Ricorso  della  Regione  Campania, in persona del Presidente della
Giunta  regionale pro tempore, on. Antonio Bassolino, rappresentato e
difeso,  giusta  mandato a margine del presente atto, dall'avv. prof.
Vincenzo  Cocozza  unitamente  agli  avv.  Vincenzo  Baroni e Rosanna
Panariello   dell'Avvocatura   regionale,   insieme   con   i   quali
elettivamente  domicilia  in Roma, presso l'Ufficio di rappresentanza
della Regione Campania alla via Poli n. 29;
   Contro  il  Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, per
la  dichiarazione  di illegittimita' costituzionale degli articoli 11
(rubricato  «Piano  casa») e 13 (rubricato «Misure per valorizzare il
patrimonio  residenziale pubblico») del decreto-legge 25 giugno 2008,
n. 112  recante  «Disposizioni  urgenti per lo sviluppo economico, la
semplificazione,  la competitivita', la stabilizzazione della finanza
pubblica  e  la perequazione tributaria» convertito con modificazioni
nella   legge  6  agosto  2008,  n. 133,  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale   n. 195   del   21  agosto  2008 -  supplemento  ordinario
n. 196/2008, per violazione degli artt. 2, 3, 14, 114, 117, 118 e 119
della  Costituzione e del principio di leale cooperazione nonche' per
irragionevolezza.
                              F a t t o
A) Sull'art. 11.
   La  disciplina piu' recente, qui impugnata, si inquadra in un piu'
ampio contesto normativo che regola il settore.
   A.1.) Con  la  legge  8  febbraio 2007, n. 9 e' stata prevista una
disciplina per fronteggiare il disagio abitativo.
   Oltre  un  piano  straordinario  finalizzato  ad  identificare  il
fabbisogno  di  edilizia  residenziale pubblica, sono stati fissati i
principi   generali  per  la  programmazione  in  materia  e  per  la
predisposizione,  da  parte  delle  regioni,  dei  singoli  programmi
regionali.
   Cosi',  l'art. 3 ha previsto «Entro tre mesi dalla data di entrata
in  vigore della presente legge, le regioni e le Province autonome di
Trento e di Bolzano predispongono, su proposta dei comuni individuati
nell'art.  1,  sulla  base  del  fabbisogno  di edilizia residenziale
pubblica,   con  particolare  riferimento  a  quello  espresso  dalle
categorie  di  cui al medesimo art. 1 gia' presenti nelle graduatorie
per  l'assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica e
indicate  dagli  stessi  comuni, un piano straordinario articolato in
tre  annualita'  da inviare ai Ministeri delle infrastrutture e della
solidarieta'  sociale  e al Ministro delle politiche per la famiglia»
(comma 1).
   L'art.  4,  soprattutto,  ha previsto e regolato una concertazione
istituzionale   per   la   programmazione   in  materia  di  edilizia
residenziale  pubblica  per  la  predisposizione  di un programma che
contenesse  obiettivi  e  indirizzi  di  carattere  generale  per  la
programmazione  regionale di edilizia residenziale pubblica; proposte
normative in materia fiscale; misure per favorire la cooperazione fra
Stato,  regioni  ed  enti  locali;  nonche'  la  stima  delle risorse
finanziarie necessarie.
   A.2.) L'art.  21  del  successivo  decreto-legge  1  ottobre 2007,
n. 159  (Interventi  urgenti in materia economico-finanziaria, per lo
sviluppo   e   l'equita'  sociale),  convertito,  con  modificazioni,
dall'art.  1  della legge 29 novembre 2007, n. 222, ha, poi, previsto
un  programma  straordinario  di  edilizia residenziale pubblica, con
relativo stanziamento, per l'anno 2007, della somma di 550 milioni di
euro,  diretto  a  rendere  disponibili,  con  vari mezzi, alloggi da
destinare  prioritariamente  alle  categorie di soggetti sottoposti a
procedure di rilascio e aventi i requisiti di cui al gia' citato art.
1   della  legge  n. 9  del  2007.  L'individuazione  del  fabbisogno
abitativo,  secondo l'art. 21 del menzionato decreto-legge n. 159 del
2007 ed in coerenza con quanto disposto dalla disposizione censurata,
e'  affidata alle regioni ed alle province autonome, sulla base degli
esiti  del  «tavolo  di  concertazione» di cui all'art. 4 della legge
n. 9  del  2007,  al  quale  partecipano anche i rappresentanti delle
regioni.
   Come e' stato rilevato da codesta ecc.ma Corte (sentenza 23 maggio
2008,  n. 166),  la complessiva disciplina «si presenta come la prima
fase di un programma generale di interventi nel settore dell'edilizia
residenziale  pubblica, nell'ambito del quale lo Stato, da una parte,
si  riserva  il  potere  di  individuare le categorie particolarmente
disagiate,  da  considerare  con  priorita'  su  tutto  il territorio
nazionale,  dall'altra  parte,  detta  i  principi  fondamentali  che
dovranno   presiedere   all'elaborazione   dei  piani  specifici,  di
competenza delle regioni. A queste ultime spetta sia l'individuazione
del  fabbisogno  abitativo,  sia  l'articolazione  degli interventi e
delle realizzazioni conseguenti».
   A.3.) Ed infatti, sulla base di quanto sopra, le regioni, ciascuna
in considerazione delle peculiarita' del territorio, hanno presentato
l'elenco  degli  interventi  e,  con  decreto  18  dicembre  2007, il
Ministero  per  le  infrastrutture, di concerto con il Ministro della
solidarieta'   sociale,   ha   approvato   gli   interventi  medesimi
ammettendoli al finanziamento.
   Per  cio'  che  concerne  la regione Campania, gli interventi sono
stati modulati secondo la domanda abitativa di ciascun territorio con
la previsione di piani di locazione, di acquisto, di ristrutturazione
o  di  nuova costruzione secondo le esigenze ed anche le possibilita'
del territorio medesimo.
   Il  decreto  ministeriale  ha,  poi, disciplinato l'erogazione del
finanziamento,  che  sarebbe  avvenuto  con  attribuzione  diretta  a
ciascun  comune  o  ex  IACP  ovvero  C.DD.PP.  secondo  le  seguenti
modalita':
     a)  acquisto immobili: erogazione del 50% del finanziamento alla
presentazione  della  documentazione  attestante  l'avvenuto  impegno
giuridico  all'acquisto  e  del restante 50% alla data di stipula del
rogito notarile;
     b) interventi di recupero e di nuova costruzione:
      30%  del  finanziamento alla presentazione della documentazione
attestante l'inizio dei lavori;
      50%   alla   presentazione   della   documentazione  attestante
l'avanzamento dei lavori pari al 60% dei lavori;
      20%  ad  avvenuta  approvazione  degli  atti  di collaudo e del
rilascio del certificato di agibilita';
     c)   locazione   alloggi:   in   rate  annuali  anticipate  pari
all'importo del canone di locazione determinato ai sensi dell'art. 2,
comma  3, della legge 9 dicembre 1998, n. 431, previa presentazione e
verifica   del   relativo  contratto  di  locazione,  fermo  restando
l'importo  indicato nell'«Allegato 2», che costituisce limite massimo
del contributo statale.
   A.4.) Sulla  base  del  programma  concordato,  le amministrazioni
interessate   hanno   assunto   impegni  per  la  progettazione,  per
l'acquisto  e, in alcuni casi, per l'avvio delle procedure di appalto
per   giungere   quanto   prima   alla  realizzazione  degli  alloggi
utilizzando   i   550  milioni  di  euro  stanziati  dalla  normativa
richiamata.
   A.5.)   Il   legislatore   nazionale,   con  il  nuovo  intervento
legislativo,   oggetto   della   presente   impugnativa,  e',  pero',
intervenuto  su  tale  quadro,  incidendo sulle scelte programmatiche
della regione ed invadendo la competenza regionale.
   L'art.  11  decreto-legge  25  giugno 2008, n. 112, convertito con
modificazioni  nella  legge  6  agosto  2008,  n. 133, modificando la
presenza  statale,  ha  accentrato nel Governo nazionale le decisioni
attinenti   ad  interventi  in  una  materia  (edilizia  residenziale
pubblica, solidarieta' sociale, governo del territorio) di competenza
regionale,  vanificando,  peraltro, anche le decisioni programmatiche
gia' adottate e, in parte avviate.
B) Sull'art. 13.
   Con   riferimento,   poi,   all'art.  13,  d.-l.  n. 112/2008,  il
legislatore  ripropone norme legislative, che codesta ecc.ma Corte ha
gia'    sanzionato    con    la   dichiarazione   di   illegittimita'
costituzionale, in quanto lesive delle competenze esclusive regionali
in  materia  di  gestione  del  patrimonio  immobiliare  di  edilizia
residenziale  pubblica  di  proprieta' degli Istituti autonomi per le
case  popolari  e  di  utilizzo  dei  fondi che riguardano materie di
competenza esclusiva delle regioni.
C) Le  disposizioni  impugnate  sono afflitte da una serie di vizi di
legittimita' che conducono alla proposizione del presente ricorso per
i seguenti
                             M o t i v i
1) Violazione  degli  artt.  114, 117, 118 e 119 della Costituzione e
del   principio  di  leale  cooperazione.  Violazione  art.  3  della
Costituzione.  Irragionevolezza.  Violazione  degli  articoli  2 e 14
della Costituzione.
Sull'art. 11.
   L'art.  11,  d.l. n. 112/2008, qui impugnato, lede le attribuzioni
legislative  e  amministrative  regionali  in materia di assistenza e
politiche  sociali e dell'abitazione, edilizia residenziale pubblica,
lavori  pubblici  di  interesse  regionale  e  locale  e gestione del
patrimonio  immobiliare  di  edilizia residenziale pubblica, ex artt.
117, commi terzo e quarto, e 118 della Costituzione.
   In via preliminare non si puo' che ricordare quanto codesta ecc.ma
Corte ha gia' chiarito in ordine al riparto di competenza nell'ambito
materiale disciplinato dalla normativa impugnata.
   La  sentenza  n. 94  del  21 marzo 2007, nel valutare il contenuto
della  legge n. 266/2005 (art. 1, commi 597 e ss.) ha evidenziato che
la materia de qua si sviluppa su tre livelli normativi:
     a)  «Il  primo riguarda la determinazione dell'offerta minima di
alloggi destinati a soddisfare le esigenze dei ceti meno abbienti. In
tale   determinazione   -  che,  qualora  esercitata,  rientra  nella
competenza  esclusiva  dello  Stato  ai  sensi dell'art. 117, secondo
comma,  lettera  m),  Costituzione  -  si  inserisce la fissazione di
principi  che  valgano  a  garantire  l'uniformita'  dei  criteri  di
assegnazione   su  tutto  il  territorio  nazionale,  secondo  quanto
prescritto dalla sentenza n. 486 del 1995».
     b)  «Il  secondo  livello  normativo  riguarda la programmazione
degli  insediamenti  di  edilizia  residenziale  pubblica, che ricade
nella  materia  "governo  del  territorio",  ai sensi del terzo comma
dell'art. 117 della Costituzione, come precisato di recente da questa
Corte con la sentenza n. 451 del 2006».
     c)  «Il  terzo  livello  normativo,  rientrante nel quarto comma
dell'art. 117 della Costituzione, riguarda la gestione del patrimonio
immobiliare  di  edilizia  residenziale  pubblica di proprieta' degli
Istituti  autonomi  per  le  case  popolari  o degli altri enti che a
questi sono stati sostituiti ad opera della legislazione regionale».
   Richiamando  tale precedente, la gia' citata sentenza n. 166/2008,
con riferimento alla legge n. 9/2007, ha ulteriormente chiarito «Alla
luce  degli  indirizzi  giurisprudenziali  prima  richiamati, si puo'
stabilire  che gli spazi normativi coperti dalla potesta' legislativa
dello  Stato  sono  da  una  parte  la determinazione di quei livelli
minimali  di  fabbisogno abitativo che siano strettamente inerenti al
nucleo irrinunciabile della dignita' della persona umana e dall'altra
parte  la  fissazione  di principi generali, entro i quali le regioni
possono  esercitare  validamente  la  loro competenza a programmare e
realizzare in concreto insediamenti di edilizia residenziale pubblica
o  mediante  la costruzione di nuovi alloggi o mediante il recupero e
il risanamento di immobili esistenti».
   Vi e', dunque, un chiaro insegnamento.
   La  normativa  allora  impugnata  (e  dalla quale quella di cui e'
causa  notevolmente  si discosta per le limitazioni che comporta alla
competenza  regionale)  intanto non veniva dichiarata illegittima, in
quanto  «rispetta i suddetti confini di intervento della legislazione
statale.  Infatti  essa  si  limita  a  richiedere  alle  regioni  la
predisposizione,  in base alle proposte dei comuni interessati, di un
piano  straordinario,  articolato  in  tre  annualita',  destinato  a
soddisfare  il  fabbisogno  di  edilizia  residenziale  pubblica, con
particolare  riferimento  a  quello espresso dalle categorie che sono
state prima menzionate. Da una parte emerge lo scopo di provvedere al
bisogno  minimo  abitativo  di  precise  categorie di soggetti che si
trovano   in  condizioni  disagiate,  dall'altra  si  predispone  una
procedura  a carattere generale perche' le regioni possano esercitare
la   propria   competenza   legislativa  concorrente  in  materia  di
insediamenti  di  edilizia residenziale pubblica. Lo Stato, per mezzo
della norma impugnata, si limita a richiedere un intervento organico,
rapido  e  preferenziale,  con riferimento a particolari categorie di
soggetti,  che  si  trovano  in  condizioni  oggettivamente deteriori
rispetto  alla  generalita'  dei  cittadini  e  che  possono  vantare
pertanto  un  diritto fondamentale, da garantirsi in modo uniforme su
tutto  il  territorio nazionale» (cfr. Corte costituzionale n. 166/08
cit.).
   In  definitiva,  lo  Stato  non puo' oltrepassare un limite che e'
dato  dalla  esigenza  unitaria  di  determinare  l'offerta minima di
alloggi,  anche con la individuazione delle categorie particolarmente
disagiate e dalla possibilita' di dettare principi generali.
   Non  puo',  invece, che spettare alla regione l'individuazione del
fabbisogno    abitativo,   l'articolazione   degli   interventi,   le
realizzazioni conseguenti.
   a)  Come  ricordato  in fatto, l'intervento oggi introdotto con la
norma  impugnata  si caratterizza per un mancato rispetto dei confini
cosi'  delineati  per  l'intervento  statale  con  l'invasione  delle
competenze regionali.
   Vi e', in primo luogo, un aspetto di carattere generale.
   A  differenza del precedente intervento, la normativa si pone come
regola  ordinaria e stabile di definizione dei rapporti Stato-regione
nella  materia.  La necessita' di un compiuto rispetto dei confini di
competenza si avverte ancora di piu' rispetto a misure, quali il d.l.
18  dicembre  2007  che  si  proponevano  come soluzione temporanea e
straordinaria rispetto a esigenze immediate.
   Si  osserva, infatti, che l'art. 11 prevede un «piano nazionale di
edilizia  abitativa»  che  ha  ad  oggetto  la  costruzione  di nuove
abitazioni  e il recupero del patrimonio edilizio. A tal fine vengono
individuati strumenti per conseguire un assetto stabile.
   Ebbene   la   piu'   recente   previsione   propone  di  certo  un
accentramento a livello statale.
   Vi  e'  una  cosi'  puntuale  previsione  di un Piano nazionale di
edilizia  abitativa  che  viene  sottratto  qualunque spazio ai piani
regionali.
   Come  si  diceva,  questo dato segna le distanze rispetto a scelte
gia'  compiute, in particolare nell'art. 4, legge n. 9/2007, ma anche
rispetto  a una tipologia di intervento eccezionale, quale quella del
legislatore   del  2007,  intervenuto  per  il  finanziamento  di  un
«programma  straordinario di edilizia residenziale pubblica», laddove
la  eccezionalita'  dell'intervento  che poteva di piu' giustificare,
anche  in  una  materia  come  quella  appena indicata, un intervento
significativo dello Stato, non sottraeva scelte a livello regionale.
   Il  meccanismo  posto  in  essere dalla legge n. 9/2007 e dal d.l.
n. 159/2007,   infatti,   affidava   interamente   alle   regioni  la
localizzazione  degli  interventi,  il tipo di interventi e la scelta
dei soggetti attuatori.
   Rispetto  a  tale  scelta, interamente regionale, il Ministero era
chiamato   alla   sua   approvazione   ai   fini  dell'ammissione  al
finanziamento.
   b)  La previsione nel comma 1 dell'art. 1, di una approvazione del
Piano  nazionale  di  edilizia  abitativa di intesa con la Conferenza
unificata,  nonostante  la  partecipazione  nella redazione del Piano
attraverso  una  sede  di confronto Stato-regione, propone un modello
che  non salvaguarda la responsabilita' diretta delle decisioni della
singola  regione  sul  proprio  territorio  in ragione delle esigenze
abitative specifiche del territorio medesimo.
   La  previsione  di  una  intesa  non  consente  di superare il qui
dedotto   vizio   di  legittimita'  per  invasione  della  competenza
regionale.
   E  cio'  anche  considerando  che  l'art. 3 del d.lgs. n. 281/1997
prevede  che «quando un'intesa espressamente prevista dalla legge non
e'  raggiunta entro trenta giorni dalla prima seduta della Conferenza
Stato-regioni  in  cui  l'oggetto  e' posto all'ordine del giorno, il
Consiglio dei Ministri provvede con deliberazione motivata».
   In tal modo, quindi, la qui contestata scelta legislativa, pur con
la  previsione  di  intesa  con  Conferenza  unificata,  espropria la
competenza   regionale,   giacche',  in  caso  di  disaccordo  con  i
rappresentanti   regionali  in  ordine  alle  politiche  di  edilizia
residenziale  (si ripete di competenza esclusiva regionale), lo Stato
puo' assumere autonomamente le decisioni in merito.
   L'illegittimita'  e' ancora piu' evidente per il comma 4 in ordine
alla  approvazione  di  programmi  integrati  di  promozione edilizia
residenziale  e di riqualificazione urbana con decreto del Presidente
del  Consiglio  dei ministri, previa delibera del CIPE, di intesa con
la   conferenza  unificata,  laddove  il  legislatore,  questa  volta
espressamente,  prevede  che  «decorsi  novanta  giorni senza che sia
stata  raggiunta la predetta intesa, gli accordi di programma possono
essere comunque approvati».
   Le  illegittimita'  appena  dedotte  nei confronti dei commi 1 e 4
dell'art.  11,  in  quanto  accentrano  nello  Stato  la decisione ed
espropriano la competenza regionale, valgono anche per il comma 2, 6,
8 e 9, diretta conseguenza e attuazione delle norme richiamate.
   Vi   e',   inoltre,  da  eccepire  una  generica  indicazione  dei
destinatari, senza alcuna precisazione dei modi nei quali il rapporto
fra le categorie viene costruito e la decisione al riguardo assunta.
   Insomma,  sia  nella  redazione  del  Piano  abitativo,  sia nella
predisposizione di accordi di programma per la promozione di edilizia
residenziale  e  riqualificazione urbana, il modello che ha scelto il
legislatore  statale  e'  quello  che  meglio  garantisce  al governo
centrale  di  avocare  a se' le decisioni sulla politica abitativa di
spettanza regionale.
   c)  La  norma  legislativa  impugnata  e'  illegittima anche nella
individuazione  degli  obiettivi  del  Piano  «nazionale» di edilizia
abitativa.
   Il comma 3 dell'art. 11, infatti, limita l'oggetto dell'intervento
pianificatorio  esclusivamente  alla «costruzione di nuove abitazioni
e alla  realizzazione  di misure di recupero del patrimonio abitativo
esistente»,  in  tal  modo  vincolando  le regioni nella scelta delle
tipologie di intervento piu' adatte al fabbisogno abitativo regionale
e alle esigenze territoriali.
   Si e' ricordato che il d.l. del 2007 aveva finanziato un programma
straordinario  predisposto  dalle  regioni  in  base a piu' scelte di
politica  abitativa,  consentendo  l'utilizzo  dei fondi anche per il
sostegno alla locazione di immobili.
   La  regione  ha  modulato  il  programma in relazione proprio alle
esigenze  di un territorio che si poteva prestare all'utilizzo di uno
strumento di sostegno piuttosto che di un altro.
   Si  pensi,  ad  esempio,  proprio  con riferimento alla ricorrente
Regione  Campania,  che nella Citta' di Napoli, ad altissima densita'
edilizia, la regione aveva potuto usufruire del finanziamento proprio
al  fine del sostegno di contratti di locazione, piuttosto che per la
(pressoche' impossibile sul piano urbanistico) realizzazione di nuovi
immobili.
   Nella  nuova  normativa  questa  possibilita'  viene meno, con una
illegittima   lesione  della  competenza  regionale  in  ordine  alle
politiche sociali e abitative.
   Questo appare ancora piu' grave se si considera, come anche meglio
si  vedra'  in  seguito  e  in  relazione ad un ulteriore vizio della
disposizione  impugnata,  che il successivo comma 12 fa confluire nel
fondo  istituito  per  l'intervento  in oggetto, anche le risorse del
precedente  d.-l.  n. 159/2007,  vanificando  anche le decisioni gia'
adottate dalla regione in merito.
   Ne'  puo'  sostenersi  che  la  circostanza  che  lo Stato finanzi
l'intervento  determini  il  riconoscimento  di  una competenza dello
stesso sulla materiale attribuita alla regione.
   Codesta ecc.ma Corte ha gia' chiarito, con ripetute pronuncie, che
lo  Stato  ben puo' intervenire con finanziamenti anche nelle materie
della  regione,  ma  secondo  modalita'  che  lascino, comunque, alla
regione  stessa  la  piu'  ampia  liberta', nell'ambito della propria
competenza,  di operare le scelte politiche e amministrative ritenute
piu'  idonee  (ex  plurimis,  sentenze n. 137 del 2007, 118 del 2006,
n. 231 del 2005, n. 423 del 2004).
   In  tale  direzione,  quindi,  la  illegittimita' del comma 3 che,
nello specificare, limita gli obiettivi della politica abitativa e la
tipologia  degli  interventi,  ma  anche  il  comma 4 che individua e
limita ad uno solo strumento negoziale la realizzazione dei programmi
di promozione edilizia residenziale e di riqualificazione urbana e il
comma  5 che precisa e quindi limita le modalita' di attuazione degli
accordi di programma di cui al comma 4.
   Con  riferimento  al  comma  5 impugnato, poi, bisogna rilevare la
illegittimita'  specifica  della  lett.  c), relativa a provvedimenti
mirati  alla  riduzione del prelievo fiscale di pertinenza comunale o
degli  oneri  di  costruzione,  in  quanto  piu'  direttamente lesivi
dell'autonomia  finanziaria  degli  enti locali e, in generale, delle
scelte  territoriali  riguardo  gli  strumenti  di politica sociale e
abitativa.
   d)  Come  si  e'  ricordato, sulla base del d.l. n. 159/2007 e del
successivo   decreto  ministeriale  che  ha  approvato  il  programma
straordinario   predisposto  dalle  singole  regioni,  ammettendo  al
finanziamento  gli  interventi da queste ultime individuate, gli enti
territoriali  hanno  dato  avvio  alle procedure per la attuazione di
quanto concordemente deciso in ordine a tali interventi.
   Sono   stati   assunti,   infatti,   specifici   impegni   per  la
progettazione  e  l'acquisto  degli  immobili e, in alcuni casi, sono
state  definite  le  procedure di appalto per la rapida realizzazione
degli alloggi.
   Il  comma  12,  in  assenza  di qualsiasi confronto con le regioni
interessate  (ne' preliminarmente ne' attraverso una previsione che a
tale  confronto  condizionasse  gli  effetti  della  previsione),  ha
disposto  il  confluire delle risorse nel fondo per la attuazione del
differente  Piano  di  intervento,  prevedendo espressamente che «gli
eventuali  provvedimenti  adottati  in  attuazione delle disposizioni
legislative citate al primo periodo del presente comma, incompatibili
con il presente articolo, restano privi di effetti».
   Il  comma  fa salve solo le somme «gia' iscritte nei bilanci degli
enti  destinatari  e  gia'  impegnate».  Pertanto,  gran  parte degli
interventi  programmati  vedono  come  enti attuatori gli ex IACP che
sono  stati  trasformati,  a  seguito  delle  riforme  regionali  nel
frattempo  intervenute,  in  enti economici, cui non e' riferibile il
sistema  di  contabilita'  finanziaria  pubblica  che  si  estrinseca
mediante  capitoli  di bilancio di previsione formulati in termini di
competenza e di cassa.
   Circostanza  che  non  potrebbe  neanche  far scattare, quindi, la
condizione prevista dal comma per la deroga.
   Cio'  avra'  sicuramente  riflessi,  non solo sul piano della gia'
dedotta  lesione  delle  attribuzioni  regionali,  ma  anche sotto il
profilo dei danni di cui gli enti locali potrebbero essere chiamati a
rispondere  incolpevolmente.  E sicuramente riflessi si avranno sulla
realizzazione,  o  quanto  meno, sui tempi di realizzazione di quanto
gia'  determinato,  oltre  la  gia'  segnalata  esclusione  di quegli
interventi  (sostegno  alla  locazione  degli immobili) eliminati dal
nuovo intervento legislativo.
   Tutto  quanto  sopra,  pertanto, configura una evidente violazione
dei  principi  di leale cooperazione, laddove un articolato programma
abitativo,  regolarmente  concordato  fra i livelli di Governo, viene
travolto attraverso la sottrazione unilaterale dei finanziamenti gia'
concessi  dallo Stato. Ed anche una evidente violazione dell'art. 118
e  119  della Costituzione, in quanto l'illegittima previsione incide
in  maniera  grave  sulla pianificazione e sull'autonomia finanziaria
della regione.
   Di qui anche la dedotta irragionevolezza della norma impugnata che
contrasta  con  una  scelta  precedente  (confermata  dal legislatore
statale)  e,  nel  delineare  l'ambito  dell'intervento  a  favore di
categorie  socialmente  deboli,  contrasta  con  gli  stessi principi
ispiratori esplicitati nel comma 1).
Sull'art. 13.
   a) Commi 1, 2 e 3.
   Come  accennato  nella  esposizione  in fatto, con l'art. 13, d.l.
n. 112/2008,  il  legislatore ripropone norme legislative che codesta
ecc.ma   Corte   ha   gia'   sanzionato   con   la  dichiarazione  di
illegittimita'  costituzionale  (commi  597  e  598 dell'art. 1 della
legge 23 dicembre 2005, n. 266 dichiarati illegittimi con la sentenza
n. 94 del 7-21 marzo 2007).
   L'art.  13 qui impugnato al comma 1, testualmente recita: «Al fine
di  valorizzare  gli  immobili residenziali costituenti il patrimonio
degli  Istituti autonomi per le case popolari, comunque denominati, e
di  favorire  il  soddisfacimento dei fabbisogni abitativi, entro sei
mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto il Ministro
delle  infrastrutture  e dei trasporti ed il Ministero per i rapporti
con  le  regioni  promuovono, in sede di Conferenza unificata, di cui
all'art.  8  del  d.lgs.  28  agosto  1997, n. 281, la conclusione di
accordi   con   regioni   ed   enti   locali  aventi  ad  oggetto  la
semplificazione  delle  procedure  di  alienazione  degli immobili di
proprieta' dei predetti Istituti».
   Ancora, il comma 2 dell'art. 13, d.l. n. 112/1998 precede «Ai fini
della conclusione degli accordi di cui al comma 1, si tiene conto dei
seguenti  criteri:  a)  determinazione  del  prezzo  di vendita delle
unita'   immobiliari  in  proporzione  al  canone  di  locazione;  b)
riconoscimento   del  diritto  di  opzione  all'acquisto,  purche'  i
soggetti interessati non siano proprietari di un'altra abitazione, in
favore  dell'assegnatario  non  moroso  nel  pagamento  del canone di
locazione  o  degli  oneri  accessori  unitamente al proprio coniuge,
qualora  risulti in regime di comunione dei beni, in caso di rinunzia
da  parte  dell'assegnatario,  in  favore  del  coniuge  in regime di
separazione  dei  beni,  o, gradatamente, del convivente more uxorio,
purche'   la  convivenza  duri  da  almeno  cinque  anni,  dei  figli
conviventi,  dei  figli  non conviventi; c) destinazione dei proventi
delle alienazioni alla realizzazione di interventi volti ad alleviare
il disagio abitativo».
   Ebbene,  sul  punto l'ecc.ma Corte, con la sentenza n. 94/2007, ha
deciso analoga questione ricordando la precedente pronuncia del 1995,
n. 486,  alla  stregua  della  quale  in materia di alienazione degli
immobili di edilizia residenziale pubblica «la cessione degli alloggi
[…]  e'  indissolubilmente  connessa  con l'assegnazione degli
stessi»,  ammettendosi  soltanto  una  disciplina-quadro  statale che
definisca i criteri fondamentali sulle modalita' di alienazione degli
alloggi  stessi,  sul  presupposto  che  questi ultimi possano essere
realizzati con il contributo statale.
   Sulla  base  di quanto sopra, la Corte ha analizzato il comma 597,
art. 1, legge n. 266/2005, che aveva per oggetto, al pari del comma 1
dell'art.  13  impugnato, con la previsione di accordi fra Governo ed
enti  territoriali  finalizzati a semplificare le norme in materia di
alienazione degli immobili di proprieta' IACP, ed ha rilevato che «Il
fine  della  disposizione  in  esame  non  e'  quello  di dettare una
disciplina generale in tema di assegnazione degli alloggi di edilizia
residenziale  pubblica,  di  competenza  dello  Stato, secondo quanto
prima  argomentato  con  riferimento alla  sentenza di  questa  Corte
n. 486   del   1995,   bensi'   quello   di   regolare  le  procedure
amministrative  e  organizzative  per  arrivare  ad una piu' rapida e
conveniente   cessione   degli  immobili.  Si  tratta  quindi  di  un
intervento  normativo  dello  Stato  nella  gestione degli alloggi di
proprieta' degli I.A.C.P. (o di altri enti o strutture sostitutivi di
questi),  che  esplicitamente  viene motivato dalla legge statale con
finalita'   di   valorizzazione  di  un  patrimonio  immobiliare  non
appartenente  allo  Stato,  ma  ad enti strumentali delle regioni. Si
profila,  pertanto,  una  ingerenza  nel  terzo livello di normazione
riguardante  l'edilizia residenziale pubblica, sicuramente ricompreso
nella  potesta'  legislativa  residuale  delle  regioni, ai sensi del
quarto  comma dell'art. 117 della Costituzione» (Corte costituzionale
sent. n. 94/2007 cit.).
   Ne   consegue  che  alcuno  spazio  e'  consentito  all'intervento
legislativo   statale   nell'ambito   di   una  materia  riconosciuta
espressamente  dalla  Corte costituzionale appartenente alla sfera di
competenza residuale della regione.
   Ancora, l'ecc.ma Corte, nell'esaminare il comma 498, art. 1, legge
n. 266/2005,  avente in oggetto, al pari del comma 2 dell'art. 13 qui
impugnato, i  criteri  per  la  redazione dell'accordo fra Governo ed
enti  territoriali,  ha  avuto  modo di rilevarne l'illegittimita'. E
cio'  perche'  era  una  logica conseguenza del comma precedente gia'
dichiarato  costituzionalmente illegittimo, in quanto non si trattava
di   principi   generali,  volti  a  stabilire  criteri  uniformi  di
assegnazione  degli  alloggi  di  edilizia  residenziale  pubblica in
relazione  alla  soddisfazione  del  diritto  sociale all'abitazione,
bensi'  di  indirizzi e limiti incidenti in un campo riservato in via
esclusiva alle regioni.
   In   definitiva,   se  l'alienazione  degli  alloggi  deve  essere
considerata   indissolubilmente  connessa  con  l'assegnazione  degli
stessi,  e  se  la  disciplina  organica dell'assegnazione e cessione
degli  alloggi medesimi costituisce in linea di principio espressione
della  competenza  spettante alla  regione nella  materia de qua, «la
disciplina  delle  procedure  amministrative tendenti all'alienazione
[…]  deve  essere  ricondotta al potere di gestione dei propri
beni  e  del  proprio  patrimonio, appartenente in via esclusiva alle
regioni e ai loro enti strumentali» (sent. n. 94/2007 cit.).
   Peraltro,  la  circostanza che l'accordo viene concluso attraverso
lo  strumento  della  Conferenza  unificata  puo' significare che una
regione  potrebbe  trovarsi  ad  essere vincolata anche contro la sua
volonta'.
   Quest'ultima  circostanza  e'  rilevante  per cio' che concerne il
vizio riferibile al comma 3 impugnato, nella parte in cui e' previsto
che  nei medesimi accordi, che possono essere conclusi nei modi prima
indicati, sia attribuita direttamente la facolta' agli enti locali di
stipulare  convenzioni  con  societa'  per  la  cartolarizzazione del
patrimonio  immobiliare  pubblico  per  lo  svolgimento  di attivita'
strumentali  alla  vendita  dei singoli beni immobili. Questa diretta
attribuzione  della  facolta'  agli  enti  locali  potrebbe  porsi in
contrasto  con  una  differente  volonta' della regione che si trova,
pero', ad essere vincolata dall'accordo medesimo.
   b) Comma 3-ter.
   Il  comma in questione si inserisce anch'esso nel terzo livello di
normazione,   individuato  dalla  Corte  costituzionale,  riguardante
l'edilizia   residenziale   pubblica,  sicuramente  ricompreso  nella
potesta'  legislativa  residuale  delle  regioni, ai sensi del quarto
comma dell'art. 117 della Costituzione.
   La  alienazione  diretta di alloggi, infatti, e' assimilabile alla
assegnazione degli stessi. Per cui valgano le medesime considerazioni
svolte al punto precedente.
   c) Comma 3-bis.
   Il  comma  3-bis  istituisce  un  fondo  speciale  di garanzia per
l'acquisto  della  prima  casa  da  parte di determinate categorie di
soggetti disagiati.
   La disposizione rientra fra quelle norme, spesso inserite in leggi
finanziarie,  che  prevedono  l'istituzione  di  fondi  vincolati  in
materie  riservate  alla  competenza  residuale  o  concorrente delle
regioni   che  piu'  volte  la  Corte  costituzionale  ha  dichiarato
illegittime,  in quanto lesive delle prerogative regionali (fra tante
sent. 118/2006, 231/2005, 423/2004).
   Peraltro,  proprio  con  riferimento ad un'altra norma legislativa
che   in  maniera  analoga  aveva  istituito  un  fondo  di  garanzia
finalizzato  proprio all'acquisto o alla costruzione della prima casa
di  abitazione (comma 336, art. 1, legge n. 266/2005), codesta ecc.ma
Corte  ha avuto modo di rilevare che «La valutazione non cambia se la
norma,  come  nel  caso  di  specie, prevede prestazioni direttamente
fruibili  da  privati,  mediante  una garanzia di ultima istanza, per
consentire  ai  meno abbienti - e specificatamente ai giovani che non
sono in possesso di un contratto di lavoro a tempo indeterminato - di
coprire,  al di la' delle usuali garanzie ipotecarie, l'intero prezzo
dell'immobile  da  acquistare.  Difatti,  la  finalita' sociale della
norma  impugnata non vale a rendere ammissibile la costituzione di un
fondo  speciale, mediante "disposizioni che non trovano la loro fonte
legittimatrice  in alcuna delle materie di competenza esclusiva dello
Stato,  ai  sensi  dell'art.  117,  secondo comma, della Cotituzione.
Pertanto,   poiche'   si   verte   in   materie  nelle quali  non  e'
individuabile   una  specifica  competenza  statale,  deve  ritenersi
sussistente  la competenza della regione" (sentenza n. 118 del 2006)»
(Corte costituzionale sent. 137/2007).
   d) Comma 3-quater.
   Il  comma  in esame istituisce presso il Ministero dell'economia e
delle  finanze  un  fondo per la tutela dell'ambiente e la promozione
dello sviluppo del territorio.
   Prevede, in particolare, che «sono concessi contributi statali per
interventi realizzati dagli enti destinatari nei rispettivi territori
per  il  risanamento  e  il  recupero  dell'ambiente  e  lo  sviluppo
economico dei territori stessi».
   La  specifica  finalizzazione della normativa, volta allo sviluppo
del   territorio,   inevitabilmente   interferisce   con  materia  di
competenza   regionale  (governo  del  territorio,  in  particolare).
Conseguentemente  si  mostra  illegittima  la  mancata  previsione di
qualsiasi  forma di partecipazione delle regioni nelle determinazioni
da assumere in merito all'utilizzazione dei contributi.
   In   tale  direzione,  non  solo  la  violazione  della  specifica
competenza ma anche del principio di leale cooperazione.