IL TRIBUNALE
   Nel procedimento penale in epigrafe rubricato a carico di Fradusco
Giuseppe nato il 23 settembre 1959 a Palazzo San Gervasio residente a
Verbania  via  Baiettini,  33,  difeso di fiducia dall'avv. Francesco
Culot imputato del reato p. e p. dall'art. 594 c.p. in Verbania il 29
dicembre 2003, appellante; avverso la sentenza n. 4/07 del Giudice di
Pace  di Verbania del 9 gennaio 2007 con la quale e' stato condannato
alla  pena  di  euro  300,00 di multa ed al risarcimento dei danni in
favore  della  parte  civile;  con  parte civile costituita la sig.ra
Balestrieri Giuseppina con avv. Rosa Cairati;
                            O s s e r v a
   Non  e' manifestamente infondata la questione di costituzionalita'
dell'art.  593  c.p.p. di procedura penale nella parte in cui prevede
la  facolta'  di  appellare le sentenze di condanna al di fuori della
ipotesi di cui all'art. 603 c.p.p. comma primo, secondo e quarto.
   La  questione  appare  intrinsecamente  rilevante  dovendo  questo
giudice,   a   seguito  dell'appello  di  cui  in  epigrafe  e  della
conseguente   citazione,   celebrare   il  giudizio  di  appello  nel
procedimento  di  cui  sopra  e  non  rientrando  l'atto  di  appello
nell'ipotesi di cui all'art. 603 primo, secondo e quarto comma.
   La   questione  appare  anche  non  manifestamente  infondata  con
riferimento agli artt. 3 e 111 Cost.
   Ed  invero  ritiene  questo  giudice  che,  con la definizione dei
principi  del  giusto  processo  il  legislatore sia vincolato a piu'
stringenti  parametri  di ragionevolezza ed al rispetto specifico dei
canoni  costituzionalizzati  ex  art. 111 Cost. e che il mantenimento
«tout  court»  dell'appello  quale secondo grado di giurisdizione del
processo  penale  e'  incompatibile con la disciplina degli artt. 3 e
111 Cost.
   Ed invero:
     la  scelta  legislativa  del  doppio  grado di giurisdizione non
fruisce di per se' di diretto riconoscimento costituzionale;
     la   scelta   legislativa  di  prevedere  un  secondo  grado  di
giurisdizione  trova  un  suo  fondamento  indiretto  nel solo valore
espresso  dal  diritto  di  difesa ex art. 24 Cost. quale facolta' di
impugnazione  dell'imputato  (e di riflesso, per il solo principio di
parita'  delle  parti  e  quale  mera  proiezione  non necessaria del
principio  di  obbligatorieta'  dell'azione penale, nella facolta' di
appellare della parte pubblica.);
     poiche'  il  legislatore  non  e'  vincolato  da  uno  specifico
precetto costituzionale (ne' da norme internazionali) l'uso della sua
discrezionalita'  deve  essere sottoposto a vaglio costituzionale con
riferimento   agli   specifici   parametri   costituzionale  previsti
nell'art. 111 Cost.
   Tale vaglio appare di esito negativo.
   Ed invero:
     l'appello  devia  dal  principio  dell'oralita'  e di formazione
della  prova  quale  costituzionalizzato  affidando in via generale e
normale  il  finale  giudizio  di  merito  a  giudici  che  non hanno
partecipato alla formazione della prova;
     la deviazione da questo principio non ha carattere eccezionale e
motivato  (come  ad  esempio  per  gli  incidenti probatori, o per la
lettura  di  atti  consentiti),  ma e' la regola del giudizio, regola
derogabile solo a precise e limitate condizioni;
     tali    eccezioni   non   sono   idonee   a   salvaguardare   la
costituzionalita' dei giudizio cosi' come strutturato;
     atteso che la costituzionalizzazione del principio di formazione
della  prova  implica  una  scelta  del  costituente  di  un  modello
processuale  che  si  ritiene  essere  il  modello costituzionalmente
idoneo per pervenire alla migliore decisione;
     la  legge  per  garantire il giusto processo di cui all'art. 111
Cost. in appello deve limitare l'appello alle ipotesi di cui all'art.
603 c.p.p. comma primo, secondo e quarto.
   Solo  con tale limitazione infatti la discrezionalita' legislativa
di  prevedere  un  secondo grado di giudizio non si pone in contrasto
con la previsione dell'art. 111 Cost.
   Con  tale limitazione infatti la deroga al principio di formazione
della  prova  diviene  giustificata  dalla  necessita'  intrinseca di
rielaborazione  del giudizio e contemporaneamente giustifica anche un
allungamento  dei tempi processuali altrimenti non compatibile con il
principio di ragionevole durata.
   Non  puo' infine ritenersi neppure in se' ragionevole, a fronte di
una  disciplina  che  fissa quale regola fondamentale base a garanzia
della  correttezza  della decisione (e quindi dello stesso diritto di
difesa  dell'imputato)  che  la  prova si formi avanti al giudice che
decide, che la reale decisione di merito sia sistematicamente assunta
da un giudice meramente cartolare.
   Giova  infine rimarcare che la questione dedotta e' dirompente per
gli  appelli  avverso  la  sentenza del giudice di pace ove il nucleo
probatorio,  in  relazione  alla usuale tipologia dei reati, si fonda
per  lo  piu' su prove orali ed i motivi di appello sulla valutazione
di  credibilita' e attendibilita' di dichiaranti sempre (tale essendo
normativamente  «di  regola» la verbalizzazione) riportati in verbali
sintetici.    Cio'    comporta   ineluttabilmente   una   surrettizia
trasformazione  de  facto  del  giudizio  di  appello  in giudizio di
legittimita'.