IL TRIBUNALE
   Disposta  la  riunione dei sottoindicati 140 ricorsi per incidente
di  esecuzione,  stante  l'evidente  connessione oggettiva, afferendo
ciascuno  di  essi  un'istanza  di  sospensione  dell'ingiunzione  di
demolizione  notificata  dal  Procuratore  della Repubblica presso il
Tribunale  di  Napoli  emessa  in  esecuzione  di  ordine demolitorio
statuito  da sentenze irrevocabili di questo Tribunale, nonostante la
presenza  di  singole istanze di condono edilizio, ai sensi dell'art.
32  del  d.l.  n. 269/2003, convertito nella legge n. 326/2003, tutte
corredate   di  pagamento  dell'oblazione  autodeterminata,  ritenuta
congrua   dai   rispettivi  uffici  tecnici  comunali,  con  apposita
certificazione acquisita agli atti;
   Letti  i  ricorsi  stessi,  presentati  dagli  istanti  di seguito
indicati,  con  i  quali  ciascuno  di  essi,  a  mezzo  del  proprio
difensore,   rispettivamente   indicato,  ha  proposto  incidente  di
esecuzione  ai  sensi  dell'art.  666  c.p.p.,  chiedendo  la  revoca
dell'ingiunzione   di   demolizione   emessa  dal  Procuratore  della
Repubblica  presso  il Tribunale di Napoli nelle date rispettivamente
indicate   o,   in   subordine,   sospendere  detto  ordine  sino  al
perfezionamento  della procedura estintiva a seguito del rilascio del
titolo   edilizio   in   sanatoria,   con   ogni   altra  statuizione
consequenziale, come per legge;

             ---->  Vedere da pag. 109 a pag. 116  <----

   A  scioglimento  della riserva formulata alle udienze camerali del
14  aprile  2008 (dal n. 1 al n. 7 della tabella), del 24 aprile 2008
(dal  n. 8  al n. 27 della tabella), del 21 maggio 2008 (dal n. 28 al
n. 32  della  tabella), dell'11 giugno 2008 (dal n. 33 al n. 75 della
tabella)  e  del  12 giugno 2008 (dal n. 76 al n. 140 della tabella),
rispettivamente indicate per ciascun incidente di esecuzione;
   Ha pronunciato la seguente ordinanza.
   1.  -  Le  sentenze di merito. Con le sentenze di merito (indicate
nella  surriportata  colonna  n. 6),  pronunziate  sull'accordo delle
parti,  di applicazione della pena ridotta ex artt. 444 e 445 c.p.p.,
il  Tribunale  di  Napoli -  Sezione distaccata di Ischia ordinava, a
titolo  di  sanzione  amministrativa accessoria, la demolizione delle
opere edilizie in contestazione.
   2.  -  L'ingiunzione  di  demolizione  del  pubblico ministero. Il
Procuratore  della  Repubblica  presso  il Tribunale di Napoli (nelle
date specificamente indicate nella surriportata colonna 5) promuoveva
la  procedura  di  esecuzione,  ingiungendo  ai  condannati, ai sensi
dell'art.  655  c.p.p.,  «di  demolire, entro il termine di 90 giorni
dalla  data  di notifica del presente provvedimento, le opere abusive
compiutamente  indicate  nella citata sentenza. Con l'avvertenza che,
decorso inutilmente l'indicato termine, si procedera' di ufficio alla
demolizione, con attribuzione delle spese a carico del condannato».
   3.  -  Gli  incidenti  di  esecuzione proposti dai condannati. Con
ricorso   per   incidente   di  esecuzione  ciascuno  degli  istanti,
nominativamente  indicati  (nella surriportata colonna 2, dal n. 1 al
n. 140),   ha  impugnato  l'ingiunzione  di  demolizione  emessa  dal
Procuratore  della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, relativa
a  ciascuna  delle  sentenze di condanna (indicate nella surriportata
colonna n. 6).
   In  particolare,  i  difensori dei condannati hanno tutti dedotto,
con   gli  incidenti  di  esecuzione  in  esame,  che  per  le  opere
rispettivamente  sanzionate  ciascuno  dei  condannati  ha presentato
istanza  di  condono,  ai  sensi  dell'art.  32 del d.l. n. 269/2003,
convertito nella legge n. 326/03, provvedendo, altresi', al pagamento
dell'oblazione   autodeterminata,  per  tutti  ritenuta  congrua  dai
competenti  uffici  tecnici  comunali,  come  attestato  da  apposita
certificazione  acquisita  agli atti di ciascuna singola procedura di
esecuzione.
   Con  la conseguenza che l'eventuale esecuzione dell'ingiunzione di
demolizione  ordinata  dal  Procuratore  della  Repubblica  presso il
Tribunale  di  Napoli  era  da ritenersi prematura, in quanto avrebbe
determinato   un   pregiudizio  (la  demolizione  dell'immobile),  da
reputarsi  irreparabile  in  caso  di (verosimile) accoglimento della
domanda di sanatoria edilizia.
   A  tale proposito, i difensori hanno sostenuto, con argomentazioni
sviluppate  anche  nel  corso delle singole udienze camerati, che «la
presentazione  di  una  domanda di condono edilizio, accompagnata dal
versamento  dell'oblazione  in  misura  congrua, una volta decorso il
termine  di 36 mesi dal pagamento integrale dell'oblazione stessa (ai
sensi dell'art. 32, comma 36, del d..l. n. 269/2003, convertito nella
legge  n. 326  cit.),  possa  determinare,  nella  fase esecutiva, la
revoca o, comunque, la sospensione dell'ordine di demolizione».
   I difensori hanno evidenziato che e' stato ritenuto da Cass., sez.
III,  11  settembre  2007,  che «la revoca dell'ordine di demolizione
puo'  essere  emessa  dal  giudice dell'esecuzione solo quando si sia
verificata  l'estinzione del reato, ossia quando sia stato emanato il
provvedimento  di  condono  o  siano  passati  36 mesi dalla data del
pagamento,  sempre  ovviamente  che  si  tratti di opere condonabili,
mentre la sospensione dell'ordine di demolizione puo' essere disposta
solo  quando  sia  in  concreto  prevedibile che entro breve tempo si
verifichera' la causa estintiva del reato»; precisando, altresi', che
«il  rilascio della concessione sanante, invero, dopo il passaggio in
giudicato della sentenza di condanna, mentre non ha effetto estintivo
dei  reati e delle pene, puo' comportare invece l'inapplicabilita' ed
anche  la  revoca  dell'ordine  giudiziale  di  demolizione  (cfr. ex
plurimis,  Cass., sez. III, 20 gennaio 2003, n. 2406, Gugliandolo; 20
giugno  1997,  n. 2475, Coppola; 20 giugno 1997, n. 2474, Morello; 20
giugno  1997,  n. 2472,  Filieri;  28 novembre 1996, Ilardi; 15 marzo
1996,  n. 1264,  Larosa;  5  febbraio  1996,  Vanacore; 2 marzo 1995,
Francavilla)».
   4.  -  La  consulenza  tecnica  di  parte. Inoltre, ciascuno degli
esecutati,  a  corredo  del  ricorso  per incidente di esecuzione, ha
prodotto  una  consulenza  tecnica  di  parte asseverata, nella quale
ciascuno  dei  c.t.  ha  dato  risposta ai sottoindicati quesiti, nei
sensi qui di seguito indicati:

               ---->  Vedere tabella a pag. 118  <----

   5. - In conclusione, ciascuno dei ricorrenti ha richiesto a questo
Tribunale,   quale   giudice   dell'esecuzione,   di  voler  revocare
l'ingiunzione  di  demolizione  notificatagli,  ovvero di disporne la
sospensione,  in  attesa  delle  determinazioni dei competenti uffici
comunali  relative  alla  definizione  di  ciascuna  delle istanze di
condono  edilizio pendenti: cio' ai fine di evitare il verificarsi di
un pregiudizio (la demolizione dell'immobile), che potrebbe rivelarsi
irreparabile  in  caso  di  accoglimento  di  ciascuna  delle singole
domande di sanatoria edilizia.
   6.  - La tesi del pubblico ministero. Fissata, per la discussione,
la  camera  di  consiglio  ed  instauratosi  il  contraddittorio,  il
pubblico  ministero,  con  memorie di tipo seriale, ha osservato che:
«L'isola  di  Ischia  e'  suddivisa  in tre zone sottoposte a diversi
regimi  di  tutela ambientale (in breve P.I., P.I.R. e R.UA), in base
ad  una  elencazione  contenuta  negli  artt.  11,  12 e 13 del piano
relativo  all'isola;  ognuno  di  questi  articoli  elenca in maniera
chiara quali interventi edilizi e urbanistici sono consentiti e quali
vietati.
   Infatti,  il  Piano di Ischia elenca all'art. 9 gli interventi che
sono ammessi in tutte e tre le zone dell'isola, includendo alla lett.
a) gli interventi di ristrutturazione edilizia che, nei limiti di cui
all'art.   7,   punto  6),  e  nell'ottica  di  una  riqualificazione
dell'edilizio   recente,   non   comportino  alcun  incremento  delle
volumetrie  esistenti;  l'art. 7, punto 6, a sua volta prevede che la
ristrutturazione  edilizia (secondo la definizione data dall'art. 31,
lett.   c),  legge  n. 457/1987  sia  ammessa  soltanto  per  edifici
successivi  al  1945,  con alcune esclusioni per edifici storici e di
interesse paesistico.
   L'art.  13  del medesimo Piano, relativo alla zona R.U.A., afferma
esplicitamente  che  "e'  vietato  qualsiasi  intervento che comporti
incremento  dei  volumi  esistenti,  con  le  esclusioni  di  cui  ai
successivi punti 5 e 6 del presente articolo".
   Premesso,  quindi,  che  per  poter  legittimamente  effettuare e,
quindi,   ritenere   condonabile   anche   solo   un   intervento  di
ristrutturazione  edilizia in zona R.U.A. (la meno tutelata a livello
ambientale)   deve  rispettarsi  quanto  previsto  da  uno  specifico
provvedimento  di  pianificazione, appare chiaro ed incontrovertibile
che  qualsiasi  intervento che comporti aumento di volumetria non sia
mai autorizzabile e conseguentemente, se effettuato abusivamente, non
sia condonabile.
   Sul  punto  e'  poi  utile  ricordare  che  il piano paesistico e'
vincolante  per  gli  enti  locali, immediatamente operativo, nonche'
prevalente "sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli
strumenti  urbanistici",'come previsto dall'art. 145, comma 3, d.lgs.
n. 42/2004.  E'  poi il caso di osservare che, anche a voler ritenere
che  intervenga  la  sanatoria  edilizia per l'opera in questione, la
stessa,  comunque, non produrrebbe effetti con riguardo all'ordine di
riduzione  in  pristino per il reato paesistico e, quindi, il Giudice
non puo' sospendere l'ingiunzione a demolire.
   E'   pacifico,   in   quanto   espressamente   previsto  dal  d.l.
n. 269/2003,  che  nelle aree sottoposte a vincoli imposti sulla base
di  leggi  statali  e regionali a tutela degli interessi ambientali e
paesistici  l'art.  32, primo comma ammette i soli interventi edilizi
quali  il restauro e il risanamento conservativo. Nel caso di specie,
trattasi  di  aumento di volumetria che, quindi, rientra nel concetto
di  nuova  costruzione  di cui alla lettera e) dell'art. 3 del d.lgs.
n. 380/2001  e,  pertanto,  nella  tipologia  1 dell'allegato 1) alla
legge  n. 326/2003: l'intervento edilizio non e' condonabile! In ogni
caso, il parere paesaggistico di eventuale compatibilita' delle opere
abusive  va  espresso  solo  nel  caso in cui la domanda di sanatoria
risulti preliminarmente ammissibile.
   Il  manufatto  edilizio  oggetto  di  richiesta  di concessione in
sanatoria  non  e'  dato  sapere  a  tutt'oggi se abbia subito o meno
interventi  edilizi;  al riguardo, chiede rinvio al fine di acquisire
informative riguardo allo stato dei luoghi attuale.
   Il   recente   intervento   (sentenza   n. 70/2008)   della  Corte
costituzionale  in  ordine  alla  declaratoria di incostituzionalita'
della  normativa  condonistica  non  legittima  una  revoca ovvero la
sospensione  dell'ordine di demolizione, in quanto rimane in piedi la
violazione  di norma paesistica che prevede il ripristino dello stato
dei luoghi quale sanzione alla violazione di legge.
   P.  Q. M. chiede il rigetto della istanza di sospensione ovvero di
revoca dell'ordine di demolizione».
   7. - La questione di legittimita' costituzionale prospettata dalla
difesa  dei ricorrenti e le avverse deduzioni del pubblico ministero.
I  ricorrenti  hanno  impugnato  i  rilievi del pubblico ministero in
primo luogo nella parte in cui lo stesso afferma che «in relazione al
reato  paesistico contestato, la sanatoria non possa produrre effetti
relativamente all'ordine di rimessione in pristino».
   Cio'  perche'  nella presente procedura incidentale si controverte
della  esecuzione  del  solo ordine giudiziale di «demolizione» e non
anche  dell'ordine  giudiziale di rimessione in pristino; pertanto la
questione e' del tutto inconferente e priva di rilievo.
   Per  quanto  attiene  al  rilievo secondo cui l'accertamento della
data del commesso reato escluderebbe la possibilita' di conseguire il
titolo   abilitativo   in   sanatoria,  si  richiama  la  consolidata
giurisprudenza  del  tribunale, che ritiene, del tutto correttamente,
che  la  prova dell'epoca del commesso abuso rilevante ai fini di una
favorevole  prognosi di sanabilita' e' sufficientemente rappresentata
dalla  dichiarazione  sostitutiva  di  notorieta',  che determina una
inversione dell'onere probatorio a carico del comune che, nel caso in
esame,   non  ha  fornito  elementi  di  segno  contrario  alla  tesi
dell'esecutato.
   Inconferente  e'  anche  la  richiesta di indagine suppletiva, con
riferimento  ai  rilievi  aereofotogrammetrici, dal momento che, come
chiarito  dalla  Corte  suprema  di cassazione, anche a sezioni unite
(Cass.  pen.  ,  ss.uu.,  sent. Pulera', 12 ottobre 1993), il giudice
penale non ha competenza istituzionale per compiere l'accertamento di
conformita'  urbanistica,  ne'  puo' sostituirsi alla p.a. nell'esame
delle  condizioni  previste  dalla  legge  per  accedere al beneficio
condonistico.  Quanto,  inoltre,  al rilievo secondo cui la sanatoria
opererebbe  in zona assoggettata a vincolo paesaggistico soltanto per
le  tipologie  di  illecito  nn.  4,  5  e  6 dell'allegato 1 al d.l.
n. 269/2003,  osserva  che  il richiamo, sul punto specifico, operato
dal  pubblico  ministero,  al comma 27 dell'art. 32 del medesimo d.l.
n. 269/2003  non  e'  pertinente,  in quanto tale ultima disposizione
ancora   la   sanabilita'   nelle  suddette  zone  al  solo  positivo
accertamento  della  conformita'  urbanistica delle opere realizzate,
senza  distinguere  tra  opere  che abbiano determinato incrementi di
superficie  o  di  volume  (nuove  costruzioni) ed opere che si siano
concretizzate  in  interventi  edilizi  minori.  Quanto alla sentenza
n. 6431/2007  della  Corte  di cassazione, la stessa fa leva non gia'
sull'art.  32,  comma  27, del d.l. n. 269/2003, bensi' sulla diversa
disposizione di cui al comma 26.
   Sulla  assoluta  legittimita'  della  sospensione dell'ingiunzione
disposta  da  codesto  G.E.,  va  detto che anche il P.G. della Corte
suprema  di  cassazione,  con atto del 7 aprile 2008, ha rilevato che
«e'  del  tutto  legittimo  un  provvedimento  limitato nel tempo, di
sospensione,  volto  ad  evitare il verificarsi di un pregiudizio (la
demolizione  dell'immobile),  che  potrebbe rivelarsi irreparabile in
caso  di accoglimento della domanda di sanatoria, ferma restando - in
caso  contrario  -  la  possibilita' di ripristinare l'ordine violato
dando esecuzione alla demolizione ordinata in sentenza».
   Il  difensore  rileva,  in  ogni  caso,  la refluenza, ai fini del
decidere,  della  sentenza  della  Corte  costituzionale n. 70 del 28
marzo   2008,   nella   parte   in   cui   dichiara  l'illegittimita'
costituzionale  del  comma  36  dell'art. 32 del d.l. n. 269/2003, in
relazione  al requisito prescritto del decorso del termine di 36 mesi
ai  fini  della  applicabilita'  della  causa di estinzione del reato
urbanistico.
   Alla   luce  di  tale  pronuncia,  significativamente  innovativa,
giacche'  ricollega  alla  sola  prova  del pagamento della oblazione
l'effetto  estintivo,  non vi e' dubbio che l'incidente di esecuzione
possa trovare accoglimento.
   Ove non si dovesse accedere, per mera tesi, ma lo si esclude, alla
interpretazione     suesposta,     va    eccepita    l'illegittimita'
costituzionale  dell'articolo  32  del d.l. n. 269/2003 per contrasto
con  gli  artt.  3,  25  e  42 della Costituzione, nella parte in cui
sottopone  a  differente  trattamento  sanzionatorio i contravventori
condannati  o  che  abbiano  ottenuto  pena  concordata,  ex art. 444
c.p.p.,  che  abbiano  presentato  domanda  di  condono con pagamento
dell'oblazione  dovuta  nella  vigenza  delle precedenti normative di
sanatoria  straordinaria (Leggi n. 47/1985 e n. 724/1994), rispetto a
coloro  i  quali  abbiano presentato domanda di condono con pagamento
dell'oblazione   dovuta   nella   vigenza   dell'art.   32  del  d.l.
n. 269/2003.
   Risulterebbero,  in  tal  caso,  violati,  in  particolar modo, il
principio di uguaglianza e quello di ragionevolezza, tenuto conto che
tra le precedenti normative di condono e quella piu' recente e' stata
operata   una   specifica   saldatura   come   chiarito  dalla  Corte
costituzionale  con  sentenza  n. 196  del  2004,  stante l'esplicito
richiamo contenuto nel comma 25 dell'art. 32 citato alle disposizioni
di  cui ai capi 4 e 5 della legge n. 47 del 1985, ivi compresa quella
di  cui  all'art.  39,  secondo cui una volta effettuato il pagamento
dell'oblazione,   pur   in  presenza  di  diniego  di  sanatoria,  si
estinguono i reati edilizi e le sanzioni amministrative, anche tenuto
conto  di  quanto  disposto dagli articoli 38, commi 2, 4 e 43, della
legge   n. 47/1985,   che   prevede,   tra   gli   effetti  tassativi
dell'oblazione,  anche  quelli  che  influiscono  sui procedimenti di
esecuzione delle sanzioni amministrative.
   Tale  conclusione  e'  del  tutto coerente sia con quanto ritenuto
dalla Corte costituzionale con la ordinanza n. 56 del 12 marzo 1998 e
con  la  sentenza n. 49 del 10 febbraio 2006, sia, infine, con quanto
ritenuto  da  Cass.,  ss.uu.,  12  ottobre 1993, n. 72, Pulera', e 20
novembre 1997, Mazzola.
   La   questione   e'   rilevante,   ai  fini  del  decidere  e  non
manifestamente  infondata,  giacche',  pur  in presenza del pagamento
integrale  dell'oblazione,  a  voler accedere alla tesi sostenuta dal
pubblico   ministero,   sarebbe  necessario,  ai  fini  della  revoca
dell'ordine   giudiziale  di  demolizione,  il  rilascio  del  titolo
edilizio  in  sanatoria,  la  qual cosa, per vero, non si rinviene in
alcuna  disposizione  ne'  della  legge  n. 47/1985,  ne'  in  quella
successiva  in materia di condono, n. 724/1994, ne' nello stesso art.
32 del piu' volte citato d.l. n. 269/2003.
   Si  chiede,  quindi, sospendersi il giudizio e l'ordine giudiziale
di demolizione, disponendosi la trasmissione di copia degli atti alla
Corte    costituzionale    per    il   giudizio   sull'incidente   di
costituzionalita'.
   Il  pubblico  ministero ha reputato «manifestamente non rilevante,
ai fini del decidere, la questione di legittimita' costituzionale, in
quanto  ai fini della revoca dell'ordine giudiziale di demolizione si
presenta  decisiva esclusivamente l'eventuale intercorsa declaratoria
di   estinzione   del   reato.  Inoltre,  la  differente  disciplina,
sottolineata   dalla   difesa,   tra   la   normativa   di  sanatoria
straordinaria  e  la  disciplina  dettata dalla impugnata norma trova
ragionevole  giustificazione  nella  intenzione  del  legislatore  di
premiare  coloro che accedono alla definizione del processo in regime
pattizio».
   Il  pubblico  ministero,  si  e', infine, riportato al consolidato
orientamento  restrittivo  del  diritto vivente formatosi in materia,
richiamando,  in  particolare, la sentenza della Corte di cassazione,
sezione  III  penale,  n. 6431 del 15 febbraio 2007, secondo cui «non
sono suscettibili di sanatoria, ai sensi dell'art. 32 del d.l. n. 269
del   2003,   convertito  nella  legge  n. 326  del  2003,  le  nuove
costruzioni  realizzate,  in assenza del titolo abilitativo edilizio,
in  area  assoggettata  a  vincolo  imposto  a tutela degli interessi
paesistici.  La  seconda  parte  della  lettera  a)  del comma 26 del
medesimo   d.l.   statuisce  infatti  espressamente  che  nelle  aree
sottoposte  a  vincolo  di  cui  alla  legge  n. 47 del 1985, art. 32
(trattasi  anche  dei  vincoli  imposti sulla base di leggi statali e
regionali  a  tutela  degli  interessi  idrogeologici,  ambientali  e
paesistici),   e'  possibile  ottenere  la  sanatoria  solo  per  gli
interventi edilizi di minore rilevanza (corrispondenti alle tipologie
di  illecito  di  cui  ai  nn.  4,  5  e 6 dell'allegato 1: restauro,
risanamento conservativo e manutenzione straordinaria), previo parere
favorevole da parte dell'autorita' preposta alla tutela del vincolo».
   8.  -  La questione di diritto. La questione di diritto sottoposta
all'esame  di  questo  tribunale concerne l'interpretazione dell'art.
32, comma 26, del d.l. n. 269/2003, convertito nella legge n. 326 del
2003, alla luce del diritto vivente, di cui alla sentenza della Corte
di  cassazione,  sezione  III  penale,  n. 6431 del 15 febbraio 2007,
espressamente  richiamata  dal  pubblico  ministero  nel  corso delle
udienze camerali.
   9.  -  La  sentenza della Corte di cassazione, sezione III penale,
n. 6431  del  15 febbraio 2007. Con la predetta sentenza, il «diritto
vivente»  Ritiene  che  nelle aree sottoposte a vincoli imposti sulla
base   di   leggi  statali  e  regionali  a  tutela  degli  interessi
idrogeologici, ambientali e paesistici, la norma scrutinata [art. 32,
comma  26,  lettera  a)  d.l. n. 296/2003] ammetta la possibilita' di
ottenere  la  sanatoria  per  i  soli interventi edilizi di restauro,
risanamento conservativo e manutenzione straordinaria e non anche per
gli  interventi innovativi, comportanti incremento di superficie e di
volume.
   I punti fermi di tale restrittivo orientamento, sottolineati anche
dal pubblico ministero, sono i seguenti:
     I)  «La  seconda  parte  della lettera a) del comma 26 statuisce
espressamente che, nelle aree sottoposte a vincolo di cui all'art. 32
della legge n. 47/1985 (trattasi anche dei vincoli imposti sulla base
di  leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici,
ambientali e paesistici), e' possibile ottenere la sanatoria soltanto
per  gli  interventi edilizi di minore rilevanza (corrispondenti alle
tipologie  di  illecito  di  cui  ai  nn.  4,  5 e 6 dell'allegato 1:
restauro,  risanamento  conservativo  e  manutenzione straordinaria),
previo parere favorevole da parte dell'autorita' preposta alla tutela
del vincolo.
   Ed  in  proposito  non  puo' mancarsi di rilevare che la normativa
statale  sul  condono  edilizio,  per  la sua natura straordinaria ed
eccezionale, e' di stretta interpretazione».
     II)  «Inequivoca  e',  al  riguardo, la Relazione governativa al
d.l.  n. 269/2003, secondo la quale "(...) e' fissata la tipologia di
opere  assolutamente  insanabili,  tra le quali si evidenziano quelle
realizzate  in  assenza  o  in  difformita'  del  titolo  abilitativo
edilizio nelle aree sottoposte ai vincoli imposti sulla base di leggi
statali   e   regionali   a  tutela  degli  interessi  idrogeologici,
ambientali e paesistici (...)''.
   Per  gli  interventi  di  minore rilevanza (restauro e risanamento
conservativo)  si  ammette  la  possibilita' di ottenere la sanatoria
edilizia  degli  immobili soggetti a vincolo previo parere favorevole
da   parte  dell'autorita'  preposta  alla  tutela.  Per  i  medesimi
interventi,   nelle  aree  diverse  da  quelle  soggette  a  vincolo,
l'ammissibilita'   alla   sanatoria   e'  rimessa  ad  uno  specifico
provvedimento regionale».
   10.  -  La  tesi contraria dei ricorrenti. Come riconosciuto dalla
stessa  sentenza  della Corte suprema di cassazione, a tale indirizzo
sono  state  mosse in dottrina (ed anche nel giudizio definito con la
richiamata sentenza) varie obiezioni che possono cosi' riassumersi:
   10.1.  -  L'art. 43 del d.l. n. 269 del 2003, che ha integralmente
sostituito  l'art.  32  della  legge  n. 47  del  1985,  ha ripudiato
l'istituto   del   silenzio-assenso,   attribuendo  al  comportamento
omissivo,  protrattosi  oltre  180  giorni dalla richiesta di parere,
valenza di silenzio-rifiuto per tutti i tipi di vincoli.
   Ai  fini  dell'acquisizione dei pareri «si applica quanto previsto
dall'art.  20,  comma  6,  del  d.P.R.  n. 380/2001»  ed «il motivato
dissenso  espresso  da una amministrazione preposta alla tutela della
salute  preclude  il  rilascio  del  titolo  abilitativo  edilizio in
sanatoria» (comma 4).
   «Il  parere  non  e'  richiesto  quando  si'  tratti di violazioni
riguardanti  l'altezza,  i  distacchi,  la  cubatura  o la superficie
coperta  che  non  eccedano  il  2 per cento delle misure prescritte»
(previsione,   quest'ultima,   contenuta   anche   nella   precedente
formulazione).
   10.2.  -  In  relazione alla intervenuta sostituzione dell'art. 32
della  legge  n. 47  del  1985,  le  tipologie d'intervento ammesse a
condono non potrebbero di certo essere circoscritte a quelle elencate
nei nn. 4, 5 e 6 dell'allegato 1.
   Non  avrebbe  senso,  infatti, la obbligatoria convocazione di una
«dispendiosa»  conferenza  di  servizi per opere di minima importanza
(quali  la  manutenzione straordinaria, il restauro ed il risanamento
conservativo),  ne' avrebbe senso richiedere per le medesime opere la
acquisizione  del  parere  paesaggistico,  stante la disposizione che
tale   parere   invece   esclude  "quando  si  tratti  di  violazioni
riguardanti  l'altezza,  i  distacchi,  la  cubatura  o la superficie
coperta  che  non  eccedano  il  2  per cento delle misure prescritte
(violazioni  queste  ultime  considerate  piu'  gravi  di  quelle che
possono  commettersi in occasione dell'esecuzione degli interventi di
manutenzione e restauro).
   10.3.  -  La  «non rilevanza» - secondo il diritto vivente - delle
argomentazioni  addotte  dai  sostenitori  della tesi «estensiva» dei
limiti   di   applicabilita'   del   terzo   condono  edilizio.  Tali
argomentazioni,    secondo   il   diritto   vivente,   non   appaiono
«conducenti», in quanto esse non tengono in conto che:
     A)  Nelle  zone  paesaggisticamente  vincolate  e'  inibita - in
assenza  dell'autorizzazione  gia'  prevista  dall'art. 7 della legge
n. 1497  del  1939,  le cui procedure di rilascio sono state innovate
dalla legge n. 431/1985 e sono attualmente disciplinate dall'art. 146
del   d.lgs.   n. 42/2004   -  ogni  modificazione  dell'assetto  del
territorio,  attuata  attraverso  lavori  di  qualsiasi  genere,  non
soltanto  edilizi, con le deroghe eventualmente individuate dal piano
paesaggistico,   ex  art.  143,  comma  5,  lettera  b),  del  d.lgs.
n. 42/2004,  nonche'  ad  eccezione  degli  interventi  previsti  dal
successivo  art.  149 e consistenti (tra l'altro) nella manutenzione,
ordinaria  e  straordinaria,  e nel consolidamento statico o restauro
conservativo,  purche'  non  alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto
esteriore degli edifici.
     B)  Qualora  un  qualsiasi  intervento  edilizio  da realizzarsi
mediante  d.i.a. (quali la manutenzione straordinaria, il restauro ed
il  risanamento  conservativo)  riguardi immobili sottoposti a tutela
storico-artistica  o  paesaggistico-ambientale  ai  sensi  del d.lgs.
n. 42/2004  (codice  dei beni culturali e del paesaggio), della legge
n. 394/1991   (Legge-quadro   sulle   aree   protette),  della  Legge
n. 183/1989  (norme per il riassetto organizzativo e funzionale della
difesa  del  suolo)  e  del  d.lgs.  n. 152/2006  (norme  in  materia
ambientale),   l'effettuazione   dello   stesso   e'  subordinata  al
preventivo  rilascio del parere o dell'autorizzazione richiesti dalle
relative   previsioni   normative  (art.  22,  comma  6,  del  d.P.R.
n. 380/2001).
   Nell'ambito   delle   norme  di  tutela  rientrano,  altresi',  le
previsioni:
     dei     piani    territoriali    paesistici    o    dei    piani
urbanistico-territoriali aventi le medesime finalita' di salvaguardia
dei valori paesistici e ambientali;
     degli strumenti urbanistici, qualora siano espressamente rivolte
alla   tutela   delle   caratteristiche  paesaggistiche,  ambientali,
storico-archeologiche,  storico-artistiche, storico-architettoniche e
storico-testimoniali.
     C)  La  previsione dell'art. 32 della legge n. 47/1985 - secondo
la  quale  «il parere non e' richiesto quando si tratti di violazioni
riguardanti  l'altezza,  i  distacchi,  la  cubatura  o la superficie
coperta  che  non  eccedano  il  2 per cento delle misure prescritte»
[identica  sia  nel testo precedente, piu' volte modificato fino alla
formulazione  risultante  in  seguito  alla legge n. 662/1996, sia in
quello  novellato  dal  d.l.  n. 269/2003]  -  non  e'  riferita,  ad
evidenza,  al  solo  vincolo  paesaggistico,  bensi'  a  tutte quelle
situazioni in cui l'esistenza di un «vincolo» (quale limitazione alla
sfera di godimento e disposizione di un bene per il soddisfacimento e
la  tutela  di  interessi pubblici) e' affermata dal legislatore, con
terminologia  sicuramente generica e per alcuni versi pure impropria,
in  relazione  a  fattispecie anche molto diverse quanto a disciplina
giuridica, contenuti ed effetti.
   Con  elencazione  avente  carattere meramente esemplificativo puo'
ricordarsi  che  l'art. 32 inerisce - oltre che ai vincoli paesistici
ed  ambientali  -  ai  vincoli  storici, artistici, architettonici ed
archeologici;  ai  vincoli  idrogeologici;  ai vincoli previsti per i
parchi   e   le   aree   naturali   protette;  ai  vincoli  derivanti
dall'esistenza  di  usi  civici;  ai vincoli derivanti dalle «zone di
rispetto»  del  demanio  stradale,  ferroviario  ed aeroportuale, dei
cimiteri;  alle  prescrizioni imposte per le costruzioni da eseguirsi
in  zone  sismiche;  ovvero  ad  altre  limitazioni poste dal d.m. 1°
aprile 1968, n. 1404.
   Quanto  al  vincolo  paesaggistico,  la disposizione in esame puo'
razionalmente correlarsi soltanto ad eventuali prescrizioni poste dal
piano  paesaggistico,  ex  art.  143, comma 5, lettera b), del d.lgs.
n. 42/2004,   nonche'   a   previsioni  degli  strumenti  urbanistici
espressamente    rivolte    alla    tutela    delle   caratteristiche
paesaggistiche ed ambientali.
     D)   Il  riformulato  quarto  comma  dell'art.  32  della  legge
n. 47/1985  si  limita a stabilire che «ai fini dell'acquisizione del
parere  di  cui  al  comma 1 si applica quanto previsto dall'art. 20,
comma  6,  del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001,
n. 380».
   Il  richiamato art. 20, comma 6, del d.P.R. n. 380/2001 dispone, a
sua  volta,  che,  «nell'ipotesi  in cui, ai fini della realizzazione
dell'intervento,  sia  necessario acquisire atti di assenso, comunque
denominati,  di  altre  amministrazioni,  diverse  da  quelle  di cui
all'art.  5,  comma  3  [atti  di  assenso, cioe', diversi dal parere
dell'A.S.L.  e  dal  parere  dei  Vigili  del  Fuoco,  ove  necessari
n. d.r.],  il  competente  ufficio comunale convoca una conferenza di
servizi,  ai  sensi  degli artt. 14, 14-bis, 14-ter e 14-quater della
legge n. 241/1990, e successive modificazioni».
   Ai  sensi  dell'art. 5, comma 4, del d.P.R. n. 380/2001, l'ufficio
dello sportello unico per l'edilizia cura gli incombenti necessari ai
fini  dell'acquisizione,  anche  mediante  conferenza  di servizi, ai
sensi  degli  artt.  14,  14-bis,  14-ter  e  14-quater  della  legge
n. 241/1990,  degli atti di assenso comunque denominati, necessari ai
fini della realizzazione dell'intervento edilizio).
   Un'interpretazione coordinata degli artt. 20, comma 6, e dell'art.
5,  comma 4, del T.U. n. 380/2001 non consente pero' di affermare che
l'ufficio  comunale sia imprescindibilmente obbligato a convocare una
conferenza  di  servizi qualora sia necessario acquisire l'assenso di
altre amministrazioni (in difformita' dal previgente art. 4, comma 2,
del  d.l. n. 398/1993, che conferiva al responsabile del procedimento
soltanto la facolta' discrezionale di detta convocazione).
   Appare corretta invece, in proposito, l'applicazione dell'art. 14,
comma  2,  della  legge  n. 241/1990,  come  modificato  dalla  legge
n. 15/2005,  ove  si stabilisce l'obbligatorieta' della conferenza di
servizi   quando  l'amministrazione  competente  per  l'adozione  del
provvedimento   finale  debba  acquisire  atti  di  assenso  comunque
denominati    ad   un'attivita'   privata,   provenienti   da   altre
Amministrazioni,  e  non  li  ottenga entro 30 giorni dalla ricezione
della relativa richiesta.
   Il  dirigente  o  responsabile  dell'ufficio comunale, dunque, nel
termine  che  ha  a  disposizione  per  l'istruttoria, deve anzitutto
richiedere  gli  atti di assenso alle altre Amministrazioni coinvolte
e,  solo  qualora  queste  non  si  pronuncino  entro 30 giorni dalla
ricezione  della  richiesta (ovvero quando, nello stesso termine, sia
intervenuto  il dissenso di una o piu' amministrazioni interpellate),
deve essere convocata la conferenza.
     E)  In  conclusione,  secondo  il diritto vivente, «alla stregua
delle   disposizioni  legislative  dinanzi  enunciate  e  della  loro
corretta    ermeneusi,    non   puo'   attribuirsi   rilevanza   alle
prospettazioni che i sostenitori della tesi "estensiva" dei limiti di
applicabilita' del terzo condono edilizio riferiscono:
     alla pretesa incongruenza della limitazione della sanabilita' ai
soli interventi di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento
conservativo  rispetto  alla  previsione  dell'art.  32  della  legge
n. 47/1985,  secondo  la  quale "il parere non e' richiesto quando si
tratti  di violazioni riguardanti l'altezza, i distacchi, la cubatura
o  la superficie coperta che non eccedano il 2 per cento delle misure
prescritte";
     all'eccessiva  dispendiosita'  di  una  conferenza di servizi da
indirsi esclusivamente per interventi edilizi minori.
   Si   e'   rilevato,  infatti,  che:  anche  l'effettuazione  degli
interventi  di  manutenzione  straordinaria,  restauro  e risanamento
conservativo,   da   realizzarsi   in  aree  assoggettate  a  vincolo
paesaggistico-ambientale,  e'  subordinata al preventivo rilascio del
parere  o  dell'autorizzazione  richiesti  dalle  relative previsioni
normative  (si  pensi, ad esempio, al notevole impatto che puo' avere
sul paesaggio gia' il solo rifacimento totale dell'intonacatura e del
rivestimento  esterno  di un edificio qualora ne alteri il precedente
aspetto esteriore);
     la  previsione dell'art. 32 della legge n. 47/1985 ben si spiega
con   riferimento   ai   "vincoli"   di   natura  diversa  da  quello
paesaggistico   e,  quanto  a  quest'ultimo  vincolo,  puo'  comunque
correlarsi  ad  eventuali prescrizioni poste dal piano paesaggistico,
ex  alt.  143,  comma 5, lettera b), del d.lgs. n. 42/2004, nonche' a
previsioni  del  strumenti  urbanistici  espressamente  rivolte  alla
tutela delle caratteristiche paesaggistiche ed ambientali;
     per    l'acquisizione   dell'autorizzazione   paesaggistica   la
conferenza di servizi non e' imprescindibilmente obbligatoria».
   10.4  -  L'art. 146, d.lgs. n. 42/2004. Viceversa, secondo la tesi
prospettata  dalla  difesa  dei  ricorrenti  non appare pertinente il
richiamo  all'art.  146 del d.lgs. n. 42/2004, secondo cui nelle zone
paesaggisticamente    vincolate    sarebbe    inibita,   in   assenza
dell'autorizzazione gia' prevista dall'art. 7 della legge n. 1497 del
1939,   «ogni   modificazione  dell'assetto  del  territorio  attuata
attraverso  lavori  di  qualsiasi  genere,  non  soltanto edilizi, ad
eccezione  dei  lavori  consistenti  (tra l'altro) nella manutenzione
ordinaria  e  straordinaria  e  nel consolidamento statico o restauro
conservativo,  purche'  non  alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto
esteriore degli edifici».
   Cio'  perche'  la  norma  in  esame  disciplina  gli interventi da
realizzare   e   non   anche   quelli   gia'   realizzati,   la   cui
regolarizzazione  e'  riservata  -  a  determinate  condizioni - alle
fattispecie di sanatoria straordinaria o a quella c.d. «a regime».
   Sul  punto,  e'  stato  ricordato  che, come ribadito dalla stessa
Corte di cassazione penale con riferimento all'ambito di applicazione
del  regime autorizzatorio, avente ad oggetto le opere da eseguire ex
novo,  «non  ogni opera che interessi la superficie esterna determina
"alterazione",  ma  esclusivamente  quella  che  ne  immuti  in  modo
rilevante  ed  essenziale  le sue caratteristiche (cfr., negli esatti
termini,  Cass.  pen.  ,  sez.  III, 26 maggio 1992, n. 660; in senso
conf.: Cass. pen., sez. III, 30 settembre 1993, n. 1813; ibidem Cass.
pen., sez. III, 26 aprile 1999, n. 5304).
   Inoltre,  il  comma  26  dell'art. 32 del d.l. n. 269 del 2003 non
pone  alcuna  distinzione  tra  opere  di  manutenzione  ordinaria  e
straordinaria  idonee  ad  alterare  lo  stato dei luoghi e l'aspetto
esteriore degli edifici ed opere appartenenti alla medesima tipologia
edilizia che tale idoneita' invece non hanno.
   10.5.  -  L'art.  22,  d.P.R. n. 380/2001. Per le stesse ragioni i
ricorrenti  hanno  sostenuto  che  non  appare pertinente il richiamo
all'art. 22 del d.P.R. n. 380 del 2001 che si occupa degli interventi
«realizzabili  mediante  denuncia  di inizio attivita'» e non anche -
logicamente  -  delle opere gia' eseguite, in disparte ogni questione
sulla  riferibilita'  o  meno  della  limitazione  di  cui al comma 6
(obbligo  del  preventivo  rilascio  del parere o dell'autorizzazione
richiesti   dalle   relative  previsioni  normative)  agli  «immobili
sottoposti   a   tutela   storico   -  artistica  o  paesaggistico  -
ambientale»,  intesi  come immobili in senso stretto e non anche come
aree  (in  ordine  alla dicotomia «aree ed immobili», cfr. l'art. 134
del  codice  dei  beni culturali e del paesaggio (d.lgs. n. 42 cit.),
dove per immobili si intendono quelli di cui alle tipologie nn. 1 e 2
dell'art.  1 della legge n. 1497 del 1939, cioe' le cose immobili che
hanno  cospicui  caratteri  di  bellezza  naturale  o di singolarita'
geologica,  le  ville,  i giardini e i parchi, intendendosi designare
con  il  termine  «immobili»  determinati  beni  -  giuridicamente  e
catastalmente - tendenzialmente unitari.
   10.6.  -  L'articolo  149,  d.lgs. n. 42/2004. I ricorrenti hanno,
altresi',  rappresentato  che,  a voler seguire l'interpretazione del
«diritto  vivente»,  la  stessa  non tiene conto, comunque, di quanto
previsto  dall'art.  149 del d.lgs. n. 42 del 2004, che esclude, come
e'  noto,  l'obbligo  della  autorizzazione prescritta dall'art. 146,
dall'art. 147 e dall'art. 159: «a) per gli interventi di manutenzione
ordinaria,  straordinaria,  di  consolidamento  statico e di restauro
conservativo  che  non  alterino  lo  stato  dei  luoghi  e l'aspetto
esteriore  degli  edifici; b) per gli interventi inerenti l'esercizio
dell'attivita'  agro-silvo-pastorale  che  non comportino alterazione
permanente  dello  stato dei luoghi con costruzioni edilizie ed altre
opere  civili,  e  sempre che si tratti di attivita' ed opere che non
alterino  l'assetto  idrogeologico  del  territorio; c) per il taglio
colturale,  la forestazione, la riforestazione, le opere di bonifica,
antincendio  e  di  conservazione  da  eseguirsi  nei  boschi e nelle
foreste indicati dall'art. 142, comma 1, lettera g), purche' previsti
ed autorizzati in base alla normativa in materia».
   La  deroga  al  regime  autorizzatorio,  sia  pure per determinate
tipologie  di  intervento,  segna il confine, delimitando l'ambito di
applicazione,  nelle  zone paesaggisticamente vincolate, dello stesso
regime   inibitorio  che,  pertanto,  non  puo'  essere  inteso  come
assoluto, ovvero riferito a «lavori di qualsiasi genere».
   Anzi,  quel  che  maggiormente rileva e' che, mentre la disciplina
introdotta dall'art. 149 cit. fa salvi (nel senso che non ne richiede
l'autorizzabilita'  ex  ante)  i  soli  interventi  edilizi minori di
recupero del patrimonio edilizio esistente, l'art. 32 del d.l. n. 269
del  2003,  al  comma  43, esclude dall'obbligo del preventivo parere
(come,  peraltro,  gia'  previsto  dall'originaria formulazione della
norma) «le violazioni riguardanti l'altezza, i distacchi, la cubatura
o  la superficie coperta che non eccedano il 2 per cento delle misure
prescritte».
   Trattasi,  con  tutta  evidenza, di abusi che, nella maggior parte
dei  casi,  hanno,  comunque,  prodotto  modifiche  "alterative"  con
incrementi  planovolumetrici  e, pertanto, diversi, per loro natura e
caratteristiche,    dagli   interventi   edilizi   minori   di   tipo
«conservativo»,  per  i  quali e' escluso, come gia' detto, l'obbligo
dell'autorizzazione  qualora  «non  alterino»  lo  stato dei luoghi e
l'aspetto esteriore degli edifici.
   10.7.  -  L'art.  143,  comma 5, lettera b), d.lgs. n. 42/2004. E'
stato,  altresi',  dedotto  che  non  del  tutto convincente e', poi,
l'argomentazione  addotta  dal diritto vivente, secondo cui l'art. 32
della  legge  n. 47/1985,  per  il  quale «il parere non e' richiesto
quando si tratti di violazioni riguardanti l'altezza, i distacchi, la
cubatura  o la superficie coperta che non eccedano il 2% delle misure
prescritte», inerendo - oltre che ai vincoli paesistici ed ambientali
-  anche  a  vincoli  di  diversa  natura,  come  ad  es., ai vincoli
artistici,   architettonici,   archeologici  ed  idrogeologici,  puo'
razionalmente  correlarsi, quanto al vincolo paesaggistico, «soltanto
ad eventuali prescrizioni poste dal piano paesaggistico, ex art. 143,
comma  5,  lettera  b),  del  d.lgs. n. 42/2004, nonche' a previsioni
degli  strumenti  urbanistici espressamente rivolte alla tutela delle
caratteristiche paesaggistiche ed ambientali».
   Tale  argomentazione  omette  di  considerare,  innanzitutto,  che
l'art.  143,  comma 5, lettera b), disciplina - in ambito regionale -
l'attivita' pianificatoria, nella quale la (possibile) individuazione
delle  opere  e  degli  interventi  non  soggetti  ad  autorizzazione
paesaggistica  e'  subordinata  «alla verifica della conformita' alle
previsioni  del  piano  paesaggistico e dello strumento urbanistico»,
nel  mentre l'ambito di operativita' dell'art. 32 del d.l. n. 269 del
2003,  nella  parte  in  cui  esclude  l'obbligo  del  parere  per le
violazioni  che  non  eccedono  il  2%,  e'  esteso  - come e' noto -
all'intero territorio nazionale.
   Inoltre,  la lettera c) (del comma 5) dell'art. 143 fa riferimento
alle  «aree  significativamente compromesse o degradate», nelle quali
la  realizzazione  degli  interventi  di  recupero e riqualificazione
potra'  non  richiedere  «il rilascio dell'autorizzazione di cui agli
artt. 146, 147 e 159».
   Ma  tali interventi sarebbero pur sempre confinati all'interno del
perimetro  degli  interventi  di  recupero  del  patrimonio  edilizio
esistente  e,  data  la lettera tassativa della norma, non potrebbero
giammai  concretizzarsi in opere costituenti incrementi di superficie
e di volume.
   L'art.   32,  di  contro,  esonera  dall'obbligo  del  parere  gli
interventi  che  hanno  provocato  incrementi  sia  di altezza che di
volumetria   e   superficie  e  che,  pertanto,  non  possono  essere
ricondotti  al  novero  degli  interventi  di recupero del patrimonio
edilizio esistente.
   A  cio'  aggiungasi  che l'applicazione dell'art. 143, comma 5, e'
fatta    salva   dall'art.   149   («Interventi   non   soggetti   ad
autorizzazione»)  con  riferimento  non  gia' alla lettera b), bensi'
alla lettera a).
   Non  appare,  comunque,  ragionevole  ed ermeneuticamente corretto
operare correlazioni tra una normativa condonistica, quale quella del
citato  art.  32, di stretta interpretazione, come riconosciuto dalla
stessa   Corte   di  cassazione,  con  altra  normativa  come  quella
introdotta dal d.lgs. n. 42 del 2004, per giunta entrata in vigore in
epoca   successiva   ed   agganciata,   per  quel  che  attiene  alla
pianificazione paesaggistica, ad eventi futuri ed incerti.
   Si  richiama,  a titolo esemplificativo, la disposizione di cui al
comma 7 dell'art. 143, secondo cui:
     «Il   piano   puo'   subordinare   l'entrata   in  vigore  delle
disposizioni  che  consentono la realizzazione di opere ed interventi
senza  autorizzazione  paesaggistica, ai sensi del comma 5, all'esito
positivo  di  un  periodo  di  monitoraggio che verifichi l'effettiva
conformita'   alle   previsioni   vigenti  delle  trasformazioni  del
territorio realizzate».
   10.8.  -  La  questione  controversa.  Il  punto critico sul quale
maggiormente  si  sono  concentrate le censure di incostituzionalita'
mosse dai ricorrenti al «diritto vivente», si riferiscono al criterio
ermeneutico  seguito  dalla  Corte suprema per confutare le obiezioni
mosse   alla   anzidetta   interpretazione  dell'art.  32,  comma  26
(considerata    dai    ricorrenti    non    condivisibile,    perche'
ingiustificatamente restrittiva), sta nella affermazione secondo cui,
«per  l'acquisizione dell'autorizzazione paesaggistica, la conferenza
di servizi non e' imprescindibilmente obbligatoria».
   In   altri   termini,  come  gia'  anticipato,  un'interpretazione
coordinata  degli  artt.  20,  comma  6,  e dell'art. 5, comma 4, del
d.P.R. n. 380/2001, per il diritto vivente «non consente di affermare
che  l'ufficio comunale sia imprescindibilmente obbligato a convocare
una  conferenza di servizi qualora sia necessario acquisire l'assenso
di altre amministrazioni (in difformita' dal previgente art. 4, comma
2,   del   d.l.   n. 398/1993,  che  conferiva  al  responsabile  del
procedimento    soltanto   la   facolta'   discrezionale   di   detta
convocazione).  Appare  corretta invece, in proposito, l'applicazione
dell'art. 14, comma 2, della legge n. 241/1990, come modificato dalla
legge   n. 15/2005,   ove   si   stabilisce  l'obbligatorieta'  della
conferenza   dei  servizi  quando  l'amministrazione  competente  per
l'adozione  del  provvedimento finale debba acquisire atti di assenso
comunque  denominato  ad  un'attivita'  privata, provenienti da altre
amministrazioni,  e  non  li  ottenga entro 30 giorni dalla ricezione
della richiesta (ovvero quando, nello stesso termine, sia intervenuto
il dissenso di una o piu' amministrazioni interpellate)».
   Sempre secondo la Corte, ai sensi dell'art. 5, comma 4, del d.P.R.
n. 380/2001, l'ufficio dello sportello unico per l'edilizia «cura gli
incombenti   necessari   ai  fini  dell'acquisizione  anche  mediante
conferenza  ai sensi degli artt. 14, 14-bis, 14-ter e 14-quater della
legge n. 241/1990 di servizi, degli atti di assenso».
   La  qual  cosa  starebbe  a  significare, come e' desumibile dalla
locuzione  «anche  mediante  conferenza»,  che  quest'ultima  non  e'
obbligatoria,  essendo  la  relativa  convocazione espressione di una
mera facolta' discrezionale.
   Anche  in tal caso trattasi, a ben vedere, di osservazioni che non
appaiono aderenti al dettato normativo.
   La   questione   controversa   attiene,   infatti,  all'ambito  di
applicazione del comma 26 dell'art. 32.
   Pertanto, non e' dato comprendere quale valenza possa attribuirsi,
in  concreto,  alla  disposizione contenuta nell'art. 5, comma 4, del
testo  unico  dell'edilizia,  la  quale e' obiettivamente riferita ai
procedimenti   ordinari  finalizzati  al  rilascio  del  permesso  di
costruire, con la conseguenza che la stessa, stante l'assenza di ogni
richiamo  o  rinvio ob relationem, non puo' spiegare alcuna efficacia
nella materia regolata dalla normativa sul condono che - lo si ripete
-  costituisce  normativa di stretta interpretazione per la quale e',
all'evidenza,  preclusa  un'interpretazione  analogica  estensiva  in
malam partem.
   Quel  che  piu'  conta  e'  che  l'art.  32  del  d.l. n. 269/2003
stabilisce, senza possibilita' di interpretazioni alternative, che:
     «Ai  fini  dell'acquisizione  del  parere  di  cui al comma 1 si
applica  quanto  previsto  dall'art. 20, comma 6, del d.P.R. 6 giugno
2001, n. 380».
   Il richiamato art. 20, comma 6, prevede, a sua volta, che:
     «Nell'ipotesi    in    cui,    ai   fini   della   realizzazione
dell'intervento,  sia  necessario acquisire atti di assenso, comunque
denominati,  di  altre  amministrazioni,  diverse  da  quelle  di cui
all'art.  5,  comma  3  (atti  di  assenso, cioe', diversi dal parere
dell'A.S.L.  e  dal  parere  dei  Vigili  del  Fuoco,  ove necessari,
n.d.r.),  il  competente  ufficio  comunale convoca una conferenza di
servizi,  ai  sensi  degli artt. 14, 14-bis, 14-ter e 14-quater della
legge n. 241/1990, e successive modificazioni».
   Stante il testuale tenore delle disposizioni ora citate non appare
ammissibile «un'interpretazione coordinata degli artt. 20, comma 6, e
dell'art. 5, comma 4, del d.P.R. n. 380/2001».
   Tale  interpretazione  «additiva»  si pone contro la lettera della
norma  (di  per  se'  sufficientemente  chiara  ed in quanto tale non
suscettibile  di  alcuna  interpretazione secondo il noto brocardo in
claris   non   fit  interpretatio)  che  configura  l'iniziativa  del
«competente  ufficio  comunale»  quale  iniziativa  dovuta,  priva di
margini di discrezionalita'.
   D'altra   parte,   l'obbligatorieta'   della   conferenza   appare
giustificata  dal  fatto  che,  nelle zone assoggettate a vincolo, il
legislatore  del  c.d. condono ter ha ritenuto che l'amministrazione,
nell'esaminare   le  istanze  di  sanatoria,  non  possa  prescindere
dall'obbligo  di  pronunciarsi  espressamente  sulle istanze medesime
(vedasi,  sul  punto,  anche  Cass. pen, sez. III, ord. n. 102 /1996,
secondo cui «gli atti consultivi endoprocedimentali obbligatori - tra
cui  certamente  rientra  il  parere  previsto dall'art. 32, comma 1,
legge  n. 47  /1985,  e  successive  modificazioni  -  devono  essere
richiesti dalla stessa autorita' investita del procedimento»).
   All'esame  di  tali  istanze,  l'amministrazione provvede, in ogni
caso,  solo  dopo aver acquisito, nei modi e nelle forme previste per
la  conferenza  dei servizi, il parere di competenza degli altri enti
coinvolti,  ed  «il motivato dissenso espresso da una amministrazione
preposta   alla  tutela  ambientale  paesaggistico-territoriale,  ivi
inclusa  la  soprintendenza  competente,  alla  tutela del patrimonio
storico-artistico  o  alla  tutela della salute, preclude il rilascio
del titolo abilitativo edilizio in sanatorio».
   Trattasi   di   procedimento  applicabile  alla  sola  fattispecie
regolata  dal «terzo» condono, essendo stato espressamente stabilito,
al  comma 43-bis dell'art. 32 del d.l. n. 269/2003, che «le modifiche
apportate  con  il presente articolo concernenti l'applicazione delle
leggi  28  febbraio  1985,  n. 47, e 23 dicembre 1994, n. 724, non si
applicano  alle  domande  gia'  presentate  ai  sensi  delle predette
leggi».
   Alla  stregua  di  tali considerazioni non sembra sostenibile, sia
sul  piano  logico  che  su  quello giuridico, la tesi propugnata dal
diritto  vivente, secondo cui la conferenza dei servizi sarebbe stata
prevista esclusivamente per gli interventi edilizi minori.
   Ne'  persuade,  in contrario, la diversa opinione, espressa sempre
dal  diritto  vivente,  secondo cui tale tesi non sarebbe, poi, tanto
illogica  dal  momento che «anche l'effettuazione degli interventi di
manutenzione  straordinaria,  restauro e risanamento conservativo, da
realizzarsi   in   aree   assoggettate  al  vincolo  paesaggistico  -
ambientale,  e'  subordinata  al  preventivo  rilascio  del  parere o
dell'autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative (si
pensi,  ad  esempio, al notevole impatto che puo' avere sul paesaggio
gia'  il solo rifacimento totale dell'intonacatura e del rivestimento
esterno  di  un  edificio  qualora  ne  alteri  il precedente aspetto
esteriore)».
   In  senso opposto, infatti, si e' gia' osservato in precedenza, in
linea  con  quanto  previsto dall'art. 149 del d.lgs. n. 42 del 2004,
che,  intanto  gli  interventi di manutenzione e restauro su immobili
sottoposti  a  vincolo  richiedono l'autorizzazione preventiva, se (e
nella   misura   in  cui)  gli  stessi  siano  idonei  a  determinare
alterazione  dello stato dei luoghi, incidendo in modo giuridicamente
rilevante   sull'assetto  paesaggistico  della  zona  e  sull'aspetto
esteriore  degli  edifici  (Cass.,  sez.  III,  sent. n. 39355 del 29
novembre 2006; Cass., sez. III, sent. n. 38051 del 28 settembre 2004;
Cass.,  sez. III, sent. n. 23980 del 26 maggio 2004; Cass., sez. III,
sent.  n. 19761  del  29 aprile 2003; Cass., sez. III, sent. n. 14461
del  28  marzo  2003;  Cass.,  sez.  III, sent. n. 12863 del 20 marzo
2003).
   Negli  altri  casi l'autorizzazione e' esclusa e gli interventi in
questione sono sempre ammissibili.
   D'altronde,  come  autorevolmente  ritenuto  proprio  dalla  Corte
costituzionale  con  sentenza  del  23  giugno  2000,  n. 238,  avuto
riguardo   proprio  agli  immobili  condonati  «la  cui  legittimita'
rispetto    alle    previsioni   urbanistiche   deriva   solo   dalla
sanatoria-condono),   «la   privazione  della  possibilita'  (in  via
assoluta  e  generale,  senza  alcuna  valutazione  di compatibilita'
concreta, circa il modo e l'entita' degli interventi, con le esigenze
di  tutela  ambientale  e - si puo' aggiungere - urbanistica), per il
titolare del diritto di proprieta' su di un immobile, di procedere ad
interventi  di  manutenzione,  aventi quale unica finalita' la tutela
della  integrita'  della  costruzione  e  la  conservazione della sua
funzionalita',   senza   alterare   l'aspetto   esteriore  (sagoma  e
volumetria)  dell'edificio,  rappresenta  certamente  una  lesione al
contenuto minimo della proprieta'.
   Infatti,  l'anzidetto  divieto  incide  addirittura  sulla essenza
stessa  e  sulla  possibilita'  di  mantenere  e  conservare  il bene
(costruzione)   oggetto   del   diritto,  producendo  un  inevitabile
progressivo  abbandono  e  perimento  (strutturale  e funzionale) del
medesimo.   Deve,   pertanto,   escludersi  la  legittimita'  di  una
disposizione   che   comporta  per  il  proprietario,  ancorche'  non
espropriato  della  titolarita',  uno svuotamento del suo diritto nel
modo  piu' irrimediabile e definitivo, e cioe' con graduale degrado e
perimento del bene (costruzione) ed una progressiva inutilizzabilita'
e  distruzione  dell'edificio, in rapporto alla destinazione inerente
alla  sua  natura,  (conforme a licenze, concessioni e autorizzazioni
ancorche'   in   sanatoria)».  [negli  stessi  sensi,  cfr.  sentenza
costituzionale n. 529 del 1995].
   Va,  peraltro,  ribadito  che  l'art.  32,  comma  26, prevede per
interventi  di  manutenzione  e  restauro,  da  eseguirsi su immobili
assoggettati  a  vincolo,  la  necessaria  acquisizione «del parere o
dell'autorizzazione  richiesti»,  abbiano  o meno - tali interventi -
prodotto  alterazione dello stato dei luoghi e dell'aspetto esteriore
degli edifici.
   Avendo  la  norma  (art.  32,  comma 4) stabilito che il parere va
acquisito,  ai  sensi  dell'art.  20,  comma 6, del d.P.R. n. 380 del
2001,  ovvero  mediante conferenza dei servizi, non puo' fondatamente
affermarsi,  come  sostenuto  dal  diritto  vivente, che la sanatoria
introdotta  dal  d.l.  n. 269  del  2003,  per  le  opere eseguite su
immobili  sottoposti  a  vincolo,  va  limitata ai soli abusi minori,
compresa  la manutenzione che dalla disciplina ordinaria e' esonerata
dall'obbligo  dell'autorizzazione  preventiva (quantomeno nei casi in
cui la stessa non determini «alterazione»).
   Non  appare  ragionevole,  quindi,  ritenere,  anche alla luce dei
principi  affermati dalla Corte costituzionale, nelle decisioni sopra
riportate,  sul «contenuto minimo» della proprieta', che possa essere
negato  l'assenso  alla  sanatoria  di una manutenzione straordinaria
eseguita  senza  titolo  che  non  abbia determinato alterazione, per
giunta all'esito di una conferenza di servizi.
   Ne'  pare  decisivo  -  ad  avviso dei ricorrenti, sul piano della
interpretazione  del  comma  26  -  il  richiamo, operato dal diritto
vivente,  alla relazione governativa al d.l. n. 269 del 2003, secondo
la  quale  «...  e'  fissata  la tipologia di opere insanabili tra le
quali   si   evidenziano  ...  quelle  realizzate  in  assenza  o  in
difformita'  del titolo abilitativo edilizio nelle aree sottoposte ai
vincoli  imposti  sulla  base  di  leggi statali e regionali a tutela
degli  interessi  idrogeologici,  ambientali  e  paesistici.  Per gli
interventi  di minore rilevanza (restauro e risanamento conservativo)
si  ammette  la  possibilita' di ottenere la sanatoria edilizia sugli
immobili  soggetti  a  vincolo  previo  parere  favorevole  da  parte
dell'autorita' preposta alla tutela. Per i medesimi interventi, nelle
aeree  diverse  da  quelle  soggette a vincolo, l'ammissibilita' alla
sanatoria e' rimessa ad uno specifico provvedimento regionale».
   A   prescindere   dai  limiti  dell'efficacia  delle  enunciazioni
contenute  nella Relazione governativa in sede di interpretazione del
testo  normativo  - limiti dei quali e' consapevole lo stesso diritto
vivente  -  va  detto,  di  contro,  che la circolare esplicativa del
Ministero  delle  infrastrutture  e  dei  trasporti  pubblicata nella
Gazzetta  Ufficiale  il  3  marzo  2006,  n. 52,  non  contiene alcun
riferimento  a  tale  interpretazione  restrittiva,  in malam partem,
espressa dal diritto vivente.
   Viceversa,   l'interpretazione   fornita   dal   Ministero   delle
infrastrutture  sembra avallare la tesi secondo cui, contrariamente a
quanto  ritenuto  dal  diritto  vivente,  la  sanabilita' delle opere
realizzate  in  zona  vincolata  e' da escludere solo se si tratti di
vincolo  di  inedificabilita'  assoluta  (divieti  di  edificazione o
prescrizioni  di inedificabilita' ex art. 33, legge n. 47 del 1985) e
non  anche nella diversa ipotesi, come quella in esame, di vincolo di
inedificabilita'  relativa,  ovvero di vincolo di tutela suscettibile
di  essere  rimosso  mediante  un  giudizio ex post di compatibilita'
delle opere da sanare da parte della competente autorita' (cfr. Cons.
Stato, sez. V, sent. n. 696 del 4 maggio 1995).
   11.  -  Il c.d. «diritto vivente». La sentenza della Corte suprema
di  cassazione n. 6431 del 15 febbraio 2007, espressamente richiamata
dal  pubblico  ministero,  pur  tenendo  conto  dei suesposti rilievi
critici,  si  inserisce, comunque, nel solco, gia' tracciato da altre
decisioni  della  medesima  Corte  di  cassazione  (si vedano, fra le
tante,  Cass.,  sez.  III,  1° ottobre 2004, n. 38694; Cass., sez. 24
settembre 2004, n. 37865; Cass., sez. III, 21 dicembre 2004, n. 48954
;  Cass.,  sez. III, 21 dicembre 2004, n. 48956 ; Cass., sez. III, 12
gennaio  2005,  n. 216  ;  Cass., sez. III, 5 aprile 2005, n. 12577),
secondo  cui,  a  seguito della entrata in vigore del d.l. n. 269 del
2003,   le   nuove  costruzioni  realizzate  in  assenza  del  titolo
abilitativo   edilizio  e  in  area  assoggettata  a  vincolo  (anche
relativo, come nella fattispecie) non sono suscettibili di sanatoria,
ostandovi  il  disposto  dell'art.  32,  comma  26, lettera a), dello
stesso d.l. n. 269.
   Si  e',  dunque,  in presenza di un diritto vivente, ovvero di una
sufficiente  certezza sul significato della disposizione considerata,
dalla quale questo Tribunale non potrebbe agevolmente discostarsi.
   Facendo,  quindi,  applicazione del suesposto principio di diritto
affermato  dal  diritto vivente, questo tribunale dovrebbe, pertanto,
rigettare  tutti  gli  incidenti  di esecuzione in esame, non potendo
revocare  i  relativi  ordini  di  demolizione,  aventi  ad  oggetto,
appunto, nuove costruzioni in zona assoggettata a vincolo paesistico,
per le quali, nonostante la pendenza di 140 procedure di cd. «condono
edilizio  ter», tutte corredate del rispettivo «parere di congruita'»
espresso  dalle  competenti  amministrazioni  comunali, relativamente
agli  oneri versati da tutti i ricorrenti, non sarebbe in nessun caso
possibile  ottenere la sanatoria, ostandovi il disposto dell'art. 32,
comma 26, lettera a), del d.l. n. 269 del 2003.
   A  tale conclusione questo tribunale sarebbe costretto a pervenire
sebbene  la  Corte  costituzionale,  con  sentenza n. 70 del 12 marzo
2008,  abbia dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 32,
comma 36, del d.l. n. 269 del 2003 nella parte in cui non prevede che
gli  effetti  di cui all'art. 38, comma 2, della legge n. 47 del 1985
si  producono  anche  allorche', anteriormente al decorso dei 36 mesi
dal  pagamento  della  oblazione,  sia  intervenuta l'attestazione di
congruita'  da  parte  dell'autorita'  comunale, come verificatosi in
tutte le 140 fattispecie in esame.
La   non  manifesta  infondatezza  della  questione  di  legittimita'
costituzionale   dell'art.   32,  comma  26,  del  d.l.  n. 269/2003,
convertito  nella  legge n. 326 del 2003, per contrasto con gli artt.
3, 42, 81, 117 e 119 della Costituzione.
   1.  -  Contrasto  con  l'art. 3 della Costituzione. Poiche' il cd.
«diritto  vivente»  non  e'  sempre  conforme  ai dettami della Carta
costituzionale   (Corte  costituzionale,  sent.  n. 167/1984)  e'  da
scrutinare   se   il   sistema   applicativo,   quale  risulta  dagli
orientamenti del giudice di legittimita' cui compete la nomofilachia,
sia  conforme ai parametri costituzionali di cui agli artt. artt. 3 e
24.
   La  risposta, ad avviso di questo giudice remittente, e' negativa,
in   quanto   il  tribunale  reputa  che  la  rigida  interpretazione
estensiva,  in  malam  partem,  dell'art.  32,  comma  26,  del  d.l.
n. 269/2003,  convertito  nella  legge  n. 326  del  2003 fornita dal
diritto  vivente  sia  in  contrasto  innanzitutto con l'art. 3 della
Costituzione, investendo il principio di ragionevolezza e finendo con
lo  snaturare  la stessa volonta' del legislatore, sul versante degli
effetti  penali  della  sanatoria  nelle  aree assoggettate a vincolo
paesistico.
   1.1.  -  La  giurisprudenza  del Giudice delle leggi sugli effetti
estintivi dell'«oblazione» e la sua ricaduta sul regime sanzionatorio
amministrativo in materia edilizia.
   A) La sentenza n. 196 del 28 giugno 2004.
   Per   una   compiuta  disamina  della  problematica,  in  rapporto
all'osservanza  del  canone  di ragionevolezza, va evidenziato che la
Corte  costituzionale,  con  sentenza  n. 196  del 28 giugno 2004, ha
individuato,    con   ricchezza   di   argomentazioni,   la   portata
logico-sistematica  delle  caratteristiche  generali  del  cd. «nuovo
condono   edilizio»  (condono  ter)  di  cui  all'art.  32  del  d.l.
n. 269/2003   innanzi   richiamato,   indicandone   l'interpretazione
storico-contenutistica conforme alla Costituzione.
   Posto  che  fra  piu'  interpretazioni  possibili di una norma, il
giudice  deve  prescegliere  quella conforme alla Carta fondamentale,
appare  doveroso  precisare  che  la  Consulta,  sul  punto, ha cosi'
statuito:
     «Malgrado  la  titolazione  dell'art.  32  sia  "Misure  per  la
riqualificazione   urbanistica,   ambientale   e  paesaggistica,  per
l'incentivazione   dell'attivita'   di   repressione  dell'abusivismo
edilizio,  nonche'  per la definizione degli illeciti edilizi e delle
occupazioni  delle  aree  demaniali",  l'oggetto fondamentale di tale
disposizione  e'  la  previsione  e la disciplina di un nuovo condono
edilizio   esteso   all'intero  territorio  nazionale,  di  carattere
temporaneo  ed eccezionale rispetto all'istituto a carattere generale
e  permanente  del "permesso di costruire in sanatorio", disciplinato
dagli  artt.  36  e  45 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico
delle  disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia),
ancorato  a  presupposti  in  parte  diversi  e comunque sottoposto a
condizioni assai piu' restrittive.
   Si  tratta,  peraltro,  di  un  condono  che  si  ricollega  sotto
molteplici   aspetti  ai  precedenti  condoni  edilizi  che  si  sono
succeduti  dall'inizio  degli  anni  ottanta:  cio' e' reso del tutto
palese  dai  molteplici  rinvii  contenuti  nell'art.  32  alle norme
concernenti  i  precedenti  condoni,  ma  soprattutto  dal  comma  25
dell'art  32,  il  quale  espressamente  rinvia alle disposizioni dei
"capi  IV  e  V  della  leggi  28  febbraio 1985, n. 47, e successive
modificazioni e integrazioni, come ulteriormente modificate dall'art.
39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e successive modificazioni e
integrazioni",  disponendo  che  tale  normativa,  come ulteriormente
modificata  dal medesimo art. 32, si applica "alle opere abusive" cui
la nuova legislazione appunto si riferisce. Attraverso questa tecnica
normativa, consistente nel rinvio alle disposizioni dell'istituto del
condono  edilizio come configurato in precedenza, si ha una esplicita
saldatura  fra  il  nuovo  condono  ed  il  testo  risultante dai due
precedenti  condoni  edilizi  di tipo straordinario, cui si apportano
solo alcune limitate innovazioni.
   Resta, in particolare, la caratteristica fondamentale di mantenere
collegato   il   condono  penale  con  la  sanatoria  amministrativa:
l'integrale   pagamento   dell'oblazione,   oltre   a  costituire  il
presupposto  per  l'estinzione  dei  reati  edilizi, estingue anche i
relativi  procedimenti  di'  esecuzione delle sanzioni amministrative
(cfr.  art.  38,  secondo  comma,  della  legge  n. 47  del  1985)  e
costituisce  uno dei requisiti per il rilascio del titolo abilitativo
in  sanatoria  (commi  32  e  37  dell'art  32 in questione); ancora,
l'oblazione interamente corrisposta costituisce condizione perche' la
sanatoria   renda  inapplicabili  le  sanzioni  amministrative,  "ivi
comprese  le  pene  pecuniarie  e  le  sovrattasse  previste  per  le
violazioni  delle  disposizioni  in  materia  di  imposte sui redditi
relativamente  ai  fabbricati  abusivamente  eseguiti"  (cfr. art 38,
quarto comma, della legge n. 47 del 1985).
   Cio'  non  esclude,  peraltro,  che  -  ove  sia  stata effettuata
l'oblazione, pur in presenza di diniego di sanatorio, si estinguano i
reati  edilizi e le sanzioni amministrative consistenti nel pagamento
di  una  somma  di  denaro  siano  "ridotte  in misura corrispondente
all'oblazione versata" (art. 39 della legge n. 47 del 1985).
   Rispetto  ai  precedenti,  l'attuale  condono  risulta  per alcuni
profili  piu'  ristretto,  dal momento che il comma 25, relativamente
alle  nuove  costruzioni  residenziali, pone un limite complessivo di
3.000  metri  cubi  ai volumi sanabili, e definisce analiticamente le
tipologie  di abusi condonabili (comma 26 e Allegato 1), introducendo
altresi'  alcuni  nuovi  limiti all'applicabilita' del condono (comma
27),  che  si  aggiungono a quanto previsto negli arti. 32 e 33 della
legge n. 47 del 1985. A fianco di tali previsioni, viene disciplinata
analiticamente  la  possibilita' di sanare opere abusive edificate su
aree  di proprieta' dello Stato o facenti parte del demanio statale o
su aree gravate da diritti di uso civico (commi da 14 a 20).
   Il  richiamo  all'intero  capo IV della legge n. 47 del 1985 rende
applicabile anche al presente condono la sospensione dei procedimenti
amministrativi  e  giurisdizionali  disposta dall'art. 44 della legge
n. 47  del  1985,  con  effetto  dalla  data di entrata in vigore del
decreto e fino alla scadenza dei termini fissati per la presentazione
delle  domande di sanatoria [stabilito, come e' noto, originariamente
al   31   marzo   2004,  quindi  differito  al  31  luglio  2004  dal
decreto-legge  31  marzo  2004,  n. 82 (Proroga di termini in materia
edilizia),  convertito  in  legge ad opero della legge 28 maggio 2004
n. 141  (Conversione in legge del decreto-legge 31 marzo 2004, n. 82,
recante proroga di termini in materia edilizia)].
   La  regolare  e tempestiva presentazione di tale domanda al comune
competente,   nonche'   il  versamento  dell'oblazione,  sospende  il
procedimento penale e quello per le sanzioni amministrative (art. 38,
primo comma, della legge n. 47 del 1985).
   Il  titolo  abilitativo e' rilasciato dal comune, ove non vi siano
motivi  ostativi (art. 35 della legge n. 47 del 1985), ma il comma 37
dell'art  32  del  d.l.  n. 269 del 2003 dispone che il decorso di 24
mesi dalla consegna della documentazione, senza che l'amministrazione
abbia  adottato  un  provvedimento  negativo,  integra  un'ipotesi di
silenzio-assenso,  che equivale al rilascio del titolo abilitativo in
sanatoria.
   Da   notare,   infine,  che  permane  l'atipicita'  dell'oblazione
delineata  da questa legislazione (e destinata all'erario statale, ai
sensi  dell'art.  34,  primo  comma, della legge n. 47 del 1985), che
differisce  sotto piu' profili dall'istituto disciplinato in generale
dagli artt. 162 e 162-bis del codice penale, e la cui quantificazione
e'  determinata  o  forfettariamente  o  in  misura  rapportata  alla
tipologia  dell'abuso, alla qualita' degli immobili e alla superficie
della  costruzione  abusivamente realizzata (si veda, al riguardo, la
sentenza  n. 369  del  1988)»  (cfr.,  negli  esatti  termini,  Corte
costituzionale, sent. n. 196/2004 cit.).
   B)  La  vexata  quaestio  della «competenza» del giudice penale in
materia  di  accertamento  di  conformita' delle opere agli strumenti
urbanistici.
   Nella sentenza n. 196/2004, il giudice delle leggi cosi' prosegue:
   «Il   condono   edilizio   di  tipo  straordinario,  quale  finora
configurato   nella   nostra   legislazione,   appare  essenzialmente
caratterizzato  dalla  volonta'  dello  Stato  di  intervenire in via
straordinaria  sul piano della esenzione dalla sanzionabilita' penale
nei  riguardi  dei  soggetti  che, avendo posto in essere determinate
tipologie  di  abusi edilizi, ne chiedano il condono tramite i comuni
direttamente  interessati,  assumendosi  l'onere del versamento della
relativa  oblazione  e  dei costi connessi all'eventuale rilascio del
titolo  abilitativo  edilizio in sanatoria, appositamente previsto da
questa legislazione.
   Non  vi  e'  dubbio sul fatto che solo il legislatore statale puo'
incidere  sulla  sanzionabilita'  penale  (per  tutte, v. la sentenza
n. 487  del  1989)  e  che  esso,  specie  in  occasione di sanatorie
amministrative,  dispone  di assoluta discrezionalita' in materia "di
estinzione  del  reato  o  della  pena,  o  di'  non procedibilita' "
(sentenza,  recte:  ordinanza,  n. d.r.  Consulta  Online] n. 327 del
2000,  n. 149  del  1999 [ordinanza, n. Consulta Online] e n. 167 del
1989).  Peraltro,  la  circostanza  che  il  comune  sia  titolare di
fondamentali  poteri  di gestione e di controllo del territorio rende
necessaria    la    sua   piena   collaborazione   con   gli   organi
giurisdizionali,  poiche', come questa Corte ha affermato, il giudice
penale  non ha competenza "istituzionale" per compiere l'accertamento
di  conformita'  delle  opere  agli  strumenti  urbanistici (sentenza
n. 370  del  1988). Tale doverosa collaborazione per concretizzare la
scelta  del  legislatore statale di porre in essere un condono penale
si  impone  quindi  su  tutto  il territorio nazionale, inerendo alla
strumentazione indispensabile per dare effettivita' a tale scelta.
   Al  tempo  stesso  rileva  la  parallela sanatoria amministrativa,
anche  attraverso  la  previsione da parte del legislatore statale di
uno  straordinario titolo abilitativo edilizio, a causa dell'evidente
interesse  di coloro che abbiano edificato illegalmente ad un condono
su entrambi i versanti, quello penale e quello amministrativo» (cfr.,
negli esatti termini, Corte costituzionale, sent. n. 196/2004 cit).
   C)  L'ambito  di  applicazione  della  esenzione della punibilita'
penale  e  la  sua  maggiore  estensione rispetto a quella della c.d.
«sanatoria amministrativa».
   La  predetta sentenza costituzionale, nel distinguere tra «effetti
dell'ordinamento penale» ed «effetti della sanatoria amministrativa»,
nell'ottica   interpretativa   dello   ius   superveniens,  ha  cosi'
acutamente  delimitato  i  rispettivi  ambiti, alla luce dell'art. 39
della  legge  n. 47/1985,  cui fa rinvio il comma 25 dell'art. 32 del
d.l.  n. 269/2003:  «questa  legislazione  -  rileva  la  Consulta  -
conferma  quella  che  e'  una  piu'  generale  caratteristica  della
legislazione  sul  condono,  nella  quale normalmente quest'ultimo ha
effetti   sia   sul   piano  penale  che  sul  piano  delle  sanzioni
amministrative,  ma  che non esclude la possibilita' che le procedure
finalizzate  al conseguimento dell'esenzione dalla punibilita' penale
si applichino ad un maggior numero di opere edilizie abusive rispetto
a  quelle  per  le quali operano gli effetti estintivi degli illeciti
amministrativi;   cio'   e'   reso   d'altra   parte  evidente  nelle
disposizioni  dello  stesso  Capo  IV  della  legge n. 47 del 1985, e
successive  modificazioni e integrazioni, che nell'art. 38 disciplina
separatamente,  al  secondo  ed  al  quarto  comma, i presupposti del
condono    penale    (il   versamento   dell'intera   oblazione)   ed
amministrativo (il conseguimento del titolo abilitativo in sanatoria)
e  nell'art.  39  prevede  che, ove si sia effettuata l'oblazione, si
produca  comunque  l'estinzione  dei  reati  anche  ove "le opere non
possano conseguire la sanatoria"».
   D) L'ordinanza della Corte costituzionale n. 56 del 12 marzo 1998.
   Gia'   con   ordinanza   del   12  marzo  1998,  n. 56,  la  Corte
costituzionale aveva ritenuto che «il combinato disposto degli artt.,
38,  commi secondo e quarto, e 43 della legge n. 47 del 1985 prevede,
tra  gli  effetti  tassativi  della  oblazione e della concessione in
sanatoria, anche quelli sui procedimenti di esecuzione delle sanzioni
amministrative  (purche'  non  sia  ancora intervenuta la completa ed
integrale esecuzione)».
   E) La sentenza costituzionale n. 49 del 10 febbraio 2006.
   Ed  ancora,  con  riferimento  agli  effetti della c.d. «sanatoria
amministrativa»  che,  come gia' ribadito dalla Consulta, opera su di
un piano giuridico diverso da quello strettamente collegato alla c.d.
«sanzionabilita'  penale»,  la  Corte  costituzionale,  con  la  piu'
recente  sentenza  n. 49 del 2006, ha statuito che l'art. 3, comma 1,
della  legge  della  Regione  Lombardia  n. 31  del  2004  non  e' in
contrasto con quanto previsto dall'art. 32, comma 27, lettera d), del
d.l.  n. 269  del  20030  norma  quest'ultima  che,  ove diversamente
interpretata,  renderebbe  di fatto inapplicabile il condono edilizio
nelle  aree  assoggettate  a  vincolo,  nelle quali potrebbero essere
sanati soltanto gli interventi edilizi c.d. «minori».
   La Consulta, viceversa, ha dichiarato costituzionalmente legittima
la disposizione regionale censurata, giacche' tale norma non fa altro
che  «recepire  la  normativa  statale concernente la sanatoria degli
abusi  realizzati  nelle  aree vincolate, senza introdurre ipotesi di
sanatoria  ulteriori  rispetto  a quelle previste dal d.l. n. 269 del
2003».
   Da tale lettura costituzionalmente orientata del comma 27, lettera
d),  dell'art.  32,  d.l.  n. 269/2003  cit.  e'  lecito arguire - in
sintonia con la concorde interpretazione del giudice amministrativo -
che  non  tutti i vincoli sono ostativi alla sanabilita', ma soltanto
quelli di inedificabilita' assoluta.
   A   riscontro   di   tale  opzione  interpretativa,  il  Tribunale
amministrativo  regionaleCampania  - Napoli, con sentenza n. 6182 del
22 marzo 2006, ha confermato che «la Corte ha avuto modo di chiarire,
con  riferimento agli abusi in aree vincolate, nel pronunciarsi sulla
legittimita'  costituzionale  della  legge regionale della Lombardia,
che  la  sanabilita'  delle  opere realizzate in zona vincolata e' da
escludere  solo  se si tratti di vincolo di inedificabilita' assoluta
(divieti  di  edificazione o prescrizioni di inedificabilita' ex art.
33,  legge  n. 47  del  1985)  e  non  anche nella diversa ipotesi di
vincolo  di  inedificabilita'  relativa,  ovvero di vincolo di tutela
suscettibile  di  essere  rimosso  mediante  un  giudizio  ex post di
compatibilita'  delle  opere  da  sanare  da  parte  della competente
autorita' (cfr. Cons. Stato, sez. V, sent. n. 696 del 4 maggio 1995).
   Pertanto,  secondo  la  norma  statale,  non  tutti i vincoli sono
ostativi   alla   sanabilita'  ma  solo  quelli  di  inedificabilita'
assoluta,  quali,  ad  esempio,  i vincoli di rispetto cimiteriale, i
vincoli  di  rispetto  stradale,  i  vincoli  idrogeologici  e quelli
relativi alle zone omogenee A, Al ed FI del P.R.G. sempre, pero', che
lo  stesso  risulti  debitamente  adottato, approvato e pubblicato e,
pertanto,  vigente»  (cfr.,  T.a.r  Campania, sez. IV, 22 marzo 2006,
n. 6182, ric. Galano, res. Comune Napoli).
   Lo  stesso  T.a.r.,  con  sentenza n. 7417 dell'8 agosto 2007, con
riferimento all'ambito di' applicazione dell'istituto della sanatoria
straordinaria di cui al d.l. n. 269/2003, in zona assoggettata - come
nel  caso  in  esame  -  a  regime vincolistico, ha precisato che «la
giurisprudenza  della  Sezione  sul  punto  e'  nel  senso  della non
sufficienza,  sotto  il profilo motivazionale, del solo richiamo alla
esistenza  di  un  regime vincolistico per il diniego della sanatorio
edilizia  introdotta dalla legislazione condonistica (cfr. ex multis,
sent. n. 7050/2006).
   Infatti,  in argomento, si devono richiamare ben tre disposizioni:
l'art.   32  della  legge  n. 47/1985  (come  novellato  dalla  legge
n. 326/2003), l'art. 33 della legge n. 47/1985 e l'art. 32, comma 27,
legge n. 326/2003.
   Dalla  combinata  lettura  delle  stesse  si  trae,  ad avviso del
tribunale,   la  seguente  "gerarchia"  applicativa:  vi  sono  opere
sanabili  costruite  su  aree  sottoposte  a  vincolo, come recita la
stessa  intestazione  dell'art. 32, legge n. 47/1985: opere sanabili,
subordinatamente   alla  acquisizione  del  parere  favorevole  della
pubblica   amministrazione);   vi  sono  opere  insanabili  ai  sensi
dell'art. 33, legge n. 47/1985: non sono suscettibili di sanatoria le
opere  effettuate  in zone vincolate (ex plurimis: vincoli imposti da
leggi  statali  e  regionali  nonche'  dagli  strumenti urbanistici a
tutela di interessi storici, artistici, architettonici, archeologici,
paesistici,  ambientali,  idrogeologici:  lettera  a)  dell'art  33),
allorquando  i  vincoli imposti comportino l'inedificabilita' e siano
stati  imposti  prima  della  esecuzione  delle opere stesse; vi sono
opere  comunque  non suscettibili di sanatoria, fermo restando quanto
previsto  dagli  artt. 32 e 32 della legge 28 febbraio 1985, qualora:
(omissis)  siano  state  realizzate  su  immobili  soggetti a vincoli
imposti  sulla  base  di  leggi  statali  e  regionali a tutela degli
interessi  idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali
e  paesistici,  nonche'  dei  parchi e delle aree protette nazionali,
regionali  e  provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di
dette  opere,  in  assenza  o  in  difformita' del titolo abilitativo
edilizio  e  non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni
degli  strumenti  urbanistici  (lettera  d) del comma 27 dell'art. 32
cit.).
   Ne  consegue,  ad  avviso  del Tribunale, che la lettera d) appena
richiamata  ha  un  campo applicativo suo proprio e ben diversificato
dagli  artt.  32  e  33 della legge n. 47/1985. Riguarda, in sintesi,
zone  sottoposte  a  vincolo,  che  non  comportano  inedificabilita'
(altrimenti  la  disciplina normativa da richiamare sarebbe quella ex
art. 33, legge n. 47/1985), su cui, senza titolo edilizio, sono state
costruite   opere   non  conformi  alle  norme  urbanistiche  e  alle
prescrizioni degli strumenti urbanistici.
   La  non conformita' alla strumentazione urbanistica diviene quindi
elemento  nodale  per  questa  particolare  insanabilita'.  In  altri
termini,  non  e'  solo  la  presenza  del  vincolo a rendere l'opera
insanabile,  altrimenti all'art 32, legge n. 47/1985 non residuerebbe
operativita'.
   Deve  sussistere, dunque, sia la sussistenza di un vincolo (non di
edificabilita',  altrimenti si ricade nell'art 33, legge n. 47/1985),
sia  la  non conformita' alla pianificazione: sintomatico del rilievo
di  quest'ultima  e'  dato  dalla coeva modifica dell'art 27 del T.U.
n. 380/2001  (ai  sensi  del  comma  45  e  46  dell'art.  32,  legge
n. 326/2003)  in  cui  si  sono  previsti gli immediati provvedimenti
demolitori   dirigenziali  anche,  appunto,  ove  sia  riscontata  la
difformita' dalle norme di pianificazione.
   Nel  caso  in esame, si deve sottolineare come l'intero territorio
di  Pozzuoli  sia  stato sottoposto, con il d.m. del 1957, al vincolo
paesaggistico  ex  lege  n. 1497/1939  (Cfr.,  Cass., ss.uu. penale 3
ottobre 1995, n. 3261).
   Siamo  percio'  in presenza di un vincolo superabile ai fini della
sanatoria,   ex   art.   32,   legge   n. 47/1985:  ne  consegue  che
l'amministrazione  non poteva limitarsi a richiamare l'art. 32, comma
27,  legge  n. 326/2003  in  assenza  di rimando specifico anche alla
contrarieta' della pianificazione edilizio-urbanistica.
   Il  solo  rinvio alla sussistenza del vincolo paesaggistico, cosi'
come  espresso nel provvedimento impugnato, rende pertanto fondato il
relativo     motivo    di    gravame»    (Tribunale    amministrativo
regionaleCampania,  VI  sez.,  8 agosto 2007, n. 7417, Del Gore Luigi
e/Comune di Pozzuoli).
   2.  - La violazione del canone di ragionevolezza (art. 3 Cost.) ed
il contrasto con gli artt. 42, 81,117 e 119 della Costituzione.
   2.1.  -  La violazione del canone di ragionevolezza. Alla luce dei
rilievi  del  Giudice  delle leggi, reputa il tribunale di ravvisare,
nella  fattispecie,  lo  schema «ternario» necessario presupposto del
giudizio   di   ragionevolezza,   ai   sensi  dell'articolo  3  della
Costituzione.
   Il  giudizio  di  legittimita' costituzionale assume, in tal caso,
non  tanto  i  caratteri  di  un  controllo  negativo sull'assenza di
contrasto  tra  legge e Costituzione, quanto, piuttosto, quelli di un
riscontro  positivo  circa  la  sussistenza  di quella dose minima di
adeguatezza,  congruenza e proporzionalita' rispetto al fatto (in una
parola,  di  ragionevolezza)  che la scelta positiva deve incorporare
per  essere  considerata  come  legittimo  esercizio  della  funzione
legislativa.
   A  tale proposito il Giudice delle Leggi ha sviluppato, attraverso
la  formula  della  ragionevolezza, forme «non invasive» di controllo
che  consentano  di  scrutinare le scelte effettuate dal legislatore,
non  solo  nella  loro astratta conformita' ad un ordine superiore ed
esterno  (Costituzione),  ma  nella loro corrispondenza ad un'idea di
interna  razionalita'  e plausibilita', sia sul piano strumentale che
su quello sistematico.
   Gli  strumenti  tipici del sindacato di ragionevolezza consistono,
pertanto,  in  argomenti di razionalita' sistematica che si traducono
in  un  giudizio  di  coerenza, in relazione a riferimenti valutativi
ricavati  dalla  logica degli istituti, volto ad assicurare l'innesto
della  disciplina  legislativa  in  un  tessuto  normativo  privo  di
contraddizioni.
   Nel   caso   in   esame,   non  pare  che  la  salvaguardia  della
discrezionalita'  legislativa possa esimere il tribunale dal valutare
se  nel  diritto  vivente  formatosi sull'art. 32, comma 26, del d.l.
n. 269 del 2003 vi sia una manifesta opzione interpretativa che abbia
vulnerato il canone della razionalita'.
   Alla  stregua  delle  argomentazioni  innanzi svolte e soprattutto
tenuto conto dell'insegnamento della Corte costituzionale in materia,
ritiene  questo  Tribunale  che  il  legislatore  non  avrebbe  avuto
necessita'   di  predisporre  un  cosi'  complesso  procedimento  per
l'acquisizione  del  parere  paesistico,  ove la sua intenzione fosse
stata effettivamente quella - come ritenuto dal «diritto vivente - di
escludere  sempre,  in ogni caso, la possibilita' di sanatoria per le
opere   di   cui  alle  tipologie  n. 1,  n. 2  e  n. 3,  nelle  zone
assoggettate a vincolo.
   Tale  articolato corpus normativo, in aderenza al principio di non
aggravamento  dei  procedimenti  amministrativi,  non  era  di  certo
richiesto  per  sanare  le  sole  tipologie  n. 4,  n. 5 e n. 6, cui,
peraltro,   la   vigente   legislazione  gia'  ricollega  un'autonoma
possibilita'  di  legittimazione,  sia  ex  ante  (art.  149,  d.lgs.
n. 42/04)   sia   ex   post,  attraverso  il  c.d.  «accertamento  di
compatibilita' paesaggistica» previsto dall'art. 167, d.lgs n. 42/04,
relativamente  alle opere di natura manutentiva, nonche' a quelle che
non abbiano, in concreto, determinato incrementi planovolumetrici.
   In  dottrina,  infatti,  e'  stato  sollevato, anche sul punto, un
duplice interrogativo, che il tribunale fa proprio.
   Il  primo  riguarda  la circostanza se sia ragionevole prescrivere
l'obbligo  della acquisizione del preventivo parere per colui che non
abbia  incrementato  in  alcun  modo  il  proprio edificio, ma si sia
limitato  a  spostare una finestra, se cio' e' esplicitamente escluso
per interventi che, invece, hanno provocato incrementi sia di altezza
che di volumetria, ancorche' contenuta nel limite del 2%.
   Il   secondo,  che  risulta  molto  piu'  rilevante,  riguarda  la
circostanza  di  come  possa conciliarsi una disposizione che prevede
che  siano  ammessi  a  condono edilizio abusi che abbiano comportato
innovazioni plano volumetriche nelle zone assoggettate a vincolo, con
esclusione   perfino   dell'obbligo  del  parere  paesaggistico,  con
l'affermazione  secondo  cui l'intero contesto normativo escluderebbe
l'applicabilita'  del condono agli abusi riconducibili alle tipologie
n. 1,  n. 2  e  n. 3,  ed  eseguiti nelle zone assoggettate a vincolo
paesistico.
   L'incoerenza  logica della tesi sostenuta dal «diritto vivente» e'
dimostrata,  a  ben  vedere, dai precedenti insegnamenti della stessa
Corte  suprema  di  cassazione,  anche  a  sezioni  unite  (cfr.,  ex
plurimis,  Cass.  ss.  uu.  n. 22  del  1999),  che  aveva escluso la
possibilita'  di  porre  sullo  stesso  piano  gli  effetti penali ed
amministrativi del condono.
   Peraltro,  come dinanzi sottolineato ed in conformita' al riferito
orientamento  dottrinario,  con  la sentenza n. 196 del 2004 la Corte
costituzionale  aveva  precisato  l'esigenza di chiarire che la nuova
normativa  di  condono  «si  ricollega  sotto  molteplici  aspetti ai
precedenti  condoni  edilizi  che si sono succeduti dall'inizio degli
anni  ottanta,  il che e' reso del tutto palese dai molteplici rinvii
contenuti  nell'art.  32 alle norme concernenti i precedenti condoni,
con  una  tecnica  normativa  che crea una esplicita saldatura tra il
nuovo  condono  ed  il  testo  risultante  dai due precedenti condoni
edilizi  di tipo straordinario, cui si apportano solo alcune limitate
innovazioni».
   Sempre   con   la   ricordata   sentenza   n. 196/2004,  la  Corte
costituzionale aveva rimarcato con maggior vigore rispetto al passato
il   rapporto   (e   la   non  necessaria  coesistenza)  tra  effetti
amministrativi   ed   effetti   penali  della  sanatoria,  chiarendo,
altresi',  come permanga anche con il nuovo condono edilizio «ter» la
caratteristica  fondamentale di mantenere collegato il condono penale
con  la  sanatoria  amministrativa,  in  quanto l'integrale pagamento
dell'oblazione,  oltre  a  costituire il presupposto per l'estinzione
dei   reati  edilizi,  estingue  anche  i  relativi  procedimenti  di
esecuzione  delle  sanzioni  amministrative  e  costituisce  uno  dei
requisiti   per  il  rilascio  del  titolo  abilitativo  edilizio  in
sanatoria (art. 32, commi 32 e 37, del d.l. n. 269 del 2003).
   Peraltro, cio' non esclude che, pagata interamente l'oblazione, ai
sensi dell'art. 39 della legge n. 47 del 1985 (applicabile - come gli
artt. 38 e 44 - in virtu' del richiamo operato dal comma 25 dell'art.
32  cit.  agli interi capi IV e V della legge n. 47 del 1985), pur in
presenza  di diniego di sanatoria, si estinguano i reati edilizi e si
riducano   in   misura   pari   all'oblazione   versata  le  sanzioni
amministrative consistenti nel pagamento di una somma di danaro.
   In altri termini, il potere del giudice penale di non applicare la
speciale  causa  estintiva  prevista dalla sanatoria straordinaria (e
naturalmente anche di non sospendere il giudizio per i reati ai quali
la  stessa si riferisce) puo' essere esercitato nella sola ipotesi in
cui  dagli  atti  emerga  verosimilmente  la violazione, da parte del
contravventore,  dei  limiti temporali e volumetrici nella esecuzione
delle  opere  e non anche quando tali opere non appaiano suscettibili
di sanatoria sul piano strettamente amministrativo.
   A  tali  fini,  come  si e' visto, persino il diniego di sanatoria
della  p.a.  rappresenta  un  elemento  neutro e del tutto inidoneo a
determinare  l'esclusione  della  operativita' della causa estintiva,
ricollegata  -  lo  si  ripete  - al solo pagamento dell'oblazione in
misura  congrua  secondo quanto previsto dal richiamato art. 39 della
legge n. 47 del 1985.
   Del  resto, sempre sul versante amministrativo, il diritto vivente
non  spiega  perche'  nelle  aree vincolate maggiormente «sensibili»,
come  quelle  demaniali,  sulle  quali  siano  state  eseguite  opere
abusive,  il  legislatore  del  2003  (art.  32,  comma  17)  si  sia
accontentato di subordinare la disponibilita' alla cessione dell'area
al  solo  rilascio del parere favorevole dell'autorita' preposta alla
tutela  del  vincolo  (che, pertanto, fungerebbe da vincolo relativo,
perche'  rimuovibile  ad  opera  della  competente  autorita',  e non
assoluto).
   Ne'  appare  di  rilievo  la  circostanza  addotta  dalla Corte di
cassazione   nella   sentenza   n. 6431/2007,   per  la  quale  «tale
disposizione,  riferita  alle  opere  eseguite  da  terzi  su aree di
proprieta'  dello  Stato  o  facenti  parte  del  demanio statale, e'
significativamente  limitata  dall'esclusione  (posta  dal precedente
comma  14)  del  demanio  marittimo  lacuale  e fluviale, nonche' dei
terreni  gravati  da  diritti  di uso civico (immobili assoggettati a
vincolo  paesaggistico  ex  lege)», dovendosi tener conto "dell'ampia
nozione di vincolo" che l'art. 32 della legge n. 47/1985 presuppone.
   Anche  qui la norma - nel prevedere una fattispecie di sanatoria a
condizione  - e' sufficientemente chiara e non puo' essere manipolata
con interpretazioni additive in malam partem, contro o praeter legem.
   Non  spiega,  infatti,  il  diritto vivente perche' il controverso
comma  26  arrivi  a  ritagliare un'eccezione all'ambito oggettivo di
applicabilita'  della  sanatoria  per  i  soli  abusi  realizzati  su
immobili  dichiarati  monumento  nazionale,  omettendo di menzionarne
altri.
   La  norma  prevede,  infatti,  che  sono suscettibili di sanatoria
edilizia  (tutte)  le tipologie di illecito di cui all'allegato 1: a)
numeri  da  1 a 3 nell'ambito dell'intero territorio nazionale, fermo
restando  quanto previsto dalla lettera e) del comma 27, nonche' 4, 5
e  6 nell'ambito degli immobili soggetti a vincolo di cui all'art. 32
della legge n. 47/1985.
   La  sanatoria abbraccia, dunque, tutte le tipologie di illecito da
1  a  3  (opere  nuove  senza  titolo  edilizio  o in difformita', in
contrasto  con  gli  strumenti  urbanistici o conformi agli strumenti
urbanistici;  ristrutturazioni  senza  titolo  o  in  difformita' dal
titolo), escludendo espressamente le sole opere abusive realizzate su
immobili   assoggettati  a  vincolo  storico-artistico  ai  quali  si
riferisce il comma 27, lettera e).
   Secondo il richiamato canone di ragionevolezza, il legislatore non
avrebbe  avuto  alcuna  necessita' - ove la disposizione del comma 26
fosse  effettivamente  da  interpretare,  come  ritenuto  dal diritto
vivente,  nel  senso  che nelle aree vincolate sono sanabili solo gli
interventi  edilizi  «minori» - di collegare agli abusi «maggiori» le
opere   eseguite   senza  titolo  su  immobili  dichiarati  monumento
nazionale, per giunta vincolati «in individuo».
   E  lo  stesso comma 27 nemmeno avrebbe avuto motivo di esistere in
quanto  in  esso  si  fa  riferimento a tutti i vincoli riconducibili
all'ambito di applicazione dell'art. 32 della legge n. 47 del 1985.
   Privo  di  giustificazione  sul  piano  logico sarebbe stato anche
prevedere,  come  in  effetti  e' avvenuto, con la formulazione della
lettera  d),  che  la  mancata  dimostrazione della conformita' delle
opere  alle  norme  urbanistiche  e alle prescrizioni degli strumenti
urbanistici  determina  l'insanabilita'  delle  opere per le quali e'
stato richiesto il beneficio del condono.
   La  sentenza  della Corte costituzionale n. 49 sembra rafforzare -
sul  piano  interpretativo  -  il  convincimento  di chi, come questo
giudice,  ritiene, in aderenza al suesposto orientamento dottrinario,
che   l'unico  parametro  normativo  da  considerare  per  delimitare
l'ambito  oggettivo  di  applicazione  della  sanatoria straordinaria
nelle  aree sottoposte a vincolo sia rappresentato non gia' dal comma
26 ma piuttosto dal comma 27, lettera d), del d.l. n. 269 del 2003.
   La   Consulta,  infatti,  non  solo  omette  ogni  riferimento  al
suindicato  comma  26  ma, anzi, finisce per offrire una lettura piu'
ampia  dello  stesso comma 27, lettera d), laddove precisa che i soli
vincoli   di   inedificabilita'   assoluta  e  non  anche  quelli  di
inedificabilita'  relativa  possano  essere considerati ostativi alla
sanabilita'.
   In  altri termini, nelle aree sottoposte a vincolo, sempre che non
si  tratti  di vincolo di inedificabilita' assoluta, le opere abusive
potranno  essere  sanate,  secondo  l'insegnamento  del Giudice delle
leggi, laddove si dimostri la conformita' delle stesse alla normativa
urbanistica,  previo  parere  favorevole dell'autorita' preposta alla
tutela  del  vincolo,  come disciplinato dal nuovo testo dell'art. 32
della  legge  n. 47/1985,  nella formulazione introdotta dal comma 43
del  d.l.  n. 269 del 2003 (che prevede una conferenza di servizi cui
partecipa  necessariamente  anche  la Soprintendenza territorialmente
competente, il cui parere e' vincolante).
   A  tale  conclusione  osta,  tuttavia,  il  difforme indirizzo del
giudice di legittimita'.
   2.2  -  Il  contrasto  con  gli  artt.  42  81  117  e  119  della
Costituzione.    Ad   Aaviso   di   questo   tribunale,   la   rigida
interpretazione  - da parte del diritto vivente - del comma 26, oltre
a  porsi  in  contrasto  con  l'art.  3  Cost.,  in quanto l'illogica
restrizione  dell'ambito  applicativo  della  disciplina  statale del
condono edilizio comporta la violazione del principio di uguaglianza,
si  pone in contrasto anche con l'art. 117, secondo comma, lettera l)
Cost.,  relativamente alla competenza statale esclusiva in materia di
ordinamento civile e penale, dal momento che la medesima tipologia di
illecito  urbanistico  riceve  nell'intero  territorio nazionale, per
effetto  dell'applicazione  -  conforme  al «diritto vivente» - della
norma  impugnata, un diverso trattamento giudiziario, a seconda della
natura  vincolata  o  meno  dell'area  oggetto dell'intervento e, per
giunta,  senza distinguere tra vincolo di inedificabilita' relativa e
vincolo  di  inedificabilita'  assoluta,  come - viceversa - ritenuto
decisivo  dalla  Corte costituzionale con la ricordata sentenza n. 49
del 2006.
   L'interpretazione  restrittiva in malam partem del diritto vivente
si  discosta,  inoltre,  dall'art.  32, comma 25, del d.l. n. 269 del
2003 e, pertanto, riducendo irrazionalmente l'ambito degli interventi
ammessi al condono edilizio, contrasta anche con gli artt. 117, terzo
comma,  e 119 Cost., in quanto riduce il gettito finanziario previsto
dalla  normativa  statale sul condono edilizio, in tal modo incidendo
su materie di competenza statale esclusiva («rapporti dello Stato con
l'Unione  europea»,  «moneta»)  e  concorrente  («coordinamento della
finanza pubblica»).
   La  suddetta  interpretazione fornita dal diritto vivente vulnera,
altresi',  l'art.  81  Cost.  in  quanto  ha  effetto sulla copertura
finanziaria di molte leggi di spesa che fanno affidamento sul gettito
del    condono    edilizio,    determinando   un'indebita   turbativa
dell'equilibrio finanziario del paese nel suo insieme.
   La  contestata  interpretazione  della  norma in questione genera,
infine,  radicali  incertezze  in  ordine agli effetti dell'oblazione
corrisposta   per   la   sanatoria  delle  opere  abusive,  con  cio'
vulnerando,   sotto  ulteriore  profilo,  sia  l'art.  3  (canone  di
ragionevolezza) che l'art. 42 Cost.
La rilevanza della questione di legittimita' costituzionale dell'art.
32, comma 26, del d.l. n. 269/2003, convertito nella legge n. 326 del
2003.
   1.  -  Nella fattispecie, la prospettata questione di legittimita'
costituzionale  e',  altresi',  rilevante, in quanto l'ingiunzione di
demolizione  e'  stata emessa dal Procuratore della Repubblica presso
il  Tribunale  di Napoli nonostante ciascuno dei 140 ricorrenti abbia
presentato  istanza  di  condono  edilizio, ai sensi dell'art. 32 del
d.l.  n. 269/2003,  convertito  nella legge n. 326/2003, corredata di
pagamento   dell'oblazione   autodeterminata,  ritenuta  congrua  dai
rispettivi  uffici  tecnici  comunali,  con  apposita  certificazione
acquisita  agli atti e, secondo l'interpretazione fornita dal diritto
vivente,  ciascuno  degli  incidenti  di  esecuzione  dovrebbe essere
rigettato  da questo tribunale, ritenendo - sempre secondo il diritto
vivente - che anche nelle aree soggette a vincolo di inedificabilita'
relativa  (come  sono  le  zone in cui ciascuno dei 140 ricorrenti ha
realizzato  le  opere  oggetto  dell'invocato  condono  ter)  risulta
preclusa l'applicabilita' del predetto condono edilizio.
   2.  -  Pertanto,  qualora  questo  Tribunale  dovesse aderire alla
rigida  opzione  ermeneutica  fornita dal diritto vivente, al rigetto
dei  140  incidenti  di  esecuzione  conseguirebbe un pregiudizio (la
demolizione  di  140  immobili),  da  reputarsi  irreparabile per gli
esecutati  in  caso  di  (verosimile)  accoglimento  della domanda di
sanatoria  edilizia  da  parte  dei rispettivi Comuni, che gia' hanno
formulato  una  prognosi favorevole, certificando la congruita' delle
oblazioni versate da ciascuno dei 140 ricorrenti.
   3.  -  Infatti,  proprio  sulla tematica del significato giuridico
della   oblazione   e   delle   ricadute  sull'ordine  giudiziale  di
demolizione si sono registrate pronunce difformi da parte del giudice
di  legittimita',  la  cui  giurisprudenza,  sul punto, non sempre e'
stata   perspicua   e   sistematicamente  coerente,  ne'  logicamente
uniforme.
   3.1.  -  Gli  orientamenti  della  Corte di cassazione. Secondo un
primo  orientamento  (Sez.  III,  sentenza  n. 228 del 24 marzo 1993,
Farinelli)  ed in virtu' di quanto previsto dall'art. 6 del d.l. n. 2
del 1988, l'oblazione estingue i reati di cui all'art. 20 della legge
2  febbraio  1974,  n. 64, nonche' i procedimenti di esecuzione delle
sanzioni  amministrative.  «Nel  sistema  delle  cause estintive, una
volta  intervenuta  la  condanna irrevocabile, la causa estintiva del
reato  (rectius  della  punibilita')  degrada a causa estintiva della
pena  (rectius della esecuzione della pena) e a causa estintiva degli
effetti  penali  e di quelli amministrativi, se cio' e' espressamente
disposto.  Cosi'  avviene  per  la  morte  del  reo,  che prima della
condanna estingue il reato (art. 150 c.p.); dopo la condanna estingue
la  pena  (art.  171  c.p.).  Cosi' avviene per l'amnistia, che prima
della  condanna estingue il reato; dopo la condanna estingue la pena,
cioe'  fa  cessare  l'esecuzione della condanna e le pene accessorie»
(art.  151  c.p.). Cosi' avviene, infine, per l'oblazione de qua, che
prima  della  condanna  estingue  il  reato;  e  dopo la condanna, fa
cessare  l'esecuzione  delle  pene  (ex  art.  2 c.p.) e quella delle
sanzioni amministrative (ex art. 6, d.l. citato).
   E'  appena  il  caso  di  notare che una siffatta decisione non e'
fondata su una applicazione analogica della disciplina di altre cause
estintive,  ma  piuttosto  su  una interpretazione letterale e logica
della disciplina speciale della oblazione edilizia».
   «A questa conclusione non si puo' opporre (...) la norma dell'art.
183,  comma  1, c.p., secondo la quale le cause di estinzione operano
nel momento in cui esse intervengono.
   Le   norme   dell'art.  183  c.p.  sono  chiaramente  dettate  per
disciplinare  gli effetti del concorso simultaneo o della successione
temporale  di  piu'  cause  estintive  ("concorso di cause estintive"
recita, infatti, la relativa rubrica).
   La  disposizione  di  cui  al  primo comma, statuendo che le cause
estintive  hanno  effetto  nel  momento  in cui intervengono e non in
quello della loro declaratoria giurisdizionale (che ha percio' natura
dichiarativa  e  non  costitutiva),  non  ha  affatto escluso la loro
operativita'  su  fatti pregressi (che anzi e' in re ipsa); ha inteso
piuttosto  dettare  un  criterio generale, di natura cronologica, per
regolare  il  concorso successivo delle cause estintive; criterio che
e',  peraltro, derogato dalla disposizione del secondo comma, secondo
cui  la causa che estingue il reato prevale su quella che estingue la
pena,   anche   se   e'  intervenuta  successivamente  (la  priorita'
cronologica cede in questo caso alla maggiore "efficacia" estintiva)»
[in  senso  analogo,  cfr. Cass., sez. III, 15 gennaio 1997, n. 4065,
Ilardi, e Cass., ss.uu., 12 ottobre 1993, Pulera').
   A  tale  orientamento  se ne contrappone un altro, secondo cui «in
tema di condono edilizio di opere abusive, la sola determinazione, da
parte    dell'amministrazione    comunale   competente   dell'importo
dell'oblazione dovuta non e' idonea a determinare effetti, in sede di
esecuzione,  sull'ordine  di  demolizione disposto dal giudice con la
sentenza  di  condanna,  ai sensi dell'art. 7 della legge 28 febbraio
1985,  n. 47,  atteso  che soltanto con il rilascio della concessione
sorge,  da  parte  del giudice dell'esecuzione, l'obbligo di verifica
della legittimita' della stessa e di compatibilita' del manufatto con
gli  strumenti  urbanistici,  al  fine della eventuale non esecuzione
dell'ordine  di demolizione» (cosi' Cass., sez. III, sentenza n. 5676
del  14  dicembre 2001, Martino; negli stessi sensi, Cass., sez. III,
11 settembre 2007).
   Secondo  l'indirizzo  ora  citato,  la  speciale  normativa  sulla
sanatoria  straordinaria  non  prevede  alcuna  estinzione della pena
nell'ipotesi di condanna con sentenza definitiva, ma solo particolari
effetti  stabiliti  dall'art.  38, terzo comma, della legge n. 47 del
1985   (annotazione   dell'oblazione   nel  casellario  giudiziale  e
irrilevanza della condanna ai fini dell'applicazione della recidiva e
della sospensione condizionale della pena).
   Effetti  estintivi  della  pena e della sua esecuzione non possano
farsi  derivare  ne'  da  una  volonta'  implicita  del  legislatore,
orientata,  invece,  nel  senso di limitare l'efficacia estintiva del
condono  edilizio  fino  alla sentenza definitiva (Cass. sez. III, 27
novembre 1998, n. 3196, Sacchetti; 15 marzo 1996, n. 1110, Nastro; 15
febbraio 1996, Vanacore), ne' dalla normativa stabilita dal codice di
rito  in tema di estinzione del reato o della pena in sede esecutiva,
poiche' gli artt. 672 e 673 c.p.p. concernono ipotesi ben individuate
(amnistia,  indulto ed oblazione del reato), mentre l'art. 676, primo
comma,  c.p.p.  attiene  a  fattispecie fra le quali non e' possibile
ricomprendere   la   presentazione   della  domanda  di  rilascio  di
concessione  in  sanatoria,  in base al capo IV della legge n. 47 del
1985, ed il versamento dell'oblazione dovuta.
   Eppure,  con  sentenza  della medesima Sezione III n. 10512 del 15
ottobre  1997,  Mazzola,  la  Corte  di  cassazione,  in  ordine alla
argomentazione  secondo  cui  la  estinzione  del  reato  urbanistico
prevista  nel  capo  IV della legge n. 47 del 1985 presuppone un atto
amministrativo  (la  concessione in sanatoria rilasciata dal comune),
aveva cosi' statuito:
   «Tale   argomentazione   ignora  la  distinzione  tra  il  profilo
amministrativo e quello penale del cosiddetto condono edilizio, quale
risulta  evidente  dalla interpretazione sistematica della disciplina
contenuta  nel  capo  IV  della  legge  28 febbraio 1985, n. 47, e in
particolare  dalla  interpretazione  letterale  e logica dell'art. 39
della  stessa  legge. Sul punto non sempre la giurisprudenza e' stata
perspicua  e  sistematicamente  coerente,  ne'  logicamente uniforme;
sicche'  appare  opportuno  riassumere - sia pure sinteticamente - il
significato della normativa vigente.
   Soprattutto  per  ragioni  fiscali,  il legislatore ha emanato due
condoni  edilizi  al  fine  di  sanare  amministrativamente gli abusi
edilizi commessi entro il 1° ottobre 1983 (art. 31, legge n. 47/1985)
ed  entro  il  31  dicembre  1993  (art.  39, legge 23 dicembre 1993,
n. 724),  nonche'  al  fine di estinguere i relativi reati, contro il
versamento  di  una  oblazione legislativamente determinata in base a
vari  parametri  (tipo  di  abuso,  tempo  di ultimazione dell'opera,
qualita'  personale  del  contravventore nella veste di proprietario,
committente  o  direttore  dei  lavori,  utilizzazione  dell'edificio
abusivo come prima abitazione del richiedente e condizioni reddituali
e  di  disagio  abitativo  dello  stesso richiedente, ecc.). Sotto il
profilo  penale,  il legislatore ha stabilito che l'imputato il quale
abbia   presentato   istanza   di  sanatoria  nei  termini  perentori
prescritti  dalla  legge  e  abbia  versato  tempestivamente le somme
richieste a titolo di oblazione, ha diritto alla estinzione del reato
urbanistico,  di  cui  all'art.  20,  legge  n. 47/1985, nonche' alla
estinzione  dei  reati edilizi e sanitari connessi, di cui alla legge
n. 1086/1971,  alla legge n. 64/1974 e all'art. 221 del r.d. 1265 del
1934   (primo  e  secondo  comma  dell'art.  38,  legge  n. 47/1985).
Naturalmente  e'  anche necessario che l'abuso sia stato ultimato nel
termine   previsto  e  che  la  domanda  di  sanatoria  si  riferisca
puntualmente all'immobile abusivo contestato nel capo di imputazione.
Nella disciplina dell'ultimo condono, in base al citato art. 39 della
legge  n. 724/1994,  ulteriore  condizione richiesta per l'estinzione
dei  reati (oltre che per la sanatoria amministrativa) e' che l'abuso
edilizio  non superi determinati limiti volumetrici. Sotto il profilo
amministrativo,   il  legislatore  ha  stabilito  che,  dopo  che  il
proprietario  o  qualsiasi  interessato  abbia  presentato tempestiva
domanda  per  la sanatoria dell'abuso ultimato nel termine previsto e
dopo  che  abbia  versato  l'importo  definitivamente determinato per
l'oblazione,  il sindaco deve rilasciare la concessione in sanatorio,
salvo  il  versamento  degli  oneri  concessori dovuti e l'obbligo di
presentare  la  documentazione  necessaria per l'accatastamento (art.
35,  comma  15,  legge  n. 47/1985). Trascorso un determinato periodo
senza  che  intervenga  un  provvedimento negativo, la concessione in
sanatorio  si  intende rilasciata in modo tacito (comma 18 del citato
art.  35  e  comma  4  dell'art.  39, legge n. 724/1994). Viene anche
rilasciato   il   certificato   di   abitabilita'   o  di  agibilita'
dell'edificio   abusivo   sanato,   anche   in  deroga  ai  requisiti
regolamentari  (comma  20,  art.  35  citato).  Tuttavia,  qualora la
domanda   presentata   contenga  affermazioni  dolosamente  infedeli,
sicche'  la  oblazione  sia  determinata  in  modo  non veritiero, la
sanatoria  non  puo'  essere  concessa  e l'abuso resta soggetto alle
sanzioni  amministrative  previste  nel Capo I della legge n. 47/1985
(art.  40,  primo  comma,  legge n. 47/1985 e art. 39, comma 4, legge
n. 724/994).  La  stessa  conseguenza si verifica se le opere abusive
non  sono  suscettibili  di  sanatoria  ai  sensi dell'art. 33, legge
n. 47/1985,   perche'   contrastanti   con   determinati  vincoli  di
inedificabilita'  assoluta.  Per  la verita', le norme ora citate, in
caso  di  insanabilita' oggettiva e soggettiva dell'abuso, dispongono
l'applicazione  di  tutte  le  sanzioni  previste nel predetto capo I
della  legge,  e quindi anche delle sanzioni penali. Ma bisogna tener
presente  al  riguardo  la  disposizione  dell'art.  39  della  legge
n. 47/1985,  secondo  cui  qualora le opere non possano conseguire la
sanatoria,   l'effettuazione   della   oblazione   estingue  i  reati
contravvenzionali  indicati  nell'art.  38. Se ne deve concludere che
quando  la  domanda  di  sanatoria  non  puo' essere accolta, l'abuso
amministrativo  resta,  ma  l'illecito  penale  viene  estinto quando
l'imputato    abbia    versato   l'intero   importo   dell'oblazione,
congruamente  e  fedelmente  determinato.  4)  Da  questo  articolato
sistema  normativo  deriva  evidentemente  che l'estinzione dei reati
urbanistici  ed  edilizi non presuppone necessariamente la formazione
di  un  atto  amministrativo  di  sanatorio, ne' espresso ne' tacito.
Presuppone soltanto una regolare domanda di sanatoria e il versamento
completo  dell'oblazione da parte dell'imputato ovvero da parte di un
comproprietario  dell'immobile  abusivo,  anche se non coimputato (in
virtu'  del disposto del secondo comma, ultimo periodo, dell'art. 38,
legge  n. 47/1985).  5) Ulteriore conseguenza che ne deriva e' che il
giudice   penale,   per   dichiarare  l'estinzione  dei  reati,  deve
verificare  solo  i  presupposti  legali dell'oblazione speciale come
sopra  disciplinata; mentre spetta alla autorita' comunale competente
accertare  tutte  condizioni stabilite dalla legge per la concessione
in sanatoria.
   Piu'   in  particolare  spetta  al  giudice  penale  verificare  i
presupposti  temporali,  personali e oggettivi della disciplina sulla
oblazione  speciale,  cioe'  a) la tempestivita' della domanda; b) la
riferibilita'   della  domanda  agli  imputati  o  ai  comproprietari
dell'immobile   abusivo   ex   art.   38,  legge  n. 47/1985;  c)  la
riferibilita'  della domanda all'immobile abusivo contestato nel capo
di  imputazione;  d)  la  ultimazione  dei lavori entro il termine di
legge;  infine  per  il  condono disciplinato da ultimo con l'art. 39
della  legge  n. 724/1994,  e)  i requisiti volumetrici dell'immobile
costruito.  Il  giudice penale deve anche verificare f) la congruita'
quantitativa dell'oblazione versata: solo che in questo caso, se puo'
accertare  direttamente  l'entita' delle somme versate, attraverso le
(copie   delle)   ricevute   di  versamento,  non  puo'  direttamente
verificare la congruita' delle stesse rispetto ai parametri previsti,
giacche' molti di questi sono conosciuti solo dall'autorita' comunale
(basti  pensare ad esempio all'esistenza di convenzioni stipulate con
il  comune  per  la  applicazione di prezzi di vendita o di canoni di
locazione  determinati,  che  costituisce  titolo  per  la  riduzione
dell'oblazione   al  50%;  ovvero  alla  utilizzazione  dell'edificio
abusivo  come  prima abitazione del richiedente, che e' titolo per la
riduzione  di  un  terzo:  commi  terzo  e quarto dell'art. 34, legge
n. 47/1985)  e  giacche'  -  coerentemente  - la legge attribuisce al
sindaco  il  compito  di  determinare  in  via  definitiva  l'importo
dell'oblazione   (comma   15   dell'art.   35,   legge   n. 47/1985).
Quest'ultima  verifica,  quindi,  e' compiuta dal giudice penale solo
indirettamente,   attraverso   l'acquisizione   del   certificato  di
congruita' rilasciato dal sindaco competente.
   Deriva  infine  dal  sistema normativo come sopra riassunto che il
giudice penale, per dichiarare la estinzione dei reati urbanistici ed
edilizi,  non  deve  previamente  accertare  l'inesistenza  di  cause
ostative  alla  sanatorio  amministrativa,  appunto  per  il disposto
dell'art.  39,  legge n. 47/1985, che dispone la estinzione dei reati
contravvenzionali  (anche) quando le opere abusive non possono essere
sanate.
   In  particolare,  non  rileva  ai  fini  penali  la  insanabilita'
assoluta di opere soggette a vincoli determinati, di cui all'art. 33,
legge  n. 47/1985,  come modificato dal ventesimo comma dell'art. 39,
legge  n. 724/1994; cosi' come non rileva la sanabilita' condizionata
delle  opere  costruite  in aree vincolate, di cui all'art. 32, legge
n. 47/1985,   che   e'   subordinata   al   parere  favorevole  delle
amministrazioni  preposte al vincolo. Quanto alla insanabilita' delle
opere  per  cui  e' stata presentata domanda dolosamente infedele, di
cui  all'art.  40,  primo  comma, legge n. 47/1985, il rilievo penale
deriva  solo  dal fatto che la infedelta' della domanda puo' influire
sulla  congruita'  della  oblazione.  In  altri  termini,  il giudice
penale,  al  fine  di dichiarare la estinzione per oblazione speciale
dei  reati urbanistici ed edilizi, non deve previamente accertare ne'
l'inesistenza  di una causa di insanabilita' assoluta di cui all'art.
33, legge n. 47/1985, ne' l'inesistenza di una causa di insanabilita'
relativa  di  cui  all'art.  32  della stessa legge. Infine, non deve
neppure  accertare  che  la  domanda di sanatoria non sia dolosamente
infedele,  giacche'  questo  accertamento e' implicitamento contenuto
nella  certificazione  che  il  sindaco  rilascia circa la congruita'
della oblazione versata».
   Va,  ancora,  segnalato,  sul  punto, il recente arresto di Cass.,
sez.  III penale, n. 10209 del 2 febbraio 2006, che ha affermato che,
in  materia  edilizia,  la  dichiarazione  di estinzione del reato di
costruzione abusiva produce automaticamente l'inefficacia dell'ordine
di  demolizione dell'opera abusiva, indipendentemente da una espressa
statuizione  di  revoca,  atteso  che  tale  ordine  e'  una sanzione
amministrativa di tipo ablatorio che trova la propria giustificazione
nella sua accessorieta' ad una sentenza di condanna.
   3.2.  - Il contrario orientamento della Corte costituzionale. Come
dinanzi  ricordato,  con  la  sentenza  n. 196  del 28 giugno 2004 il
Giudice  delle  leggi,  in  senso  difforme  dal  diritto vivente, ha
precisato   che   «l'integrale   pagamento  dell'oblazione,  oltre  a
costituire   il  presupposto  per  l'estinzione  dei  reati  edilizi,
estingue  anche  i relativi procedimenti di esecuzione delle sanzioni
amministrative  (cfr.  art.  38, secondo comma, della legge n. 47 del
1985)  e  costituisce  uno  dei  requisiti per il rilascio del titolo
abilitativo  in  sanatoria (commi 32 e 37 dell'art. 32 in questione);
ancora,  l'oblazione  interamente  corrisposta costituisce condizione
perche'  la sanatoria renda inapplicabili le sanzioni amministrative,
"ivi  comprese  le  pene, pecuniarie e le sovrattasse previste per le
violazioni  delle  disposizioni  in  materia  di  imposte sui redditi
relativamente  ai  fabbricati  abusivamente  eseguiti (cfr., art. 38,
quarto  comma,  della  legge  n. 47  del  1985).  Cio'  non  esclude,
peraltro,  che  -  ove  sia  stata  effettuata  l'oblazione  - pur in
presenza  di diniego di sanatorio, si estinguono i reati edilizi e le
sanzioni  amministrative  consistenti  nel  pagamento di una somma di
denaro  siano "ridotte in misura corrispondente all'oblazione versata
(art. 39 della legge n. 47 del 1985"».
   Sempre  la Corte costituzionale, cori ordinanza del 12 marzo 1998,
n. 56,  aveva  ritenuto  che  «il  combinato disposto degli artt. 38,
commi  secondo e quarto, e 43 della legge n. 47 del 1985 prevede, tra
gli   effetti  tassativi  della  oblazione  e  della  concessione  in
sanatorio, anche quelli sui procedimenti di esecuzione delle sanzioni
amministrative  (perche'  non  sia  ancora intervenuta la completa ed
integrale esecuzione»).
                             Conclusioni
   Per  concludere  sul  punto, il non sempre univoco (e poco chiaro)
orientamento  della  Corte  di  cassazione  in  materia  di oblazione
collegata  al condono edilizio la cui atipicita' e' stata evidenziata
dalla  Corte  costituzionale  gia'  con  sentenza n. 369 del 31 marzo
1988),  da un lato, e la rigida interpretazione «additiva» - ad opera
della  Corte  di  cassazione - del comma 26 del d.l. n. 269 del 2003,
dall'altro,   hanno   determinato   nel  diritto  vivente  dissonanze
interpretative  ed  applicative  che minano alla base il principio di
ragionevolezza,  con cio' violando, anche sotto i denunziati profili,
l'art.  3  Cost., oltre all'art. 42 cost. sopra citato, per il vulnus
arrecato alla garanzia costituzionale della proprieta', a causa della
impossibilita', per il giudice, di provvedere alla revoca dell'ordine
di  demolizione  per  opere realizzate in zona assoggettata a vincolo
paesistico  pur  in  presenza di regolare presentazione di domanda di
condono  e  di  pagamento  dell'oblazione  in  misura che l'Autorita'
comunale ha certificato essere congrua.
   Per  tutte  le  ragioni  esposte  in  motivazione,  questo giudice
Ritiene  che  la dedotta questione di legittimita' costituzionale sia
non  manifestamente  infondata  e, altresi', rilevante, atteso che la
decisione del proposto incidente di esecuzione si fonda proprio sulla
interpretazione, in ciascuna delle fattispecie in esame, del comma 26
dell'art. 32 del d.l. n. 269 del 2003.
   La   predetta  norma  va,  pertanto,  sottoposta  a  scrutinio  di
costituzionalita'  per  le implicazioni che la stessa determina sulla
ammissibilita'   del   «terzo   condono»  per  le  nuove  costruzioni
realizzate   in  zona  assoggettata  a  vincolo  paesistico  e  sulla
possibilita'  di  procedere  alla  revoca  dell'ordine  giudiziale di
demolizione,  tenuto  anche conto della favorevole determinazione, da
parte   di   ciascun   delle  amministrazioni  comunali  interessate,
dell'importo dell'oblazione dovuta.