettivi  di lavoro) e nelle convenzioni
finalizzate  ad  attivare  l'apprendistato  per  l'acquisizione di un
diploma  (alle  quali  partecipano  datori  di lavoro, Universita' ed
altre istituzioni informative).
   E'  evidente, poi, che un intervento legislativo di tal fatta, nel
caso  di  specie,  risulta  anche  gravemente lesivo del principio di
leale  collaborazione  che  -  come gia' evidenziato - codesta ecc.ma
Corte  ha indicato, al contrario, come il criterio cardine da attuare
per   l'esclusione   ed,   eventualmente,   la   composizione   delle
interferenze     tra     le     diverse     competenze    legislative
concorrenti-confliggenti in materia di disciplina sull'apprendistato.
   Infine,   il   Veneto,   oggi   ricorrente,   ritiene   necessario
sottolineare  l'assoluta  irragionevolezza della disciplina normativa
introdotta dall'impugnato art. 23.
   Irragionevole  e'  la  soppressione  di  un  termine minimo per il
contratto  di apprendistato (che tra l'altro, al posto di contrastare
il  ricorso  all'apprendistato per i lavoratori stagionali, favorisce
l'elusione   della   legge   sul  punto);  ma  irrazionale  e'  anche
l'esclusione  della  regione dalla definizione della regolamentazione
dell'apprendistato  aziendale.  La  suddetta scelta, infatti, oltre a
creare  disagi  organizzativi connessi all'attuale gestione regionale
di  un  sistema  di  apprendistato integrato di formazione interna ed
esterna,  potrebbe  comportare  in  futuro  disfunzioni  legate  alla
possibile mancata definizione da parte dei contratti collettivi della
disciplina dell'apprendistato.
   Alla  luce  di  quanto  esposto,  si chiede, pertanto, che codesto
ecc.mo  Collegio  voglia  dichiarare  l'illegittimita' costituzionale
dell'articolo  23,  commi  1,  2,  3 e 4, del decreto-legge 25 giugno
2008,  n. 112  cosi'  come risultante a seguito della conversione con
legge  6  agosto 2008, n. 133, per contrasto con gli articoli 3 e 117
Cost.,  nonche'  per violazione del principio di leale collaborazione
di cui agli artt. 5 e 120 Cost.
   4.  -  Si  prosegue,  quindi,  considerando  l'art.  43, rubricato
«Semplificazione  degli  strumenti di attrazione degli investimenti e
di  sviluppo d'impresa» che al primo comma (unico comma impugnato dal
Veneto),  stabilisce  quanto  segue: «Per favorire l'attrazione degli
investimenti  e  la  realizzazione di progetti di sviluppo di impresa
rilevanti  per il rafforzamento della struttura produttiva del Paese,
con particolare riferimento alle aree del Mezzogiorno, con decreto di
natura  non regolamentare del Ministro dello sviluppo economico, sono
stabiliti  i criteri, le condizioni e le modalita' per la concessione
di  agevolazioni  finanziarie a sostegno degli investimenti privati e
per   la   realizzazione   di  interventi  ad  essi  complementari  e
funzionali. Con tale decreto, da adottare di concerto con il Ministro
dell'economia  e  delle  finanze,  con  il  Ministro  delle politiche
agricole  alimentari  e  forestali,  per quanto riguarda le attivita'
della  filiera  agricola  e  della  pesca  e  acquacoltura,  e con il
Ministro  per  la  semplificazione  normativa,  sentita la Conferenza
permanente  per  i  rapporti  tra  lo Stato, le regioni e le province
autonome  di  Trento  e di Bolzano, si provvede, in particolare a: a)
individuare  le attivita', le iniziative, le categorie di imprese, il
valore   minimo   degli   investimenti   e   le   spese   ammissibili
all'agevolazione,   la   misura   e   la   natura  finanziaria  delle
agevolazioni   concedibili   nei   limiti  consentiti  dalla  vigente
normativa   comunitaria,   criteri  di  valutazione  dell'istanza  di
ammissione  all'agevolazione; b) affidare, con le modalita' stabilite
da apposita convenzione, all'Agenzia nazionale per l'attrazione degli
investimenti  e  lo  sviluppo  di impresa S.p.A. le funzioni relative
alla  gestione  dell'intervento  di  cui  al  presente  articolo, ivi
comprese  quelle  relative  alla  ricezione, alla valutazione ed alla
approvazione della domanda di agevolazione, alla stipula del relativo
contratto   di   ammissione,   all'erogazione,  al  controllo  ed  al
monitoraggio  dell'agevolazione, alla partecipazione al finanziamento
delle  eventuali  opere  infrastrutturali  complementari e funzionali
all'investimento  privato;  c) stabilire le modalita' di cooperazione
con  le regioni e gli enti locali interessati, ai fini della gestione
dell'intervento   di   cui  al  presente  articolo,  con  particolare
riferimento alla programmazione e realizzazione delle eventuali opere
infrastrutturali complementari e funzionali all'investimento privato;
d)  disciplinare una procedura accelerata che preveda la possibilita'
per  l'Agenzia  nazionale  per  l'attrazione  degli investimenti e lo
sviluppo  di  impresa  S.p.A. di chiedere al Ministero dello sviluppo
economico l'indizione di conferenze di servizi ai sensi dell'articolo
14  e  seguenti  della  legge  7 agosto 1990, n. 241. Alla conferenza
partecipano    tutti   i   soggetti   competenti   all'adozione   dei
provvedimenti necessari per l'avvio dell'investimento privato ed alla
programmazione   delle   opere   infrastrutturali   complementari   e
funzionali  all'investimento  stesso,  la  predetta  Agenzia nonche',
senza diritto di voto, il soggetto che ha presentato l'istanza per la
concessione dell'agevolazione.
   All'esito  dei  lavori della conferenza, e in ogni caso scaduto il
termine di cui all'articolo 14-ter comma 3, della citata legge n. 241
del   1990,   il   Ministero  dello  sviluppo  economico  adotta,  in
conformita'   alla  determinazione  conclusiva  della  conferenza  di
servizi,  un provvedimento di approvazione del progetto esecutivo che
sostituisce,  a tutti gli effetti, salvo che la normativa comunitaria
non  disponga  diversamente,  ogni autorizzazione, concessione, nulla
osta  o  atto  di  assenso  comunque  denominato necessario all'avvio
dell'investimento  agevolato  e  di  competenza delle amministrazioni
partecipanti, o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti,
alla predetta conferenza; e) le agevolazioni di cui al presente comma
sono  cumulabili,  nei  limiti dei massimali previsti dalla normativa
comunitaria, con benefici fiscali».
   Il  legislatore statale, quindi, ha stabilito che, con decreto non
regolamentare  del  Ministro  dello  sviluppo  economico,  sentita la
Conferenza  Stato-regioni,  siano  stabiliti  criteri,  condizioni  e
modalita'  per  la concessione di agevolazioni finanziarie a sostegno
degli  investimenti  privati  e per la realizzazione di interventi ad
essi  complementari  e funzionali, destinati a «favorire l'attrazione
degli  investimenti  e  la  realizzazione  di progetti di sviluppo di
impresa», predeterminando in parte il contenuto.
   Si  discute  qui, dunque, di aiuti finanziari - seppur indiretti -
alle  imprese;  imprese che possono operare nei piu' svariati settori
(industria,   commercio,   turismo,   servizi,   pesca,  allevamento,
agricoltura...)  ai  quali  corrispondono  altrettante  materie sulle
quali la regione ha una potesta' legislativa diversamente ampia, ma -
al minimo - concorrente con quella dello Stato.
   L'intervento  del  legislatore  statale,  quindi,  ove destinato a
trovare  attuazione  in  ambiti  di  potesta'  legislativa  esclusiva
regionale,  configura una lesione dell'art. 117, quarto comma, Cost.;
e,  se  attuato in materie di potesta' concorrente, viola l'art. 117,
terzo comma, Cost., dal momento che non si limita a porre i «principi
fondamentali» della disciplina.
   Se poi si considera che la determinazione di criteri, condizioni e
modalita'  dei suddetti aiuti e' rimessa ad un decreto, di natura per
di  piu' non regolamentare, del Ministro dello sviluppo economico, la
violazione dell'art. 117 Cost. si fa decisamente piu' grave.
   Nella denegata ipotesi, poi, in cui codesta ecc.ma Corte ritenesse
conforme al riparto materiale di competenze di cui all'art. 117 Cost.
la  previsione  di  cui al primo comma dell'art. 43 valorizzando la -
quanto  meno dichiarata - finalita' di «rafforzamento della struttura
produttiva  del  Paese»,  ciononostante  essa  non  potrebbe superare
positivamente il vaglio del Giudice delle leggi.
   La  regione  ricorrente  lamenta,  infatti, in via subordinata, la
mancanza,  nel  caso  di  specie,  di  forme  di  raccordo e di leale
collaborazione degne di questo nome.
   Se  e'  pur  vero che il legislatore statale ha previsto che prima
dell'emanazione   del  decreto  del  Ministro  si  debba  sentire  la
Conferenza   permanente   per   i   rapporti  tra  Stato-regioni,  e'
altrettanto  evidente che non si tratta di una previsione sufficiente
a legittimare una deroga tanto forte al normale riparto di competenze
fra  Stato  e regioni e la conseguente «attrazione in sussidiarieta'»
da  parte  dello  Stato  della  relativa disciplina (cfr., ex multis,
Corte  cost.,  sent.,  14  marzo  2008,  n. 63; Corte cost., sent., l
ottobre  2003,  n. 303;  Corte  cost., sent., 24 giugno 2005, n. 242;
Corte cost., sent., l giugno 2006, n. 214).
   E  cio'  tanto  piu' ave si consideri che la mancata previsione di
una  previa  intesa  consentira'  sempre  allo  Stato,  in futuro, di
modificare la regolamentazione del caso senza necessita' di tornare a
coinvolgere la Conferenza Stato-regioni.
   Alla  luce  di  quanto  esposto,  si chiede, pertanto, che codesto
ecc.mo  Collegio  voglia  dichiarare  l'illegittimita' costituzionale
dell'articolo  43,  comma l, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112
cosi'  come risultante a seguito della conversione con legge 6 agosto
2008,  n. 133,  per  contrasto  con l'art. 117, terzo e quarto comma,
Cost.,  o,  in via subordinata, per violazione del principio di leale
collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.
   5.  -  La  Regione  Veneto  ritiene,  poi, che anche l'art. 58 del
decreto-legge  25 giugno 2008, n. 112 cosi' come risultante a seguito
della conversione con legge 6 agosto 2008, n. 133, sia da dichiararsi
illegittimo per contrasto con il dettato costituzionale.
   Rubricato    «Ricognizione   e   valorizzazione   del   patrimonio
immobiliare  di  regioni  comuni  ed  altri  enti locali», in esso si
stabilisce  testualmente che: «1. Per procedere al riordino, gestione
e  valorizzazione  del  patrimonio  immobiliare di regioni, province,
comuni  e altri enti locali, ciascun ente con delibera dell'organo di
Governo individua, redigendo apposito elenco, sulla base e nei limiti
della  documentazione  esistente  presso i propri archivi e uffici, i
singoli  beni  immobili  ricadenti  nel territorio di competenza, non
strumentali   all'esercizio  delle  proprie  funzioni  istituzionali,
suscettibili  di  valorizzazione  ovvero  di dismissione. Viene cosi'
redatto  il  piano  delle  alienazioni  e  valorizzazioni immobiliari
allegato al bilancio di previsione.
   2.   L'inserimento  degli  immobili  nel  piano  ne  determina  la
conseguente  classificazione come patrimonio disponibile e ne dispone
espressamente  la  destinazione  urbanistica;  la  deliberazione  del
consiglio  comunale  di  approvazione  del  piano delle alienazioni e
valorizzazioni   costituisce   variante  allo  strumento  urbanistico
generale.  Tale  variante, in quanto relativa a singoli immobili, non
necessita   di  verifiche  di  conformita'  agli  eventuali  atti  di
pianificazione  sovraordinata  di  competenza  delle province e delle
regioni.  La  verifica  di  conformita'  e' comunque richiesta e deve
essere  effettuata entro il termine perentorio di trenta giorni dalla
data  di ricevimento della richiesta, nei casi di varianti relative a
terreni   classificati  come  agricoli  dallo  strumento  urbanistico
generale   vigente,   ovvero   nei  casi  che  comportano  variazioni
volumetriche  superiori  al  10  per  cento  dei  volumi previsti dal
medesimo strumento urbanistico vigente.
   3.  Gli elenchi di cui al comma 1, da pubblicare mediante le forme
previste  per ciascuno di tali enti, hanno effetto dichiarativo della
proprieta',  in  assenza  di precedenti trascrizioni, e producono gli
effetti  previsti  dall'art.  2644 del codice civile, nonche' effetti
sostitutivi dell'iscrizione del bene in catasto.
   4.   Gli   uffici   competenti  provvedono,  se  necessario,  alle
conseguenti attivita' di trascrizione, intavolazione e voltura.
   5.  Contro  l'iscrizione del bene negli elenchi di cui al comma 1,
e'   ammesso  ricorso  amministrativo  entro  sessanta  giorni  dalla
pubblicazione, fermi gli altri rimedi di legge.
   6.  La procedura prevista dall'articolo 3-bis del decreto-legge 25
settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23
novembre  2001, n. 410, per la valorizzazione dei beni dello Stato si
estende  ai beni immobili inclusi negli elenchi di cui al comma 1. In
tal  caso,  la  procedura prevista al comma 2 dell'articolo 3-bis del
citato  decreto-legge  n. 351 del 2001 si applica solo per i soggetti
diversi  dai  Comuni e l'iniziativa rimessa all'Ente proprietario dei
beni da valorizzare. I bandi previsti dal comma 5 dell'articolo 3-bis
del  citato  decreto-legge n. 351 del 2001 sono predisposti dall'Ente
proprietario dei beni da valorizzare.
   7. - I soggetti di cui al comma 1 possono in ogni caso individuare
forme  di  valorizzazione  alternative,  nel rispetto dei principi di
salvaguardia   dell'interesse   pubblico  e  mediante  l'utilizzo  di
strumenti competitivi.
   8. - Gli enti proprietari degli immobili inseriti negli elenchi di
cui  al  comma  1  possono  conferire  i  propri  beni immobili anche
residenziali  a  fondi  comuni  di  investimento  immobiliare  ovvero
promuoverne  la costituzione secondo le disposizioni degli articoli 4
e  seguenti  del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito,
con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 410.
   9.  -  Ai  conferimenti  di cui al presente articolo, nonche' alle
dismissioni  degli  immobili inclusi negli elenchi di cui al comma 1,
si  applicano  le  disposizione  dei  commi  18  e 19 dell'art. 3 del
decreto-legge    25   settembre   2001,   n. 351,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 410».
   In  particolare  la  Regione  Veneto  lamenta  la  contrarieta'  a
Costituzione  della previsione che attribuisce alla deliberazione del
Consiglio  comunale  di  approvazione  del  piano  di  alienazione  e
valorizzazione  del  proprio patrimonio il carattere di variante allo
strumento  urbanistico  generale,  senza  necessita'  di verifiche di
conformita'  agli  eventuali  atti di pianificazione sovraordinata di
provincia  e  regione (se non nei casi di varianti relative a terreni
agricoli  ovvero  nei  casi  che  comportano  variazioni volumetriche
superiori  al  10%  dei  volumi  previsti dallo strumento urbanistico
vigente).
   Le  disposizioni  normative impugnate possono, senza alcun dubbio,
inquadrarsi   nella  materia  «governo  del  territorio»,  ricompresa
nell'elenco di cui all'art. 117, terzo comma, Cost.
   Trattandosi,   dunque,   di   materia  di  competenza  legislativa
concorrente  tra  Stato  e  regioni, «spetta alle regioni la potesta'
legislativa,   salvo   che   per   la   determinazione  dei  principi
fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato».
   Ora,  non  si vede come la previsione specifica ed autoapplicativa
contenuta  nella disposizione impugnata possa considerarsi «principio
fondamentale»,  e come essa possa considerarsi rispettosa del riparto
di   competenze   disegnato   dalla   Costituzione  dal  momento  che
comportera'  il  discutibilissimo  risultato  di  porre  nel nulla la
pianificazione territoriale regionale mediante il provvedimento di un
ente territoriale minore.
   Alla  luce  di  quanto  esposto,  si chiede, pertanto, che codesto
ecc.mo  Collegio  voglia  dichiarare  l'illegittimita' costituzionale
dell'articolo 58 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, cosi' come
risultante  a  seguito  della  conversione  con  legge 6 agosto 2008,
n. 133, per contrasto con l'art. 117, terzo comma, Cost.
   6.  -  E'  giunto  il momento di occuparsi dell'art. 61, rubricato
«Ulteriori  misure di riduzione della spesa ed abolizione della quota
di   partecipazione   al  costo  per  le  prestazioni  di  assistenza
specialistica»,  di  cui si impugnano i soli commi 8, 9, 14, 19, 20 e
21.
   6.1 - Si inizia con il considerare le disposizioni di cui ai commi
8 e 9 dell'art. 61.
   Il  comma  8  prevede  che  a  decorrere  dal  1°  gennaio 2009 la
percentuale,  non  superiore  al  due per cento, dell'importo posto a
base  di  gara di un'opera o di un lavoro che, ai sensi dell'art. 92,
comma  5,  del  codice  dei  contratti  pubblici (d.lgs. n. 163/2006)
veniva  ripartita  a favore del responsabile del procedimento e degli
incaricati  della redazione del progetto, della direzione dei lavori,
del  collaudo e dei loro collaboratori, venga, invece, destinata solo
per lo 0,5% al fine indicato dal richiamato art. 92 e per il restante
1,5% venga versata in un capitolo di entrata del bilancio statale.
   Al  comma  9,  invece, il legislatore statale stabilisce che il 50
per   cento   del  compenso  spettante  al  dipendente  pubblico  per
l'attivita'  di  componente o segretario di un collegio arbitrale sia
versato  in  un  apposito  capitolo del bilancio dello Stato, al fine
della   sua  riassegnazione  per  il  finanziamento  del  trattamento
economico  accessorio dei dirigenti ovvero ai fondi perequativi degli
organi di autogoverno del personale di magistratura e dell'Avvocatura
dello   Stato.   Il   medesimo   dettato   normativo  trova  altresi'
applicazione   al  compenso  spettante  al  dipendente  pubblico  per
l'attivita'  di  collaudo  in  materia  di  lavori  pubblici.  Infine
rientrano  nell'ambito  oggettivo della disposizione anche i compensi
per  l'attivita'  di arbitrato o di collaudo non ancora riscossi alla
data di entrata in vigore della legge di conversione.
   Con  riguardo  alle  due  disposizioni  normative  richiamate,  la
regione  ricorrente  lamenta la violazione dell'autonomia finanziaria
regionale di cui all'art. 119 Cost.
   Se  e'  ben  vero  che il legislatore statale non ha espressamente
previsto  che  le  suddette  disposizioni  si  riferiscano anche alle
Regioni  e  agli enti locali, tuttavia il richiamo all'art. 92, comma
5,   del   codice   dei   contratti  pubblici  riferito  a  tutte  le
amministrazioni  aggiudicatrici rende obiettivamente incerto l'ambito
soggettivo di applicazione della disciplina impugnata.
   E'   evidente  che  qualora  lo  Stato  esigesse  l'attuazione  di
quest'ultima  anche  nei confronti delle regioni e degli enti locali,
cio' concreterebbe una grave violazione dell'art. 119 Cost.
   Non  solo,  infatti,  l'art.  61,  commi  8  e 9, pone dei vincoli
puntuali  e  significativi alle voci di spesa dei bilanci regionali e
locali  contrari  a Costituzione (dal momento che non si traducono in
un «limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia liberta' di
allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa»,
cosi'  Corte  cost.,  sent.,  26  gennaio  2004,  n. 36),  ma dispone
unilateralmente  che le risorse intercettate dalle norme confluiscano
nel bilancio statale.
   Tanto  premesso,  la regione ricorrente ritiene opportuno adire la
Corte    costituzionale   affinche',   ove   quest'ultima   ritenesse
applicabili  disposti  di  cui  all'art.  61, commi 8 e 9, anche alle
regioni  e gli enti locali, ne dichiari in parte qua l'illegittimita'
costituzionale per violazione dell'art. 119 Cost.
   6.2.  -  Si  vengono  ora  a considerare congiuntamente le censure
relative  alle disposizioni normative di cui ai commi 14, 19, 20 e 21
dell'art.  61,  trattandosi  di  previsioni  legislative  presentanti
tutte,  pur  nelle  inevitabili  specificita',  i medesimi profili di
contrasto al dettato costituzionale.
   Nel  comma 14 il legislatore statale ha previsto che: «A decorrere
dalla data di conferimento o di rinnovo degli incarichi i trattamenti
economici  complessivi  spettanti ai direttori generali, ai direttori
sanitari,  e  ai direttori amministrativi, ed i compensi spettanti ai
componenti  dei  collegi  sindacali  delle  aziende sanitarie locali,
delle  aziende  ospedaliere, delle aziende ospedaliero universitarie,
degli  istituti  di  ricovero  e cura a carattere scientifico e degli
istituti  zooprofilattici sono rideterminati con una riduzione del 20
per  cento  rispetto all'ammontare risultante alla data del 30 giugno
2008».
   Il  comma  19, invece, recita: «Per gli anni 2009, 2010 e 2011, la
quota  di  partecipazione  al  costo per le prestazioni di assistenza
specialistica  ambulatoriale  per  gli assistiti non esentati, di cui
all'articolo  l, comma 796, lettera p), primo periodo, della legge 27
dicembre  2006,  n. 296,  e' abolita. Resta fermo quanto previsto dal
comma 21 del presente articolo».
   Mentre  il comma 20 stabilisce che: «Ai fini della copertura degli
oneri  derivanti  dall'attuazione  del  comma  19:  a) il livello del
finanziamento  del  Servizio  sanitario  nazionale  al quale concorre
ordinariamente  lo  Stato,  di  cui  all'articolo  79,  comma  1, del
presente  decreto,  e'  incrementato  di  400 milioni di euro su base
annua  per  gli  anni 2009, 2010 e 2011; b) le regioni: l) destinano,
ciascuna   al   proprio  servizio  sanitario  regionale,  le  risorse
provenienti  dalle  disposizioni di cui ai commi 14 e 16; 2) adottano
ulteriori misure di incremento dell'efficienza e di razionalizzazione
della  spesa, dirette a realizzare la parte residuale della copertura
degli oneri derivanti dall'attuazione del comma 19».
   Infine  il  comma  21 stabilisce che, in luogo dell'adozione delle
misure, tra le altre, di cui al comma 14 e al numero 2) della lettera
b)  del  comma  20,  le  regioni  possano  applicare  altre  forme di
partecipazione  dei cittadini alla spesa sanitaria purche' di effetto
equivalente.
   Le  previsione  normative  richiamate  devono  evidentemente tutte
inquadrarsi  a  cavallo  tra  le  materie «tutela della salute» e, in
particolare,  «armonizzazione  dei  bilanci  pubblici e coordinamento
della  finanza  pubblica e del sistema tributario», che - come noto -
sono  ambiti  di potesta' legislativa concorrente, relativamente alla
cui  disciplina, quindi, allo Stato spetta la fissazione dei principi
fondamentali,   mentre  alla  regione  compete  la  fissazione  della
normativa di dettaglio (art. 117, terzo comma, Cost.).
   La  complessa  disciplina  impugnata,  tuttavia,  non  puo' essere
considerata  norma  di principio volta al coordinamento della finanza
pubblica,  visto,  anzi,  il  suo carattere estremamente dettagliato,
particolarmente  evidente  laddove  essa determina in una percentuale
fissa la riduzione dei trattamenti economici spettanti ai direttori e
ai  componenti  dei  collegi sindacali delle aziende sanitarie locali
(comma  14).  Essa,  pertanto,  e' in contrasto con l'art. 117, terzo
comma, Cost.
   Ma  non basta: le disposizioni impugnate risultano tutte contrarie
anche all'art. 119 Cost.
   Per  quanto riguarda in particolare il comma 14, esso introduce un
limite  puntuale ad una singola voce di spesa, violando, cosi', oltre
all'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,  anche  l'autonomia finanziaria
regionale di spesa garantita e tutelata dall'art. 119 Cost.
   Nella  giurisprudenza  di  codesta ecc.ma Corte e', infatti, ormai
consolidato  l'orientamento  secondo  cui  «norme statali che fissano
limiti   alla  spesa  delle  regioni  e  degli  enti  locali  possono
qualificarsi  principi  fondamentali  di  coordinamento della finanza
pubblica  alla  seguente  duplice  condizione: in primo luogo, che si
limitino a porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel
senso  di  un  transitorio  contenimento  complessivo,  anche  se non
generale,  della  spesa corrente; in secondo luogo, che non prevedano
in  modo  esaustivo  strumenti  o  modalita' per il perseguimento dei
suddetti obiettivi» (cfr. Corte cost., sent., 26 gennaio 2004, n. 36;
Corte cost., sent., l 7 dicembre 2004, n. 390; Corte cost., sent., 14
novembre  2005, n. 417; Corte cost., sent., 15 dicembre 2005, n. 449;
Corte  cost.,  sent.,  10  marzo  2006, n. 88; Corte cost., sent., 17
maggio  2007,  n. 169; Corte cost., sent., 5 dicembre 2007, n. 412 e,
da ultimo in Corte cost., sent., 24 aprile 2008, n. 120).
   Le  previsioni  di  cui  ai  commi 19 e 20 e 21, invece, risultano
lesive  del principio di autonomia finanziaria delle regioni sotto il
profilo   delle  entrate.  Menomata  ne  esce,  infatti,  l'autonomia
finanziaria  regionale  relativamente  al  reperimento  di risorse da
destinare  alla  gestione  di  un  settore, quello della tutela della
salute,  nel  quale  sono  molto  ampie  le  competenze legislative e
amministrative dell'ente ricorrente.
   In poco piu' di un anno e mezzo, a partire dalla legge finanziaria
per  il  2007  fino  all'approvazione  del provvedimento portato oggi
all'attenzione  della Consulta, il legislatore statale e' intervenuto
ben  cinque  volte  -  per  altro in modo incoerente - pretendendo di
imporre  alle  regioni i mezzi con i quali realizzare un contenimento
della  spesa  sanitaria,  anziche'  limitarsi a stabilire l'obiettivo
finanziario,   fissando   l'importo  di  manovra,  per  lasciare  poi
all'autonomia regionale il compito di attuare il fine prefissato.
   Il  riferimento  e'  alle previsioni di cui all'art. 1, comma 796,
lett.  p), primo periodo, della legge finanziaria 2007 (impugnate con
ricorso  n. 10/07),  all'art.  6-quater del decreto-legge 28 dicembre
2006,  n. 300  cosi'  come  convertito  della legge 26 febbraio 2007,
n. 17   (impugnato   con   ricorso   n. 21/07),  all'art.  l-bis  del
decreto-legge  20  marzo  2007,  n. 23 convertito con legge 17 maggio
2007,  n. 64 (impugnato con ricorso n. 32/07), all'art. 2, comma 376,
della  legge  24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008) e, da
ultimo, alle disposizioni impugnate con l'odierno ricorso.
   La  violazione  dell'autonomia di reperimento delle risorse non si
realizza,  infatti,  esclusivamente  con  l'imposizione  di un ticket
fisso  sulle  prestazioni  sanitarie,  ma - come previsto proprio nei
commi  19,  20  e  21  qui  oggetto  di censura - anche imponendo che
l'importo  di  manovra  individuato  dallo Stato si realizzi mediante
«misure  di  partecipazione  al costo delle prestazioni sanitarie» ad
esclusione di ogni altra modalita'.
   Alla  luce  di  quanto  esposto,  si chiede, pertanto, che codesto
ecc.mo  Collegio  voglia  dichiarare  l'illegittimita' costituzionale
dell'articolo  61,  commi 14, 19, 20 e 21 del decreto-legge 25 giugno
2008,  n. 112  cosi'  come risultante a seguito della conversione con
legge  6  agosto  2008,  n. 133,  per contrasto con gli articoli 117,
terzo comma, e 119 Cost.
   7.  -  Per affinita' di materia, si ritiene opportuno trattare ora
delle  specifiche  censure  sollevate  dalla  Regione  ricorrente con
riferimento   ai   commi   l-bis  e  l-ter  dell'art.  79,  rubricato
«Programmazione delle risorse per la spesa sanitaria».
   Le  disposizioni  normative  impugnate  testualmente prevedono, al
comma   l-bis,   che:   «Per  gli  anni  2010  e  2011  l'accesso  al
finanziamento  integrativo  a  carico dello Stato derivante da quanto
disposto  dal  comma l, rispetto al livello di finanziamento previsto
per  l'anno 2009, e' subordinato alla stipula di una specifica intesa
fra  lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano,
ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131,
da  sottoscrivere  entro  il  31 ottobre 2008, che, ad integrazione e
modifica  dell'accordo  Stato-regioni  dell'8 agosto 2001, pubblicato
nella  Gazzetta  Ufficiale  n. 207  del 6 settembre 2001, dell'intesa
Stato-regioni del 23 marzo 2005, pubblicata nel supplemento ordinario
alla  Gazzetta  Ufliciale  n. 105  del  7  maggio  2005 e dell'intesa
Stato-regioni  relativa al Patto per la salute del 5 ottobre 2006, di
cui   al  provvedimento  5  ottobre  2006,  n. 2648,  pubblicato  nel
supplemento  ordinario  alla Gazzetta Ufficiale n. 256 del 3 novembre
2006,  contempli  ai  fini  dell'efficentamento  del  sistema  e  del
conseguente contenimento della dinamica dei costi, nonche' al fine di
non determinare tensioni nei bilanci regionali extrasanitari e di non
dover  ricorrere  necessariamente  all'attivazione della leva fiscale
regionale: a) una riduzione dello standard dei posti letto, diretto a
promuovere   il  passaggio  dal  ricovero  ospedaliero  ordinario  al
ricovero  diurno  e  dal  ricovero  diurno  all'assistenza  in regime
ambulatoriale;  b)  l'impegno  delle regioni, anche con riferimento a
quanto previsto dall'articolo l, comma 565, lettera c) della legge 27
dicembre   2006,   n. 296,   in   connessione   con   i  processi  di
riorganizzazione,  ivi  compresi  quelli  di  razionalizzazione  e di
efficentamento  della rete ospedaliera, alla riduzione delle spese di
personale   degli   enti   del  Servizio  sanitario  nazionale  anche
attraverso:  1)  la  definizione di misure di riduzione stabile della
consistenza  organica  del  personale  in  servizio  e di conseguente
ridimensionamento  dei  fondi della contrattazione integrativa di cui
ai  contratti  collettivi  nazionali  del  predetto  personale; 2) la
fissazione di parametri standard per l'individuazione delle strutture
semplici  e  complesse,  nonche'  delle  posizioni organizzative e di
coordinamento  rispettivamente  delle  aree  della  dirigenza  e  del
personale del comparto del Servizio sanitario nazionale, nel rispetto
comunque   delle   disponibilita'   dei  fondi  della  contrattazione
integrativa, cosi' come rideterminati ai sensi di quanto previsto dal
numero 1); c) l'impegno delle regioni, nel caso in cui si profili uno
squilibrio di bilancio del settore sanitario, ad attivare anche forme
di  partecipazione  al costo delle prestazioni sanitarie da parte dei
cittadini,  ivi  compresi  i  cittadini  a qualsiasi titolo esenti ai
sensi   della   vigente   normativa,  prevedendo  altresi'  forme  di
attivazione  automatica  in  corso  d'anno  in caso di superamento di
soglie  predefinite di scostamento dall'andamento programmatico della
spesa».
   Mentre al comma l-ter si prevede che: «Qualora non venga raggiunta
l'Intesa  di  cui  al  comma  l-bis  entro il 31 ottobre 2008, con la
procedura  di  cui all'articolo 1, comma 169, della legge 30 dicembre
2004,  n. 311,  previa  intesa  con  la  Conferenza  permanente per i
rapporti  tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e
di  Bolzano,  sono  fissati  lo standard di dotazione dei posti letto
nonche'  gli ulteriori standard necessari per promuovere il passaggio
dal  ricovero ospedaliero ordinario al ricovero diurno e dal ricovero
diurno   all'assistenza   in  regime  ambulatoriale  nonche'  per  le
finalita' di cui al comma l-bis, lettera b) del presente articolo».
   In  sostanza  il legislatore statale, al comma l-bis, ha stabilito
che  l'accesso  al finanziamento integrativo a carico dello Stato per
gli  anni  2010  e 2011 sia subordinato alla stipula di una specifica
intesa  fra  lo  Stato  e  le  regione  e  le  province  autonome che
contempli, «ai fini dell'efficentamento del sistema e del conseguente
contenimento  della  dinamica  dei  costi  nonche'  al  fine  di  non
determinare tensioni nei bilanci regionali extrasanitari di non dover
ricorrere necessariamente alla leva fiscale regionale»: una riduzione
dello  standard  dei posti letto (lett. a); una riduzione delle spese
di  personale (lett. b); l'impegno delle regioni ad attuare, anche in
via  automatica,  forme  di partecipazione al costo delle prestazioni
sanitarie  da  parte  dei cittadini, ivi compresi gli esentati (lett.
c).
   Mentre  al  comma  1-ter si prevede che, in caso di mancata intesa
entro  il  31  ottobre  2008,  sia direttamente lo Stato a provvedere
mediante  il  procedimento  di cui all'art. l, comma 169, della legge
n. 311/04 e previa intesa in Conferenza Stato-regioni.
   Le norme in esame violano, innanzitutto, l'art. 117, quarto comma,
Cost.,  nella  parte in cui finiscono per intervenire in una materia,
quella   dell'«organizzazione  amministrativa  della  regione  e  del
personale  regionale  e degli enti strumentali, ivi compresi gli enti
del  Servizio sanitario nazionale», che, non essendo elencata ne' tra
quelle  di  potesta'  legislativa  esclusiva  dello  Stato (art. 117,
secondo  comma,  Cost.),  ne'  tra  quelle  di  potesta'  legislativa
concorrente  (art.  117,  terzo  comma,  Cost.),  non puo' che essere
ascritta alla potesta' legislativa residuale della regione.
   D'altra  parte,  anche  inquadrando  le  disposizioni normative de
quibus   nella   materia   «armonizzazione  dei  bilanci  pubblici  e
coordinamento  della  finanza  pubblica  e  del  sistema tributario»,
materia  di  potesta' legislativa concorrente (art. 117, terzo comma,
Cost.), esse non si sottrarrebbero, comunque, visto il loro carattere
dettagliato,  ad  una  censura per violazione dell'art. 117, comma 3,
Cost.  dal  momento  che  in  esso  si  impone  che, nelle materie di
potesta'  legislativa concorrente, lo Stato si limiti a determinare i
principi fondamentali regolatori della materia.
   La  disposizione  di  cui al comma l-bis, in particolare, infatti,
non puo' essere considerata norma di principio volta al coordinamento
della  finanza pubblica, dal momento che essa indica puntualmente gli
interventi  di  riduzione  della  spesa  che  la regione, con intesa,
dovra' impegnarsi ad attuare. Mentre l'art. l-ter addirittura prevede
che,  in  caso  di  mancata  stipulazione dell'intesa di cui al comma
l-bis,  la  determinazione  dettagliata  degli interventi di recupero
risorse  e  tagli di spesa spetti allo Stato, il coinvolgimento delle
regioni  essendo  ridotto  all'espressione di un'intesa in Conferenza
Stato-regioni.
   Sia  che  le  richiamate  disposizioni vengano inquadrate nell'una
materia   (di   potesta'  legislativa  residuale),  sia  che  vengano
inquadrate  nell'altra  (di  potesta'  legislativa concorrente), esse
comunque violano l'art. 119 Cost.
   Tali  norme,  infatti, nel porre limiti a singole determinate voci
di spesa (quella sui ricoveri e sulle spese di personale), violano la
piena  autonomia  di  spesa  delle  regioni,  che  conferisce loro la
liberta' di scegliere quali spese limitare a vantaggio di altre.
   A proposito di quest'ultima censura, la regione ricorrente ritiene
opportuno  far  seguire qualche considerazione con specifico riguardo
all'imposta riduzione delle spese di personale sanitario.
   E'  noto,  infatti,  l'orientamento  di  codesta  ecc.ma Corte sul
punto: la spesa per il personale non potrebbe essere considerata come
una  singola  voce  di bilancio, dal momento che si tratterebbe di un
«rilevante  aggregato  della  spesa  concorrente»  (cfr. Corte cost.,
sent., 17 maggio 2007, n. 169).
   Sembra  opportuno  rilevare, tuttavia, che, per quanto «rilevante»
il suddetto aggregato si individua in una singola voce di spesa e non
si  risolve  nella  totalita' della stessa, con il risultato che, per
quanto  in  un  «range» piuttosto ampio, lo Stato non ha disposto una
limitazione  generale  a tutte le spese correnti regionali, limitando
di fatto la possibilita' di scelta delle regioni.
   Non  si  puo' tralasciare, inoltre, di sottoporre a codesto ecc.mo
Collegio  una rapida considerazione circa i margini di autonomia che,
imposta  la  riduzione  delle  spese  per  il personale, in concreto,
residua in capo agli enti in ordine a tale voce.
   Si  consideri,  infatti,  che  le spese per il personale sono, nei
fatti,  in  larga  parte  vincolate,  dal  momento che sono destinate
principalmente    alle    retribuzioni   dei   dipendenti   a   tempo
indeterminato.  Ne  consegue  che,  per  limitare  la «macro» voce di
spesa,  le  regioni  non  potranno  far altro che limitare o bloccare
l'avvicendamento  nei  posti  a  tempo  indeterminato  o contenere il
ricorso ai rapporti di lavoro a tempo determinato; soluzioni entrambe
che  lasciano  davvero ben poco margine di scelta alle c.d. autonomie
regionali!
   Da   quanto   fin  qui  rilevato,  poi,  sembra  evidente  che  le
disposizioni  normative  impugnate  si pongono anche in contrasto con
l'art.   118   Cost.   dal   momento   che   finiscono  per  incidere
sull'autonomia organizzativa e di programmazione dell'attivita' degli
enti oggetto dei suddetti limiti di spesa.
   Con riguardo, infine, in particolare, al comma l-bis, lettere a) e
b)  non  puo'  non rilevarsi, inoltre, la violazione degli artt. 32 e
97,  comma  l,  della  Costituzione,  che  -  come  noto  - tutelano,
rispettivamente,  «la salute come fondamentale diritto dell'individuo
e   interesse   della  collettivita'»  e  il  «buon  andamento  (...)
dell'amministrazione».  Le  citate  disposizioni  normative, infatti,
impongono,  la  prima,  una  riduzione dello standard dei posti letto
diretto  a  sostituire  al  ricovero  ordinario  quello  diurno  e  a
quest'ultimo  quello ambulatoriale, quando la situazione dei ricoveri
e' gia' in molte strutture drammaticamente insufficiente a soddisfare
la  tutela della salute del paziente; la seconda, una riduzione delle
spese  di personale del S.S.N. che non potra' che riverberarsi in una
peggiore assistenza ai malati.
   Anche  la  lettera  c) del comma l-bis, poi, si connota per la sua
contrarieta'  all'art.  119  Cost.,  sotto  il profilo dell'autonomia
delle  regioni  nel reperimento di risorse finanziarie, e all'art. 32
Cost.,  dal  momento  che prevede l'impegno delle regioni ad attuare,
anche  in  via  automatica,  misure  di partecipazione al costo delle
prestazioni  sanitarie  anche a soggetti esentati, ossia persone gia'
in  particolare  difficolta' per ragioni economiche o strettamente di
salute.
   Pertanto  si  chiede che codesto ecc.mo collegio voglia dichiarare
l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  79, commi l-bis e l-ter,
del  decreto-legge  25  giugno  2008,  n. 112 cosi' come risultante a
seguito  della  conversione  con  legge  6  agosto  2008, n. 133, per
contrasto  con  gli  arti.  32,  97,  117,  comma  4, 118 e 119 della
Costituzione  o,  in  via subordinata, per violazione degli artt. 32,
97, 117, comma 3, 118 e 119 della Costituzione.
   8.  -  E'  giunto  il  momento, infine, di denunciare i profili di
illegittimita'  costituzionale  rilevati  con  riguardo  all'art. 62,
commi  01,  l, 2, e 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 cosi'
come  risultante a seguito della conversione con legge 6 agosto 2008,
n. 133.
   Rubricato   «Contenimento  dell'uso  degli  strumenti  derivati  e
dell'indebitamento  delle  regioni  e degli enti locali», premesso al
comma  0l  che «Le norme del presente articolo costituiscono principi
fondamentali  per  il  coordinamento  della finanza pubblica ai sensi
degli  articoli  117,  terzo  comma,  e  119,  secondo  comma,  della
Costituzione», esso prevede che: «l. Ai fini della tutela dell'unita'
economica   della   Repubblica   e   nel  rispetto  dei  principi  di
coordinamento della finanza pubblica previsti agli articoli 119 e 120
della  Costituzione, alle regioni, alle province autonome di Trento e
Bolzano  e  agli  enti locali e' fatto divieto di stipulare fino alla
data  di  entrata  in  vigore  del  regolamento  di cui al comma 2, e
comunque  per  il periodo di un anno decorrente dalla data di entrata
in  vigore  del  presente  decreto, contratti relativi agli strumenti
finanziari derivati previsti all'articolo l, comma 3, del testo unico
delle  disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui
al  decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, nonche' di ricorrere
all'indebitamento attraverso contratti che non prevedano modalita' di
rimborso  mediante  rate  di  ammortamento  comprensive di capitale e
interessi.  La  durata  dei  piani  di  ammortamento  non puo' essere
superiore   a   trent'anni,  ivi  comprese  eventuali  operazioni  di
rifinanziamento o rinegoziazione ammesse dalla legge. Per gli enti di
cui  al presente comma, e' esclusa la possibilita' di emettere titoli
obbligazionari  o altre passivita' con rimborso del capitale in unica
soluzione alla scadenza.
   2.  Il  Ministro  dell'economia  e delle finanze, sentite la Banca
d'Italia  e  la Commissione nazionale per le societa' e la borsa, con
regolamento  da  emanarsi  ai  sensi dell'articolo 17, comma 3, della
legge  23  agosto  1988, n. 400, individua la tipologia dei contratti
relativi  a  strumenti  finanziari  derivati che i soggetti di cui al
comma  1 possono stipulare e stabilisce i criteri e le condizioni per
la conclusione delle relative operazioni.
   3. Restano salve tutte le disposizioni in materia di indebitamento
delle  regioni,  delle  province autonome di Trento e Bolzano e degli
enti  locali  che  non  siano  in  contrasto  con le disposizioni del
presente articolo».
   Le  disposizioni  normative impugnate si muovono nell'ambito della
materia   «coordinamento   della  finanza  pubblica»,  di  competenza
legislativa concorrente ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost.
   Lo   Stato,   pero',   anziche'  limitarsi  a  porre  i  «principi
fondamentali»  della  disciplina, si spinge ad impedire alle regioni,
alle province autonome e agli enti locali, fino all'entrata in vigore
del  regolamento  di  cui  al  comma  2  e,  comunque,  per  un  anno
dall'entrata in vigore del provvedimento in esame, la stipulazione di
contratti  relativi  a  strumenti  finanziari  derivati,  nonche'  di
ricorrere  all'indebitamento  attraverso  contratti che non prevedano
modalita'  di  rimborso  mediante  rate  di  rimborso  comprensive di
capitale  e interessi, e prevedendo, inoltre, che la durata dei piani
di  ammortamento non possa superare i trent'anni. E certo a confutare
questo   dato  di  fatto  non  puo'  essere  l'autoqualificazione  di
«principi   fondamentali»   predisposta   dal   legislatore   statale
all'impugnato comma 01.
   Da  cio',  dunque, deriva, innanzitutto, la lesione dell'art. 117,
terzo comma, Cost.
   Ma  l'art.  62,  al  secondo comma, viola anche il disposto di cui
all'art.  117,  sesto  comma,  Cost.,  dal  momento  che in un ambito
materiale  di  competenza legislativa non esclusiva statale, affida a
un   regolamento   l'individuazione  della  tipologia  dei  contratti
relativi  a  strumenti finanziari che regioni, province e enti locali
potranno stipulare e la determinazione dei criteri e delle condizioni
per la conclusione delle relative operazioni.
   Ma  la  violazione del dettato costituzionale forse piu' evidente,
nella fattispecie sottoposta al vaglio di codesto ecc.mo Collegio, e'
quella dell'art. 119 Cost.
   Dal  divieto  imposto  a  regioni,  province  ed  enti  locali  di
stipulare  contratti  su strumenti derivati e dalle altre restrizioni
all'accesso  al  mercato  finanziario  derivanti  direttamente  dalle
disposizioni   impugnate   (si   pensi   al   divieto   di  ricorrere
all'indebitamento  mediante  contratti  che non prevedano determinate
modalita'  di  rimborso)  e  potenzialmente  conseguenti all'emanando
regolamento  di  cui  al comma 2 dell'art. 62, discende, infatti, una
rilevante    compressione    dell'autonomia   finanziaria   regionale
relativamente al reperimento di risorse e, in particolare, al ricorso
all'indebitamento,  relativamente al quale l'unico limite posto dalla
Costituzione  e'  che  esso  sia  finalizzato  a  finanziare spese di
investimento.
   Non  basta:  le  previsioni  normative  impugnate  si  pongono  in
contrasto  anche  con  gli  artt.  97  e  118 Cost. Esse impediscono,
infatti, alla Regione di disporre di mezzi utili per la copertura dal
rischio  di  tasso  e per il conseguente contenimento della spesa per
oneri  finanziari  (tenendo  conto  anche del fatto che le previsioni
tutt'ora vigenti, in particolare quelle di cui al d.lgs. n. 58/98, al
d.m. n. 389/2003 e alla finanziaria per il 2007, appaiono sufficienti
a garantire l'uso di strumenti derivati sicuri e non speculativi).
   Infine,  nella  denegata  ipotesi che codesta ecc.ma Corte dovesse
ritenere  di qualificare come «principi fondamentali» le disposizioni
impugnate,   la   regione   ricorrente  chiede  che  l'illegittimita'
costituzionale venga dichiarata per violazione del principio di leale
collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.
   Sembra  impossibile,  infatti,  che  un  intervento tanto incisivo
dello Stato in ambiti relativamente ai quali la competenza regionale,
legislativa  e  finanziaria, e' amplissima possa imporsi alle regioni
senza che esse siano state minimamente coinvolte nella determinazione
della  previsione  impugnata  o  che  sia  prevista  quanto  meno  la
necessita', prima dell'emanazione del regolamento di cui all'art. 62,
comma 2, di un parere della Conferenza Stato-regioni.
   A  questo  proposito  sembra  interessante  evidenziare  che anche
codesta  ecc.ma Corte ha ritenuto che analoghi interventi dello Stato
in  materia finanziaria non possano prescindere da una qualche forma,
seppur  anche  minima  (come  quella del mero parere preventivo della
Conferenza  Stato-regioni),  di confronto con le regioni che - non lo
si  dimentichi  -  da  tali  provvedimenti vedono menomata la propria
autonomia (cfr. Corte cost., sent., 30 dicembre 2003, n. 376).
   Alla  luce  di  quanto  esposto,  si chiede, pertanto, che codesto
ecc.mo  Collegio  voglia  dichiarare  l'illegittimita' costituzionale
dell'articolo  62,  commi  01,  l, 2 e 3, del decreto-legge 25 giugno
2008,  n. 112  cosi'  come risultante a seguito della conversione con
legge  6 agosto 2008~ n. 133, per contrasto con gli articoli 97, 117,
terzo  e  sesto  comma  118,  119  Cost.,  o, in via subordinata, per
violazione  del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5
e 120 Cost.