IL TRIBUNALE Disposta la riunione dei sottoindicati 140 ricorsi per incidente di esecuzione, stante l'evidente connessione oggettiva, afferendo ciascuno di essi un'istanza di sospensione dell'ingiunzione di demolizione notificata dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli emessa in esecuzione di ordine demolitorio statuito da sentenze irrevocabili di questo Tribunale, nonostante la presenza di singole istanze di condono edilizio, ai sensi dell'art. 32 del d.l. n. 269/2003, convertito nella legge n. 326/2003, tutte corredate di pagamento dell'oblazione autodeterminata, ritenuta congrua dai rispettivi uffici tecnici comunali, con apposita certificazione acquisita agli atti; Letti i ricorsi stessi, presentati dagli istanti di seguito indicati, con i quali ciascuno di essi, a mezzo del proprio difensore, rispettivamente indicato, ha proposto incidente di esecuzione ai sensi dell'art. 666 c.p.p., chiedendo la revoca dell'ingiunzione di demolizione emessa dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli nelle date rispettivamente indicate o, in subordine, sospendere detto ordine sino al perfezionamento della procedura estintiva a seguito del rilascio del titolo edilizio in sanatoria, con ogni altra statuizione consequenziale, come per legge; ----> Vedere da pag. 109 a pag. 116 <---- A scioglimento della riserva formulata alle udienze camerali del 14 aprile 2008 (dal n. 1 al n. 7 della tabella), del 24 aprile 2008 (dal n. 8 al n. 27 della tabella), del 21 maggio 2008 (dal n. 28 al n. 32 della tabella), dell'11 giugno 2008 (dal n. 33 al n. 75 della tabella) e del 12 giugno 2008 (dal n. 76 al n. 140 della tabella), rispettivamente indicate per ciascun incidente di esecuzione; Ha pronunciato la seguente ordinanza. 1. - Le sentenze di merito. Con le sentenze di merito (indicate nella surriportata colonna n. 6), pronunziate sull'accordo delle parti, di applicazione della pena ridotta ex artt. 444 e 445 c.p.p., il Tribunale di Napoli - Sezione distaccata di Ischia ordinava, a titolo di sanzione amministrativa accessoria, la demolizione delle opere edilizie in contestazione. 2. - L'ingiunzione di demolizione del pubblico ministero. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli (nelle date specificamente indicate nella surriportata colonna 5) promuoveva la procedura di esecuzione, ingiungendo ai condannati, ai sensi dell'art. 655 c.p.p., «di demolire, entro il termine di 90 giorni dalla data di notifica del presente provvedimento, le opere abusive compiutamente indicate nella citata sentenza. Con l'avvertenza che, decorso inutilmente l'indicato termine, si procedera' di ufficio alla demolizione, con attribuzione delle spese a carico del condannato». 3. - Gli incidenti di esecuzione proposti dai condannati. Con ricorso per incidente di esecuzione ciascuno degli istanti, nominativamente indicati (nella surriportata colonna 2, dal n. 1 al n. 140), ha impugnato l'ingiunzione di demolizione emessa dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, relativa a ciascuna delle sentenze di condanna (indicate nella surriportata colonna n. 6). In particolare, i difensori dei condannati hanno tutti dedotto, con gli incidenti di esecuzione in esame, che per le opere rispettivamente sanzionate ciascuno dei condannati ha presentato istanza di condono, ai sensi dell'art. 32 del d.l. n. 269/2003, convertito nella legge n. 326/03, provvedendo, altresi', al pagamento dell'oblazione autodeterminata, per tutti ritenuta congrua dai competenti uffici tecnici comunali, come attestato da apposita certificazione acquisita agli atti di ciascuna singola procedura di esecuzione. Con la conseguenza che l'eventuale esecuzione dell'ingiunzione di demolizione ordinata dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli era da ritenersi prematura, in quanto avrebbe determinato un pregiudizio (la demolizione dell'immobile), da reputarsi irreparabile in caso di (verosimile) accoglimento della domanda di sanatoria edilizia. A tale proposito, i difensori hanno sostenuto, con argomentazioni sviluppate anche nel corso delle singole udienze camerati, che «la presentazione di una domanda di condono edilizio, accompagnata dal versamento dell'oblazione in misura congrua, una volta decorso il termine di 36 mesi dal pagamento integrale dell'oblazione stessa (ai sensi dell'art. 32, comma 36, del d..l. n. 269/2003, convertito nella legge n. 326 cit.), possa determinare, nella fase esecutiva, la revoca o, comunque, la sospensione dell'ordine di demolizione». I difensori hanno evidenziato che e' stato ritenuto da Cass., sez. III, 11 settembre 2007, che «la revoca dell'ordine di demolizione puo' essere emessa dal giudice dell'esecuzione solo quando si sia verificata l'estinzione del reato, ossia quando sia stato emanato il provvedimento di condono o siano passati 36 mesi dalla data del pagamento, sempre ovviamente che si tratti di opere condonabili, mentre la sospensione dell'ordine di demolizione puo' essere disposta solo quando sia in concreto prevedibile che entro breve tempo si verifichera' la causa estintiva del reato»; precisando, altresi', che «il rilascio della concessione sanante, invero, dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, mentre non ha effetto estintivo dei reati e delle pene, puo' comportare invece l'inapplicabilita' ed anche la revoca dell'ordine giudiziale di demolizione (cfr. ex plurimis, Cass., sez. III, 20 gennaio 2003, n. 2406, Gugliandolo; 20 giugno 1997, n. 2475, Coppola; 20 giugno 1997, n. 2474, Morello; 20 giugno 1997, n. 2472, Filieri; 28 novembre 1996, Ilardi; 15 marzo 1996, n. 1264, Larosa; 5 febbraio 1996, Vanacore; 2 marzo 1995, Francavilla)». 4. - La consulenza tecnica di parte. Inoltre, ciascuno degli esecutati, a corredo del ricorso per incidente di esecuzione, ha prodotto una consulenza tecnica di parte asseverata, nella quale ciascuno dei c.t. ha dato risposta ai sottoindicati quesiti, nei sensi qui di seguito indicati: ----> Vedere tabella a pag. 118 <---- 5. - In conclusione, ciascuno dei ricorrenti ha richiesto a questo Tribunale, quale giudice dell'esecuzione, di voler revocare l'ingiunzione di demolizione notificatagli, ovvero di disporne la sospensione, in attesa delle determinazioni dei competenti uffici comunali relative alla definizione di ciascuna delle istanze di condono edilizio pendenti: cio' ai fine di evitare il verificarsi di un pregiudizio (la demolizione dell'immobile), che potrebbe rivelarsi irreparabile in caso di accoglimento di ciascuna delle singole domande di sanatoria edilizia. 6. - La tesi del pubblico ministero. Fissata, per la discussione, la camera di consiglio ed instauratosi il contraddittorio, il pubblico ministero, con memorie di tipo seriale, ha osservato che: «L'isola di Ischia e' suddivisa in tre zone sottoposte a diversi regimi di tutela ambientale (in breve P.I., P.I.R. e R.UA), in base ad una elencazione contenuta negli artt. 11, 12 e 13 del piano relativo all'isola; ognuno di questi articoli elenca in maniera chiara quali interventi edilizi e urbanistici sono consentiti e quali vietati. Infatti, il Piano di Ischia elenca all'art. 9 gli interventi che sono ammessi in tutte e tre le zone dell'isola, includendo alla lett. a) gli interventi di ristrutturazione edilizia che, nei limiti di cui all'art. 7, punto 6), e nell'ottica di una riqualificazione dell'edilizio recente, non comportino alcun incremento delle volumetrie esistenti; l'art. 7, punto 6, a sua volta prevede che la ristrutturazione edilizia (secondo la definizione data dall'art. 31, lett. c), legge n. 457/1987 sia ammessa soltanto per edifici successivi al 1945, con alcune esclusioni per edifici storici e di interesse paesistico. L'art. 13 del medesimo Piano, relativo alla zona R.U.A., afferma esplicitamente che "e' vietato qualsiasi intervento che comporti incremento dei volumi esistenti, con le esclusioni di cui ai successivi punti 5 e 6 del presente articolo". Premesso, quindi, che per poter legittimamente effettuare e, quindi, ritenere condonabile anche solo un intervento di ristrutturazione edilizia in zona R.U.A. (la meno tutelata a livello ambientale) deve rispettarsi quanto previsto da uno specifico provvedimento di pianificazione, appare chiaro ed incontrovertibile che qualsiasi intervento che comporti aumento di volumetria non sia mai autorizzabile e conseguentemente, se effettuato abusivamente, non sia condonabile. Sul punto e' poi utile ricordare che il piano paesistico e' vincolante per gli enti locali, immediatamente operativo, nonche' prevalente "sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici",'come previsto dall'art. 145, comma 3, d.lgs. n. 42/2004. E' poi il caso di osservare che, anche a voler ritenere che intervenga la sanatoria edilizia per l'opera in questione, la stessa, comunque, non produrrebbe effetti con riguardo all'ordine di riduzione in pristino per il reato paesistico e, quindi, il Giudice non puo' sospendere l'ingiunzione a demolire. E' pacifico, in quanto espressamente previsto dal d.l. n. 269/2003, che nelle aree sottoposte a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi ambientali e paesistici l'art. 32, primo comma ammette i soli interventi edilizi quali il restauro e il risanamento conservativo. Nel caso di specie, trattasi di aumento di volumetria che, quindi, rientra nel concetto di nuova costruzione di cui alla lettera e) dell'art. 3 del d.lgs. n. 380/2001 e, pertanto, nella tipologia 1 dell'allegato 1) alla legge n. 326/2003: l'intervento edilizio non e' condonabile! In ogni caso, il parere paesaggistico di eventuale compatibilita' delle opere abusive va espresso solo nel caso in cui la domanda di sanatoria risulti preliminarmente ammissibile. Il manufatto edilizio oggetto di richiesta di concessione in sanatoria non e' dato sapere a tutt'oggi se abbia subito o meno interventi edilizi; al riguardo, chiede rinvio al fine di acquisire informative riguardo allo stato dei luoghi attuale. Il recente intervento (sentenza n. 70/2008) della Corte costituzionale in ordine alla declaratoria di incostituzionalita' della normativa condonistica non legittima una revoca ovvero la sospensione dell'ordine di demolizione, in quanto rimane in piedi la violazione di norma paesistica che prevede il ripristino dello stato dei luoghi quale sanzione alla violazione di legge. P. Q. M. chiede il rigetto della istanza di sospensione ovvero di revoca dell'ordine di demolizione». 7. - La questione di legittimita' costituzionale prospettata dalla difesa dei ricorrenti e le avverse deduzioni del pubblico ministero. I ricorrenti hanno impugnato i rilievi del pubblico ministero in primo luogo nella parte in cui lo stesso afferma che «in relazione al reato paesistico contestato, la sanatoria non possa produrre effetti relativamente all'ordine di rimessione in pristino». Cio' perche' nella presente procedura incidentale si controverte della esecuzione del solo ordine giudiziale di «demolizione» e non anche dell'ordine giudiziale di rimessione in pristino; pertanto la questione e' del tutto inconferente e priva di rilievo. Per quanto attiene al rilievo secondo cui l'accertamento della data del commesso reato escluderebbe la possibilita' di conseguire il titolo abilitativo in sanatoria, si richiama la consolidata giurisprudenza del tribunale, che ritiene, del tutto correttamente, che la prova dell'epoca del commesso abuso rilevante ai fini di una favorevole prognosi di sanabilita' e' sufficientemente rappresentata dalla dichiarazione sostitutiva di notorieta', che determina una inversione dell'onere probatorio a carico del comune che, nel caso in esame, non ha fornito elementi di segno contrario alla tesi dell'esecutato. Inconferente e' anche la richiesta di indagine suppletiva, con riferimento ai rilievi aereofotogrammetrici, dal momento che, come chiarito dalla Corte suprema di cassazione, anche a sezioni unite (Cass. pen. , ss.uu., sent. Pulera', 12 ottobre 1993), il giudice penale non ha competenza istituzionale per compiere l'accertamento di conformita' urbanistica, ne' puo' sostituirsi alla p.a. nell'esame delle condizioni previste dalla legge per accedere al beneficio condonistico. Quanto, inoltre, al rilievo secondo cui la sanatoria opererebbe in zona assoggettata a vincolo paesaggistico soltanto per le tipologie di illecito nn. 4, 5 e 6 dell'allegato 1 al d.l. n. 269/2003, osserva che il richiamo, sul punto specifico, operato dal pubblico ministero, al comma 27 dell'art. 32 del medesimo d.l. n. 269/2003 non e' pertinente, in quanto tale ultima disposizione ancora la sanabilita' nelle suddette zone al solo positivo accertamento della conformita' urbanistica delle opere realizzate, senza distinguere tra opere che abbiano determinato incrementi di superficie o di volume (nuove costruzioni) ed opere che si siano concretizzate in interventi edilizi minori. Quanto alla sentenza n. 6431/2007 della Corte di cassazione, la stessa fa leva non gia' sull'art. 32, comma 27, del d.l. n. 269/2003, bensi' sulla diversa disposizione di cui al comma 26. Sulla assoluta legittimita' della sospensione dell'ingiunzione disposta da codesto G.E., va detto che anche il P.G. della Corte suprema di cassazione, con atto del 7 aprile 2008, ha rilevato che «e' del tutto legittimo un provvedimento limitato nel tempo, di sospensione, volto ad evitare il verificarsi di un pregiudizio (la demolizione dell'immobile), che potrebbe rivelarsi irreparabile in caso di accoglimento della domanda di sanatoria, ferma restando - in caso contrario - la possibilita' di ripristinare l'ordine violato dando esecuzione alla demolizione ordinata in sentenza». Il difensore rileva, in ogni caso, la refluenza, ai fini del decidere, della sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 28 marzo 2008, nella parte in cui dichiara l'illegittimita' costituzionale del comma 36 dell'art. 32 del d.l. n. 269/2003, in relazione al requisito prescritto del decorso del termine di 36 mesi ai fini della applicabilita' della causa di estinzione del reato urbanistico. Alla luce di tale pronuncia, significativamente innovativa, giacche' ricollega alla sola prova del pagamento della oblazione l'effetto estintivo, non vi e' dubbio che l'incidente di esecuzione possa trovare accoglimento. Ove non si dovesse accedere, per mera tesi, ma lo si esclude, alla interpretazione suesposta, va eccepita l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 32 del d.l. n. 269/2003 per contrasto con gli artt. 3, 25 e 42 della Costituzione, nella parte in cui sottopone a differente trattamento sanzionatorio i contravventori condannati o che abbiano ottenuto pena concordata, ex art. 444 c.p.p., che abbiano presentato domanda di condono con pagamento dell'oblazione dovuta nella vigenza delle precedenti normative di sanatoria straordinaria (Leggi n. 47/1985 e n. 724/1994), rispetto a coloro i quali abbiano presentato domanda di condono con pagamento dell'oblazione dovuta nella vigenza dell'art. 32 del d.l. n. 269/2003. Risulterebbero, in tal caso, violati, in particolar modo, il principio di uguaglianza e quello di ragionevolezza, tenuto conto che tra le precedenti normative di condono e quella piu' recente e' stata operata una specifica saldatura come chiarito dalla Corte costituzionale con sentenza n. 196 del 2004, stante l'esplicito richiamo contenuto nel comma 25 dell'art. 32 citato alle disposizioni di cui ai capi 4 e 5 della legge n. 47 del 1985, ivi compresa quella di cui all'art. 39, secondo cui una volta effettuato il pagamento dell'oblazione, pur in presenza di diniego di sanatoria, si estinguono i reati edilizi e le sanzioni amministrative, anche tenuto conto di quanto disposto dagli articoli 38, commi 2, 4 e 43, della legge n. 47/1985, che prevede, tra gli effetti tassativi dell'oblazione, anche quelli che influiscono sui procedimenti di esecuzione delle sanzioni amministrative. Tale conclusione e' del tutto coerente sia con quanto ritenuto dalla Corte costituzionale con la ordinanza n. 56 del 12 marzo 1998 e con la sentenza n. 49 del 10 febbraio 2006, sia, infine, con quanto ritenuto da Cass., ss.uu., 12 ottobre 1993, n. 72, Pulera', e 20 novembre 1997, Mazzola. La questione e' rilevante, ai fini del decidere e non manifestamente infondata, giacche', pur in presenza del pagamento integrale dell'oblazione, a voler accedere alla tesi sostenuta dal pubblico ministero, sarebbe necessario, ai fini della revoca dell'ordine giudiziale di demolizione, il rilascio del titolo edilizio in sanatoria, la qual cosa, per vero, non si rinviene in alcuna disposizione ne' della legge n. 47/1985, ne' in quella successiva in materia di condono, n. 724/1994, ne' nello stesso art. 32 del piu' volte citato d.l. n. 269/2003. Si chiede, quindi, sospendersi il giudizio e l'ordine giudiziale di demolizione, disponendosi la trasmissione di copia degli atti alla Corte costituzionale per il giudizio sull'incidente di costituzionalita'. Il pubblico ministero ha reputato «manifestamente non rilevante, ai fini del decidere, la questione di legittimita' costituzionale, in quanto ai fini della revoca dell'ordine giudiziale di demolizione si presenta decisiva esclusivamente l'eventuale intercorsa declaratoria di estinzione del reato. Inoltre, la differente disciplina, sottolineata dalla difesa, tra la normativa di sanatoria straordinaria e la disciplina dettata dalla impugnata norma trova ragionevole giustificazione nella intenzione del legislatore di premiare coloro che accedono alla definizione del processo in regime pattizio». Il pubblico ministero, si e', infine, riportato al consolidato orientamento restrittivo del diritto vivente formatosi in materia, richiamando, in particolare, la sentenza della Corte di cassazione, sezione III penale, n. 6431 del 15 febbraio 2007, secondo cui «non sono suscettibili di sanatoria, ai sensi dell'art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, convertito nella legge n. 326 del 2003, le nuove costruzioni realizzate, in assenza del titolo abilitativo edilizio, in area assoggettata a vincolo imposto a tutela degli interessi paesistici. La seconda parte della lettera a) del comma 26 del medesimo d.l. statuisce infatti espressamente che nelle aree sottoposte a vincolo di cui alla legge n. 47 del 1985, art. 32 (trattasi anche dei vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici, ambientali e paesistici), e' possibile ottenere la sanatoria solo per gli interventi edilizi di minore rilevanza (corrispondenti alle tipologie di illecito di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell'allegato 1: restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria), previo parere favorevole da parte dell'autorita' preposta alla tutela del vincolo». 8. - La questione di diritto. La questione di diritto sottoposta all'esame di questo tribunale concerne l'interpretazione dell'art. 32, comma 26, del d.l. n. 269/2003, convertito nella legge n. 326 del 2003, alla luce del diritto vivente, di cui alla sentenza della Corte di cassazione, sezione III penale, n. 6431 del 15 febbraio 2007, espressamente richiamata dal pubblico ministero nel corso delle udienze camerali. 9. - La sentenza della Corte di cassazione, sezione III penale, n. 6431 del 15 febbraio 2007. Con la predetta sentenza, il «diritto vivente» Ritiene che nelle aree sottoposte a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici, ambientali e paesistici, la norma scrutinata [art. 32, comma 26, lettera a) d.l. n. 296/2003] ammetta la possibilita' di ottenere la sanatoria per i soli interventi edilizi di restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria e non anche per gli interventi innovativi, comportanti incremento di superficie e di volume. I punti fermi di tale restrittivo orientamento, sottolineati anche dal pubblico ministero, sono i seguenti: I) «La seconda parte della lettera a) del comma 26 statuisce espressamente che, nelle aree sottoposte a vincolo di cui all'art. 32 della legge n. 47/1985 (trattasi anche dei vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici, ambientali e paesistici), e' possibile ottenere la sanatoria soltanto per gli interventi edilizi di minore rilevanza (corrispondenti alle tipologie di illecito di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell'allegato 1: restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria), previo parere favorevole da parte dell'autorita' preposta alla tutela del vincolo. Ed in proposito non puo' mancarsi di rilevare che la normativa statale sul condono edilizio, per la sua natura straordinaria ed eccezionale, e' di stretta interpretazione». II) «Inequivoca e', al riguardo, la Relazione governativa al d.l. n. 269/2003, secondo la quale "(...) e' fissata la tipologia di opere assolutamente insanabili, tra le quali si evidenziano quelle realizzate in assenza o in difformita' del titolo abilitativo edilizio nelle aree sottoposte ai vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici, ambientali e paesistici (...)''. Per gli interventi di minore rilevanza (restauro e risanamento conservativo) si ammette la possibilita' di ottenere la sanatoria edilizia degli immobili soggetti a vincolo previo parere favorevole da parte dell'autorita' preposta alla tutela. Per i medesimi interventi, nelle aree diverse da quelle soggette a vincolo, l'ammissibilita' alla sanatoria e' rimessa ad uno specifico provvedimento regionale». 10. - La tesi contraria dei ricorrenti. Come riconosciuto dalla stessa sentenza della Corte suprema di cassazione, a tale indirizzo sono state mosse in dottrina (ed anche nel giudizio definito con la richiamata sentenza) varie obiezioni che possono cosi' riassumersi: 10.1. - L'art. 43 del d.l. n. 269 del 2003, che ha integralmente sostituito l'art. 32 della legge n. 47 del 1985, ha ripudiato l'istituto del silenzio-assenso, attribuendo al comportamento omissivo, protrattosi oltre 180 giorni dalla richiesta di parere, valenza di silenzio-rifiuto per tutti i tipi di vincoli. Ai fini dell'acquisizione dei pareri «si applica quanto previsto dall'art. 20, comma 6, del d.P.R. n. 380/2001» ed «il motivato dissenso espresso da una amministrazione preposta alla tutela della salute preclude il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria» (comma 4). «Il parere non e' richiesto quando si' tratti di violazioni riguardanti l'altezza, i distacchi, la cubatura o la superficie coperta che non eccedano il 2 per cento delle misure prescritte» (previsione, quest'ultima, contenuta anche nella precedente formulazione). 10.2. - In relazione alla intervenuta sostituzione dell'art. 32 della legge n. 47 del 1985, le tipologie d'intervento ammesse a condono non potrebbero di certo essere circoscritte a quelle elencate nei nn. 4, 5 e 6 dell'allegato 1. Non avrebbe senso, infatti, la obbligatoria convocazione di una «dispendiosa» conferenza di servizi per opere di minima importanza (quali la manutenzione straordinaria, il restauro ed il risanamento conservativo), ne' avrebbe senso richiedere per le medesime opere la acquisizione del parere paesaggistico, stante la disposizione che tale parere invece esclude "quando si tratti di violazioni riguardanti l'altezza, i distacchi, la cubatura o la superficie coperta che non eccedano il 2 per cento delle misure prescritte (violazioni queste ultime considerate piu' gravi di quelle che possono commettersi in occasione dell'esecuzione degli interventi di manutenzione e restauro). 10.3. - La «non rilevanza» - secondo il diritto vivente - delle argomentazioni addotte dai sostenitori della tesi «estensiva» dei limiti di applicabilita' del terzo condono edilizio. Tali argomentazioni, secondo il diritto vivente, non appaiono «conducenti», in quanto esse non tengono in conto che: A) Nelle zone paesaggisticamente vincolate e' inibita - in assenza dell'autorizzazione gia' prevista dall'art. 7 della legge n. 1497 del 1939, le cui procedure di rilascio sono state innovate dalla legge n. 431/1985 e sono attualmente disciplinate dall'art. 146 del d.lgs. n. 42/2004 - ogni modificazione dell'assetto del territorio, attuata attraverso lavori di qualsiasi genere, non soltanto edilizi, con le deroghe eventualmente individuate dal piano paesaggistico, ex art. 143, comma 5, lettera b), del d.lgs. n. 42/2004, nonche' ad eccezione degli interventi previsti dal successivo art. 149 e consistenti (tra l'altro) nella manutenzione, ordinaria e straordinaria, e nel consolidamento statico o restauro conservativo, purche' non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici. B) Qualora un qualsiasi intervento edilizio da realizzarsi mediante d.i.a. (quali la manutenzione straordinaria, il restauro ed il risanamento conservativo) riguardi immobili sottoposti a tutela storico-artistica o paesaggistico-ambientale ai sensi del d.lgs. n. 42/2004 (codice dei beni culturali e del paesaggio), della legge n. 394/1991 (Legge-quadro sulle aree protette), della Legge n. 183/1989 (norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo) e del d.lgs. n. 152/2006 (norme in materia ambientale), l'effettuazione dello stesso e' subordinata al preventivo rilascio del parere o dell'autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative (art. 22, comma 6, del d.P.R. n. 380/2001). Nell'ambito delle norme di tutela rientrano, altresi', le previsioni: dei piani territoriali paesistici o dei piani urbanistico-territoriali aventi le medesime finalita' di salvaguardia dei valori paesistici e ambientali; degli strumenti urbanistici, qualora siano espressamente rivolte alla tutela delle caratteristiche paesaggistiche, ambientali, storico-archeologiche, storico-artistiche, storico-architettoniche e storico-testimoniali. C) La previsione dell'art. 32 della legge n. 47/1985 - secondo la quale «il parere non e' richiesto quando si tratti di violazioni riguardanti l'altezza, i distacchi, la cubatura o la superficie coperta che non eccedano il 2 per cento delle misure prescritte» [identica sia nel testo precedente, piu' volte modificato fino alla formulazione risultante in seguito alla legge n. 662/1996, sia in quello novellato dal d.l. n. 269/2003] - non e' riferita, ad evidenza, al solo vincolo paesaggistico, bensi' a tutte quelle situazioni in cui l'esistenza di un «vincolo» (quale limitazione alla sfera di godimento e disposizione di un bene per il soddisfacimento e la tutela di interessi pubblici) e' affermata dal legislatore, con terminologia sicuramente generica e per alcuni versi pure impropria, in relazione a fattispecie anche molto diverse quanto a disciplina giuridica, contenuti ed effetti. Con elencazione avente carattere meramente esemplificativo puo' ricordarsi che l'art. 32 inerisce - oltre che ai vincoli paesistici ed ambientali - ai vincoli storici, artistici, architettonici ed archeologici; ai vincoli idrogeologici; ai vincoli previsti per i parchi e le aree naturali protette; ai vincoli derivanti dall'esistenza di usi civici; ai vincoli derivanti dalle «zone di rispetto» del demanio stradale, ferroviario ed aeroportuale, dei cimiteri; alle prescrizioni imposte per le costruzioni da eseguirsi in zone sismiche; ovvero ad altre limitazioni poste dal d.m. 1° aprile 1968, n. 1404. Quanto al vincolo paesaggistico, la disposizione in esame puo' razionalmente correlarsi soltanto ad eventuali prescrizioni poste dal piano paesaggistico, ex art. 143, comma 5, lettera b), del d.lgs. n. 42/2004, nonche' a previsioni degli strumenti urbanistici espressamente rivolte alla tutela delle caratteristiche paesaggistiche ed ambientali. D) Il riformulato quarto comma dell'art. 32 della legge n. 47/1985 si limita a stabilire che «ai fini dell'acquisizione del parere di cui al comma 1 si applica quanto previsto dall'art. 20, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380». Il richiamato art. 20, comma 6, del d.P.R. n. 380/2001 dispone, a sua volta, che, «nell'ipotesi in cui, ai fini della realizzazione dell'intervento, sia necessario acquisire atti di assenso, comunque denominati, di altre amministrazioni, diverse da quelle di cui all'art. 5, comma 3 [atti di assenso, cioe', diversi dal parere dell'A.S.L. e dal parere dei Vigili del Fuoco, ove necessari n. d.r.], il competente ufficio comunale convoca una conferenza di servizi, ai sensi degli artt. 14, 14-bis, 14-ter e 14-quater della legge n. 241/1990, e successive modificazioni». Ai sensi dell'art. 5, comma 4, del d.P.R. n. 380/2001, l'ufficio dello sportello unico per l'edilizia cura gli incombenti necessari ai fini dell'acquisizione, anche mediante conferenza di servizi, ai sensi degli artt. 14, 14-bis, 14-ter e 14-quater della legge n. 241/1990, degli atti di assenso comunque denominati, necessari ai fini della realizzazione dell'intervento edilizio). Un'interpretazione coordinata degli artt. 20, comma 6, e dell'art. 5, comma 4, del T.U. n. 380/2001 non consente pero' di affermare che l'ufficio comunale sia imprescindibilmente obbligato a convocare una conferenza di servizi qualora sia necessario acquisire l'assenso di altre amministrazioni (in difformita' dal previgente art. 4, comma 2, del d.l. n. 398/1993, che conferiva al responsabile del procedimento soltanto la facolta' discrezionale di detta convocazione). Appare corretta invece, in proposito, l'applicazione dell'art. 14, comma 2, della legge n. 241/1990, come modificato dalla legge n. 15/2005, ove si stabilisce l'obbligatorieta' della conferenza di servizi quando l'amministrazione competente per l'adozione del provvedimento finale debba acquisire atti di assenso comunque denominati ad un'attivita' privata, provenienti da altre Amministrazioni, e non li ottenga entro 30 giorni dalla ricezione della relativa richiesta. Il dirigente o responsabile dell'ufficio comunale, dunque, nel termine che ha a disposizione per l'istruttoria, deve anzitutto richiedere gli atti di assenso alle altre Amministrazioni coinvolte e, solo qualora queste non si pronuncino entro 30 giorni dalla ricezione della richiesta (ovvero quando, nello stesso termine, sia intervenuto il dissenso di una o piu' amministrazioni interpellate), deve essere convocata la conferenza. E) In conclusione, secondo il diritto vivente, «alla stregua delle disposizioni legislative dinanzi enunciate e della loro corretta ermeneusi, non puo' attribuirsi rilevanza alle prospettazioni che i sostenitori della tesi "estensiva" dei limiti di applicabilita' del terzo condono edilizio riferiscono: alla pretesa incongruenza della limitazione della sanabilita' ai soli interventi di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo rispetto alla previsione dell'art. 32 della legge n. 47/1985, secondo la quale "il parere non e' richiesto quando si tratti di violazioni riguardanti l'altezza, i distacchi, la cubatura o la superficie coperta che non eccedano il 2 per cento delle misure prescritte"; all'eccessiva dispendiosita' di una conferenza di servizi da indirsi esclusivamente per interventi edilizi minori. Si e' rilevato, infatti, che: anche l'effettuazione degli interventi di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, da realizzarsi in aree assoggettate a vincolo paesaggistico-ambientale, e' subordinata al preventivo rilascio del parere o dell'autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative (si pensi, ad esempio, al notevole impatto che puo' avere sul paesaggio gia' il solo rifacimento totale dell'intonacatura e del rivestimento esterno di un edificio qualora ne alteri il precedente aspetto esteriore); la previsione dell'art. 32 della legge n. 47/1985 ben si spiega con riferimento ai "vincoli" di natura diversa da quello paesaggistico e, quanto a quest'ultimo vincolo, puo' comunque correlarsi ad eventuali prescrizioni poste dal piano paesaggistico, ex alt. 143, comma 5, lettera b), del d.lgs. n. 42/2004, nonche' a previsioni del strumenti urbanistici espressamente rivolte alla tutela delle caratteristiche paesaggistiche ed ambientali; per l'acquisizione dell'autorizzazione paesaggistica la conferenza di servizi non e' imprescindibilmente obbligatoria». 10.4 - L'art. 146, d.lgs. n. 42/2004. Viceversa, secondo la tesi prospettata dalla difesa dei ricorrenti non appare pertinente il richiamo all'art. 146 del d.lgs. n. 42/2004, secondo cui nelle zone paesaggisticamente vincolate sarebbe inibita, in assenza dell'autorizzazione gia' prevista dall'art. 7 della legge n. 1497 del 1939, «ogni modificazione dell'assetto del territorio attuata attraverso lavori di qualsiasi genere, non soltanto edilizi, ad eccezione dei lavori consistenti (tra l'altro) nella manutenzione ordinaria e straordinaria e nel consolidamento statico o restauro conservativo, purche' non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici». Cio' perche' la norma in esame disciplina gli interventi da realizzare e non anche quelli gia' realizzati, la cui regolarizzazione e' riservata - a determinate condizioni - alle fattispecie di sanatoria straordinaria o a quella c.d. «a regime». Sul punto, e' stato ricordato che, come ribadito dalla stessa Corte di cassazione penale con riferimento all'ambito di applicazione del regime autorizzatorio, avente ad oggetto le opere da eseguire ex novo, «non ogni opera che interessi la superficie esterna determina "alterazione", ma esclusivamente quella che ne immuti in modo rilevante ed essenziale le sue caratteristiche (cfr., negli esatti termini, Cass. pen. , sez. III, 26 maggio 1992, n. 660; in senso conf.: Cass. pen., sez. III, 30 settembre 1993, n. 1813; ibidem Cass. pen., sez. III, 26 aprile 1999, n. 5304). Inoltre, il comma 26 dell'art. 32 del d.l. n. 269 del 2003 non pone alcuna distinzione tra opere di manutenzione ordinaria e straordinaria idonee ad alterare lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici ed opere appartenenti alla medesima tipologia edilizia che tale idoneita' invece non hanno. 10.5. - L'art. 22, d.P.R. n. 380/2001. Per le stesse ragioni i ricorrenti hanno sostenuto che non appare pertinente il richiamo all'art. 22 del d.P.R. n. 380 del 2001 che si occupa degli interventi «realizzabili mediante denuncia di inizio attivita'» e non anche - logicamente - delle opere gia' eseguite, in disparte ogni questione sulla riferibilita' o meno della limitazione di cui al comma 6 (obbligo del preventivo rilascio del parere o dell'autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative) agli «immobili sottoposti a tutela storico - artistica o paesaggistico - ambientale», intesi come immobili in senso stretto e non anche come aree (in ordine alla dicotomia «aree ed immobili», cfr. l'art. 134 del codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. n. 42 cit.), dove per immobili si intendono quelli di cui alle tipologie nn. 1 e 2 dell'art. 1 della legge n. 1497 del 1939, cioe' le cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale o di singolarita' geologica, le ville, i giardini e i parchi, intendendosi designare con il termine «immobili» determinati beni - giuridicamente e catastalmente - tendenzialmente unitari. 10.6. - L'articolo 149, d.lgs. n. 42/2004. I ricorrenti hanno, altresi', rappresentato che, a voler seguire l'interpretazione del «diritto vivente», la stessa non tiene conto, comunque, di quanto previsto dall'art. 149 del d.lgs. n. 42 del 2004, che esclude, come e' noto, l'obbligo della autorizzazione prescritta dall'art. 146, dall'art. 147 e dall'art. 159: «a) per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici; b) per gli interventi inerenti l'esercizio dell'attivita' agro-silvo-pastorale che non comportino alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie ed altre opere civili, e sempre che si tratti di attivita' ed opere che non alterino l'assetto idrogeologico del territorio; c) per il taglio colturale, la forestazione, la riforestazione, le opere di bonifica, antincendio e di conservazione da eseguirsi nei boschi e nelle foreste indicati dall'art. 142, comma 1, lettera g), purche' previsti ed autorizzati in base alla normativa in materia». La deroga al regime autorizzatorio, sia pure per determinate tipologie di intervento, segna il confine, delimitando l'ambito di applicazione, nelle zone paesaggisticamente vincolate, dello stesso regime inibitorio che, pertanto, non puo' essere inteso come assoluto, ovvero riferito a «lavori di qualsiasi genere». Anzi, quel che maggiormente rileva e' che, mentre la disciplina introdotta dall'art. 149 cit. fa salvi (nel senso che non ne richiede l'autorizzabilita' ex ante) i soli interventi edilizi minori di recupero del patrimonio edilizio esistente, l'art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, al comma 43, esclude dall'obbligo del preventivo parere (come, peraltro, gia' previsto dall'originaria formulazione della norma) «le violazioni riguardanti l'altezza, i distacchi, la cubatura o la superficie coperta che non eccedano il 2 per cento delle misure prescritte». Trattasi, con tutta evidenza, di abusi che, nella maggior parte dei casi, hanno, comunque, prodotto modifiche "alterative" con incrementi planovolumetrici e, pertanto, diversi, per loro natura e caratteristiche, dagli interventi edilizi minori di tipo «conservativo», per i quali e' escluso, come gia' detto, l'obbligo dell'autorizzazione qualora «non alterino» lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici. 10.7. - L'art. 143, comma 5, lettera b), d.lgs. n. 42/2004. E' stato, altresi', dedotto che non del tutto convincente e', poi, l'argomentazione addotta dal diritto vivente, secondo cui l'art. 32 della legge n. 47/1985, per il quale «il parere non e' richiesto quando si tratti di violazioni riguardanti l'altezza, i distacchi, la cubatura o la superficie coperta che non eccedano il 2% delle misure prescritte», inerendo - oltre che ai vincoli paesistici ed ambientali - anche a vincoli di diversa natura, come ad es., ai vincoli artistici, architettonici, archeologici ed idrogeologici, puo' razionalmente correlarsi, quanto al vincolo paesaggistico, «soltanto ad eventuali prescrizioni poste dal piano paesaggistico, ex art. 143, comma 5, lettera b), del d.lgs. n. 42/2004, nonche' a previsioni degli strumenti urbanistici espressamente rivolte alla tutela delle caratteristiche paesaggistiche ed ambientali». Tale argomentazione omette di considerare, innanzitutto, che l'art. 143, comma 5, lettera b), disciplina - in ambito regionale - l'attivita' pianificatoria, nella quale la (possibile) individuazione delle opere e degli interventi non soggetti ad autorizzazione paesaggistica e' subordinata «alla verifica della conformita' alle previsioni del piano paesaggistico e dello strumento urbanistico», nel mentre l'ambito di operativita' dell'art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, nella parte in cui esclude l'obbligo del parere per le violazioni che non eccedono il 2%, e' esteso - come e' noto - all'intero territorio nazionale. Inoltre, la lettera c) (del comma 5) dell'art. 143 fa riferimento alle «aree significativamente compromesse o degradate», nelle quali la realizzazione degli interventi di recupero e riqualificazione potra' non richiedere «il rilascio dell'autorizzazione di cui agli artt. 146, 147 e 159». Ma tali interventi sarebbero pur sempre confinati all'interno del perimetro degli interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente e, data la lettera tassativa della norma, non potrebbero giammai concretizzarsi in opere costituenti incrementi di superficie e di volume. L'art. 32, di contro, esonera dall'obbligo del parere gli interventi che hanno provocato incrementi sia di altezza che di volumetria e superficie e che, pertanto, non possono essere ricondotti al novero degli interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente. A cio' aggiungasi che l'applicazione dell'art. 143, comma 5, e' fatta salva dall'art. 149 («Interventi non soggetti ad autorizzazione») con riferimento non gia' alla lettera b), bensi' alla lettera a). Non appare, comunque, ragionevole ed ermeneuticamente corretto operare correlazioni tra una normativa condonistica, quale quella del citato art. 32, di stretta interpretazione, come riconosciuto dalla stessa Corte di cassazione, con altra normativa come quella introdotta dal d.lgs. n. 42 del 2004, per giunta entrata in vigore in epoca successiva ed agganciata, per quel che attiene alla pianificazione paesaggistica, ad eventi futuri ed incerti. Si richiama, a titolo esemplificativo, la disposizione di cui al comma 7 dell'art. 143, secondo cui: «Il piano puo' subordinare l'entrata in vigore delle disposizioni che consentono la realizzazione di opere ed interventi senza autorizzazione paesaggistica, ai sensi del comma 5, all'esito positivo di un periodo di monitoraggio che verifichi l'effettiva conformita' alle previsioni vigenti delle trasformazioni del territorio realizzate». 10.8. - La questione controversa. Il punto critico sul quale maggiormente si sono concentrate le censure di incostituzionalita' mosse dai ricorrenti al «diritto vivente», si riferiscono al criterio ermeneutico seguito dalla Corte suprema per confutare le obiezioni mosse alla anzidetta interpretazione dell'art. 32, comma 26 (considerata dai ricorrenti non condivisibile, perche' ingiustificatamente restrittiva), sta nella affermazione secondo cui, «per l'acquisizione dell'autorizzazione paesaggistica, la conferenza di servizi non e' imprescindibilmente obbligatoria». In altri termini, come gia' anticipato, un'interpretazione coordinata degli artt. 20, comma 6, e dell'art. 5, comma 4, del d.P.R. n. 380/2001, per il diritto vivente «non consente di affermare che l'ufficio comunale sia imprescindibilmente obbligato a convocare una conferenza di servizi qualora sia necessario acquisire l'assenso di altre amministrazioni (in difformita' dal previgente art. 4, comma 2, del d.l. n. 398/1993, che conferiva al responsabile del procedimento soltanto la facolta' discrezionale di detta convocazione). Appare corretta invece, in proposito, l'applicazione dell'art. 14, comma 2, della legge n. 241/1990, come modificato dalla legge n. 15/2005, ove si stabilisce l'obbligatorieta' della conferenza dei servizi quando l'amministrazione competente per l'adozione del provvedimento finale debba acquisire atti di assenso comunque denominato ad un'attivita' privata, provenienti da altre amministrazioni, e non li ottenga entro 30 giorni dalla ricezione della richiesta (ovvero quando, nello stesso termine, sia intervenuto il dissenso di una o piu' amministrazioni interpellate)». Sempre secondo la Corte, ai sensi dell'art. 5, comma 4, del d.P.R. n. 380/2001, l'ufficio dello sportello unico per l'edilizia «cura gli incombenti necessari ai fini dell'acquisizione anche mediante conferenza ai sensi degli artt. 14, 14-bis, 14-ter e 14-quater della legge n. 241/1990 di servizi, degli atti di assenso». La qual cosa starebbe a significare, come e' desumibile dalla locuzione «anche mediante conferenza», che quest'ultima non e' obbligatoria, essendo la relativa convocazione espressione di una mera facolta' discrezionale. Anche in tal caso trattasi, a ben vedere, di osservazioni che non appaiono aderenti al dettato normativo. La questione controversa attiene, infatti, all'ambito di applicazione del comma 26 dell'art. 32. Pertanto, non e' dato comprendere quale valenza possa attribuirsi, in concreto, alla disposizione contenuta nell'art. 5, comma 4, del testo unico dell'edilizia, la quale e' obiettivamente riferita ai procedimenti ordinari finalizzati al rilascio del permesso di costruire, con la conseguenza che la stessa, stante l'assenza di ogni richiamo o rinvio ob relationem, non puo' spiegare alcuna efficacia nella materia regolata dalla normativa sul condono che - lo si ripete - costituisce normativa di stretta interpretazione per la quale e', all'evidenza, preclusa un'interpretazione analogica estensiva in malam partem. Quel che piu' conta e' che l'art. 32 del d.l. n. 269/2003 stabilisce, senza possibilita' di interpretazioni alternative, che: «Ai fini dell'acquisizione del parere di cui al comma 1 si applica quanto previsto dall'art. 20, comma 6, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380». Il richiamato art. 20, comma 6, prevede, a sua volta, che: «Nell'ipotesi in cui, ai fini della realizzazione dell'intervento, sia necessario acquisire atti di assenso, comunque denominati, di altre amministrazioni, diverse da quelle di cui all'art. 5, comma 3 (atti di assenso, cioe', diversi dal parere dell'A.S.L. e dal parere dei Vigili del Fuoco, ove necessari, n.d.r.), il competente ufficio comunale convoca una conferenza di servizi, ai sensi degli artt. 14, 14-bis, 14-ter e 14-quater della legge n. 241/1990, e successive modificazioni». Stante il testuale tenore delle disposizioni ora citate non appare ammissibile «un'interpretazione coordinata degli artt. 20, comma 6, e dell'art. 5, comma 4, del d.P.R. n. 380/2001». Tale interpretazione «additiva» si pone contro la lettera della norma (di per se' sufficientemente chiara ed in quanto tale non suscettibile di alcuna interpretazione secondo il noto brocardo in claris non fit interpretatio) che configura l'iniziativa del «competente ufficio comunale» quale iniziativa dovuta, priva di margini di discrezionalita'. D'altra parte, l'obbligatorieta' della conferenza appare giustificata dal fatto che, nelle zone assoggettate a vincolo, il legislatore del c.d. condono ter ha ritenuto che l'amministrazione, nell'esaminare le istanze di sanatoria, non possa prescindere dall'obbligo di pronunciarsi espressamente sulle istanze medesime (vedasi, sul punto, anche Cass. pen, sez. III, ord. n. 102 /1996, secondo cui «gli atti consultivi endoprocedimentali obbligatori - tra cui certamente rientra il parere previsto dall'art. 32, comma 1, legge n. 47 /1985, e successive modificazioni - devono essere richiesti dalla stessa autorita' investita del procedimento»). All'esame di tali istanze, l'amministrazione provvede, in ogni caso, solo dopo aver acquisito, nei modi e nelle forme previste per la conferenza dei servizi, il parere di competenza degli altri enti coinvolti, ed «il motivato dissenso espresso da una amministrazione preposta alla tutela ambientale paesaggistico-territoriale, ivi inclusa la soprintendenza competente, alla tutela del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute, preclude il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatorio». Trattasi di procedimento applicabile alla sola fattispecie regolata dal «terzo» condono, essendo stato espressamente stabilito, al comma 43-bis dell'art. 32 del d.l. n. 269/2003, che «le modifiche apportate con il presente articolo concernenti l'applicazione delle leggi 28 febbraio 1985, n. 47, e 23 dicembre 1994, n. 724, non si applicano alle domande gia' presentate ai sensi delle predette leggi». Alla stregua di tali considerazioni non sembra sostenibile, sia sul piano logico che su quello giuridico, la tesi propugnata dal diritto vivente, secondo cui la conferenza dei servizi sarebbe stata prevista esclusivamente per gli interventi edilizi minori. Ne' persuade, in contrario, la diversa opinione, espressa sempre dal diritto vivente, secondo cui tale tesi non sarebbe, poi, tanto illogica dal momento che «anche l'effettuazione degli interventi di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, da realizzarsi in aree assoggettate al vincolo paesaggistico - ambientale, e' subordinata al preventivo rilascio del parere o dell'autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative (si pensi, ad esempio, al notevole impatto che puo' avere sul paesaggio gia' il solo rifacimento totale dell'intonacatura e del rivestimento esterno di un edificio qualora ne alteri il precedente aspetto esteriore)». In senso opposto, infatti, si e' gia' osservato in precedenza, in linea con quanto previsto dall'art. 149 del d.lgs. n. 42 del 2004, che, intanto gli interventi di manutenzione e restauro su immobili sottoposti a vincolo richiedono l'autorizzazione preventiva, se (e nella misura in cui) gli stessi siano idonei a determinare alterazione dello stato dei luoghi, incidendo in modo giuridicamente rilevante sull'assetto paesaggistico della zona e sull'aspetto esteriore degli edifici (Cass., sez. III, sent. n. 39355 del 29 novembre 2006; Cass., sez. III, sent. n. 38051 del 28 settembre 2004; Cass., sez. III, sent. n. 23980 del 26 maggio 2004; Cass., sez. III, sent. n. 19761 del 29 aprile 2003; Cass., sez. III, sent. n. 14461 del 28 marzo 2003; Cass., sez. III, sent. n. 12863 del 20 marzo 2003). Negli altri casi l'autorizzazione e' esclusa e gli interventi in questione sono sempre ammissibili. D'altronde, come autorevolmente ritenuto proprio dalla Corte costituzionale con sentenza del 23 giugno 2000, n. 238, avuto riguardo proprio agli immobili condonati «la cui legittimita' rispetto alle previsioni urbanistiche deriva solo dalla sanatoria-condono), «la privazione della possibilita' (in via assoluta e generale, senza alcuna valutazione di compatibilita' concreta, circa il modo e l'entita' degli interventi, con le esigenze di tutela ambientale e - si puo' aggiungere - urbanistica), per il titolare del diritto di proprieta' su di un immobile, di procedere ad interventi di manutenzione, aventi quale unica finalita' la tutela della integrita' della costruzione e la conservazione della sua funzionalita', senza alterare l'aspetto esteriore (sagoma e volumetria) dell'edificio, rappresenta certamente una lesione al contenuto minimo della proprieta'. Infatti, l'anzidetto divieto incide addirittura sulla essenza stessa e sulla possibilita' di mantenere e conservare il bene (costruzione) oggetto del diritto, producendo un inevitabile progressivo abbandono e perimento (strutturale e funzionale) del medesimo. Deve, pertanto, escludersi la legittimita' di una disposizione che comporta per il proprietario, ancorche' non espropriato della titolarita', uno svuotamento del suo diritto nel modo piu' irrimediabile e definitivo, e cioe' con graduale degrado e perimento del bene (costruzione) ed una progressiva inutilizzabilita' e distruzione dell'edificio, in rapporto alla destinazione inerente alla sua natura, (conforme a licenze, concessioni e autorizzazioni ancorche' in sanatoria)». [negli stessi sensi, cfr. sentenza costituzionale n. 529 del 1995]. Va, peraltro, ribadito che l'art. 32, comma 26, prevede per interventi di manutenzione e restauro, da eseguirsi su immobili assoggettati a vincolo, la necessaria acquisizione «del parere o dell'autorizzazione richiesti», abbiano o meno - tali interventi - prodotto alterazione dello stato dei luoghi e dell'aspetto esteriore degli edifici. Avendo la norma (art. 32, comma 4) stabilito che il parere va acquisito, ai sensi dell'art. 20, comma 6, del d.P.R. n. 380 del 2001, ovvero mediante conferenza dei servizi, non puo' fondatamente affermarsi, come sostenuto dal diritto vivente, che la sanatoria introdotta dal d.l. n. 269 del 2003, per le opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo, va limitata ai soli abusi minori, compresa la manutenzione che dalla disciplina ordinaria e' esonerata dall'obbligo dell'autorizzazione preventiva (quantomeno nei casi in cui la stessa non determini «alterazione»). Non appare ragionevole, quindi, ritenere, anche alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale, nelle decisioni sopra riportate, sul «contenuto minimo» della proprieta', che possa essere negato l'assenso alla sanatoria di una manutenzione straordinaria eseguita senza titolo che non abbia determinato alterazione, per giunta all'esito di una conferenza di servizi. Ne' pare decisivo - ad avviso dei ricorrenti, sul piano della interpretazione del comma 26 - il richiamo, operato dal diritto vivente, alla relazione governativa al d.l. n. 269 del 2003, secondo la quale «... e' fissata la tipologia di opere insanabili tra le quali si evidenziano ... quelle realizzate in assenza o in difformita' del titolo abilitativo edilizio nelle aree sottoposte ai vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici, ambientali e paesistici. Per gli interventi di minore rilevanza (restauro e risanamento conservativo) si ammette la possibilita' di ottenere la sanatoria edilizia sugli immobili soggetti a vincolo previo parere favorevole da parte dell'autorita' preposta alla tutela. Per i medesimi interventi, nelle aeree diverse da quelle soggette a vincolo, l'ammissibilita' alla sanatoria e' rimessa ad uno specifico provvedimento regionale». A prescindere dai limiti dell'efficacia delle enunciazioni contenute nella Relazione governativa in sede di interpretazione del testo normativo - limiti dei quali e' consapevole lo stesso diritto vivente - va detto, di contro, che la circolare esplicativa del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti pubblicata nella Gazzetta Ufficiale il 3 marzo 2006, n. 52, non contiene alcun riferimento a tale interpretazione restrittiva, in malam partem, espressa dal diritto vivente. Viceversa, l'interpretazione fornita dal Ministero delle infrastrutture sembra avallare la tesi secondo cui, contrariamente a quanto ritenuto dal diritto vivente, la sanabilita' delle opere realizzate in zona vincolata e' da escludere solo se si tratti di vincolo di inedificabilita' assoluta (divieti di edificazione o prescrizioni di inedificabilita' ex art. 33, legge n. 47 del 1985) e non anche nella diversa ipotesi, come quella in esame, di vincolo di inedificabilita' relativa, ovvero di vincolo di tutela suscettibile di essere rimosso mediante un giudizio ex post di compatibilita' delle opere da sanare da parte della competente autorita' (cfr. Cons. Stato, sez. V, sent. n. 696 del 4 maggio 1995). 11. - Il c.d. «diritto vivente». La sentenza della Corte suprema di cassazione n. 6431 del 15 febbraio 2007, espressamente richiamata dal pubblico ministero, pur tenendo conto dei suesposti rilievi critici, si inserisce, comunque, nel solco, gia' tracciato da altre decisioni della medesima Corte di cassazione (si vedano, fra le tante, Cass., sez. III, 1° ottobre 2004, n. 38694; Cass., sez. 24 settembre 2004, n. 37865; Cass., sez. III, 21 dicembre 2004, n. 48954 ; Cass., sez. III, 21 dicembre 2004, n. 48956 ; Cass., sez. III, 12 gennaio 2005, n. 216 ; Cass., sez. III, 5 aprile 2005, n. 12577), secondo cui, a seguito della entrata in vigore del d.l. n. 269 del 2003, le nuove costruzioni realizzate in assenza del titolo abilitativo edilizio e in area assoggettata a vincolo (anche relativo, come nella fattispecie) non sono suscettibili di sanatoria, ostandovi il disposto dell'art. 32, comma 26, lettera a), dello stesso d.l. n. 269. Si e', dunque, in presenza di un diritto vivente, ovvero di una sufficiente certezza sul significato della disposizione considerata, dalla quale questo Tribunale non potrebbe agevolmente discostarsi. Facendo, quindi, applicazione del suesposto principio di diritto affermato dal diritto vivente, questo tribunale dovrebbe, pertanto, rigettare tutti gli incidenti di esecuzione in esame, non potendo revocare i relativi ordini di demolizione, aventi ad oggetto, appunto, nuove costruzioni in zona assoggettata a vincolo paesistico, per le quali, nonostante la pendenza di 140 procedure di cd. «condono edilizio ter», tutte corredate del rispettivo «parere di congruita'» espresso dalle competenti amministrazioni comunali, relativamente agli oneri versati da tutti i ricorrenti, non sarebbe in nessun caso possibile ottenere la sanatoria, ostandovi il disposto dell'art. 32, comma 26, lettera a), del d.l. n. 269 del 2003. A tale conclusione questo tribunale sarebbe costretto a pervenire sebbene la Corte costituzionale, con sentenza n. 70 del 12 marzo 2008, abbia dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 32, comma 36, del d.l. n. 269 del 2003 nella parte in cui non prevede che gli effetti di cui all'art. 38, comma 2, della legge n. 47 del 1985 si producono anche allorche', anteriormente al decorso dei 36 mesi dal pagamento della oblazione, sia intervenuta l'attestazione di congruita' da parte dell'autorita' comunale, come verificatosi in tutte le 140 fattispecie in esame. La non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 32, comma 26, del d.l. n. 269/2003, convertito nella legge n. 326 del 2003, per contrasto con gli artt. 3, 42, 81, 117 e 119 della Costituzione. 1. - Contrasto con l'art. 3 della Costituzione. Poiche' il cd. «diritto vivente» non e' sempre conforme ai dettami della Carta costituzionale (Corte costituzionale, sent. n. 167/1984) e' da scrutinare se il sistema applicativo, quale risulta dagli orientamenti del giudice di legittimita' cui compete la nomofilachia, sia conforme ai parametri costituzionali di cui agli artt. artt. 3 e 24. La risposta, ad avviso di questo giudice remittente, e' negativa, in quanto il tribunale reputa che la rigida interpretazione estensiva, in malam partem, dell'art. 32, comma 26, del d.l. n. 269/2003, convertito nella legge n. 326 del 2003 fornita dal diritto vivente sia in contrasto innanzitutto con l'art. 3 della Costituzione, investendo il principio di ragionevolezza e finendo con lo snaturare la stessa volonta' del legislatore, sul versante degli effetti penali della sanatoria nelle aree assoggettate a vincolo paesistico. 1.1. - La giurisprudenza del Giudice delle leggi sugli effetti estintivi dell'«oblazione» e la sua ricaduta sul regime sanzionatorio amministrativo in materia edilizia. A) La sentenza n. 196 del 28 giugno 2004. Per una compiuta disamina della problematica, in rapporto all'osservanza del canone di ragionevolezza, va evidenziato che la Corte costituzionale, con sentenza n. 196 del 28 giugno 2004, ha individuato, con ricchezza di argomentazioni, la portata logico-sistematica delle caratteristiche generali del cd. «nuovo condono edilizio» (condono ter) di cui all'art. 32 del d.l. n. 269/2003 innanzi richiamato, indicandone l'interpretazione storico-contenutistica conforme alla Costituzione. Posto che fra piu' interpretazioni possibili di una norma, il giudice deve prescegliere quella conforme alla Carta fondamentale, appare doveroso precisare che la Consulta, sul punto, ha cosi' statuito: «Malgrado la titolazione dell'art. 32 sia "Misure per la riqualificazione urbanistica, ambientale e paesaggistica, per l'incentivazione dell'attivita' di repressione dell'abusivismo edilizio, nonche' per la definizione degli illeciti edilizi e delle occupazioni delle aree demaniali", l'oggetto fondamentale di tale disposizione e' la previsione e la disciplina di un nuovo condono edilizio esteso all'intero territorio nazionale, di carattere temporaneo ed eccezionale rispetto all'istituto a carattere generale e permanente del "permesso di costruire in sanatorio", disciplinato dagli artt. 36 e 45 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), ancorato a presupposti in parte diversi e comunque sottoposto a condizioni assai piu' restrittive. Si tratta, peraltro, di un condono che si ricollega sotto molteplici aspetti ai precedenti condoni edilizi che si sono succeduti dall'inizio degli anni ottanta: cio' e' reso del tutto palese dai molteplici rinvii contenuti nell'art. 32 alle norme concernenti i precedenti condoni, ma soprattutto dal comma 25 dell'art 32, il quale espressamente rinvia alle disposizioni dei "capi IV e V della leggi 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni e integrazioni, come ulteriormente modificate dall'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e successive modificazioni e integrazioni", disponendo che tale normativa, come ulteriormente modificata dal medesimo art. 32, si applica "alle opere abusive" cui la nuova legislazione appunto si riferisce. Attraverso questa tecnica normativa, consistente nel rinvio alle disposizioni dell'istituto del condono edilizio come configurato in precedenza, si ha una esplicita saldatura fra il nuovo condono ed il testo risultante dai due precedenti condoni edilizi di tipo straordinario, cui si apportano solo alcune limitate innovazioni. Resta, in particolare, la caratteristica fondamentale di mantenere collegato il condono penale con la sanatoria amministrativa: l'integrale pagamento dell'oblazione, oltre a costituire il presupposto per l'estinzione dei reati edilizi, estingue anche i relativi procedimenti di' esecuzione delle sanzioni amministrative (cfr. art. 38, secondo comma, della legge n. 47 del 1985) e costituisce uno dei requisiti per il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria (commi 32 e 37 dell'art 32 in questione); ancora, l'oblazione interamente corrisposta costituisce condizione perche' la sanatoria renda inapplicabili le sanzioni amministrative, "ivi comprese le pene pecuniarie e le sovrattasse previste per le violazioni delle disposizioni in materia di imposte sui redditi relativamente ai fabbricati abusivamente eseguiti" (cfr. art 38, quarto comma, della legge n. 47 del 1985). Cio' non esclude, peraltro, che - ove sia stata effettuata l'oblazione, pur in presenza di diniego di sanatorio, si estinguano i reati edilizi e le sanzioni amministrative consistenti nel pagamento di una somma di denaro siano "ridotte in misura corrispondente all'oblazione versata" (art. 39 della legge n. 47 del 1985). Rispetto ai precedenti, l'attuale condono risulta per alcuni profili piu' ristretto, dal momento che il comma 25, relativamente alle nuove costruzioni residenziali, pone un limite complessivo di 3.000 metri cubi ai volumi sanabili, e definisce analiticamente le tipologie di abusi condonabili (comma 26 e Allegato 1), introducendo altresi' alcuni nuovi limiti all'applicabilita' del condono (comma 27), che si aggiungono a quanto previsto negli arti. 32 e 33 della legge n. 47 del 1985. A fianco di tali previsioni, viene disciplinata analiticamente la possibilita' di sanare opere abusive edificate su aree di proprieta' dello Stato o facenti parte del demanio statale o su aree gravate da diritti di uso civico (commi da 14 a 20). Il richiamo all'intero capo IV della legge n. 47 del 1985 rende applicabile anche al presente condono la sospensione dei procedimenti amministrativi e giurisdizionali disposta dall'art. 44 della legge n. 47 del 1985, con effetto dalla data di entrata in vigore del decreto e fino alla scadenza dei termini fissati per la presentazione delle domande di sanatoria [stabilito, come e' noto, originariamente al 31 marzo 2004, quindi differito al 31 luglio 2004 dal decreto-legge 31 marzo 2004, n. 82 (Proroga di termini in materia edilizia), convertito in legge ad opero della legge 28 maggio 2004 n. 141 (Conversione in legge del decreto-legge 31 marzo 2004, n. 82, recante proroga di termini in materia edilizia)]. La regolare e tempestiva presentazione di tale domanda al comune competente, nonche' il versamento dell'oblazione, sospende il procedimento penale e quello per le sanzioni amministrative (art. 38, primo comma, della legge n. 47 del 1985). Il titolo abilitativo e' rilasciato dal comune, ove non vi siano motivi ostativi (art. 35 della legge n. 47 del 1985), ma il comma 37 dell'art 32 del d.l. n. 269 del 2003 dispone che il decorso di 24 mesi dalla consegna della documentazione, senza che l'amministrazione abbia adottato un provvedimento negativo, integra un'ipotesi di silenzio-assenso, che equivale al rilascio del titolo abilitativo in sanatoria. Da notare, infine, che permane l'atipicita' dell'oblazione delineata da questa legislazione (e destinata all'erario statale, ai sensi dell'art. 34, primo comma, della legge n. 47 del 1985), che differisce sotto piu' profili dall'istituto disciplinato in generale dagli artt. 162 e 162-bis del codice penale, e la cui quantificazione e' determinata o forfettariamente o in misura rapportata alla tipologia dell'abuso, alla qualita' degli immobili e alla superficie della costruzione abusivamente realizzata (si veda, al riguardo, la sentenza n. 369 del 1988)» (cfr., negli esatti termini, Corte costituzionale, sent. n. 196/2004 cit.). B) La vexata quaestio della «competenza» del giudice penale in materia di accertamento di conformita' delle opere agli strumenti urbanistici. Nella sentenza n. 196/2004, il giudice delle leggi cosi' prosegue: «Il condono edilizio di tipo straordinario, quale finora configurato nella nostra legislazione, appare essenzialmente caratterizzato dalla volonta' dello Stato di intervenire in via straordinaria sul piano della esenzione dalla sanzionabilita' penale nei riguardi dei soggetti che, avendo posto in essere determinate tipologie di abusi edilizi, ne chiedano il condono tramite i comuni direttamente interessati, assumendosi l'onere del versamento della relativa oblazione e dei costi connessi all'eventuale rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria, appositamente previsto da questa legislazione. Non vi e' dubbio sul fatto che solo il legislatore statale puo' incidere sulla sanzionabilita' penale (per tutte, v. la sentenza n. 487 del 1989) e che esso, specie in occasione di sanatorie amministrative, dispone di assoluta discrezionalita' in materia "di estinzione del reato o della pena, o di' non procedibilita' " (sentenza, recte: ordinanza, n. d.r. Consulta Online] n. 327 del 2000, n. 149 del 1999 [ordinanza, n. Consulta Online] e n. 167 del 1989). Peraltro, la circostanza che il comune sia titolare di fondamentali poteri di gestione e di controllo del territorio rende necessaria la sua piena collaborazione con gli organi giurisdizionali, poiche', come questa Corte ha affermato, il giudice penale non ha competenza "istituzionale" per compiere l'accertamento di conformita' delle opere agli strumenti urbanistici (sentenza n. 370 del 1988). Tale doverosa collaborazione per concretizzare la scelta del legislatore statale di porre in essere un condono penale si impone quindi su tutto il territorio nazionale, inerendo alla strumentazione indispensabile per dare effettivita' a tale scelta. Al tempo stesso rileva la parallela sanatoria amministrativa, anche attraverso la previsione da parte del legislatore statale di uno straordinario titolo abilitativo edilizio, a causa dell'evidente interesse di coloro che abbiano edificato illegalmente ad un condono su entrambi i versanti, quello penale e quello amministrativo» (cfr., negli esatti termini, Corte costituzionale, sent. n. 196/2004 cit). C) L'ambito di applicazione della esenzione della punibilita' penale e la sua maggiore estensione rispetto a quella della c.d. «sanatoria amministrativa». La predetta sentenza costituzionale, nel distinguere tra «effetti dell'ordinamento penale» ed «effetti della sanatoria amministrativa», nell'ottica interpretativa dello ius superveniens, ha cosi' acutamente delimitato i rispettivi ambiti, alla luce dell'art. 39 della legge n. 47/1985, cui fa rinvio il comma 25 dell'art. 32 del d.l. n. 269/2003: «questa legislazione - rileva la Consulta - conferma quella che e' una piu' generale caratteristica della legislazione sul condono, nella quale normalmente quest'ultimo ha effetti sia sul piano penale che sul piano delle sanzioni amministrative, ma che non esclude la possibilita' che le procedure finalizzate al conseguimento dell'esenzione dalla punibilita' penale si applichino ad un maggior numero di opere edilizie abusive rispetto a quelle per le quali operano gli effetti estintivi degli illeciti amministrativi; cio' e' reso d'altra parte evidente nelle disposizioni dello stesso Capo IV della legge n. 47 del 1985, e successive modificazioni e integrazioni, che nell'art. 38 disciplina separatamente, al secondo ed al quarto comma, i presupposti del condono penale (il versamento dell'intera oblazione) ed amministrativo (il conseguimento del titolo abilitativo in sanatoria) e nell'art. 39 prevede che, ove si sia effettuata l'oblazione, si produca comunque l'estinzione dei reati anche ove "le opere non possano conseguire la sanatoria"». D) L'ordinanza della Corte costituzionale n. 56 del 12 marzo 1998. Gia' con ordinanza del 12 marzo 1998, n. 56, la Corte costituzionale aveva ritenuto che «il combinato disposto degli artt., 38, commi secondo e quarto, e 43 della legge n. 47 del 1985 prevede, tra gli effetti tassativi della oblazione e della concessione in sanatoria, anche quelli sui procedimenti di esecuzione delle sanzioni amministrative (purche' non sia ancora intervenuta la completa ed integrale esecuzione)». E) La sentenza costituzionale n. 49 del 10 febbraio 2006. Ed ancora, con riferimento agli effetti della c.d. «sanatoria amministrativa» che, come gia' ribadito dalla Consulta, opera su di un piano giuridico diverso da quello strettamente collegato alla c.d. «sanzionabilita' penale», la Corte costituzionale, con la piu' recente sentenza n. 49 del 2006, ha statuito che l'art. 3, comma 1, della legge della Regione Lombardia n. 31 del 2004 non e' in contrasto con quanto previsto dall'art. 32, comma 27, lettera d), del d.l. n. 269 del 20030 norma quest'ultima che, ove diversamente interpretata, renderebbe di fatto inapplicabile il condono edilizio nelle aree assoggettate a vincolo, nelle quali potrebbero essere sanati soltanto gli interventi edilizi c.d. «minori». La Consulta, viceversa, ha dichiarato costituzionalmente legittima la disposizione regionale censurata, giacche' tale norma non fa altro che «recepire la normativa statale concernente la sanatoria degli abusi realizzati nelle aree vincolate, senza introdurre ipotesi di sanatoria ulteriori rispetto a quelle previste dal d.l. n. 269 del 2003». Da tale lettura costituzionalmente orientata del comma 27, lettera d), dell'art. 32, d.l. n. 269/2003 cit. e' lecito arguire - in sintonia con la concorde interpretazione del giudice amministrativo - che non tutti i vincoli sono ostativi alla sanabilita', ma soltanto quelli di inedificabilita' assoluta. A riscontro di tale opzione interpretativa, il Tribunale amministrativo regionaleCampania - Napoli, con sentenza n. 6182 del 22 marzo 2006, ha confermato che «la Corte ha avuto modo di chiarire, con riferimento agli abusi in aree vincolate, nel pronunciarsi sulla legittimita' costituzionale della legge regionale della Lombardia, che la sanabilita' delle opere realizzate in zona vincolata e' da escludere solo se si tratti di vincolo di inedificabilita' assoluta (divieti di edificazione o prescrizioni di inedificabilita' ex art. 33, legge n. 47 del 1985) e non anche nella diversa ipotesi di vincolo di inedificabilita' relativa, ovvero di vincolo di tutela suscettibile di essere rimosso mediante un giudizio ex post di compatibilita' delle opere da sanare da parte della competente autorita' (cfr. Cons. Stato, sez. V, sent. n. 696 del 4 maggio 1995). Pertanto, secondo la norma statale, non tutti i vincoli sono ostativi alla sanabilita' ma solo quelli di inedificabilita' assoluta, quali, ad esempio, i vincoli di rispetto cimiteriale, i vincoli di rispetto stradale, i vincoli idrogeologici e quelli relativi alle zone omogenee A, Al ed FI del P.R.G. sempre, pero', che lo stesso risulti debitamente adottato, approvato e pubblicato e, pertanto, vigente» (cfr., T.a.r Campania, sez. IV, 22 marzo 2006, n. 6182, ric. Galano, res. Comune Napoli). Lo stesso T.a.r., con sentenza n. 7417 dell'8 agosto 2007, con riferimento all'ambito di' applicazione dell'istituto della sanatoria straordinaria di cui al d.l. n. 269/2003, in zona assoggettata - come nel caso in esame - a regime vincolistico, ha precisato che «la giurisprudenza della Sezione sul punto e' nel senso della non sufficienza, sotto il profilo motivazionale, del solo richiamo alla esistenza di un regime vincolistico per il diniego della sanatorio edilizia introdotta dalla legislazione condonistica (cfr. ex multis, sent. n. 7050/2006). Infatti, in argomento, si devono richiamare ben tre disposizioni: l'art. 32 della legge n. 47/1985 (come novellato dalla legge n. 326/2003), l'art. 33 della legge n. 47/1985 e l'art. 32, comma 27, legge n. 326/2003. Dalla combinata lettura delle stesse si trae, ad avviso del tribunale, la seguente "gerarchia" applicativa: vi sono opere sanabili costruite su aree sottoposte a vincolo, come recita la stessa intestazione dell'art. 32, legge n. 47/1985: opere sanabili, subordinatamente alla acquisizione del parere favorevole della pubblica amministrazione); vi sono opere insanabili ai sensi dell'art. 33, legge n. 47/1985: non sono suscettibili di sanatoria le opere effettuate in zone vincolate (ex plurimis: vincoli imposti da leggi statali e regionali nonche' dagli strumenti urbanistici a tutela di interessi storici, artistici, architettonici, archeologici, paesistici, ambientali, idrogeologici: lettera a) dell'art 33), allorquando i vincoli imposti comportino l'inedificabilita' e siano stati imposti prima della esecuzione delle opere stesse; vi sono opere comunque non suscettibili di sanatoria, fermo restando quanto previsto dagli artt. 32 e 32 della legge 28 febbraio 1985, qualora: (omissis) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonche' dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformita' del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici (lettera d) del comma 27 dell'art. 32 cit.). Ne consegue, ad avviso del Tribunale, che la lettera d) appena richiamata ha un campo applicativo suo proprio e ben diversificato dagli artt. 32 e 33 della legge n. 47/1985. Riguarda, in sintesi, zone sottoposte a vincolo, che non comportano inedificabilita' (altrimenti la disciplina normativa da richiamare sarebbe quella ex art. 33, legge n. 47/1985), su cui, senza titolo edilizio, sono state costruite opere non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici. La non conformita' alla strumentazione urbanistica diviene quindi elemento nodale per questa particolare insanabilita'. In altri termini, non e' solo la presenza del vincolo a rendere l'opera insanabile, altrimenti all'art 32, legge n. 47/1985 non residuerebbe operativita'. Deve sussistere, dunque, sia la sussistenza di un vincolo (non di edificabilita', altrimenti si ricade nell'art 33, legge n. 47/1985), sia la non conformita' alla pianificazione: sintomatico del rilievo di quest'ultima e' dato dalla coeva modifica dell'art 27 del T.U. n. 380/2001 (ai sensi del comma 45 e 46 dell'art. 32, legge n. 326/2003) in cui si sono previsti gli immediati provvedimenti demolitori dirigenziali anche, appunto, ove sia riscontata la difformita' dalle norme di pianificazione. Nel caso in esame, si deve sottolineare come l'intero territorio di Pozzuoli sia stato sottoposto, con il d.m. del 1957, al vincolo paesaggistico ex lege n. 1497/1939 (Cfr., Cass., ss.uu. penale 3 ottobre 1995, n. 3261). Siamo percio' in presenza di un vincolo superabile ai fini della sanatoria, ex art. 32, legge n. 47/1985: ne consegue che l'amministrazione non poteva limitarsi a richiamare l'art. 32, comma 27, legge n. 326/2003 in assenza di rimando specifico anche alla contrarieta' della pianificazione edilizio-urbanistica. Il solo rinvio alla sussistenza del vincolo paesaggistico, cosi' come espresso nel provvedimento impugnato, rende pertanto fondato il relativo motivo di gravame» (Tribunale amministrativo regionaleCampania, VI sez., 8 agosto 2007, n. 7417, Del Gore Luigi e/Comune di Pozzuoli). 2. - La violazione del canone di ragionevolezza (art. 3 Cost.) ed il contrasto con gli artt. 42, 81,117 e 119 della Costituzione. 2.1. - La violazione del canone di ragionevolezza. Alla luce dei rilievi del Giudice delle leggi, reputa il tribunale di ravvisare, nella fattispecie, lo schema «ternario» necessario presupposto del giudizio di ragionevolezza, ai sensi dell'articolo 3 della Costituzione. Il giudizio di legittimita' costituzionale assume, in tal caso, non tanto i caratteri di un controllo negativo sull'assenza di contrasto tra legge e Costituzione, quanto, piuttosto, quelli di un riscontro positivo circa la sussistenza di quella dose minima di adeguatezza, congruenza e proporzionalita' rispetto al fatto (in una parola, di ragionevolezza) che la scelta positiva deve incorporare per essere considerata come legittimo esercizio della funzione legislativa. A tale proposito il Giudice delle Leggi ha sviluppato, attraverso la formula della ragionevolezza, forme «non invasive» di controllo che consentano di scrutinare le scelte effettuate dal legislatore, non solo nella loro astratta conformita' ad un ordine superiore ed esterno (Costituzione), ma nella loro corrispondenza ad un'idea di interna razionalita' e plausibilita', sia sul piano strumentale che su quello sistematico. Gli strumenti tipici del sindacato di ragionevolezza consistono, pertanto, in argomenti di razionalita' sistematica che si traducono in un giudizio di coerenza, in relazione a riferimenti valutativi ricavati dalla logica degli istituti, volto ad assicurare l'innesto della disciplina legislativa in un tessuto normativo privo di contraddizioni. Nel caso in esame, non pare che la salvaguardia della discrezionalita' legislativa possa esimere il tribunale dal valutare se nel diritto vivente formatosi sull'art. 32, comma 26, del d.l. n. 269 del 2003 vi sia una manifesta opzione interpretativa che abbia vulnerato il canone della razionalita'. Alla stregua delle argomentazioni innanzi svolte e soprattutto tenuto conto dell'insegnamento della Corte costituzionale in materia, ritiene questo Tribunale che il legislatore non avrebbe avuto necessita' di predisporre un cosi' complesso procedimento per l'acquisizione del parere paesistico, ove la sua intenzione fosse stata effettivamente quella - come ritenuto dal «diritto vivente - di escludere sempre, in ogni caso, la possibilita' di sanatoria per le opere di cui alle tipologie n. 1, n. 2 e n. 3, nelle zone assoggettate a vincolo. Tale articolato corpus normativo, in aderenza al principio di non aggravamento dei procedimenti amministrativi, non era di certo richiesto per sanare le sole tipologie n. 4, n. 5 e n. 6, cui, peraltro, la vigente legislazione gia' ricollega un'autonoma possibilita' di legittimazione, sia ex ante (art. 149, d.lgs. n. 42/04) sia ex post, attraverso il c.d. «accertamento di compatibilita' paesaggistica» previsto dall'art. 167, d.lgs n. 42/04, relativamente alle opere di natura manutentiva, nonche' a quelle che non abbiano, in concreto, determinato incrementi planovolumetrici. In dottrina, infatti, e' stato sollevato, anche sul punto, un duplice interrogativo, che il tribunale fa proprio. Il primo riguarda la circostanza se sia ragionevole prescrivere l'obbligo della acquisizione del preventivo parere per colui che non abbia incrementato in alcun modo il proprio edificio, ma si sia limitato a spostare una finestra, se cio' e' esplicitamente escluso per interventi che, invece, hanno provocato incrementi sia di altezza che di volumetria, ancorche' contenuta nel limite del 2%. Il secondo, che risulta molto piu' rilevante, riguarda la circostanza di come possa conciliarsi una disposizione che prevede che siano ammessi a condono edilizio abusi che abbiano comportato innovazioni plano volumetriche nelle zone assoggettate a vincolo, con esclusione perfino dell'obbligo del parere paesaggistico, con l'affermazione secondo cui l'intero contesto normativo escluderebbe l'applicabilita' del condono agli abusi riconducibili alle tipologie n. 1, n. 2 e n. 3, ed eseguiti nelle zone assoggettate a vincolo paesistico. L'incoerenza logica della tesi sostenuta dal «diritto vivente» e' dimostrata, a ben vedere, dai precedenti insegnamenti della stessa Corte suprema di cassazione, anche a sezioni unite (cfr., ex plurimis, Cass. ss. uu. n. 22 del 1999), che aveva escluso la possibilita' di porre sullo stesso piano gli effetti penali ed amministrativi del condono. Peraltro, come dinanzi sottolineato ed in conformita' al riferito orientamento dottrinario, con la sentenza n. 196 del 2004 la Corte costituzionale aveva precisato l'esigenza di chiarire che la nuova normativa di condono «si ricollega sotto molteplici aspetti ai precedenti condoni edilizi che si sono succeduti dall'inizio degli anni ottanta, il che e' reso del tutto palese dai molteplici rinvii contenuti nell'art. 32 alle norme concernenti i precedenti condoni, con una tecnica normativa che crea una esplicita saldatura tra il nuovo condono ed il testo risultante dai due precedenti condoni edilizi di tipo straordinario, cui si apportano solo alcune limitate innovazioni». Sempre con la ricordata sentenza n. 196/2004, la Corte costituzionale aveva rimarcato con maggior vigore rispetto al passato il rapporto (e la non necessaria coesistenza) tra effetti amministrativi ed effetti penali della sanatoria, chiarendo, altresi', come permanga anche con il nuovo condono edilizio «ter» la caratteristica fondamentale di mantenere collegato il condono penale con la sanatoria amministrativa, in quanto l'integrale pagamento dell'oblazione, oltre a costituire il presupposto per l'estinzione dei reati edilizi, estingue anche i relativi procedimenti di esecuzione delle sanzioni amministrative e costituisce uno dei requisiti per il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria (art. 32, commi 32 e 37, del d.l. n. 269 del 2003). Peraltro, cio' non esclude che, pagata interamente l'oblazione, ai sensi dell'art. 39 della legge n. 47 del 1985 (applicabile - come gli artt. 38 e 44 - in virtu' del richiamo operato dal comma 25 dell'art. 32 cit. agli interi capi IV e V della legge n. 47 del 1985), pur in presenza di diniego di sanatoria, si estinguano i reati edilizi e si riducano in misura pari all'oblazione versata le sanzioni amministrative consistenti nel pagamento di una somma di danaro. In altri termini, il potere del giudice penale di non applicare la speciale causa estintiva prevista dalla sanatoria straordinaria (e naturalmente anche di non sospendere il giudizio per i reati ai quali la stessa si riferisce) puo' essere esercitato nella sola ipotesi in cui dagli atti emerga verosimilmente la violazione, da parte del contravventore, dei limiti temporali e volumetrici nella esecuzione delle opere e non anche quando tali opere non appaiano suscettibili di sanatoria sul piano strettamente amministrativo. A tali fini, come si e' visto, persino il diniego di sanatoria della p.a. rappresenta un elemento neutro e del tutto inidoneo a determinare l'esclusione della operativita' della causa estintiva, ricollegata - lo si ripete - al solo pagamento dell'oblazione in misura congrua secondo quanto previsto dal richiamato art. 39 della legge n. 47 del 1985. Del resto, sempre sul versante amministrativo, il diritto vivente non spiega perche' nelle aree vincolate maggiormente «sensibili», come quelle demaniali, sulle quali siano state eseguite opere abusive, il legislatore del 2003 (art. 32, comma 17) si sia accontentato di subordinare la disponibilita' alla cessione dell'area al solo rilascio del parere favorevole dell'autorita' preposta alla tutela del vincolo (che, pertanto, fungerebbe da vincolo relativo, perche' rimuovibile ad opera della competente autorita', e non assoluto). Ne' appare di rilievo la circostanza addotta dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 6431/2007, per la quale «tale disposizione, riferita alle opere eseguite da terzi su aree di proprieta' dello Stato o facenti parte del demanio statale, e' significativamente limitata dall'esclusione (posta dal precedente comma 14) del demanio marittimo lacuale e fluviale, nonche' dei terreni gravati da diritti di uso civico (immobili assoggettati a vincolo paesaggistico ex lege)», dovendosi tener conto "dell'ampia nozione di vincolo" che l'art. 32 della legge n. 47/1985 presuppone. Anche qui la norma - nel prevedere una fattispecie di sanatoria a condizione - e' sufficientemente chiara e non puo' essere manipolata con interpretazioni additive in malam partem, contro o praeter legem. Non spiega, infatti, il diritto vivente perche' il controverso comma 26 arrivi a ritagliare un'eccezione all'ambito oggettivo di applicabilita' della sanatoria per i soli abusi realizzati su immobili dichiarati monumento nazionale, omettendo di menzionarne altri. La norma prevede, infatti, che sono suscettibili di sanatoria edilizia (tutte) le tipologie di illecito di cui all'allegato 1: a) numeri da 1 a 3 nell'ambito dell'intero territorio nazionale, fermo restando quanto previsto dalla lettera e) del comma 27, nonche' 4, 5 e 6 nell'ambito degli immobili soggetti a vincolo di cui all'art. 32 della legge n. 47/1985. La sanatoria abbraccia, dunque, tutte le tipologie di illecito da 1 a 3 (opere nuove senza titolo edilizio o in difformita', in contrasto con gli strumenti urbanistici o conformi agli strumenti urbanistici; ristrutturazioni senza titolo o in difformita' dal titolo), escludendo espressamente le sole opere abusive realizzate su immobili assoggettati a vincolo storico-artistico ai quali si riferisce il comma 27, lettera e). Secondo il richiamato canone di ragionevolezza, il legislatore non avrebbe avuto alcuna necessita' - ove la disposizione del comma 26 fosse effettivamente da interpretare, come ritenuto dal diritto vivente, nel senso che nelle aree vincolate sono sanabili solo gli interventi edilizi «minori» - di collegare agli abusi «maggiori» le opere eseguite senza titolo su immobili dichiarati monumento nazionale, per giunta vincolati «in individuo». E lo stesso comma 27 nemmeno avrebbe avuto motivo di esistere in quanto in esso si fa riferimento a tutti i vincoli riconducibili all'ambito di applicazione dell'art. 32 della legge n. 47 del 1985. Privo di giustificazione sul piano logico sarebbe stato anche prevedere, come in effetti e' avvenuto, con la formulazione della lettera d), che la mancata dimostrazione della conformita' delle opere alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici determina l'insanabilita' delle opere per le quali e' stato richiesto il beneficio del condono. La sentenza della Corte costituzionale n. 49 sembra rafforzare - sul piano interpretativo - il convincimento di chi, come questo giudice, ritiene, in aderenza al suesposto orientamento dottrinario, che l'unico parametro normativo da considerare per delimitare l'ambito oggettivo di applicazione della sanatoria straordinaria nelle aree sottoposte a vincolo sia rappresentato non gia' dal comma 26 ma piuttosto dal comma 27, lettera d), del d.l. n. 269 del 2003. La Consulta, infatti, non solo omette ogni riferimento al suindicato comma 26 ma, anzi, finisce per offrire una lettura piu' ampia dello stesso comma 27, lettera d), laddove precisa che i soli vincoli di inedificabilita' assoluta e non anche quelli di inedificabilita' relativa possano essere considerati ostativi alla sanabilita'. In altri termini, nelle aree sottoposte a vincolo, sempre che non si tratti di vincolo di inedificabilita' assoluta, le opere abusive potranno essere sanate, secondo l'insegnamento del Giudice delle leggi, laddove si dimostri la conformita' delle stesse alla normativa urbanistica, previo parere favorevole dell'autorita' preposta alla tutela del vincolo, come disciplinato dal nuovo testo dell'art. 32 della legge n. 47/1985, nella formulazione introdotta dal comma 43 del d.l. n. 269 del 2003 (che prevede una conferenza di servizi cui partecipa necessariamente anche la Soprintendenza territorialmente competente, il cui parere e' vincolante). A tale conclusione osta, tuttavia, il difforme indirizzo del giudice di legittimita'. 2.2 - Il contrasto con gli artt. 42 81 117 e 119 della Costituzione. Ad Aaviso di questo tribunale, la rigida interpretazione - da parte del diritto vivente - del comma 26, oltre a porsi in contrasto con l'art. 3 Cost., in quanto l'illogica restrizione dell'ambito applicativo della disciplina statale del condono edilizio comporta la violazione del principio di uguaglianza, si pone in contrasto anche con l'art. 117, secondo comma, lettera l) Cost., relativamente alla competenza statale esclusiva in materia di ordinamento civile e penale, dal momento che la medesima tipologia di illecito urbanistico riceve nell'intero territorio nazionale, per effetto dell'applicazione - conforme al «diritto vivente» - della norma impugnata, un diverso trattamento giudiziario, a seconda della natura vincolata o meno dell'area oggetto dell'intervento e, per giunta, senza distinguere tra vincolo di inedificabilita' relativa e vincolo di inedificabilita' assoluta, come - viceversa - ritenuto decisivo dalla Corte costituzionale con la ricordata sentenza n. 49 del 2006. L'interpretazione restrittiva in malam partem del diritto vivente si discosta, inoltre, dall'art. 32, comma 25, del d.l. n. 269 del 2003 e, pertanto, riducendo irrazionalmente l'ambito degli interventi ammessi al condono edilizio, contrasta anche con gli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., in quanto riduce il gettito finanziario previsto dalla normativa statale sul condono edilizio, in tal modo incidendo su materie di competenza statale esclusiva («rapporti dello Stato con l'Unione europea», «moneta») e concorrente («coordinamento della finanza pubblica»). La suddetta interpretazione fornita dal diritto vivente vulnera, altresi', l'art. 81 Cost. in quanto ha effetto sulla copertura finanziaria di molte leggi di spesa che fanno affidamento sul gettito del condono edilizio, determinando un'indebita turbativa dell'equilibrio finanziario del paese nel suo insieme. La contestata interpretazione della norma in questione genera, infine, radicali incertezze in ordine agli effetti dell'oblazione corrisposta per la sanatoria delle opere abusive, con cio' vulnerando, sotto ulteriore profilo, sia l'art. 3 (canone di ragionevolezza) che l'art. 42 Cost. La rilevanza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 32, comma 26, del d.l. n. 269/2003, convertito nella legge n. 326 del 2003. 1. - Nella fattispecie, la prospettata questione di legittimita' costituzionale e', altresi', rilevante, in quanto l'ingiunzione di demolizione e' stata emessa dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli nonostante ciascuno dei 140 ricorrenti abbia presentato istanza di condono edilizio, ai sensi dell'art. 32 del d.l. n. 269/2003, convertito nella legge n. 326/2003, corredata di pagamento dell'oblazione autodeterminata, ritenuta congrua dai rispettivi uffici tecnici comunali, con apposita certificazione acquisita agli atti e, secondo l'interpretazione fornita dal diritto vivente, ciascuno degli incidenti di esecuzione dovrebbe essere rigettato da questo tribunale, ritenendo - sempre secondo il diritto vivente - che anche nelle aree soggette a vincolo di inedificabilita' relativa (come sono le zone in cui ciascuno dei 140 ricorrenti ha realizzato le opere oggetto dell'invocato condono ter) risulta preclusa l'applicabilita' del predetto condono edilizio. 2. - Pertanto, qualora questo Tribunale dovesse aderire alla rigida opzione ermeneutica fornita dal diritto vivente, al rigetto dei 140 incidenti di esecuzione conseguirebbe un pregiudizio (la demolizione di 140 immobili), da reputarsi irreparabile per gli esecutati in caso di (verosimile) accoglimento della domanda di sanatoria edilizia da parte dei rispettivi Comuni, che gia' hanno formulato una prognosi favorevole, certificando la congruita' delle oblazioni versate da ciascuno dei 140 ricorrenti. 3. - Infatti, proprio sulla tematica del significato giuridico della oblazione e delle ricadute sull'ordine giudiziale di demolizione si sono registrate pronunce difformi da parte del giudice di legittimita', la cui giurisprudenza, sul punto, non sempre e' stata perspicua e sistematicamente coerente, ne' logicamente uniforme. 3.1. - Gli orientamenti della Corte di cassazione. Secondo un primo orientamento (Sez. III, sentenza n. 228 del 24 marzo 1993, Farinelli) ed in virtu' di quanto previsto dall'art. 6 del d.l. n. 2 del 1988, l'oblazione estingue i reati di cui all'art. 20 della legge 2 febbraio 1974, n. 64, nonche' i procedimenti di esecuzione delle sanzioni amministrative. «Nel sistema delle cause estintive, una volta intervenuta la condanna irrevocabile, la causa estintiva del reato (rectius della punibilita') degrada a causa estintiva della pena (rectius della esecuzione della pena) e a causa estintiva degli effetti penali e di quelli amministrativi, se cio' e' espressamente disposto. Cosi' avviene per la morte del reo, che prima della condanna estingue il reato (art. 150 c.p.); dopo la condanna estingue la pena (art. 171 c.p.). Cosi' avviene per l'amnistia, che prima della condanna estingue il reato; dopo la condanna estingue la pena, cioe' fa cessare l'esecuzione della condanna e le pene accessorie» (art. 151 c.p.). Cosi' avviene, infine, per l'oblazione de qua, che prima della condanna estingue il reato; e dopo la condanna, fa cessare l'esecuzione delle pene (ex art. 2 c.p.) e quella delle sanzioni amministrative (ex art. 6, d.l. citato). E' appena il caso di notare che una siffatta decisione non e' fondata su una applicazione analogica della disciplina di altre cause estintive, ma piuttosto su una interpretazione letterale e logica della disciplina speciale della oblazione edilizia». «A questa conclusione non si puo' opporre (...) la norma dell'art. 183, comma 1, c.p., secondo la quale le cause di estinzione operano nel momento in cui esse intervengono. Le norme dell'art. 183 c.p. sono chiaramente dettate per disciplinare gli effetti del concorso simultaneo o della successione temporale di piu' cause estintive ("concorso di cause estintive" recita, infatti, la relativa rubrica). La disposizione di cui al primo comma, statuendo che le cause estintive hanno effetto nel momento in cui intervengono e non in quello della loro declaratoria giurisdizionale (che ha percio' natura dichiarativa e non costitutiva), non ha affatto escluso la loro operativita' su fatti pregressi (che anzi e' in re ipsa); ha inteso piuttosto dettare un criterio generale, di natura cronologica, per regolare il concorso successivo delle cause estintive; criterio che e', peraltro, derogato dalla disposizione del secondo comma, secondo cui la causa che estingue il reato prevale su quella che estingue la pena, anche se e' intervenuta successivamente (la priorita' cronologica cede in questo caso alla maggiore "efficacia" estintiva)» [in senso analogo, cfr. Cass., sez. III, 15 gennaio 1997, n. 4065, Ilardi, e Cass., ss.uu., 12 ottobre 1993, Pulera'). A tale orientamento se ne contrappone un altro, secondo cui «in tema di condono edilizio di opere abusive, la sola determinazione, da parte dell'amministrazione comunale competente dell'importo dell'oblazione dovuta non e' idonea a determinare effetti, in sede di esecuzione, sull'ordine di demolizione disposto dal giudice con la sentenza di condanna, ai sensi dell'art. 7 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, atteso che soltanto con il rilascio della concessione sorge, da parte del giudice dell'esecuzione, l'obbligo di verifica della legittimita' della stessa e di compatibilita' del manufatto con gli strumenti urbanistici, al fine della eventuale non esecuzione dell'ordine di demolizione» (cosi' Cass., sez. III, sentenza n. 5676 del 14 dicembre 2001, Martino; negli stessi sensi, Cass., sez. III, 11 settembre 2007). Secondo l'indirizzo ora citato, la speciale normativa sulla sanatoria straordinaria non prevede alcuna estinzione della pena nell'ipotesi di condanna con sentenza definitiva, ma solo particolari effetti stabiliti dall'art. 38, terzo comma, della legge n. 47 del 1985 (annotazione dell'oblazione nel casellario giudiziale e irrilevanza della condanna ai fini dell'applicazione della recidiva e della sospensione condizionale della pena). Effetti estintivi della pena e della sua esecuzione non possano farsi derivare ne' da una volonta' implicita del legislatore, orientata, invece, nel senso di limitare l'efficacia estintiva del condono edilizio fino alla sentenza definitiva (Cass. sez. III, 27 novembre 1998, n. 3196, Sacchetti; 15 marzo 1996, n. 1110, Nastro; 15 febbraio 1996, Vanacore), ne' dalla normativa stabilita dal codice di rito in tema di estinzione del reato o della pena in sede esecutiva, poiche' gli artt. 672 e 673 c.p.p. concernono ipotesi ben individuate (amnistia, indulto ed oblazione del reato), mentre l'art. 676, primo comma, c.p.p. attiene a fattispecie fra le quali non e' possibile ricomprendere la presentazione della domanda di rilascio di concessione in sanatoria, in base al capo IV della legge n. 47 del 1985, ed il versamento dell'oblazione dovuta. Eppure, con sentenza della medesima Sezione III n. 10512 del 15 ottobre 1997, Mazzola, la Corte di cassazione, in ordine alla argomentazione secondo cui la estinzione del reato urbanistico prevista nel capo IV della legge n. 47 del 1985 presuppone un atto amministrativo (la concessione in sanatoria rilasciata dal comune), aveva cosi' statuito: «Tale argomentazione ignora la distinzione tra il profilo amministrativo e quello penale del cosiddetto condono edilizio, quale risulta evidente dalla interpretazione sistematica della disciplina contenuta nel capo IV della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e in particolare dalla interpretazione letterale e logica dell'art. 39 della stessa legge. Sul punto non sempre la giurisprudenza e' stata perspicua e sistematicamente coerente, ne' logicamente uniforme; sicche' appare opportuno riassumere - sia pure sinteticamente - il significato della normativa vigente. Soprattutto per ragioni fiscali, il legislatore ha emanato due condoni edilizi al fine di sanare amministrativamente gli abusi edilizi commessi entro il 1° ottobre 1983 (art. 31, legge n. 47/1985) ed entro il 31 dicembre 1993 (art. 39, legge 23 dicembre 1993, n. 724), nonche' al fine di estinguere i relativi reati, contro il versamento di una oblazione legislativamente determinata in base a vari parametri (tipo di abuso, tempo di ultimazione dell'opera, qualita' personale del contravventore nella veste di proprietario, committente o direttore dei lavori, utilizzazione dell'edificio abusivo come prima abitazione del richiedente e condizioni reddituali e di disagio abitativo dello stesso richiedente, ecc.). Sotto il profilo penale, il legislatore ha stabilito che l'imputato il quale abbia presentato istanza di sanatoria nei termini perentori prescritti dalla legge e abbia versato tempestivamente le somme richieste a titolo di oblazione, ha diritto alla estinzione del reato urbanistico, di cui all'art. 20, legge n. 47/1985, nonche' alla estinzione dei reati edilizi e sanitari connessi, di cui alla legge n. 1086/1971, alla legge n. 64/1974 e all'art. 221 del r.d. 1265 del 1934 (primo e secondo comma dell'art. 38, legge n. 47/1985). Naturalmente e' anche necessario che l'abuso sia stato ultimato nel termine previsto e che la domanda di sanatoria si riferisca puntualmente all'immobile abusivo contestato nel capo di imputazione. Nella disciplina dell'ultimo condono, in base al citato art. 39 della legge n. 724/1994, ulteriore condizione richiesta per l'estinzione dei reati (oltre che per la sanatoria amministrativa) e' che l'abuso edilizio non superi determinati limiti volumetrici. Sotto il profilo amministrativo, il legislatore ha stabilito che, dopo che il proprietario o qualsiasi interessato abbia presentato tempestiva domanda per la sanatoria dell'abuso ultimato nel termine previsto e dopo che abbia versato l'importo definitivamente determinato per l'oblazione, il sindaco deve rilasciare la concessione in sanatorio, salvo il versamento degli oneri concessori dovuti e l'obbligo di presentare la documentazione necessaria per l'accatastamento (art. 35, comma 15, legge n. 47/1985). Trascorso un determinato periodo senza che intervenga un provvedimento negativo, la concessione in sanatorio si intende rilasciata in modo tacito (comma 18 del citato art. 35 e comma 4 dell'art. 39, legge n. 724/1994). Viene anche rilasciato il certificato di abitabilita' o di agibilita' dell'edificio abusivo sanato, anche in deroga ai requisiti regolamentari (comma 20, art. 35 citato). Tuttavia, qualora la domanda presentata contenga affermazioni dolosamente infedeli, sicche' la oblazione sia determinata in modo non veritiero, la sanatoria non puo' essere concessa e l'abuso resta soggetto alle sanzioni amministrative previste nel Capo I della legge n. 47/1985 (art. 40, primo comma, legge n. 47/1985 e art. 39, comma 4, legge n. 724/994). La stessa conseguenza si verifica se le opere abusive non sono suscettibili di sanatoria ai sensi dell'art. 33, legge n. 47/1985, perche' contrastanti con determinati vincoli di inedificabilita' assoluta. Per la verita', le norme ora citate, in caso di insanabilita' oggettiva e soggettiva dell'abuso, dispongono l'applicazione di tutte le sanzioni previste nel predetto capo I della legge, e quindi anche delle sanzioni penali. Ma bisogna tener presente al riguardo la disposizione dell'art. 39 della legge n. 47/1985, secondo cui qualora le opere non possano conseguire la sanatoria, l'effettuazione della oblazione estingue i reati contravvenzionali indicati nell'art. 38. Se ne deve concludere che quando la domanda di sanatoria non puo' essere accolta, l'abuso amministrativo resta, ma l'illecito penale viene estinto quando l'imputato abbia versato l'intero importo dell'oblazione, congruamente e fedelmente determinato. 4) Da questo articolato sistema normativo deriva evidentemente che l'estinzione dei reati urbanistici ed edilizi non presuppone necessariamente la formazione di un atto amministrativo di sanatorio, ne' espresso ne' tacito. Presuppone soltanto una regolare domanda di sanatoria e il versamento completo dell'oblazione da parte dell'imputato ovvero da parte di un comproprietario dell'immobile abusivo, anche se non coimputato (in virtu' del disposto del secondo comma, ultimo periodo, dell'art. 38, legge n. 47/1985). 5) Ulteriore conseguenza che ne deriva e' che il giudice penale, per dichiarare l'estinzione dei reati, deve verificare solo i presupposti legali dell'oblazione speciale come sopra disciplinata; mentre spetta alla autorita' comunale competente accertare tutte condizioni stabilite dalla legge per la concessione in sanatoria. Piu' in particolare spetta al giudice penale verificare i presupposti temporali, personali e oggettivi della disciplina sulla oblazione speciale, cioe' a) la tempestivita' della domanda; b) la riferibilita' della domanda agli imputati o ai comproprietari dell'immobile abusivo ex art. 38, legge n. 47/1985; c) la riferibilita' della domanda all'immobile abusivo contestato nel capo di imputazione; d) la ultimazione dei lavori entro il termine di legge; infine per il condono disciplinato da ultimo con l'art. 39 della legge n. 724/1994, e) i requisiti volumetrici dell'immobile costruito. Il giudice penale deve anche verificare f) la congruita' quantitativa dell'oblazione versata: solo che in questo caso, se puo' accertare direttamente l'entita' delle somme versate, attraverso le (copie delle) ricevute di versamento, non puo' direttamente verificare la congruita' delle stesse rispetto ai parametri previsti, giacche' molti di questi sono conosciuti solo dall'autorita' comunale (basti pensare ad esempio all'esistenza di convenzioni stipulate con il comune per la applicazione di prezzi di vendita o di canoni di locazione determinati, che costituisce titolo per la riduzione dell'oblazione al 50%; ovvero alla utilizzazione dell'edificio abusivo come prima abitazione del richiedente, che e' titolo per la riduzione di un terzo: commi terzo e quarto dell'art. 34, legge n. 47/1985) e giacche' - coerentemente - la legge attribuisce al sindaco il compito di determinare in via definitiva l'importo dell'oblazione (comma 15 dell'art. 35, legge n. 47/1985). Quest'ultima verifica, quindi, e' compiuta dal giudice penale solo indirettamente, attraverso l'acquisizione del certificato di congruita' rilasciato dal sindaco competente. Deriva infine dal sistema normativo come sopra riassunto che il giudice penale, per dichiarare la estinzione dei reati urbanistici ed edilizi, non deve previamente accertare l'inesistenza di cause ostative alla sanatorio amministrativa, appunto per il disposto dell'art. 39, legge n. 47/1985, che dispone la estinzione dei reati contravvenzionali (anche) quando le opere abusive non possono essere sanate. In particolare, non rileva ai fini penali la insanabilita' assoluta di opere soggette a vincoli determinati, di cui all'art. 33, legge n. 47/1985, come modificato dal ventesimo comma dell'art. 39, legge n. 724/1994; cosi' come non rileva la sanabilita' condizionata delle opere costruite in aree vincolate, di cui all'art. 32, legge n. 47/1985, che e' subordinata al parere favorevole delle amministrazioni preposte al vincolo. Quanto alla insanabilita' delle opere per cui e' stata presentata domanda dolosamente infedele, di cui all'art. 40, primo comma, legge n. 47/1985, il rilievo penale deriva solo dal fatto che la infedelta' della domanda puo' influire sulla congruita' della oblazione. In altri termini, il giudice penale, al fine di dichiarare la estinzione per oblazione speciale dei reati urbanistici ed edilizi, non deve previamente accertare ne' l'inesistenza di una causa di insanabilita' assoluta di cui all'art. 33, legge n. 47/1985, ne' l'inesistenza di una causa di insanabilita' relativa di cui all'art. 32 della stessa legge. Infine, non deve neppure accertare che la domanda di sanatoria non sia dolosamente infedele, giacche' questo accertamento e' implicitamento contenuto nella certificazione che il sindaco rilascia circa la congruita' della oblazione versata». Va, ancora, segnalato, sul punto, il recente arresto di Cass., sez. III penale, n. 10209 del 2 febbraio 2006, che ha affermato che, in materia edilizia, la dichiarazione di estinzione del reato di costruzione abusiva produce automaticamente l'inefficacia dell'ordine di demolizione dell'opera abusiva, indipendentemente da una espressa statuizione di revoca, atteso che tale ordine e' una sanzione amministrativa di tipo ablatorio che trova la propria giustificazione nella sua accessorieta' ad una sentenza di condanna. 3.2. - Il contrario orientamento della Corte costituzionale. Come dinanzi ricordato, con la sentenza n. 196 del 28 giugno 2004 il Giudice delle leggi, in senso difforme dal diritto vivente, ha precisato che «l'integrale pagamento dell'oblazione, oltre a costituire il presupposto per l'estinzione dei reati edilizi, estingue anche i relativi procedimenti di esecuzione delle sanzioni amministrative (cfr. art. 38, secondo comma, della legge n. 47 del 1985) e costituisce uno dei requisiti per il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria (commi 32 e 37 dell'art. 32 in questione); ancora, l'oblazione interamente corrisposta costituisce condizione perche' la sanatoria renda inapplicabili le sanzioni amministrative, "ivi comprese le pene, pecuniarie e le sovrattasse previste per le violazioni delle disposizioni in materia di imposte sui redditi relativamente ai fabbricati abusivamente eseguiti (cfr., art. 38, quarto comma, della legge n. 47 del 1985). Cio' non esclude, peraltro, che - ove sia stata effettuata l'oblazione - pur in presenza di diniego di sanatorio, si estinguono i reati edilizi e le sanzioni amministrative consistenti nel pagamento di una somma di denaro siano "ridotte in misura corrispondente all'oblazione versata (art. 39 della legge n. 47 del 1985"». Sempre la Corte costituzionale, cori ordinanza del 12 marzo 1998, n. 56, aveva ritenuto che «il combinato disposto degli artt. 38, commi secondo e quarto, e 43 della legge n. 47 del 1985 prevede, tra gli effetti tassativi della oblazione e della concessione in sanatorio, anche quelli sui procedimenti di esecuzione delle sanzioni amministrative (perche' non sia ancora intervenuta la completa ed integrale esecuzione»). Conclusioni Per concludere sul punto, il non sempre univoco (e poco chiaro) orientamento della Corte di cassazione in materia di oblazione collegata al condono edilizio la cui atipicita' e' stata evidenziata dalla Corte costituzionale gia' con sentenza n. 369 del 31 marzo 1988), da un lato, e la rigida interpretazione «additiva» - ad opera della Corte di cassazione - del comma 26 del d.l. n. 269 del 2003, dall'altro, hanno determinato nel diritto vivente dissonanze interpretative ed applicative che minano alla base il principio di ragionevolezza, con cio' violando, anche sotto i denunziati profili, l'art. 3 Cost., oltre all'art. 42 cost. sopra citato, per il vulnus arrecato alla garanzia costituzionale della proprieta', a causa della impossibilita', per il giudice, di provvedere alla revoca dell'ordine di demolizione per opere realizzate in zona assoggettata a vincolo paesistico pur in presenza di regolare presentazione di domanda di condono e di pagamento dell'oblazione in misura che l'Autorita' comunale ha certificato essere congrua. Per tutte le ragioni esposte in motivazione, questo giudice Ritiene che la dedotta questione di legittimita' costituzionale sia non manifestamente infondata e, altresi', rilevante, atteso che la decisione del proposto incidente di esecuzione si fonda proprio sulla interpretazione, in ciascuna delle fattispecie in esame, del comma 26 dell'art. 32 del d.l. n. 269 del 2003. La predetta norma va, pertanto, sottoposta a scrutinio di costituzionalita' per le implicazioni che la stessa determina sulla ammissibilita' del «terzo condono» per le nuove costruzioni realizzate in zona assoggettata a vincolo paesistico e sulla possibilita' di procedere alla revoca dell'ordine giudiziale di demolizione, tenuto anche conto della favorevole determinazione, da parte di ciascun delle amministrazioni comunali interessate, dell'importo dell'oblazione dovuta.