IL TRIBUNALE
   Ha  emesso  la  seguente  ordinanza  di remissione degli atti alla
Corte   costituzionale,   per   la  valutazione  della  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 61, comma 11-bis c.p.
   Nel  corso  del  processo  per direttissima a carico di Diouf Cor,
tenutosi  all'udienza  del  3  luglio  2007  presso  il  Tribunale di
Livorno, e' emerso che lo stesso risultava imputato, tra l'altro, del
reato  punito  dall'art.  14,  comma 5-ter del d.lgs. n. 282/1998 per
essersi   lo  straniero  trattenuto  senza  giustificato  motivo  nel
territorio dello stato in violazione dell'ordine di lasciare l'Italia
impartitogli  dal  Questore  di  Livorno  in  data  14  aprile  2007,
aggravato  dall'aver commesso il fatto “trovandosi illegalmente
sul territorio nazionale” (cd. stato di clandestinita') ex art.
61 comma 11-bis c.p.
   Il   p.m.  ha  sollevato  l'eccezione  di  incostituzionalita'  di
quest'ultima norma, eccezione a cui si e' associato il difensore.
   A   parere   di   questo  giudice  la  questione  di  legittimita'
costituzionale   dell'art.   61   comma   11-bis   c.p.   non  appare
manifestamente infondata, per le ragioni che seguono.
   In  particolare, la previsione dell'aggravante di cui all'articolo
61,  comma  11-bis  c.p.,  introdotta  dal decreto legge n. 92 del 23
maggio  2008,  appare  in  contrasto  con  gli  articoli 3 e 27 della
Costituzione.
   Va  premesso  che oggetto della presente questione di legittimita'
costituzionale  e'  una norma contenuta in un decreto legge del quale
allo  stato, pur se approvato al Senato nello stesso testo, si ignora
se  verra'  o  meno  convertito,  con o senza modificazioni, ai sensi
dell'art.  77 Cost. Malgrado tale incertezza oggettiva questo Giudice
ritiene  di  dovere  comunque  sollevare la questione di legittimita'
costituzionale e di non potere attendere l'eventuale stabilizzazione,
modifica  o  perdita,  degli  effetti  giuridici  del  decreto legge,
proprio  per  evitare  di emettere una pronuncia nel merito che possa
condurre  alla  formazione  del giudicato in forza di una norma della
cui legittimita' costituzionale si dubita.
   La  previsione  di un'aggravante di tipo soggettivo in relazione a
uno  stato  particolare qual e' l'illegalita' in relazione alle norme
che regolano la presenza dei cittadini extracomunitari sul territorio
nazionale  non  rispetta  il  principio  di  eguaglianza  e neppure i
principi  di responsabilita' personale - nel senso di responsabilita'
per il fatto proprio colpevole - e di finalita' rieducativa.
   Sotto   il   primo   profilo   possono   svolgersi   le   seguenti
considerazioni.
   Va  premesso,  innanzitutto,  che  la  norma  fa  riferimento alla
condizione di illegale presenza sul territorio dello Stato: e' quindi
evidente   che   non  va  ristretta  l'applicazione  alla  condizione
comunemente  intesa di “clandestinita”, propria di coloro
che   entrano   illegalmente  in  Italia:  l'aggravante  deve  essere
contestata  anche  agli  imputati  per i quali, per qualsiasi ragione
derivante dalle vicende dell'ingresso e del permesso di soggiorno, le
condizioni  di  regolare  permanenza  siano venute meno in un momento
successivo.
   Cio'  posto,  la  ratio  della  previsione starebbe nella maggiore
pericolosita' che la situazione di illegalita' comporta.
   Una  ratio  che  evidentemente  recepisce  la  percepita, insita e
connaturale  maggiore attitudine del clandestino a commettere reati e
la  valutazione  del  fenomeno  immigrazione  come fattore di aumento
della criminalita'.
   E'  gia' evidente che tale percezione viene meno quando la persona
non  sia  clandestina  ne' inserita in stabili contesti criminali, ma
abbia  visto  mutare  la  sua  posizione per le variabili dovute alla
disciplina  in materia di immigrazione, avendo vissuto una precedente
condizione di rispetto delle regole e che non puo' affatto presumersi
come maggiormente incline a commettere reati.
   Si  opera,  quindi,  gia'  con riguardo a costoro un'irragionevole
equiparazione,  laddove  le diverse situazioni andrebbero trattate in
modo differente.
   La pericolosita' di un soggetto non va rapportata a una condizione
soggettiva  tout  court  ,  ma a eventuali circostanze (condizioni di
vita,  modalita' di sostentamento legate a contesti criminali e cosi'
via)  che,  al  contrario,  sono  oggettivamente  vagliabili e per la
valutazione  della  cui  sussistenza  l'ordinamento  gia'  dispone di
parametri di valutazione e presupposti di applicazione.
   La condizione di illegale presenza sul territorio nazionale non e'
inerente alla condotta posta in essere, ne' al fatto commesso: questi
restano  identici  qualunque  sia  l'autore; ne' puo' essere valutata
alla stregua delle altre aggravanti di tipo soggettivo previste dalla
legge penale.
   Tra  queste,  senza  considerare  i numeri 9 e 11 dell'articolo 61
(ragionevolmente attinenti alla violazione di una posizione dominante
o  di  protezione,  ovvero a un rapporto di fiducia), vanno esaminate
l'aggravante  di  cui al numero 6 della medesima norma e la recidiva,
cui  apparentemente  puo'  assimilarsi  quella in parola. Si potrebbe
dire,  infatti, che cosi' come il legislatore ha previsto la maggiore
pericolosita'   -   consistente   nella  valutazione  della  maggiore
attitudine    a    delinquere    operata    sull'esperienza   -   del
“latitante”  e  del recidivo, allo stesso modo ha operato
una   scelta  di  politica  criminale  con  riguardo  allo  straniero
irregolare o clandestino.
   L'esperienza  insegnerebbe  che  costui  e' maggiormente incline a
commettere reati e che tale sua disposizione deriva dalla precarieta'
del   suo  stato,  dai  contesti  criminali  e  antisociali  con  cui
necessariamente viene a contatto, dalla necessita' di procacciarsi il
sostentamento  con  ogni  mezzo legittimo o illegittimo, dall'essersi
posto volontariamente in una condizione di violazione delle regole.
   Ma  va, invece, operata un'opportuna distinzione: il recidivo, chi
si  sottrae  all'ordine  di cattura o di carcerazione, chi ha violato
una  misura  di  prevenzione e' pericoloso perche' un giudice ha gia'
operato  delle  valutazioni  in  ordine al comportamento delittuoso o
alla  pericolosita'  sociale:  si  tratta  di  persone che hanno gia'
commesso  reati  o  hanno posto in essere comportamenti criminosi e/o
pericolosi,  che volontariamente si sottraggono all'azione punitiva o
preventiva,   che  hanno  in  qualche  modo  mostrato  una  pervicace
ribellione al potere coercitivo dello Stato.
   Non sussistono analoghi presupposti per lo straniero irregolare.
   La   clandestinita'  o  l'irregolarita'  non  sono,  di  per  se',
penalmente   rilevanti:   lo   diventano  soltanto  dopo  la  mancata
ottemperanza  all'ordine di espulsione: e', quindi, irragionevole che
il  medesimo  trattamento  -  il  potenziale aumento della pena - sia
riservato  a  chi  e' valutato con una prognosi ex ante pericoloso in
virtu'  di circostanze concrete e a chi e' considerato pericoloso per
una  semplice  qualita'  soggettiva disancorata da parametri certi. E
una  cosa  e'  la  violazione della legge penale, di un ordine emesso
dall'autorita'  giudiziaria,  di  un  ordine di allontanamento, altra
cosa e' la violazione - che puo' anche essere legata a un'emergenza o
a  difficolta'  burocratiche  e  che  troppo  spesso e' dettata dalla
miseria   o   dalla   guerra  nel  Paese  di  provenienza  di  regole
amministrative    quali    sono   quelle   inerenti   la   disciplina
dell'immigrazione.
   Si potrebbe obiettare che esiste una previsione normativa che allo
stesso modo prende in considerazione qualita' o circostanze parimenti
slegate  dal  fatto  e  strettamente  connesse  alla  mera condizione
dell'imputato,    senza    che    mai   ne   sia   stata   dichiarata
l'incostituzionalita'.  Si  tratta  delle  «circostanze»  di  cui  il
giudice  «deve  tener  conto,  altresi',»  nell'esercizio  del potere
discrezionale  relativo  alla determinazione della misura della pena:
ovvero  la  capacita'  a  delinquere  desunta,  in  particolare,  dal
carattere  del  reo,  dalla vita e dalla condotta antecedenti e dalle
condizioni  di  vita individuale, familiare e sociale. I parametri di
valutazione  offerti  al  giudice  dall'articolo 133, comma due, c.p.
possono  condurre  a  una  maggiore  esigenza di punizione attraverso
l'esame  di  situazioni e condizioni meramente qualitative, del tutto
assimilabili   allo   stato   considerato   dal  nuovo  comma  11-bis
dell'articolo  61  c.p.:  dunque  non  vi  sarebbe  alcuna violazione
dell'articolo  3 della Costituzione. Tuttavia va distinto il piano di
operativita' delle due norme. Una cosa e' una circostanza aggravante,
che se applicata impone negli ambiti quantitativi previsti un aumento
di  pena,  secondo  il  giudizio  di bilanciamento di cui all'art. 69
c.p.;  altra  cosa  e' la valutazione di fatti e condizioni di cui il
giudice  deve  tener  conto  nella commisurazione della pena al fatto
commesso,  tra  cui  la capacita' a delinquere. Tanto e' vero che gli
stati  e  le  qualita'  elencati  dall'articolo  133  c.p.  non  sono
considerate circostanze in senso tecnico e, dunque, non sono soggette
al cd. bilanciamento in senso tecnico.
   Considerare  l'irregolarita' sul territorio nazionale quale indice
di  maggiore  gravita'  contrasta  da  un lato con il principio della
responsabilita'  personale  e dall'altro con la finalita' rieducativa
della pena.
   La  previa,  aprioristica  attribuzione di un maggior disvalore al
fatto  posto  in  essere  dallo  straniero  irregolare rischia di far
scivolare  dalla  colpevolezza  al  delitto  d'autore.  Recependo  il
diffuso allarme sociale che lega l'immigrazione alla percezione di un
preteso  aumento  dei  fenomeni  criminali, si qualifica il fatto per
essere  piu'  grave  solo  perche'  commesso  da un tipo d'autore (il
clandestino, lo straniero) e non perche' in virtu' di una ragionevole
e  razionale  valutazione,  come  invece  e'  per le circostanze gia'
analizzate  sopra,  si valorizza il senso di una manifesta ribellione
al potere coercitivo gia' esercitato nei confronti del soggetto.
   In  altre  parole,  il  fatto  sarebbe piu' grave perche' l'autore
appartiene a una certa categoria di persone.
   Laddove,   infine,   l'aggravante  venisse  applicata  comportando
l'aumento della pena, quale fine rieducativo potrebbe raggiungere non
e' agevole chiarire.
   La  percezione  dello  straniero  irregolare  che  vedesse la pena
aumentata  per la sua condizione non sarebbe di uno strumento che gli
offra  una  maggiore opportunita' di reinserimento, di partecipazione
alla  vita  sociale  nel  rispetto  delle  regole, ma soltanto di una
maggiore   punizione.   L'ottica   e',  in  altre  parole,  meramente
retributiva  e  soddisfa, piu' che il finalismo rieducativo percepito
dal  Costituente,  il  -  purtroppo  -  diffuso sentimento per cui e'
socialmente  piu'  grave  il delitto commesso da chi appartiene a una
comunita'  diversa  dalla  nostra.  Non  si  tratta  di un fondamento
criminologico, ma della mera ricezione del sentire comune.
   Ne',  ai fini della esclusione della rilevanza della questione che
si  intende sollevare, potrebbe assumere valenza l'eventuale giudizio
di  bilanciamento,  ai  sensi dell'art. 69 c.p., da operare all'esito
(della  possibile  affermazione  di responsabilita' e) dell'eventuale
concessione  di  attenuanti  (in  particolare,  quelle ex art. 62-bis
c.p.).
   E'  evidente, infatti, che proprio per compiere correttamente tale
eventuale  giudizio  occorre  valutare,  da  un  lato, le attenuanti,
dall'altro,  le aggravanti ritenute esistenti, sicche' la presenza di
una  o  piu' aggravanti inciderebbe proprio sull'esito del giudizio e
sull'entita' della pena da applicare.